Chi sfugge alle proprie disgrazie non fa che accrescerne la paura
Seneca, Agamennone
2 lug. - (AdnKronos) - Tipico e di qualità, ipocalorico, salutista, vegano, biologico, a km zero. Com'è il cibo perfetto? Nei Paesi di cultura anglosassone prevale una concezione per la quale deve garantire nutrimento e benessere; l'aspetto salutistico è quello di maggiore interesse per cinesi, indiani e brasiliani, mentre i tedeschi ricercano un equilibrio tra nutrimento e gusto. Gli italiani si confermano votati al valore del cibo come simbolo di convivialità e tradizione.
Insomma, Paese che vai idea del cibo che trovi, almeno secondo una recente indagine Doxa realizzata per Coop. Massimo Marino e Carlo Alberto Pratesi vanno alla ricerca de "Il cibo perfetto" (edizioni Ambiente), prendendo in analisi le ultime ricerche a tema secondo le quali ad emergere è una crescente percentuale di consumatori interessata a ridurre l’impatto dei propri consumi sull’ambiente.
Alla luce di questo dato, il cibo perfetto dovrebbe essere sinonimo di sostenibilità ma per garantirla è necessario conoscere l'intera filiera, dal campo alla tavola. Impresa ardua per un semplice consumatore, che può però contare su una serie di indicatori, metodologie di analisi ed etichette oggi sempre più diffusi e che raccontano la storia di un alimento.
Il calcolo degli impatti ambientali di un qualunque prodotto, così come di un alimento, può essere effettuato seguendo la metodologia dell’analisi del ciclo di vita (Lca, Life Cycle Assessment) che permette di avere la visione del sistema di produzione e di quantificare tutti i suoi effetti lungo l’intera filiera produttiva, a partire dalla coltivazione delle materie prime fino ad arrivare alla fase di preparazione e consumo. Se si vuole calcolare l’impatto per produrre la pasta, per esempio, si raccolgono dati su quello che avviene in campo, al mulino, nel processo e così via.
La carbon footprint è un indicatore che quantifica la somma delle emissioni di gas a effetto serra, che nel caso delle filiere agroalimentari sono costituite prevalentemente dall’anidride carbonica (CO2) generata dall’utilizzo dei combustibili fossili, dal metano (CH4) delle fermentazioni enteriche (gas intestinali) dei bovini, dalla gestione delle loro deiezioni, dalle emissioni di protossido di azoto (N2O) dovute all’utilizzo di concimi a base azoto (naturali o sintetici).
Stesso discorso per la Water Footprint che calcola l’utilizzo di acqua nelle filiere agroalimentari, anche se qui entra in gioco la componente geografica: l’utilizzo di 10 litri di acqua in Svezia comporta una minore pressione sull’ambiente rispetto al consumo degli stessi 10 litri in zone aride, come per esempio il Nord Africa. Meno nota, l'ecological footprint, l’impronta ecologica, indicatore che permette di comprendere quanto capitale naturale viene utilizzato (in termini di superficie) rispetto a quello disponibile. Insomma, il suolo che sfruttiamo per sfamarci. VEDI NOTA
Molte delle informazioni ambientali e degli indicatori trattati sono utilizzati nella promozione dei prodotti, ricorrendo spesso a etichette e marchi. Occhio quindi alle confezioni. E' da lì che possiamo capire molto su un alimento, compresa la sostenibilità del suo imballaggio.
Ma il cibo perfetto si prepara anche in casa e nel libro gli autori passano in rassegna i consigli per cucinare "a basso impatto ambientale". La pasta si cuoce rispettando con le dovute proporzioni: un litro di acqua per 100 grammi di pasta e si porta a ebollizione con il coperchio sulla pentola per ridurre tempi e quindi consumi. Se questi consigli non vengono seguiti la conseguenza può essere un incremento degli impatti ambientali fino al 10%.
La pentola a pressione permette di risparmiare acqua ed energia: per fare un esempio, la cottura del riso scende da 15 a 10 minuti, si risparmiano almeno 60 grammi di CO2 per quattro porzioni, che corrispondono a circa 200 grammi per Kg (calcolati ipotizzando l’utilizzo del fornello a gas).
NOTA: Giova notare che nell'ultimo mezzo secolo l'impronta ecologica dell'umanità è cresciuta a dismisura. Nel 1961 arrivava a circa la metà della biocapacità del pianeta, ma nel 2008 l'impronta ecologica degli allora 6 miliardi e 200 milioni di abitanti della terra arrivava a un'impronta ecologica media di 2,7 ettari a persona a fronte di un pianeta con una disponibilità di soli 1,8 ettari a persona. Stavamo già consumando la biocapacità del pianeta più velocemente di quanto il pianete riuscisse a riciclare e ricostituire. Ciò significa che se nel 1961 ci stavamo sfamando utilizzando gli interessi, nel 2008 stavamo già intaccando il capitale. Gli Usa dove vive il 4% della popolazione mondiale consumano da soli il 21% della biocapacità terrestre con un'impronta ecologica di 10 ettari. Nel miliardo di individui a reddito più alto l'impronta ecologica è di 3,06 ettari, nel miliardo di individui a reddito più basso l'impronta ecologica è di 1,08 ettari di biocapacità per persona.
Impresa Oggi - 3 luglio 2015