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3.5 Gli strumenti dell’impresa eccellente
Come per la definizione di impresa moderna, anche sugli strumenti
di gestione esistono varie teorie e modelli, ognuno valido a seconda
di come viene vista l’impresa. Fermo restando il principio che
lo “strumento” base per il successo di un’impresa è il suo know-how,
anche in questo caso farò riferimento ai “comportamenti” di centinaia
di imprese a me note e porrò l’attenzione su sette strumenti di gestione
riscontrati nella maggior parte delle imprese più vitali: pianificazione
strategica, innovazione tecnologica, gestione guidata dal marketing,
comunicazione, gestione per processi, partnership, qualità.
3.5.1 La pianificazione strategica
Giova ricordare che negli anni ’60-’70 la pianificazione strategica
era considerata lo strumento base di un’impresa, specie le grandi,
essendo utilizzata per formulare e realizzare le strategie aziendali
nell’ottica di acquisire competitività in una fase di forte espansione
economica. I sistemi di pianificazione erano visti come lo strumento
sia per produrre le migliori strategie sia per elaborare le fasi operative
necessarie per mettere in pratica le stesse. Oggi, sebbene non morta,
non ha più la passata importanza poiché ci si è resi conto che:
può imbrigliare il pensiero strategico e la creatività, portando a
definire la vision aziendale in base all’analisi dei numeri e quindi
al passato;
era più un elemento di elaborazione di strategie esistenti che un
mezzo per individuare nuove strade;
era stato commesso l’errore di credere che una metodologia
potesse surrogare il pensiero imprenditoriale;
non era stata in grado né di valorizzare i fattori operativi (qualità,
tempo, cultura manageriale, lavoro di gruppo) né di promuovere
i cambiamenti.
D’altra parte, come si è detto, la pianificazione non è morta, anzi
può riconquistare un ruolo primario se viene programmata rispettando
alcuni principi:
La generazione di idee strategiche va vista e vissuta come un atto
creativo.
Le idee strategiche vanno rapidamente tradotte in obiettivi
operativi.
La pianificazione deve essere orientata verso la vision aziendale.
La pianificazione deve essere elaborata e condivisa dal sistema
degli stakeholders.
Il requisito della pianificazione imprenditoriale dovrà consistere
nella capacità di individuare gli obiettivi prioritari che possano
garantire il successo dell’impresa, nel breve, nel medio e nel lungo
periodo, pianificando le azioni e le modalità necessarie e sufficienti
per perseguirli con efficacia.
Nell’ambito della pianificazione, le PMI spesso rivelano limiti
operativi; l’imprenditore, fortemente coinvolto nella operatività quotidiana,
dedica poco tempo alla definizione della vision aziendale,
alla percezione di opportunità o minacce incombenti oltre l’orizzonte
e questo atteggiamento è, a volte, la causa del declino dell’impresa.
3.5.2 L’innovazione tecnologica
L’economista Robert Solow fu uno dei primi a considerare il
cambiamento tecnologico come funzione primaria della produzione;
nel 1957 sosteneva, nella sua Teoria della crescita endogena, che
lo sviluppo era determinato da tre fattori: il capitale, il lavoro, la
tecnologia, e che dal 1909 al 1949 il progresso tecnologico poteva
spiegare l’87% della crescita industriale.
Anche Joseph Schumpeter
ha trattato a lungo il rapporto tecnologia-economia; secondo
l’economista austriaco “compito dell’imprenditore è quello di
selezionare, tra i vari sistemi tecnologici offerti dalla rete scientifica,
quelli più adatti alla sua impresa”. L’imprenditore svolgerebbe
il ruolo di mediatore tra tecnologia ed economia (è il modello del
technology push).
Secondo Kenneth Arrow, il produttore continua a migliorare il
proprio prodotto durante tutto il periodo della sua diffusione; l’attività
di innovazione è interna alla produzione e non si ferma mai,
anzi permette di lanciare generazioni successive di prodotto. Secondo
l’economista americano il reiterarsi di nuovi oggetti genera un
processo continuo di apprendimento. Arrow è stato l’economista che
ha coniato l’espressione learning by doing.
Questo tipo di comportamento è conosciuto come il modello
dell’innovazione incrementale. Seguendo Arrow, molti ricercatori
hanno mostrato che la gran parte delle innovazioni in agricoltura,
nell’industria e nel terziario sono il risultato dell’accumularsi di piccoli
cambiamenti e che il periodo di tempo necessario per apprezzare
in pieno gli effetti cumulativi di questi cambiamenti è lungo.
Accanto alle innovazioni spettacolari ma poco numerose, vi sarebbe
un numero enorme di piccole o addirittura marginali innovazioni
che, prese collettivamente, producono un grande impatto in termini
di produttività, qualità e competitività.
Un’altra corrente di pensiero afferma che è solo il mercato ad avere
un’influenza determinante sull’innovazione tecnologica; sostiene
J.M. Utterback che dal 60% all’80% delle più importanti innovazioni
sono state sviluppate in risposta ai bisogni del mercato. La filosofia
del “pilotaggio attraverso la domanda (o market pull)” si fa risalire
all’opera di Jacob Schmookler, quando afferma che l’attività ideativa
di un settore economico dipende solo dall’esistenza di una domanda.
Occorre comunque tenere conto di alcuni aspetti dell’innovazione
tecnologica:
I tempi di diffusione delle innovazioni sono brevissimi.
Le nuove tecnologie trovano applicazione in settori industriali
diversi.
Settori merceologicamente differenti possono entrare in concorrenza
grazie a nuove tecnologie.
Nuove tecnologie possono accorciare improvvisamente il ciclo
di vita di un prodotto, rendendolo obsoleto.
Internet sta introducendo nuovi paradigmi che costringeranno
le aziende a rivedere molti dei propri schemi operativi.
Il declino di un’impresa può dipendere dalla nascita di una
nuova tecnologia non recepita dall’impresa. Nel settore dei
televisori, per esempio, molte imprese sono scomparse perché
non hanno compreso che l’avvento del transistor aveva chiuso il
tempo delle valvole termoioniche.
Per concludere vorrei mettere in luce che la creatività, orgoglio
del nostro Paese, ai fini dell’innovazione non basta; oltre a essa occorrono
altri elementi per essere innovativi. È importante operare in
un ambiente concorrenziale, che stimoli la ricerca del miglioramento
continuo. È inoltre necessario un buon framework esterno, cioè una
cornice amministrativo-regolamentare che sia chiara e stabile nel
tempo. Infine è fondamentale la circolazione delle idee. Nelle economie
avanzate le idee fanno la differenza: la generazione di idee è
importante, ma ancor più lo è la loro circolazione. Lo scambio di idee
favorisce l’innovazione, nella ricerca scientifica come nell’impresa.
Campioni d’innovazione quali Microsoft e Google hanno rivoluzionato
gli spazi fisici di lavoro, disegnandoli per favorire il confronto e
la comunicazione tra i dipendenti. La circolazione delle idee può costituire
una strada per colmare il gap dimensionale e cognitivo delle
piccole e medie imprese per le quali innovare è vitale, ma, spesso,
difficile per mancanza di massa critica e di investimenti. La strada
può essere quella della condivisione delle idee all’interno di un distretto,
cioè lo scambio di conoscenza tra imprese, università e centri
di ricerca locali, per facilitare la creazione di vere e proprie reti della
conoscenza in un territorio.
Con la globalizzazione, le migliori idee e talenti in settori hi-tech
quali il digitale, la biomedicina o la bioingegneria tendono a emigrare
in luoghi come Silicon Valley e San Diego in California, Route 128
in Massachusetts, Cambridgeshire in Gran Bretagna, Silicon Wadi
in Israele.
Altri sono invece i settori nei quali l’Italia può agire da
catalizzatore. Penso, in particolare, ad agroalimentare, moda e tessile,
abbigliamento e calzatura, mobile, illuminazione e arredamentocasa,
meccanica, impiantistica avanzata e automazione, architettura e
costruzioni. In questi settori l’Italia ha elevata credibilità, consolidata
tradizione, migliaia di aziende e scuole professionali, infrastrutture e
know-how.
3.5.3 La gestione guidata dal marketing
Nel secondo capitolo ho dato un breve resoconto del ruolo avuto
dal marketing nell’evoluzione dell’impresa. Giova però ricordare che
la funzione marketing, nel corso della sua evoluzione, è diventata la
gestione di processi di scambio tra soggetti tra i quali si instaura
una transazione, senza alcun rapporto di sudditanza.
Un altro aspetto importante da sottolineare è la necessità che anche
una PMI si doti di uno strumento fondamentale per la gestione
delle relazioni: il database relazionale.
In generale un’impresa dispone di una serie di informazioni che
vengono raccolte e gestite secondo il vecchio modello della gestione
per obiettivi. L’ufficio acquisti gestisce il proprio database fornitori,
l’ufficio contratti quello delle offerte, il reparto amministrativo quello
dei contratti, i responsabili commerciali hanno la propria mailing list
cui inviare cataloghi e materiale pubblicitario e attivare le iniziative
di vendita, l’imprenditore ha un proprio elenco di “personalità” da
coinvolgere in occasione di avvenimenti topici per l’azienda, la direzione
del personale dispone di curricula di potenziali collaboratori
e consulenti e, ovviamente, il nominativo e le funzioni di tutti i dipendenti.
D’altra parte, nel modello dell’impresa a rete si è visto che l’insieme
dei dipendenti, dei fornitori, dei clienti, dei collaboratori esterni
costituisce la struttura degli stakeholders, sulla quale si basa la gestione
dell’impresa moderna; sembra pertanto paradossale che le
informazioni riguardanti tutti questi soggetti, che pure fanno parte
di un’unica realtà, vivano all’interno di archivi indipendenti non integrati
tra loro.
Per superare questi inconvenienti, le imprese più avanzate nell’adozione
di strumenti di marketing innovativi hanno introdotto la
funzione del database marketing, cioè un approccio spiccatamente
informatico (ovvero l’introduzione delle tecniche dell’Information
Technology nel marketing management) che consente di tenere sotto
controllo almeno i seguenti elementi:
i client, i prospect40 e i suspect41, i contatti avvenuti, le offerte
emesse e la loro conclusione, i motivi della non trasformazione
di un’offerta in ordine, gli ordini ricevuti;
l’identificazione dei clienti a maggiore potenzialità con cui sviluppare
relazioni finalizzate a generare continuità di business;
la classificazione delle abitudini d’acquisto dei clienti e delle loro
risposte alle varie iniziative di marketing;
l’identificazione dei decision-maker e del loro atteggiamento nei
confronti dell’azienda;
l’identificazione dei principali concorrenti per settore;
l’identificazione dei clienti passati alla concorrenza o strappati
alla concorrenza e le possibili spiegazioni;
lo sviluppo di modelli previsionali che consentano di comunicare
da parte della persona giusta, nella forma giusta, al momento
giusto, alla persona giusta;
una mailing list per l’invio di comunicazioni periodiche;
elenchi per lo sviluppo di offerte promozionali mirate;
dati sul mercato, ricavati da: questionari, contatti da fiere, reclami,
ricerche ad-hoc, informazioni provenienti dai canali della
distribuzione;
dati sull’efficacia dei diversi tipi di promozione commerciale
condotti dall’impresa;
dati sui fornitori e sul legame di partnership instaurato con
l’impresa;
dati sui collaboratori esterni e sui risultati ottenuti grazie alla
loro collaborazione.
Va sottolineato che i dati archiviati devono avere il massimo grado
di attendibilità; il database marketing funziona efficacemente solo se
le basi di partenza sono certe. Chi per esempio ha gestito database di
aziende sa che la percentuale di modifiche, ogni anno, può superare il
30%. Il database ha un senso solo se viene aggiornato con frequenza
almeno annuale. Ciò comporta un costo non indifferente, pertanto l’impresa
che decide di servirsi della funzione del database marketing
deve mettere in preventivo, oltre ai costi di realizzazione dell’archivio
informatico centralizzato, anche i relativi costi di manutenzione.
Giova osservare che tale funzione può essere attivata solo in imprese
molto ben strutturate.
Di norma, responsabile della funzione database marketing è un
dirigente o un quadro di alto livello al quale è affidato il compito della
corretta gestione del database centralizzato. È suo compito stabilire le
autorizzazioni e individuare i diversi livelli di accesso (abilitato a inserire
o a modificare i programmi, abilitato a inserire o a modificare i
dati e le informazioni di propria competenza, abilitato alla sola lettura
di tutti i dati e le informazioni, abilitato solo alla lettura di alcuni dati
e di alcune informazioni). Il responsabile dovrà effettuare controlli per
verificare che chi inserisce i dati e le informazioni non lo faccia in chiave
troppo ottimistica (la filosofia delle buone notizie) o troppo pessimistica
(ispirata da atteggiamento lassista), tale da compromettere la
certezza dei dati e la solidità delle informazioni ricavabili.
Il database marketing deve essere organizzato in modo che l’impresa,
in tempo reale, possa ottenere risposte certe a un certo numero
di domande, quali:
chi sono e quanti sono i nostri clienti e i nostri key-client;
quali sono le loro caratteristiche;
abbiamo individuato le loro aspettative;
siamo in grado di comunicare con i loro decision-maker;
quali prospect hanno le stesse caratteristiche dei clienti;
quali azioni dobbiamo compiere per trasformare un prospect in
un cliente;
sappiamo realizzare il massimo business con i clienti fidelizzati;
quali altri prodotti potrebbero essere offerti a quel segmento di
mercato;
quali segmenti offrono le maggiori probabilità di crescita;
quali sono i segmenti più remunerativi;
quali sono i clienti più importanti di ciascun segmento;
i clienti sono soddisfatti dei nostri servizi post-vendita;
quanto ci costa la promozione verso ogni key-client;
abbiamo una visione chiara del perché alcune nostre offerte non
si sono trasformate in ordini;
abbiamo un’idea dei problemi che l’offerta dell’impresa incontra
sul mercato;
sappiamo quale è l’attività promozionale della concorrenza nei
confronti dei nostri key-client;
abbiamo un’esatta visione dei reali bisogni dei nostri clienti;
siamo certi che le nostre attività di marketing siano le più adatte,
in relazione ai bisogni e alle caratteristiche dei clienti;
quali sono le iniziative di marketing che riescono meglio a
influenzare la loro decisione d’acquisto;
a fronte dei bisogni manifestati dai clienti, abbiamo individuato
che cosa dobbiamo fare per soddisfare quei bisogni;
siamo certi che le informazioni possedute dall’azienda raggiungano
tutti coloro che ne potrebbero avere bisogno;
quali sono stati i risultati di una campagna di direct marketing;
quale tasso di redemption hanno le nostre attività di direct
marketing;
abbiamo un sistema di controllo della nostra comunicazione;
siamo in grado di valutare l’efficacia dei nostri canali di distribuzione;
siamo in grado di compilare un questionario per un direct mail,
una ricerca di marketing o un’attività di telemarketing;
siamo in grado di dare al mercato le informazioni esatte sulla
nostra azienda;
la comunicazione verso l’esterno è omogenea e chiara;
siamo in grado di segmentare il mercato per le nostre attività
promozionali;
siamo in grado di segmentare l’offerta;
cosa potrebbe accadere se decidessimo di cambiare la nostra
strategia di marketing;
conosciamo la nostra concorrenza e la sua strategia di marketing.
Il database marketing è una funzione fondamentale del
marketing. Quando il valore economico di un’impresa nasce dal
tessuto delle sue relazioni, il database delle relazioni è in un certo
senso la cassaforte dei valori aziendali. Naturalmente i punti
sopracitati sono l’insieme dei bisogni di settori diversi.
3.5.4 La comunicazione
Con il termine comunicazione intendo sia quella che deve o dovrebbe
circolare all’interno dell’impresa, sia quella che l’impresa trasmette
verso l’esterno nell’ambito delle proprie attività di marketing.
La comunicazione all’interno dell’azienda è uno degli strumenti
base di successo; facile a dirsi, ma non a realizzarsi. Ostacoli alla
comunicazione in azienda sono: le differenti esperienze del personale,
i diversi gradi di cultura, preparazione, addestramento e mentalità,
le diverse abitudini, una sottostima dell’importanza della funzione,
una volontà di non diffondere le informazioni, la gelosia. Esistono
anche ostacoli alla veridicità dell’informazione in base alla filosofia
delle buone notizie o della bella figura nei confronti dei capi; nella
comunicazione si tende spesso a dar rilievo ai fatti positivi e a
trascurare quelli negativi.
Oltre alla comunicazione interna all’azienda,
è fondamentale anche quella che l’azienda rivolge verso l’esterno.
La conoscenza, da parte del potenziale acquirente, dell’esistenza
sul mercato di un bene o di un servizio e delle sue caratteristiche
è alla base di qualsiasi attività di vendita. È questo un argomento
particolarmente importante e complesso, ma se ne farà solo un breve
cenno. Va comunque detto che la comunicazione sul prodotto è essa
stessa un prodotto.
Esistono vari mezzi che consentono di effettuare
la comunicazione verso l’esterno: la stampa (in particolare le riviste
specializzate), le fiere, la radio, la televisione, Internet, il direct
marketing, il contatto personale; ognuno di questi ha un costo e una
specificità rispetto al prodotto o all’azienda. In generale l’ideazione, lo
sviluppo e l’attuazione di una strategia di comunicazione dovrebbero
rispettare gli otto principi introdotti da Brochand e Lendrevie:
Principio di esistenza. La strategia di comunicazione deve essere
scritta, conosciuta e accettata da tutti coloro che sono direttamente
coinvolti.
Principio di continuità. Una strategia di comunicazione deve
essere concepita per durare.
Principio di differenziazione. Va creato un codice di comunicazione
che sia in grado di dare al “prodotto” un’identità precisa
e di assegnare, agli occhi del cliente, un valore esclusivo a quel
“prodotto”.
Principio di chiarezza. Una buona comunicazione deve basarsi
su idee forti e semplici.
Principio di realismo. Non fissare obiettivi sproporzionati alla
capacità di offerta.
Principio di adattamento. La comunicazione deve adattarsi ai
diversi strumenti usati: PR, stampa, etere, riviste specializzate,
fiere.
Principio di coerenza. In nessun caso vanno create situazioni
in cui le informazioni trasmesse sul “prodotto” possano essere
percepite dal cliente come incoerenti.
Principio di accettabilità interna. È necessario che la comunicazione
e i suoi messaggi siano compresi non solo dai clienti, ma
anche dalle risorse umane interne all’impresa.
Un altro elemento da chiarire è la differenza tra comunicazione,
informazione e pubblicità; questa precisazione è importante poiché
esiste uno strumento di comunicazione, l’infomercial, che consiste
in pubblicità data sotto forma di informazione oggettiva.
Questo strumento, che è deontologicamente scorretto, è stato oggetto
di contestazione da parte degli ordini dei giornalisti.
D’altra parte, la tecnica di mantenere fluidi i confini tra l’informazione
e la pubblicità consente alle agenzie pubblicitarie di ottenere
risultati estremamente vantaggiosi per l’impresa pubblicizzata
e pertanto l’infomercial è usato sempre più frequentemente, specie
con i cosiddetti articoli redazionali. Sarebbe comunque opportuno
che gli ordini dei giornalisti facessero ogni sforzo per mantenere ben
demarcato il confine tra informazione e attività pubblicitaria.
Informazione e pubblicità fanno parte entrambe della comunicazione
(l’azione che consente di stabilire un contatto), ove però
l’informazione deve limitarsi alla trasmissione di una notizia o di
un oggettivo elemento di conoscenza, mentre solo alla seconda è affidato il compito di influenzare il destinatario della comunicazione
e indirizzarlo verso un acquisto. Atteggiamenti poco etici in questo
ambito possono ritorcersi negativamente sull’impresa.
La capacità di trasmettere sia all’esterno sia all’interno un’immagine
chiara e condivisa dall’azienda è una delle principali chiavi
del successo.
3.5.5 La gestione per processi
Nel secondo capitolo s’è già accennato al declino della gestione
per obiettivi e al progressivo consolidarsi del modello di gestione per
processi.
Non è possibile parlare di vantaggio competitivo se si considera
l’impresa come un blocco unico. Il vantaggio competitivo si ottiene
infatti ottimizzando prima le singole attività strategicamente rilevanti,
disaggregate secondo i principi della catena del valore, e
ottimizzando successivamente una serie di processi strategicamente
rilevanti, ottenuti dalla riaggregazione delle stesse attività, in una
visione interfunzionale e olistica dell’impresa.
Le attività interfunzionali dovranno prevalere sulle funzioni, indipendentemente
dalla struttura organizzativa esistente, e costituire
il presidio delle attività dell’impresa. È interessante notare che le
nuove norme sulla qualità (le ISO 9001:2000) stimolano, ancor più
delle revisione del 1994, l’adozione dell’approccio per processi come
mezzo di facile identificazione e gestione delle opportunità di miglioramento
delle imprese di produzione e di servizio.
3.5.6 La partnership
Si è visto come l’impresa moderna sia il complesso dei processi
di scambio all’interno del sistema costituito dai soci, i dipendenti, i
clienti, i potenziali clienti, i fornitori, gli assemblatori, i distributori,
i consulenti, le società di ReS alleate, i finanziatori, le amministrazioni
locali, tutti coloro che hanno un rapporto, anche debole,
con l’azienda. L’impresa diventa così una struttura collettiva di sviluppo
del valore: compito fondamentale per l’imprenditore è quello
di costruire relazioni, in vista della realizzazione di una partnership
nella quale venga perseguito l’obiettivo della co-evoluzione dei soggetti che vi partecipano. Per esempio, molte imprese manifatturiere
stanno orientandosi verso la riduzione del numero di fornitori e la
selezione dei migliori, al fine di orientarsi verso un rapporto di partnership.
Imprese come Ford, General Electric, Whirlpool, General
Motors hanno ridotto i propri fornitori fra il 20 e l’80%; esse hanno
scelto e certificato, con criteri propri, un certo numero di fornitori
considerati come partner nella ricerca congiunta di miglioramenti
nel sistema produttivo e logistico.
3.5.7 La Qualità
Come si può avere successo attraverso la qualità? La risposta a questa
domanda sembrerebbe ovvia se sul percorso per ottenerla non si
frapponessero quattro problemi che rendono impervio il cammino:
Il primo problema riguarda il fatto che il termine “qualità” ha
molti significati. I clienti sono interessati a una molteplicità
di elementi, per cui una generica affermazione di qualità non
significa granché se non è accompagnata da specificazioni chiare
e precise.
Un secondo problema è costituito dalla difficoltà che i clienti
incontrano nel valutare la qualità di un prodotto sulla base delle
caratteristiche esteriori.
Il terzo problema nasce quando i livelli di qualità tendono all’omogeneità,
ragion per cui la qualità non è più un fattore determinante.
Un quarto problema sorge quando un’impresa raggiunge un
elevato grado di qualità, ma il cliente non è disposto a pagare un
livello di qualità così elevato.
È ovvio che non basta un libro per trattare i principi della qualità;
è opportuno, comunque, ricordare che la qualità, dalla fine della
Seconda Guerra Mondiale, ha subìto un’evoluzione impressionante;
evoluzione che è stata la conseguenza del restringersi fino all’annullamento
del gap tra domanda e offerta.
Le aziende, negli anni ’50, introducono il controllo della qualità,
che consiste nel non immettere in produzione prodotti non conformi.
Negli anni ’60 e ’70 il controllo della qualità inizia a utilizzare le
tecniche di controllo statistico, e la sua funzione è individuare lungo
la linea del processo produttivo le cause che conducono ad avere
scarti di produzione. Alcune imprese si impongono di raggiungere
un indice di qualità della produzione pari a 6 sigma; sigma, in statistica,
è la deviazione standard e 6 definisce la cosiddetta “tolleranza
naturale”, cioè una probabilità che i pezzi difettosi non superino il 3
per 1000.
La qualità diventa quindi uno strumento di promozione del prodotto
fino ad arrivare alla Qualità totale, già vista nel paragrafo 2.7.
Analizzati gli strumenti che l’impresa dovrebbe utilizzare sia per
combattere su un mercato sempre più competitivo sia per organizzarsi
secondo modelli che consentano di adottare quegli strumenti, è
necessario ritornare su un principio appena accennato, quello dell’eccellenza.
Dopo aver conosciuto e analizzato centinaia di imprese di successo,
ho elaborato la teoria secondo la quale quel successo è anche
dovuto alla tendenza di queste imprese di puntare sull’eccellenza,
avendo ottimizzato i sette strumenti sopra descritti.
Eugenio Caruso - 4 ottobre 2019