Come si è arrivati alla grande crisi del 2008. Parte IFacilis descensus Averni. In questo articolo sono utilizzati molti termini tecnici, si rimanda pertanto al seguente Glossario Finanziario che è uno dei più completi che si possa trovare su Internet. Indice 1. L’era del grande indebitamento. Negli ultimi dieci anni tutti i maggiori paesi industrializzati hanno visto crescere in modo esponenziale l’indebitamento delle famiglie, specialmente negli Usa. Debiti che sono stati contratti per comprare di tutto dalle case alle automobili, dagli elettrodomestici ai mobili, dalle vacanze all’abbigliamento. Paradossalmente, nel mercato dell’automobile a esempio, i venditori preferiscono i clienti che non pagano in contanti, ma a rate, potendo guadagnare, sia la commissione sulla vendita, che la commissione sul finanziamento. I consumi consentono alle imprese di ampliare le produzioni e le banche sono il motore di questa economia taroccata. 2. Dalla crisi delle assicurazioni e delle banche d’affari Usa, alla crisi finanziaria mondiale.I mesi di settembre – ottobre 2008 passeranno alla storia statunitense per la drammaticità degli eventi finanziari. Il 7 settembre è annunciata la nazionalizzazione di Fannie Mae e Freddie Mac, le finanziarie che controllano metà dei 12.000 miliardi di dollari di mutui statunitensi; ci sono, infatti, in gioco, sia la credibilità della finanza statunitense, che da decenni offre le obbligazioni delle due compagnie (specie in Cina e in Giappone) con la garanzia implicita del Tesoro, sia la sopravvivenza di migliaia di famiglie americane. L'11 settembre l'Opec, per contenerne la discesa del prezzo, annuncia il taglio della produzione di petrolio di 520.000 barili al giorno. Il 14 settembre fallisce la Banca d’Affari Lehman Brothers, schiacciata dai debiti, dai titoli del mercato immobiliare e dai derivati; le trattative per l’acquisizione da parte della Barclays sono bloccate dalla Banca Centrale di Londra che reputa che la Barclays non abbia i parametri sufficienti per l’acquisizione. La Federal Reserve non interviene nel salvataggio, come ha fatto con la Bear Stearns, commettendo un grave errore; il fallimento dell’importante banca d’affari, infatti, trasforma le preoccupazioni in panico che spinge i risparmiatori a vendere tutto ciò che sia monetizzabile. La Barclays acquista la sola società di brokeraggio, salvando, comunque, diverse migliaia di posti di lavoro. Lo stesso giorno la Merrill Lynch viene salvata dalla Bank of America che la acquista per 50 miliardi di dollari contro i 100 della capitalizzazione di pochi mesi prima. Il 16 settembre il segretario del tesoro Paulson, con un prestito da 85 miliardi di dollari, annuncia il salvataggio di Aig, la più grande compagnia di assicurazioni degli Usa, rovinata dalle speculazioni con i nuovi prodotti finanziari; anche in questo salvataggio sono in gioco la credibilità della finanza Usa all’estero e la difesa dei fondi pensione americani. Giova ricordare che la visione, molto chiara a Truman, Kennedy ed Eisenhower, dello stretto legame tra solidità finanziaria e leadership americana è stata notevolmente offuscata, a partire dalla politica del debito attuata dal presidente Nixon e proseguita dalla deregulation di Reagan. Il 21 settembre le banche di investimento Goldman Sachs e Morgan Stanley cambiano status e ottengono l’approvazione della Federal Reserve a diventare banche ordinarie; possono, perciò, accedere ai prestiti di emergenza della Fed e salvarsi dal fallimento. Il 25 settembre le autorità americane annunciano il fallimento della cassa di risparmio Washington Mutual, il maggiore della storia bancaria statunitense, e ordinano il trasferimento delle attività bancarie al gruppo Jp Morgan Chase per 1,9 miliardi di dollari. Il 28 settembre Citigroup si impegna a salvare dal fallimento, Wachovia, la quarta banca statunitense, che passa però di mano a Wells Fargo per 15,1 miliardi di dollari. Il 29 settembre il Congresso boccia il piano da 700 miliardi preparato da Bush e Paulson; i repubblicani più conservatori votano contro perché non vogliono l’intervento dello stato nel mercato, i democratici più a sinistra perché ritengono che il piano sia stato confezionato dall’amministrazione Bush per salvare Wall Street e i banchieri responsabili del disastro e che hanno guadagnato miliardi sulle spalle degli investitori. Le ali estreme dei due partiti si sono coalizzate “rappresentando” lo spirito dell’americano medio contro l’establishment. A Wall Street, ribattezzata Fraud Street dal New York Post, l’indice S&P 500 segna un calo dell’8,7%, il ribasso più alto dall’ottobre del 1987, con una perdita del 16% del comparto finanziario. Fino a quella data sarebbe stato impensabile che, negli Usa, una crisi finanziaria potesse essere aggravata dai comportamenti della politica. Sempre il 29 settembre il gruppo bancario belga-olandese Fortis viene parzialmente nazionalizzato. Fortis è la prima grande banca di Eurolandia sulla quale si interviene per sottrarla dai colpi della crisi dei mercati internazionali. I governi di Belgio, Olanda e Lussemburgo iniettano 11 miliardi di euro nel colosso assicurativo. «La mossa - spiega il premier belga Yves Leterme - fa parte di un'azione concordata dei tre governi e delle rispettive autorità di supervisione per aiutare Fortis». La compagnia assicurativa ha visto un terzo del suo valore di capitalizzazione volatilizzarsi in una sola settimana per i timori sulla sua mancanza di liquidità. Il 3 ottobre democratici e repubblicani usa, pur occupati nella dura campagna elettorale, raggiungono un accordo per un piano da 850 miliardi di dollari che si somma alle iniziative già prese; si tratta del piano Paulson da 700 miliardi, più una serie di interventi, per 150 miliardi, volti a salvaguardare maggiormente le famiglie e le imprese. I mercati non dànno fiducia al piano statunitense e si arriva al lunedì nero del 6 ottobre, una giornata borsistica delle più drammatiche di tutti i tempi. Parigi perde il 9,04%, Milano l’8,24%, Londra il 7,85%, Francoforte il 7,07%, New York il 3,86%; vengono bruciati, in 24 ore, 2.200 miliardi di dollari; gli indici toccano il minimo dal maggio 2003. L’8 ottobre Aig ottiene un nuovo prestito da 38 miliardi di dollari dalla Fed, sempre l’8 ottobre, con un’iniziativa senza precedenti, le sei banche centrali di Eurozona, Usa, GB, Svizzera, Canada e Svezia riducono, tutte insieme, il costo del denaro, di 50 punti base, pensando di poter contenere la crisi finanziaria; non interviene il Giappone il cui tasso di riferimento è, però, già, allo 0,5%. La Bce, inoltre, abbassa dal 5,25% al 4,25% la Marginal lending facility, lasciando al 3,25% la Deposit facility. Eppure, la settimana dal 6 al 10 ottobre sarà ricordata come la peggiore dai tempi della grande depressione; alla fine della settimana si rileva che dal primo gennaio 2008 Tokio perde il 51,77%, Milano il 51,64%, Parigi il 45,81%, Francoforte il 43,06%, New York il 42,55%, Londra il 40, 56%, portando a una perdita di valore complessiva di 25.000 miliardi di dollari. I risparmiatori si sono precipitati a vendere azioni, obbligazioni e fondi, la crisi ha minato la credibilità del sistema nel suo complesso, il mercato interbancario è congelato, e anche le maggiori banche non riescono a gestire in modo “sereno” i normali flussi di tesoreria. Gli investitori istituzionali, come i piccoli risparmiatori cercano sicurezza nell’unico porto sicuro, i titoli di stato, i cui rendimenti, peraltro, stanno calando ai minimi storici sotto la spinta della domanda. Il 9 ottobre la Commissione Europea dà il via libera al piano di salvataggio del gruppo Dexia da parte di Belgio, Francia e Lussemburgo: i tre paesi hanno concluso un accordo su un meccanismo di garanzia congiunto, coperto al 60,5% dal Belgio, al 36,5% dalla Francia e al 3% dal Lussemburgo. Il 9 ottobre si riunisce il Financial Stability Forum, presieduto da Mario Draghi, che enuncia alcuni obiettivi da perseguire: ricreare un sistema finanziario che operi con un più basso tasso di indebitamento, aumentare il capitale delle istituzioni finanziarie, rafforzare gli organi di vigilanza, riorganizzare gli strumenti di controllo, rafforzare la cooperazione internazionale al fine di migliorare la vigilanza sul sistema finaziario mondiale, modificare le normative per quelle istituzioni e quei mercati non regolamentati. Il 10 ottobre si riunisce il G-7 che vara un piano in 5 punti: 1. Garantire la sopravvivenza delle banche in difficoltà con aiuti statali. 2. Prendere misure ad hoc per sbloccare i mercati finanziari e assicurare che le banche abbiano accesso a liquidità e finanziamenti. 3. Ricapitalizzare le banche anche con fondi statali (la presenza dello stato nelle banche deve consentire, anche, di controllare gli stipendi dei manager). 4. Predisporre sistemi di garanzie sui conti correnti bancari. 5. Attivare le opportune iniziative per stabilizzare il mercato dei mutui. Il G-7 ritiene inoltre urgente una riunione del G-20 che rappresenta il 90% dell'economia mondiale; il summit straordinario del G-20 viene programmato per il 15 novembre. L'Opec annuncia che dal 1 novembre si avrà un ulteriore taglio nella produzione di peterolio, pari a 1,5 milioni di barili al giorno; poco dopo la decisione dell'Opec i contratti future sul Brent, il greggio di riferimento in Europa, hanno perso ancora. Sembra che la relazione causa effetto tra domanda e offerta non valga più. L'11 novembre la Cina annuncia l'immissione di liquidità per 586 miliardi di dollari nel sistema bancario del paese. Il 14 novembre, Bank of Scotland annuncia il licenziamento di 3.000 dipendenti, nonostante il piano di sostegno varato dal governo britannico, nel mese di ottobre, a favore delle banche del paese. Il 21 novembre il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, afferma «non si possono escludere nuovi tagli dei tassi d'interesse da parte della Banca centrale europea; infatti la situazione economica è cambiata drammaticamente». Trichet afferma, poi, che gli istituti bancari dovrebbero trarre vantaggio dagli sforzi fatti da banche centrali e governi e allentare le tensioni sui mercati interbancari. «Ciò potrebbe essere raggiunto impegnandosi a far ripartire il mercato interbancario e a riprendere il ruolo di intermediari».
Il presidente Bce spiega inoltre che il sistema finanziario globale ha bisogno di essere riformato, e che la crisi «dalla sfera finanziaria ha contagiato l'economia reale» oltre ad essersi allargata alle economie dei paesi emergenti. Il 24 novembre il governo Usa annuncia che stanzierà subito 20 miliardi di dollari in Citigroup, il colosso finanziario sull'orlo del fallimento a causa dell'indebitamento da derivati. Il maxi piano di salvataggio prevede una copertura dei debiti pari a 306 miliardi di dollari in cambio di una partecipazione pubblica nel capitale sociale del colosso del credito e del licenziamento di 53.000 dipendenti. Il Tesoro, la Federal Reserve e la Federal Deposit Insurance Corporation hanno dato, congiuntamente, l'annuncio, nel tentativo di ricostruire la fiducia degli investitori nella banca, che è una delle più grandi del Paese e del mondo; il piano prevede che Washington garantisca «protezione contro la possibilità di inusuali grandi perdite». Fino a un anno fa il gruppo, che opera in più di 100 Paesi, era la banca più potente del mondo con 200 milioni di clienti,oggi, in una sola ettimana, nonostante le rassicurazioni dei vertici sulla sua solidità, riesce a perdere la metà del suo valore in borsa. L'intervento del Governo è l'ennesimo sforzo per rilanciare l'industria finanziaria usa ed evitare un fallimento come quello di Lehman Brothers, che sarebbe drammatico anche sul piano psicologico. Il 3 dicembre la BCE abbassa il tasso di interesse di 75 punti base, portando il costo del denaro al 2,5%, il tasso marginale al 3% e il deposit rate al 2%, allo scopo di riattivare i prestiti interbancari; la Banca d'Inghilterra abbassa il tasso di interesse al 2% (mentre la sterlina paga il mancato ingresso nell'eurozona perdendo terreno nei confronti di euro e dollaro); la banca di Svezia taglia il tasso di interesse dell'1,75% e la Nuova Zelanda dell'1,5%. L'11 dicembre Bank of America, il primo istituto statunitense in termini di depositi e di capitalizzazione, annuncia di volere ridurre il proprio organico di 30-35 mila unità nel prossimo triennio a seguito dell'acquisto della banca d'affari Merrill Lynch, non si esclude che la banca debba essere nazionalizzata. Il 12 dicembre viene scoperto il più grave scandalo della storia di Wall Street, Bernard Madoff, 70 anni, ex presidente del Nasdaq, viene arrestato con l’accusa di aver ideato una frode da 50 miliardi di dollari. Stando alla denuncia presentata alla corte federale di Manhattan, Madoff avrebbe confessato che il business della sua società di consulenza finanziaria era una «frode», e che «tutto era una grande menzogna»: si trattava, in sostanza, di un «gigantesco schema di Ponzi, una sorta di piramide finanziaria che consisteva nell’assicurare alti ritorni finanziari a breve ai primi investitori della catena finanziaria, grazie ai soldi forniti dai nuovi investitori». Un sistema destinato ad accumulare, ovviamente, enormi perdite. Secondo gli inquirenti la frode sarebbe stata perpetrata attraverso un altro hedge fund “ombra” gestito sempre da Madoff. Sembra incredibile che nel terzo millennio possano esistere finanziatori che utilizzano la vecchia "catena di sant'antonio, tanto in uso tra i pataccari italiani del dopoguerra". Gli organi di controllo dove erano? I clienti di Madoff erano perlopiù grandi istituti finanziari e investitori istituzionali, sui quali ricadranno le conseguenze delle truffa. Diverse banche in tutto il mondo hanno dichiarato di essere esposte verso il fondo di Madoff sia direttamente, sia attraverso fondi da loro gestiti. Tra le italiane si segnala Unicredit per 75 milioni di euro, Bim, ha un'esposizione indiretta per 11 milioni dieuro, e il Banco Popolare per 8 milioni. Più gravi invece le ricadute per altri istituti europei come Royal Bank of Scotland esposta per circa 445 milioni di euro, la spagnola Bbva per circa 300 milioni di euro e la francese Natixis con perdite pari a 450 milioni di euro. L'importo più consistente ad oggi sembra essere quello del gruppo britannico HSBC esposto per circa un miliardo di dollari e del società di gestione Fairfield Greenwich Group che ha investito nel fondo di Madoff oltre metà del suo patrimonio per una cifra di 7,5 miliardi di dollari. In un precedente articolo Impresa Oggi aveva mostrato come fosse grave la crisi etica nel mondo dell'impresa statunitense. L'industria del risparmio gestito, e, in particolare, quello dei fondi speculativi si basa sulla fiducia e sulla reputazione; ancora una volta il sistema finanziario Usa, con i limitati controlli a cui questo settore è assoggettato ne esce a pezzi. Revisori, banche depositarie e la Sec subiscono un nuovo smacco e una perditàdi credibilità pesantissima. Quest'ultimo scandalo può essere, probabilmente, la causa dell'indebolimento del dollaro nei confronti con l'euro. Nel mese di dicembre da un cambio di 1,25 contro l'euro il dollaro è passato al minimo di 1,47; la debolezza del dollaro ha trascinato anche la sterlina britannica che nel corso del 2008 perde ben il 23% nei confronti della moneta europea. Il 17 dicembre l'Opec, per rallentare la discesa del prezzo del barile, decide un taglio record di 2,2 milioni di barili al giorno. La riduzione arriva pochi mesi dopo il taglio di settembre (520mila barili) e quello di ottobre da 1,5 milioni di barili. Con questo taglio, dunque, l'Opec ha ridotto la produzione di 4,2 milioni di barili dallo scorso settembre; di converso il prezzo del petrolio raggiunge il 19 dicembre il minimo di 33$/barile. A fine dicembre, Commerzbank, seconda banca privata tedesca, vara una ricapitalizzazione, con fondi pubblici, da 10 miliardi e annuncia che il 25% del capitale più un'azione passerà sotto il controllo dello Stato tedesco. Si tratta della prima nazionalizzazione decisa in Germania a seguito della crisi finanziaria globale. Il piano porterà il core capital del nuovo gruppo Commerzbank/Dresdner Bank (la fusione è prevista entro fine gennaio) al 10 per cento. Ai primi del 2009, a meno di tre mesi dall'ultimo salvataggio del settore, il premier Gordon Brown ha annunciato una serie di interventi per allentare la stretta creditizia e aiutare le banche a superare la fase piu' acuta della crisi. "L'intervento di ottobre era mirato a ricapitalizzare le banche, quello attuale serve a far ripartire il credito. Ma ci saranno obblighi ben precisi per le banche, che dovranno sottoscrivere accordi vincolanti." Londra concede al settore altri miliardi di sterline di aiuti – la cifra è impossibile da calcolare, ha detto il premier – ma con precise e rigide condizioni. Il tono rispetto a ottobre è cambiato: Brown ha parlato della sua "rabbia" per le "decisioni irresponsabili" prese dalle banche in passato ed ha insistito sulla necessità di una piu' rigida regolamentazione del settore concordata a livello internazionale. Sotto i riflettori è soprattutto la Royal Bank of Scotland (Rbs), che ha annunciato le peggiori perdite mai registrate da una societa' britannica: 28 miliardi di sterline, 8 miliardi di perdite prima degli oneri straordinari e il resto perdite legate all'acquisizione della banca olandese Abn Amro. Il Governo ha convertito le sue azioni preferenziali della banca in azioni ordinarie per ridurre l'onere degli interessi annuali, aumentando così la sua quota di Rbs dal 58 al 70 per cento. Brown ha però negato stamattina che una piena nazionalizzazione della banca sia inevitabile, come sostengono molti analisti. Northern Rock, la banca completamente nazionalizzata, riprenderà a concedere mutui e prestiti, ha anche detto Brown. Il nuovo piano di sostegno delle banche è articolato in tre interventi. Il primo è l'assicurazione degli asset a rischio: le banche devono individuare gli asset "tossici"che il Governo assicura in cambio di una commissione. Il secondo è l'ampliamento del sistema di garanzie al credito da 250 miliardi di sterline annunciato in ottobre, che è stato esteso fino alla fine dell'anno. Il terzo, un piano innovativo che secondo molti analisti verra' "imitato" da altri Governi, è una garanzia per le asset-backed securities, compresi mutui, debiti societari e personali, per far ripartire i mercati del wholesale funding. Un ruolo di rilievo e' assegnato alla Banca d'Inghilterra, che immettera' piu' liquidita' sul mercato, ampliando da 30 giorni a un anno la sua Discount Window in cambio di una commissione aggiuntiva di 25 punti base. La BoE avra' inoltre un fondo da 50 miliardi di sterline, garantito dal Tesoro, per acquistare asset e aumentare la massa monetaria. "La Asset Purchase Facility rappresentera' uno strumento importante," ha dichiarato il governatore Mervyn King. Barclays ha annunciato di aver chiuso il 2008 con utili pari a 6,1 mld di sterline (9 mln di dollari), in calo del 14% su base annua.. La banca inglese non distribuirà dividendi e rivedrà i meccanismi di retribuzione del management. Ing, Direct. colosso bancario e assicurativo olandese, noto in Italia per il conto Arancio, nel quale il governo ha già iniettato liquidità in ottobre, stima di chiudere il 2008 con una perdita netta di circa 1 miliardo di euro e annuncia «severi passi per ridurre rischi e costi» che prevedono, per il 2009, il taglio di 7000 posti di lavoro. Ai primi di gennaio, Bank of America riceve 20 miliardi di dollari in aiuti diretti da parte del governo Usa, oltre a una garanzia per quasi 100 miliardi, per far fronte a perdite potenziali su attivi tossici derivanti dal bilancio di Merrill Lynch, la banca d'investimenti acquisita. L'iniezione di capitale si aggiunge a quella precedente da 25 miliardi di dollari che Bank of America aveva ricevuto tramite il programma Tarp (Treasury Department's Troubled Asset Relief Program) a ottobre 2008. L'ultimo salvataggio colloca Bank of America al primo posto, accanto a Citigroup, come beneficiaria di fondi pubblici negli Stati Uniti, dove il governo è impegnato ad arginare gli effetti sui bilanci bancari della crisi nata dalle insolvenze sui mutui. Sempre nel tentativo di offrire respiro agli istituti di credito, l'ente governativo Federal Deposit Insurance Corp ha preannunciato che proporrà l'allungamento da tre a dieci anni del periodo di scadenza del debito bancario che è disposto a garantire. Le banche dovranno però usare il ricavato per concedere credito ai consumatori. Perdite per 2,3 miliardi di euro nel solo quarto trimestre 2008 per Dexia. Il gruppo finanziario belga chiude così il 2008 con un rosso complessivo di 3 miliardi di euro. Dexia ha annunciato il piano di ristrutturazione che prevede tra l'altro il taglio di 900 posti di lavoro. Riduzione dell'organico che permetterà il risparmio di 200 mln di euro nel corso del 2009. I nuovi programmi prevedono l'uscita dai mercati della finanza pubblica di Australia, Messico, India e Scandinavia e un forte ridimensionamento del business anche in Gran Bretagna e America del Nord. Sempre ai primi del 2009, anche Deutsche Bank annuncia una perdita netta record di 3,9 miliardi di euro per l'esercizio 2008 (ed un rosso di 4,8 miliardi per il solo IV trimestre). Il gruppo bancario e assicurativo olandese Ing ha registrato nel quarto trimestre 2008 una perdita netta di 3,7 miliardi di euro. Nel mese di dicembre Ing Group ha ricevuto 10 miliardi di euro come aiuto di stato dal Governo olandese per cercare di superare la crisi finanziaria. La compagnia riassicurativa elvetica Swiss Re, annuncia di attendersi una perdita netta per l'esercizio 2008 di 1 miliardo di franchi svizzeri a fronte di un capitale sociale stimato al 31 dicembre 2008 tra i 19 e i 20 miliardi di franchi. Le perdite annuali delle due principali banche svizzere, Ubs e Credit Suisse, dovrebbero raggiungere la cifra record di 29 miliardi di franchi svizzeri (19 miliardi di euro). Ubs annuncia una perdita di 21 miliardi di franchi nel 2008, la più grande mai registrata da un'impresa in Svizzera. La banca dovrebbe quindi annunciare «tra i 5mila e gli 8mila nuovi tagli di posti di lavoro», dopo i 2mila di inizio ottobre. Da parte sua, Credit Suisse annuncia una perdita da 8 miliardi, senza però prevedere nuovi tagli dell'occupazione. Il Governo tedesco intende dotarsi del potere di nazionalizzare le banche espropriando, se necessario, gli azionisti degli istituti di credito. Il progetto appare tagliato su misura per permettere al governo di assumere il controllo della banca immobiliare Hypo Real Estate, che si trova sull'orlo del fallimento. La maggiore banca francese per capitalizzazione, Bnp Paribas, ha riportato nel quarto trimestre 2008 una perdita netta di 1,37 miliardi di euro. A incidere sui risultati del colosso bancario d'Oltralpe sono stati diversi fattori: le perdite della divisione investment banking, l'esposizione per 345 milioni nei confronti del finanziere Usa Bernard Madoff e la debolezza economica emersa in Ucraina, paese verso cui la banca è esposta. Blackstone Group, il più grande fondo di private equity al mondo, ha segnato perdite per 827,1 milioni di dollari nel quarto trimestre del 2008. La perdita, è risultata di 68 centesimi per azione rispetto ad un utile di 88 milioni di dollari o 8 centesimi per azione nel 2007. Per Blackstone si tratta della terzo passivo in quattro trimestri. Anche per Warren Buffett, il 2008, è stato un anno terribile. La sua holding Berkshire Athaway, nell'ultimo trimestre dello scorso esercizio ha riportato un utile netto di 117 milioni di dollari, in calo del 96% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Dal canto suo, il book value per share (l'indicatore che Buffet usa per valutare la performace della sua holding - vedi glossario) è sceso del 9,6%. Il colosso bancario britannico Hsbc lancerà una nuova emissione azionaria per raccogliere capitali, mentre gli utili del 2008 sono scesi del 70% a 5,7 miliardi di dollari, mentre i cattivi debiti sono saliti a 24,9 miliardi di dollari. L'emissione azionaria ammonta a 12,5 miliardi di sterline, la più alta mai lanciata in Gran Bretagna e superiore a quella da 12 miliardi di sterline di Rbs. Hsbc ha anche annunciato la soppressione di 6100 posti di lavoro negli Stati Uniti. La banca francese Credit Agricole ha segnato nel 2008 un calo del 75% dell'utile netto consolidato a 1,02 miliardi di euro, dopo avere chiuso il quarto trimestre con una perdita di 309 milioni. Il 2008 si chiude con una debacle per quasi tutte le banche mondiali. Giova notare che, nel 2008, le migliori Borse valori del pianeta sono state quelle del Ghana (+22% in dollari), di Tunisi (+10% in dollari) e dell'Equador (+6% in dollari), le peggiori quella islandese (-97% in dollari) e quelle dell'Europa dell'Est. Le Borse dei paesi dell'eurozona si attestano tra il -53% di Amsterdam e il -33% di Londra. 3. Il rischio derivati incombe.Il mercato dei Credit default swap (Cds), le polizze che servono ad assicurarsi contro il default delle obbligazioni nel 1999, praticamente, non esiste. Nel 2001 la prima stima parla di 630 miliardi di dollari, poi la crescita diventa esponenziale, nel dicembre 2007, hanno raggiunto la cifra di 55.000 miliardi di dollari, più del Pil di tutto il pianeta; come è noto ne sono contagiate anche le amministrazioni di molti comuni italiani. I Cds sono venduti in mercati al di fuori delle Borse regolamentate, non solo da piccole e grandi banche, ma anche dagli hedge fund e da speculatori improvvisati. Se ai Cds si sommano tutti gli altri prodotti derivati si arriva alla somma di 531.000 miliardi di dollari, dieci volte il Pil del pianeta. Le autorità di controllo sarebbero dovute intervenire creando la figura di un garante unico che avrebbe annullato il rischio di fallimento dei singoli “assicuratori”. Non se ne è fatto nulla, così quando la crisi finanziaria ha messo sotto pressione il mercato dei Cds, anche grandi nomi come, appunto Aig e Lehman Brothers non sono stati in grado di onorare gli impegni. Comunque la massa dei Cds rappresenta, tuttora, una mina vagante che potrebbe dare ulteriori mazzate al sistema finanziario; una parte dei Cds sono a copertura della fallita Lehman Brothers, in parte di imprese in gravi difficoltà, come Gm, Ford e Chrysler (le ex big three sull'orlo del fallimento), in parte di stati sovrani in difficoltà, come Turchia, Indonesia, Corea del Sud, Ucraina, Kazakstan, Islanda, Lettonia. Giova notare che gran parte di questi titoli tossici sono "nascosti", in parte, nei cosiddetti paradisi fiscali, pertanto la loro quantificazione non sarà mai precisamente conosciuta. La nota dolente di questo fatto è che in questi cosiddetti "paradisi" sono presenti quasi tutte le principali banche mondiali; solo City Group, la più grande del mondo, ha qualcosa come 427 banche controllate nei paradisi fiscali di tutto il pianeta. 4. La situazione delle banche italiane.Il governatore di Bankitalia dall’inizio della crisi ha sempre sostenuto che la capitalizzazione delle banche italiane era molto buona, eppure anche le nostre maggiori banche non hanno retto l’ondata della crisi e sono state investite da una pioggia di vendite. La particolarità delle tre maggiori banche UniCredit, Intesa Sanpaolo e Monte dei Paschi è che la crisi finanziaria le ha trovate nel mezzo del guado di grandi fusioni. Nonostante le difficoltà incontrate dalle tre maggiori banche italiane, giova notare che il sistema bancario italiano ha mostrato, nell'insieme, una certa solidità; l'Italia è uno dei pochi paesi nei quali lo stato, fino al gennaio 2009, non è dovuto intervenire per ricapitalizzare una banca; la prudenza del sistema bancario, che è sata più volte considerata una colpa, questa volta si è rivelata provvidenziale. La Commissione Ue ha dato via libera alla modifica del regime italiano di conferimento di capitali agli istituti di credito, conosciuto come "Tremonti bond". In una nota l'Esecutivo Ue spiega che «le modifiche forniscono essenzialmente alle banche un'opzione alternativa per la remunerazione dei titoli» e che «il regime modificato rispetta le indicazioni della Commissione sulle misure di sostegno alle banche nel contesto della crisi finanziaria». In sostanza si tratta di nuovi strumenti finanziari, sottoscrivibili dal Tesoro, in grado di rafforzare sotto il profilo patrimoniale le imprese di credito che li emettono e che permette loro di tenere aperto il rubinetto del credito all'economia. L'annuncio arriva con una nota nella quale Neelie Kroes, commissaria europea responsabile della concorrenza, spiega: «Le autorità italiane hanno chiesto il permesso di modificare l'impianto del loro regime per renderlo più interessante per le banche sane che intendono utilizzare capitali statali soltanto per un periodo molto breve. Il regime modificato garantisce una remunerazione adeguata per lo Stato e incoraggia l'uscita anticipata». La capitalizzazione a Piazza Affari, nel corso del 2008, si è dimezzata, gli scambi sono drasticamente diminuiti, la volatilità è raddoppiata; il rapporto capitalizzazione di Borsa/Pil è passato dal 47,8% del 2007 (già in calo dal 52,8% del 2006) al 23,4% attuale. A ridurre la capitalizzazione complessiva, passata dai 731 miliardi di fine 2007 ai 372 miliardi attuali, ha pesato, ovviamente, il calo delle quotazioni; sono andati in fumo ben 359 miliardi, ossia metà del valore di un anno prima. Ed è stato soprattutto il peso della finanza a far crollare la capitalizazione. Diminuisce quindi, e di molto, il «peso» della Borsa nell'economia del paese. 5. Crisi del settore produttivoIn due precedenti editoriali abbiamo parlato degli interventi presi dai principali paesi occidentali (in Italia il 1 dicembre viene varato il primo piano anti crisi) e dalla Cina, non è pertanto il caso di riparlarne. Dopo il congelamento del settore immobiliare, dal mese di settembre 2008, incomincia a farsi sentire la morsa della crisi anche sulle imprese di produzione e di servizi. Nel gennaio 2009 il Centro Studi Euler Hermes, multinazionale leader nell'assicurazione del credito che fa capo al gruppo Allianz, ha fatto un'analisi delle imprese che hanno dichiarato bancarotta nel 2008 e avanzato delle previsioni per i sei paesi presi in considerazione. Il numero medio delle insolvenze nel 2008 è stato del 25% superiore al numero di quelle del 2007 e le previsioni per il 2009 sono di un'altra crescita del 25%. Nel seguito sono riportati i numeri di insolvenze del 2008 e tra parentesi le stime di crescita per il 2009. USA 41.200 (+50%), GB 28.600 (+34%), Francia 56.000 (+12%), Germania 30.100 (+12%), Cina 4.570 (+10%), Giappone 15.800 (+8%). Per l'Italia, il Cribis.it, su dati di Unioncamere, riporta, per il 2008, 13.000 bancarotte con un incremento del 50% sul 2007. In Usa il neo eletto Obana, come prima importante mossa sceglie un gruppo di economisti ai quali affida il compito di uscire dalla crisi. La nuova squadra economica, ha spiegato il presidente eletto, mette insieme «i migliori cervelli d'America ed è stata scelta sulla base dell'esperienza» ma anche della capacità di offrire «idee coraggiose». Obama ha aggiunto che la filosofia comune a tutti i membri della sua squadra economica è che «non possiamo avere una Wall Street che prospera se non prospera anche Main Street». Tra i nomi scelti da Obama ci sono Christina Romer, un'economista di Berkeley, alla guida del Council of Economic Advisers, un organismo della Casa Bianca che ha compiti consultivi; Timothy Geithner come ministro del Tesoro; Larry Summers alla guida del Consiglio nazionale per l'economia della Casa Bianca; Melody Barnes sarà a capo del Consiglio di politica interna della Casa Bianca, la Barnes lavorerà, però, fianco a fianco con la squadra economica per aiutare l'America a uscire dalla crisi. A Peter Orszag è stato affidato il compito di setacciare il bilancio federale alla ricerca di sprechi e spese clientelari e Paul Volcker, ex capo della FED, è stato messo alla guida del comitato che valuterà l'efficacia delle politiche di rilancio dell'economia. Chi aveva pensato (o sperato) che la vittoria di Obana potesse coincidere con la fine del liberismo economico in Usa ha dovuto subito ricredersi; lo staff degli economisti scelti (quasi tutti clintoniani) è costituito da gente con i piedi ben piantati nel mercato, anche se non disposti a lasciare al loro destino le banche in difficoltà e le "Big Three". Alla sinistra "movimentista" e a molti centri di potere europei che chiedevano una politica economica più statalista e un rinnovamento radicale Obama ha risposto "è sufficiente che ci sia io a rappresentare il rinnovamento". Sembra, comunque, certo che l'amministrazione Obana seguirà la strada dei suoi predecessori privilegiando le relazioni economiche con la Cina piuttosto che con l'Europa. La presenza di Geithner e di Summers fa presagire, che l'Europa difficilmente recupererà un ruolo centrale nella politica economica mondiale, anzi, e che il G7 è destinato a scomparire (o a restare il museo delle illusioni di grandezza) a favore del G20 dove è forte la presenza dei paesi emergenti, come Cina, India e Brasile. In Italia la politica, negli ultimi mesi del 2008, ha come problema prioritario la soluzione della questione della presidenza alla Commissione di vigilanza della Rai e, in piena crisi, la Calabria decide di procedere alla realizzazione di un quarto aeroporto, a Sibari, nonostante le perdite croniche degli aeroporti di Reggio Calabria e di Crotone, il piano anticrisi non prevede nessun provvedimento volto a ridurre i costi della politica (in campagna elettorale destra e sinistra promettevano l'abolizione delle provincie a esempio). Alla chiusura del 2008 gli esperti del Fondo monetario internazionale, hanno pubblicato uno studio in cui passano in rassegna i vari strumenti a disposizione dei governi anche in base all'effetto che le varie ricette hanno avuto in crisi precedenti (compresa la Grande depressione Usa degli anni '30). Secondo gli esperti del FMI, affidarsi alla spesa pubblica è lo strumento più efficace e affidabile per impedire che la recessione si trasformi in una depressione di portata globale. Ne sono convinti . "Viste le attuali circostanze, un aumento della spesa pubblica e trasferimenti di denaro tramite tagli di tasse mirati sono le soluzioni che avrebbero il maggior effetto nella crescita del Pil", concludono i quattro economisti che hanno redatto il documento tra cui il direttore del dipartimento di ricerca Olivier Blanchard e quello del dipartimento politiche fiscali, Carlo Cottarelli. "Tagli generalizzati delle tasse o sussidi ai consumatori e alle imprese - affermano - avrebbero invece effetti minori". 6. ConclusioniQuale sarà la durata della recessione innescata dalla crisi bancaria globale? Quante persone saranno licenziate? Torneremo agli anni Trenta, quando la recessione degenerò nella Grande Depressione? Fin dove si spingerà la mano pubblica nel turare le falle della finanza privata già colpita dal suo primo suicidio eccellente, quello del miliardario tedesco Adolf Merckle che, travolto dalle speculazioni fallite, si è gettato sotto un treno? Come ne usciremo, alla fine? Nell’ottobre 2008, la Banca d’Inghilterra aveva stimato un impegno di 7 mila miliardi di dollari a carico dei Tesori nazionali per impedire il tracollo dei sistemi bancari. A novembre, soltanto gli Usa hanno aggiunto nuovi programmi d’acquisto di mutui tossici e obbligazioni illiquide per 800 miliardi da eseguire nel 2009. Il 13 gennaio, intervenendo alla London School of Economics, il governatore della Federal Reserve, Ben Bernanke, ha avvertito che i costi dei salvataggi bancari in giro per il mondo sono destinati a crescere ancora. Nell’Occidente avanzato, produzione, commerci e servizi regrediscono intrecciando in una spirale perversa gli effetti della crisi finanziaria a quelli, ancor più drammatici, della crisi dell’economia reale. La Merrill Lynch si aspetta un arretramento dell’economia americana del 2,3% quest’anno e una parvenza di ripresa, non più dello 0,5%, nel 2010, mentre vede Eurolandia a meno 0,6% nel 2009 e a più 1,1% l’anno prossimo. Ma quando i credit default swaps sulle obbligazioni del Tesoro della Corona britannica, il massimo della sicurezza, tripla A per le agenzie di rating, pagano 108 punti base e McDonald’s, una sola A, paga 57 punti base, ogni previsione è un numero al lotto. Le domande sul futuro, pur naturali e diffuse, sono destinate a restare senza risposte attendibili, almeno per un po’. Al contrario, le esperienze fatte, se indagate, possono offrire interessanti suggestioni. Per cominciare, bisogna chiedersi com’è la finanza globale che è andata spavaldamente incontro al disastro, convinta che la rappresentazione dei risultati del lavoro contenuta nei suoi complicatissimi titoli fosse reale e consistente e non, invece, virtuale e drogata. Secondo il McKinsey Global Institute, nel 2007 la ricchezza finanziaria globale (azioni, obbligazioni private e pubbliche e depositi bancari) valeva 196 mila miliardi di dollari, 3,6 volte il prodotto interno lordo del pianeta. Pur scontando la svalutazione della moneta Usa, nell’ultimo anno «buono » tale ricchezza in larga misura cartacea era aumentata del 12% contro un incremento medio annuale che, a partire dal 1990, si aggirava sul 9%. A trainare questa espansione sempre più marcata dei valori, in un mondo dove il denaro, equivalente universale, circolava sempre più liberamente, sono stati il settore privato e le economie emergenti. Nel 1990, le obbligazioni statali rappresentavano il 18,6% delle attività finanziarie del mondo; diciotto anni dopo erano scese al 14,3%. Nel 2000 erano 11 i Paesi con attività finanziarie pari a 3,5 volte il prodotto interno lordo; nel 2007 gli 11 erano diventati 25, comprendendo nel novero anche giganti come Cina e Brasile. Gli ormai frenetici flussi finanziari tra un Paese e l’altro sono arrivati a 11.200 miliardi di dollari, con un incremento del 19% rispetto al 2006, e tra questi flussi la parte del leone la fanno i depositi e i prestiti sull’onda dell’internazionalizzazione di banche, assicurazioni, hedge funds e private equity. Privatizzazioni e globalizzazione hanno dunque favorito la finanziarizzazione dell’economia alimentata dal debito: un debito cross-border che, secondo la Banca dei regolamenti internazionali, era per il 65% con scadenza inferiore ai 12 mesi, e dunque fragile perché facilmente revocabile. Particolare interessante, la dinamica del debito è molto forte nei paesi più avanzati, con l’eccezione della Germania, mentre la crescita delle attività finanziarie delle economie emergenti dipende per lo più dal collocamento in Borsa delle loro grandi aziende più o meno a partecipazione statale. Negli Stati Uniti, epicentro di tutto, la bolla finanziaria è stata gonfiata della crescita prolungata dei prezzi delle azioni e delle case nonché dall’aumento del deficit della bilancia commerciale che rappresenta la faccia imperiale dell’aumento del prodotto interno lordo pro capite (noi consumiamo e voi pagate). Due economisti americani, Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, hanno constatato come queste tendenze si siano sempre manifestate nell’incubazione delle principali crisi bancarie degli ultimi trent’anni: Spagna (1977), Norvegia (1987), Finlandia e Svezia (1991), Giappone (1992). Negli Stati Uniti, semmai, non si è registrata l’impennata del debito pubblico prima della crisi, ma questo potrebbe spiegarsi con l’accortezza di nasconderne una parte sotto etichette formalmente private come Fannie Mae e Freddie Mac a dimostrazione che il gioco delle tre carte non si fa soltanto a Napoli. Se dunque l’incubazione è stata simile, quali sono le costanti negli esiti delle crisi? Partiamo dal valore delle case, che da confortevole rifugio sono diventate una trappola mortale. Nelle 22 crisi esaminate da Reinhart e Rogoff, la caduta dei prezzi degli immobili dai massimi ai minimi al netto dell’inflazione è mediamente del 35,5% al netto dell’inflazione e il declino dura 6 anni. Più pronunciato ma meno persistente è il crollo reale delle quotazioni azionarie: mediamente è del 55,9% e si prolunga per 3,4 anni. Il tasso di disoccupazione aumenta di 7 punti percentuali e il declino va avanti per 4,8 anni. Queste tendenze parziali si riflettono in un andamento del Pil, che arretra di 9,3 punti e torna a crescere dopo un anno e nove mesi. Nel suo ultimo World Economic Outlook, il Fondo monetario internazionale ha addirittura comparato 113 episodi di crisi finanziaria in 17 paesi svi luppati, sempre negli ultimi trent’anni. E’ emerso che solo 31 volte le crisi hanno generato recessioni vere e proprie e solo in un numero ancor minore di casi, 17 volte per la precisione, le recessioni sono state preparate da una crisi bancaria. In questi ultimi casi la durata e la profondità delle crisi sono state più che doppie rispetto alle recessioni normali (7,6 trimestri di durata media contro 3,1 trimestri; perdita cumulata di Pil del 19,8% rispetto a un 5,4% se non c’è crisi bancaria). Nessuna di queste crisi, tuttavia, ha avuto l’estensione geografica di quella in corso. Negli Stati Uniti, in 18 mesi di crisi finanziaria, l’indice Dow Jones ha bruciato il 40%, i prezzi delle abitazioni il 28% e nel 2008, anno nel quale complessivamente il Pil è aumentato di circa un punto, oltre 2,5 milioni di persone hanno perso il lavoro. Quali saranno le nuove percentuali a metà 2010 quando, a dar retta a Merrill Lynch piuttosto che al Fondo monetario internazionale l’andamento del Pil dovrebbe invertire la tendenza? La reazione di Barack Obama si fonda su un aumento della spesa, che si aggiunge al costo delle manovre dell’ultimo Bush. Stiamo parlando di 800 miliardi di dollari di stimolo all’economia oltre la cifra analoga che la Federal Reserve è già impegnata a spendere a sostegno delle banche. Il presidente eletto eredita un Paese che ha un debito totale (imprese, famiglie, settore finanziario ed esteri) di 51.849 miliardi di dollari a fronte di prodotto interno lordo di 14.412. Un debito pari al 359,7% della ricchezza prodotta ogni anno. Nel 2009 la componente pubblica di questo debito è destinata a aumentare allo scopo, se non altro, di contenere quella privata consentendo a famiglie e imprese di sopravvivere. E già oggi, a seconda di come si effettua il conteggio, il debito pubblico americano avvicina o addirittura supera il prodotto interno lordo. Come segnalano Reinhart e Rogoff, del resto, nei tre anni successivi alle crisi bancarie passate il debito pubblico è aumentato dell’ 86%, perché non è con le pur necessarie manovre sui tassi, effettuate dalle banche centrali, che si superano queste crisi così gravi, ma con la spesa pubblica fatalmente finanziata con il debito pubblico. Se però si guarda all’esperienza degli Stati Uniti della Grande Depressione si dovrà andare oltre le rilevazioni dei due economisti. Perché quando, nel 1941, il prodotto interno lordo espresso in moneta corrente tornò finalmente ai livelli pre-crisi del 1929, il debito totale americano si era dimezzato. E tutti sanno che esistono solo quattro modi per tagliare drasticamente un debito: l’insolvenza, la bancarotta, l’inflazione e la cancellazione del debito mediante un Giubileo di biblica memoria come ironicamente ricorda Niall Ferguson sul Financial Times o attraverso la conversione dei debiti in azioni, come suggeriva Guido Carli all’Italia degli anni Settanta. Il commento conclusivo di Inpresa Oggi si rifa alla teoria economica di Joseph Shumpeter. Secondo l'economista austraico, «Ogni produzione consiste nel combinare materiali e forze che si trovano alla nostra portata. Produrre altre cose o le stesse cose in maniera differente, significa combinare queste cose e queste forze in maniera diversa» In un'ipotetica economia basata sul modello statico, i beni vengono prodotti e venduti secondo la mutevole domanda dei consumatori e il ciclo economico assorbe le influenze della storia, ma i prodotti scambiati rimangono sempre gli stessi e le strutture economiche non mutano.. Schumpeter fa notare che questo modello di economia non corrisponde alla realtà e lo supera con il ben noto approccio "dinamico", in cui l'imprenditore, sfrutta le innovazioni tecnologiche, che il mercato della scienza e della tecnologia gli offre, introduce nuovi prodotti, apre nuovi mercati e cambia le modalità organizzative della produzione. La teoria delle innovazioni consente a Schumpeter di spiegare l'alternarsi, nel ciclo economico, di fasi espansive e recessive. Le innovazioni, infatti, non vengono introdotte in misura costante, ma si concentrano in alcuni periodi di tempo - che, per questo, sono caratterizzati da una forte espansione - a cui seguono le recessioni, in cui l'economia rientra nell'equilibrio di flusso circolare. Un equilibrio però, non uguale a quello precedente, ma mutato dall'innovazione. Le fasi di trasformazione sotto la spinta di innovazioni maggiori vengono definite da Schumpeter di "distruzione creatrice", alludendo al drastico processo selettivo che le contraddistingue, nel quale molte imprese spariscono, altre ne nascono, e altre si rafforzano. Seguendo il filo logico della teoria shumpeteriana possiamo ritenere che al termine della crisi esisteranno altri prodotti e altri mercati, che molte imprese saranno decedute, che molte saranno nate e, considerando le basse capitalizzazioni di quasi tutte le medie e grandi imprese che molte di esse si troveranno ad avere nuovi "padroni" (Ad esempio, già il 19 gennaio Fiat acquisisce il 35 per cento di Chrysler senza sborsare un euro). Nel frattempo i produttori di cioccolata e di gomme da masticare hanno avuto un'impennata di vendite e di utili; in tempi di crisi la gente preferisce masticare doce piuttosto che amaro.
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