Il 13 dicembre 2007 il New York Times ha pubblicato un articolo di Ian Fisher, corrispondente romano del quotidiano Usa, nel quale si sostiene che gli italiani sono un popolo triste, il più triste d’Europa e l’Italia un paese in declino.
Il giornalista ha girato per il Paese, ha incontrato comuni cittadini e personalità politiche e ha tratto questa conclusione. «Tutto il mondo ama l’Italia, ma l’Italia non si vuole più bene; c’è un senso di malessere generale nel Paese». L’Italia è più povera, più vecchia, la qualità della vita peggiora di anno in anno, i divorzi sono in forte crescita, il tasso di natalità è tra i più bassi d’Europa, la ricerca è considerata un optional. L’11% delle famiglie italiane vive sotto il livello di povertà e il 15% ha difficoltà ad arrivare a fine mese con il proprio stipendio. Il resto del mondo corre, gli italiani sono fermi, bloccati dal potere delle corporazioni, con un debito pubblico e un costo della politica più alti di tutto il pianeta.
Gli italiani sono tristi, principalmente per la mancanza di fiducia nei propri rappresentanti politici (con il 64% di scontenti, contro un 36% dei danesi, a esempio) e sono così tristi che per tirarsi su il morale leggono Il costo della democrazia, La Casta e Gomorra e dànno il proprio consenso al comico Beppe Grillo. Ian Fisher sostiene che vi sono altri paesi nei quali le persone sono tristi ma con una grande voglia di cambiare le cose, in Italia manca la speranza.
Il giornalista supporta le sue considerazioni sulla base di dati e statistiche.
Immediate le difese d’ufficio dei media che accusano i giornalisti esteri di avercela con l’Italia, specie dopo la vittoria ai mondiali del 2006. Proprio da New York, Giorgio Napolitano contesta le affermazioni del New York Times affermando che i presidenti degli Usa viaggeranno su elicotteri di produzione italiana.
Un mio “maestro” diceva «Ricordati che in ogni disputa, spesso, assisti allo scontro tra due verità». C’è forse del vero in questa sapienza che viene da lontano, ma giova ora fare alcune considerazioni.
È vero, Beppe Grillo (1, 2) ha un seguito molto ampio, ma è corretto che in un paese moderno un comico diventi una forza politica e il punto di raccolta del malcontento popolare? Un altro comico/cantante Adriano Cementano è diventato il grande architetto che contesta le scelte urbanistiche della città di Milano. Recentemente anche Fiorello si è improvvisato grande trascinatore di folle, incitando gli italiani a dirertare le urne e a strappare i certificati elettorali. Telegiornali satirici come Striscia la Notizia e Le Iene sono, agli occhi della gente, più accreditati dei grandi quotidiani.
Tutto questo è normale per un paese moderno?
A questi artisti che si improvvisano guru, a questi oracoli della protesta, a questi campioni dell'antipolitica giova ricordare che le incursioni di attori e flaggellatori dei costumi nella politica hanno poca fortuna. 2.500 anni fa, gli ateniesi tributarono un succeso strepitoso ad Aristofane, ma rielessero Cleone oggetto delle invettive del commediografo greco. Tornando al nostro secolo, Guglielmo Giannini fu una improvvisa e breve fiammata, Dario Fo e Franca Rame, Nanni Moretti, i girotodini, in Italia e Coluche in Francia non hanno avuto miglior sorte.
Quello che rende l'Italia un paese veramente in declino e malato è il sopruso delle corporazioni, figlie del corporativismo fascista e del collettivismo marxista.
Le corporazioni non contente di taglieggiare il Paese con le loro posizioni dominanti possono, tranquillamente, bloccare l’Italia: prima gli allevatori, poi i tassisti, poi i controllori di volo, poi gli autotrasportatori; ogni sciopero diventa uno strumento per tormentare il cittadino comune.
La corporazione Alitalia, vampiro in chiave moderna, succhia milioni di euro agli ignari cittadini (nel 2007 circa 30 euro a famiglia), ma i nostri soloni difendono l’italianità della compagnia di bandiera e sostengono che Fiumicino non si tocca perchè non si possono far scendere gli ambasciatori nelle brume di un aeroporto lombardo.
La corporazione Pubblica Amministrazione, che per qualcuno è un sicuro covo di nullafacenti, può vantarsi dei successi ottenuti, a esempio, nel mondo della scuola. In una recente indagine condotta a livello europeo gli studenti italiani sono risultati i peggiori. Nella sanità va meglio perché prima c’era il partito dei baroni, mentre oggi un medico che vuole far carriera non deve perdere tempo per seguire corsi di perfezionamento o per fare della ricerca, gli è sufficiente frequentare le segreterie dei partiti.
La corporazione degli iscritti al sindacato tutela ogni forma di protesta, difende chi è dentro e «chi non c’è su danno», diceva un mio professore toscano, si oppone alla modernizzazione del mondo del lavoro, blocca ogni vera riforma della pubblica amministrazione, pretende di essere interpellata ad ogni starnuto del governo, si abbarbica con tutte le proprie forze ai “campioni nazionali”, le imprese il cui controllo è ancora in mano allo stato.
Nessuna corporazione è così magnanima con i suoi "soci", però, come quella della politica: sei stato trombato alle elezioni? Sei indagato per perculato o corruzione? Nessun problema un bel posto alla Asl, in Rai, nella Municipalizzata, in Comune, in qualche commissione e sei ripagato per l’ingiustizia patita. La bufera di tangentopoli ha messo in difficoltà gli amministratori dei partiti? Nessun problema la casta, in pochi anni, ha inventato meccanismi giuridici e amministrativi per rendere legale il drenaggio di soldi dalle tasche dei cittadini in quelle di politici, parapolitici e portaborse.
Il cittadino è tassato sulla bolletta elettrica per finanziare le energie rinnovabili, ma non sa che quei soldi vanno ai petrolieri che con la parolina magica energie assimilate si fanno finanziare lo smaltimento dei rifiuti della lavorazione del petrolio. L’italiano è tra i più tassati cittadini del mondo, lo stesso vale per le imprese. Il nostro è il Paese europeo con il più elevato tasso di incidenti sul lavoro (secondo l'ANMIL, più di un milione di incidenti all'anno, secondo l'EURISPES, 1.376 morti all'anno negli ultimi cinque anni). Anche il sistema bancario contribuisce a rendere tristi gli italiani; mutui e costi dei servizi sono tra i più cari d'Europa.
La comunità Rom ha invaso il Paese e ci rende la vita ancora più problematica, ma forse la colpa è dei sindaci del Nord che, surrogando un potere centrale inesistente, cercano di rendere le città da loro amministrate un po’ più vivibili.
Ogni anno in Italia, un milione di bambini è vittima della violenza subìta o a cui assiste all'interno delle mura domestiche, l’Italia è, tra i paesi industrializzati, quello nel quale esiste la maggiore discriminazione nei confronti della donna, nel mondo del lavoro, mafia, camorra e n’drangheta sono nate e prosperano in Italia, brigate rosse, tangentopoli, calciopoli, appartengono al nostro vocabolario e alla nostra storia. E' ben noto che gli italiani sono all'ultimo posto, in Europa, come numero di libri letti a persona.
L’Italia è l’unico Paese dell’Occidente industrializzato nel quale il mestiere del giuslavorista é veramente pericoloso (ricordiamo Gino Giugni gambizzato e Massimo D’Antona e Marco Biagi assassinati). D’altra parte, se un parlamentare, come Francesco Caruso, e un attore comico, come Grillo, sono capaci di indicare, senza fondamento, in Marco Biagi, il responsabile dei mali del mondo del lavoro, perché mai non dovrebbe trovarsi in giro un esaltato capace di sparare ancora? E perchè mai il dibattito sulle politiche del lavoro non dovrebbe essere inquinato dalla violenza terroristica?
Infine siamo un popolo vile e lo abbiamo dimostrato in occasione della visita in Italia del Dalai Lama. Per paura di dare un dispiacere alla "democratica" Cina, il presidente Napolitano non lo ha voluto ricevere, Prodi si è ecclissato, Farnesina, Camera e Senato non hanno ritenuto di doverlo ospitare ufficialmente, la Moratti ha deciso di usare prudenza, lo vedrà, ma insieme ad altri premi Nobel per non dare troppo nell’occhio. Solo Formigoni lo vedrà in veste ufficiale.
E' di questi giorni la notizia che la Spagna ci ha superato nel Pil/pro-capite; sono lontani i tempi in cui il nostro paese gareggiava con la Gran Bretagna nella classifica dei maggiori Pil/pro-capite del pianeta. Ora siamo tallonati dalla ... Grecia !!
Ogni attacco al sistema di potere viene sprezzantemente chiamato "antipolitica", ma io ritengo che questa parola sia una mistificazione della realtà, una falsa scusa inventata dai politici in difficoltà, in democrazia esiste solo la politica del consenso e del dissenso, ma sempre e solo politica.
Ma non dobbiamo essere tristi perché i presidenti Usa viaggeranno su elicotteri di produzione italiana.
Con questo editoriale non vogliamo fare del qualunquismo, facile oggi giorno, ma vogliamo indicare anche quale possa essere, a nostro avviso, il percorso da compiere per evitare il definitivo declino. Giova, comunque, sottolineare, che dallo stato di degrado del Paese si salva l'impresa italiana, specie la piccola e media, che riesce ancora a essere competitiva ed efficiente. I dati ISTAT di questi giorni informano, a esempio, che la disoccupazione, in Italia, è ai minimi del 1992, pari al 5,6%, una delle più basse in Europa.
Il nostro Sito, come i nostri lettori sanno, dà un modesto contributo per tentare di ripristinare in Italia il Pensiero liberale. Per raggiungere questo obiettivo occorreranno anni e il cambiamento della cultura corrente.
1. Finché nel Paese avrà un ruolo importante un partito che affonda le proprie radici nel fascismo, sarà difficile smantellare i corporativismi e snellire la P.A.
2. Finché, simmetricamente, avremo una miriade di partitini che si rifanno al Comunismo, sarà difficile scalfire lo strapotere dei sindacati nazionali e di base, così come eliminare i preconcetti contro imprese e imprenditori.
3. Finché la Chiesa cattolica interferirà pesantemente in ogni decisione politica difficilmente diventeremo un paese laico. In sostanza è come se l'Italia avesse tre camere: Parlamento, Senato e Cei.
Gli obiettivi pratici che dovrebbe prefiggersi uno stato liberale sono pochi ma fondamentali:
- Mettere a punto una legge elettorale che elimini il potere di interdizione dei minipartiti e che possa durare decenni.
- Ridurre il costo della politica ad almeno un terzo dei costi attuali.
- Ridurre “l’esercito degli eletti” ad almeno un terzo di quelli attuali.
- Eliminare l’incongruenza di Camera e Senato dotati degli stessi compiti.
- Attuare il federalismo con un significativo raggruppamento di regioni.
- Eliminazione delle Province e delega dei loro compiti a Regioni e Comuni.
- Drastica riduzione del numero dei Comuni e quindi di stipendi per sindaci e assessori.
- Obbligo, per chi sta al potere, di rendere conto della destinazione di tutto il danaro pubblico, come accade in Gran Bretagna, ad esempio.
- Eliminazione del potere di veto del sindacato.
- Eliminazione di gran parte degli albi professionali.
- Liberalizzazioni.
- Snellimento della P. A. e introduzione del "merito" e della "professionalità".
- Lotta contro evasori fiscali e lavoro nero.
- Riduzione della fiscalità.
- Lotta a tutte le forme di conflitto di interessi.
NOTE
(1) Dice di lui Dino Risi sul Corriere della sera: «La cosa che gli è riuscita meglio è la sua svolta antipolitica: è più attore oggi che fa politica di quando tentava di fare l’attore. Credo guadagni un sacco di soldi adesso. Attenzione però: non c’è niente di Grillo nel personaggio che interpreta».
(2) Scrive il giornalista austriaco Gerard Mumelter, corrispondente del quotidiano austriaco Der Standards, «I mezzi di informazione che oggi accusano Grillo di populismo hanno contribuito al suo successo. La sua popolarità è anche un prodotto del conformismo della stampa italiana, che obbliga molti lettori a cercare sul blog di Grillo le notizie che nessuno pubblica. D'altra parte, la politica italiana è così immobile e ingessata che basta un comico per destabilizzarla».
Eugenio Caruso
18 dicembre 2007
Integrazione del 18 febbraio 2008.
In questi ultimi due mesi sono accaduti alcuni fatti che fanno ben sperare, almeno per quanto riguarda i punti 1. e 2. succitati.
Dopo la caduta del governo Prodi, il Partito Democratico, nel cui logo non compaiono falce e martello, guidato da Veltroni, ha deciso di presentarsi alle elezioni da solo rifiutando l'accordo elettorale con la Sinistra Arcobaleno, che raccoglie il gruppo dei nostalgici del Comunismo e i verdi. Parallelamente il partito del Popolo della Liberta, guidato da Berlusconi, ha deciso di presentarsi, anch'esso, da solo con la sola alleanza federativa con la Lega. Nel Pdl è confluito Alleanza Nazionale che scompare come partito di governo e con esso la fiamma tricolore sulla scritta MSI che aveva il significato inquietante della continuità storica con il fascismo.
Integrazione del 21 febbraio 2008
Come avevamo previsto Alitalia, per consentire la propria vendita ad Air France - KLM, ha tagliato, su Malpensa, 17 rotte intercontinentali, 22 rotte continentali e 5 rotte nazionali; la lobby romana e la politica romanocentrica, compiacente il governo di Romano Prodi, ha vinto ancora una volta.
Eppure i numeri di Malpensa sono i seguenti:
1. Dal 2005 al 2006 il traffico passeggeri è cresciuto del 10,9%.
2. A Malpensa transita oltre il 50% delle merci che viaggia in aereo in Italia (dato Assaeroporti).
3. Nella provincia di Milano viene acquistato un biglietto su tre e il 40% delle prenotazioni business (dati Studio Ambrosetti).
4. Malpensa è il primo aeroporto in Europa per crescita nel 2006.
5. Malpensa è il primo aeroporto in Italia per il traffico internazionale.
Questi dati non meritano commenti, essi parlano da soli.
In questi giorni, tra i commentatori politici circola questo slogan "Occorre separare i destini di Malpensa e di Alitalia". Questa è un'affermazione che può provenire da chi non comprende come si realizzi un progetto indistriale e come sia importante, in un mercato globalizzato, la forza delle sinergie.
D'altra parte, supponendo pure che la vendita di Alitalia ad Air France sia una buona soluzione, quello che stupisce è l'assordanre silenzio del governo Prodi sul destino di Malpensa.
Quando il geverno olandese operò per salvare la compagnia KLM, che finì tra le braccia di Air France, si chiese e si ottenne, da parte del governo olandese, per l'hub di Amsterdam, una moratoria di tre anni, per far sì che non vi fossero conseguenze negative per il grande centro di traffico di Amsterdam. Non vi è nulla di scandaloso che nelle trattative si faccia sentire anche il governo allo scopo di arginare gli esiti di una transazione ottenuta con le procedure tipiche del libero mercato. Ma di trattative analoghe a quelle condotte dal governo olandese non c'è traccia in Italia, quando, probabilmente, una moratoria di tre anni consentirebbe allo scalo varesino di trovare soluzioni alternative ad Alitalia.
In un'intervista rilasciata a Panorama, Corrado Passera, amministratore delegato di Intesa San Paolo banca che, in partnership con AirOne, aveva presentato un’offerta per l’acquisizione di Alitalia, ha affermato:
«Mi brucia che si sia deciso di buttare via l’Alitalia, un’impresa strategica per lo sviluppo di un paese come il nostro. Tra contanti, azioni e aumento di capitale noi abbiamo offerto circa 1,5 miliardi, i francesi 1,4. AirOne prevedeva un piano di investimenti di 4 miliardi di euro in cinque anni (contro un investimento di solo 2 miliardi dei francesi), avrebbe mantenuto la compagnia in Italia e avrebbe completamente rinforzato la flotta con 130 nuovi aerei.
Con i francesi, Alitalia non sarà più un’impresa indipendente, ma una divisione di un gruppo che ha la testa altrove, si continuerà a viaggiare sui vecchi Md 80 per altri dieci anni, Malpensa perderà, definitivamente, la possibilità di diventare un grande aeroporto.
Per Air France è una grande operazione, per Alitalia e per l’Italia una resa senza condizioni.
Se fosse stata accettata la nostra proposta, che aveva il supporto di tre banche internazionali, oltre a quella che dirigo, il risanamento dell’Alitalia sarebbe stato profondo e il suo rilancio molto solido: 700 milioni di riduzioni strutturali nei costi per allineare Alitalia ai migliori livelli di produttività europea e una crescita prudente e in linea con le previsioni di sviluppo del settore. Ritengo che abbia vinto il partito del “non si può”. Quello che avrebbe lasciato fallire la Fiat, che non avrebbe risanato le Poste, che avrebbe impedito le fusioni bancarie. Alitalia va male non perché non c’è mercato, ma perchè management e azionista di controllo non sono stati capaci di risanarla. Svendiamo al nostro principale concorrente sul fronte del turismo e di tanti altri settori (vedi quello delle fiere a esempio n.d.r.); una decisione sbagliata, fatta senza confrontare a fondo le alternative, quasi fosse una scelta ideologica».