I giovani e le imprese artigiane

Sul Corriere della sera del 20 marzo è apparso un inserto sul mercato del lavoro nel quale è affrontato il problema della mancanza di manodopera nel settore delle imprese artigiane ed è illustrata un’indagine condotta da Confartigianato.
L’indagine, in particolare, mette in evidenza che nel paese della moda e della Ferrari non si trovano sarti e meccanici. Giova notare che quell'indagine del 2008 è ancora valida oggi, nonostante la crisi occupazionale.

Sostiene Confartigianato. «Le professioni retroterra del made in Italy, indispensabili per la conquista dei mercati, sono in sofferenza. L’affermazione è suffragata dai dati: nel 2007 a fronte di un fabbisogno di 162.550 nuovi addetti, le imprese artigiane ne hanno trovati solo 91.191, il 56% della richiesta.»
Si tratta di attività che, scontato un periodo iniziale nel quale il salario non supera i 1.000 euro, consentono di raggiungere, in pochi anni stipendi di tutto rispetto; senza considerare il fatto che raggiunta una certa professionalità molti lavoratori dipendenti di imprese artigiane si mettono in proprio diventando essi stessi imprenditori.
I dati di Confartigianato mostrano che le maggiori difficoltà nel reperire manodopera si hanno nei settori più legati all’immagine del made in Italy: non si trova il 74% del fabbisogno di conduttori di robot, il 73% di falegnami e operatori di macchine per il legno, il 70% di addetti alle macchine per l’abbigliamento, il 64% di valigiai, il 63% di meccanici per automobili, il 62% di carpentieri metallici, il 59% di sarti e modellisti, oltre al 59% di parrucchieri e di estetisti e al 52% di idraulici.
L’indagine condotta da Confartigianato ha analizzato anche le ragioni del rifiuto dei giovani verso le professioni artigiane, ragioni mostrate nella tabella seguente.

Ragioni del rifiuto

Percentuale

Mancanza di qualifica e di esperienza

35,1

Scarse motivazioni di carriera

31,8

Generica non disponibilità

21,4

Turni di notte e festivi

5,9

Mancanza di scuole

4,3

Altro

1,5

Il fabbisogno non soddisfatto di manodopera in Italia è sintetizzato nella seguente tabella.

Fabbisogno per aree

% di mancato
 reperimento

Nord Est

51,2

Nord Ovest

44,1

Centro

45,1

Sud e Isole

38,1

Media Italia

43,9

Secondo Cesare Fumagalli, segretario nazionale di Confartigianato «Prevale la logica del poco guadagno, ma subito, la logica degli addetti ai call center».

 

Sostiene Giuseppe Roma, direttore generale del Censis. «Tra le poche buone notizie economiche primeggia l’aumentata capacità competitiva delle nostre imprese industriali e artigiane, che hanno riconquistato posizioni di rilievo nei mercati internazionali. Per crescita dell’export siamo secondi solo alla Germania (+10% nel 2007) e il successo deriva soprattutto dai settori dei macchinari, della componentistica e degli impianti. Ora si scopre che a frenare l’espansione c’è il disinteresse dell’opinione pubblica e delle istituzioni verso gli elementi base della produzione. …  Il contenuto specifico del lavoro, il suo valore come fattore di progresso e utilità sociale hanno ceduto il posto alle incertezze contrattuali, alle ambigue prospettive pensionistiche, al disinteresse per le competenze specialistiche che si acquisiscono con l’apprendistato e la formazione nell’impresa. … Non possiamo attribuire questa situazione ai nostri giovani, che, nella media, non sono diversi da quelli dei decenni precedenti, ma alla sottovalutazione del valore dell’impresa, della cultura tecnica, del sapere artigianale.»


L’esperienza dei consulenti di Impresa Oggi sostiene che oggi i giovani sono attratti dai lavori impiegatizi, dalle mansioni di commesso o di cameriere piuttosto che da quelli, molto più redditizi, in prospettiva, di operaio o di tecnico di un’impresa artigiana. I modelli sono quelli che fanno preferire lo stress di un lavoro impiegatizio monotono e ripetitivo alla fatica e alle mani sporche di un lavoro nell’impresa. Le responsabilità di questa situazione sono diffuse: vanno dalla scuola che ha svilito il ruolo di quegli istituti tecnici e professionali che hanno accompagnato l’industrializzazione dagli anni ’60 in poi, alla famiglia che non è in grado di offrire ai giovani modelli di vita basati sulla fatica e la responsabilizzazione, dal sindacato che ha spostato le sue linee d’attacco su temi in parte fasulli, come l’età pensionabile,  il precariato o il posto fisso al call center, ai giovani che non sanno darsi risposte valide alla propria ansia di realizzazione.

D'altra parte se questa tendenza non si arresta, tra poco, non avremo più idraulici, elettricisti, falegnami, fabbri, sarti, capomastri, restauratori, orologiai, istallatori, con una preparazione scientifico tecnica che li renda capaci di affrontare i problemi della casa e della fabbrica di oggi, perchè i giovani queste arti non le imparano nella scuola media né all'Università.


L’impegno di tutti deve essere indirizzato a orientare i giovani verso attività per le quali si profilino opportunità non sfruttate e, dove, peraltro i lavori sono gratificanti, formativi, professionalizzanti e, in gran parte, ben remunerati. Anche gli artigiani e le loro associazioni di categoria devono fare maggiore opera di “comunicazione”.

28 marzo 2008 - Rev. 5 settembre 2013

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