Avere successo con il marketing. Capitolo 5. Articolazione delle attività di marketing

La felicità viene da dentro.

F.Partridge


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Questo è il quinto di una serie di articoli tutti mirati a illustrare i vantaggi per l’impresa di un forte orientamento al marketing. Per il capitolo 4 clicca qui. Per il Capitolo 6 clicca qui.


Un'impresa che voglia strutturarsi secondo il modello marketing oriented, anche se media o piccola, dovrà innanzitutto definire "chi fa cosa", a chi competono certe decisioni, come coinvolgere la struttura.
L'autore conosce non poche imprese, tecnicamente eccellenti, dotate di creatività e intraprendenza, ma che non riescono a rompere i confini di un mercato chiuso da anni, proprio per la mancanza o la cattiva gestione della cultura di marketing (Caruso, 2004).

1 La piramide strategica

L'operatività del marketing, in special modo quella del modello classico, è stata codificata da un numero enorme di lavori che ne hanno analizzato ogni sfaccettatura; in questo testo vedremo di analizzare gli aspetti più strategici per una gestione avanzata dell'impresa. Tra i numerosi elementi base del modello classico non si può non partire della cosiddetta piramide strategica, che si articola nei tre seguenti livelli (Cohen, 1987):

  • l'area degli obiettivi globali, la punta della piramide;
  • l'area del marketing strategico, la zona centrale;
  • l'area del marketing operativo, la base della piramide.

1.1 L'area degli obiettivi globali

L'area degli obiettivi globali (rappresentata dal top-management in una grande e media impresa e dall'imprenditore in una piccola impresa), secondo Ted Levitt, deve porsi come primo compito quello di rispondere alla domanda: «quale attività sta svolgendo la mia impresa, quali sono le sue competenze, quale il suo sviluppo?».
Limitandoci alla PMI si può affermare che all'imprenditore spettano i compiti, sia di stabilire i criteri della mission aziendale, sia di infondere il «senso della mission, della condivisione, dell'appartenenza e della realizzazione in tutti coloro che lavorano nell'azienda» (Koch, 1993).
L'area degli obiettivi globali se non ha ben chiaro che cosa l'impresa vuole essere e quale ruolo vuole giocare, specie in presenza di competitori agguerriti, può essere la causa di pericolose involuzioni. Sempre secondo Levitt, questo tipo di "miopia" ha portato alla scomparsa d'alcuni settori o al ridotto sviluppo di altri.
A titolo d'esempio, la mancanza di pingui utili delle ferrovie in tutto il mondo sarebbe da attribuirsi al fatto che il management del settore ha sempre ragionato in termini di rotaie (prodotto) e non di fabbisogni di mobilità (cliente), consentendo lo sviluppo di servizi alternativi: pullman, camion, aereo, automobile e disinteressandosi delle possibili sinergie. cent'anni fa nessuno avrebbe pensato che uno dei principali beni rifugio del risparmio mondiale si sarebbe ridotto a sopravvivere grazie alle sovvenzioni governative.
Un altro esempio di "miopia", indicato da Levitt, è quella mostrata dai produttori cinematografici agli albori della televisione. Il management che ragionava in termini di film (il prodotto) e non in termini d'intrattenimento (il cliente) rigettò l'idea della televisione, oppure vide in essa un temibile concorrente. Così facendo perse l'opportunità di ampliare il proprio business nel settore dell'intrattenimento.

Suol dirsi che l'eccezione conferma la regola. Ebbene proprio nel settore cinematografico abbiamo invece un esempio di lungimiranza, sul quale conviene soffermarsi: parliamo della Disney. Il fondatore Walt, nel 1955, davanti al dilagare della televisione, supera il concetto d'impresa legata alla sola produzione di film (prodotto) e intraprende la via dell'entertainment (cliente). Per lanciare il suo progetto, crea la Dream Factory (o gli Imaginers, gli ingegneri dell'immaginazione) che, oggi, rappresenta uno dei think-tank più potenti del mondo; più di duemila, teste d'uovo, tra ingegneri, informatici, architetti, fisici, esperti d'intelligenza artificiale, pagati lautamente per pensare al futuro dell'azienda.
Levitt mette, anche, in guardia le imprese troppo sbilanciate a favore della ricerca (Fiocca, 1994), l'area degli obiettivi globali, in questi casi, può commettere significativi errori. Spesso gli scienziati collocati ai vertici aziendali vìolano, nella gestione aziendale, le due regole d'oro che sono invece seguite scrupolosamente nei laboratori di R&S: individuare i problemi e sviluppare ipotesi verificabili sul come risolverli.

Va comunque detto che «quando il gioco si fa duro l'area degli obiettivi globali deve saper scendere in campo e occuparsi di strategia e operatività». Molto interessante, da questo punto di vista, è il racconto di W. Davidow (Davidow, 1986) su come la società Intel, che nel 1968 aveva inventato il circuito integrato con Robert Noyce, alla fine degli anni '70 si trovò in difficoltà nel settore dei microprocessori per gli attacchi portati da Motorola e Zilog e su come riuscì a vincere la battaglia.  Fu costituita una task force, guidata dal mitico presidente Andy Grove e costituita dal top management che, dopo aver analizzato i punti di forza e di debolezza della società, aver segmentato il mercato e aver stabilito che i prodotti a catalogo non andavano modificati, lanciò una crociata battezzata "Crush" (la frantumazione era riferita alla concorrenza, naturalmente) che coinvolse tutti i dipendenti, in particolar modo gli addetti alle vendite.
 

La crociata si concretizzò nei seguenti punti:

  • la preparazione di un catalogo di prodotti futuri come tangibile dimostrazione della posizione risorgente di Intel;
  • la stesura di più di cinquanta articoli sulle riviste specializzate di tutto il mondo;
  • l'effettuazione di seminari presso i 25 più importanti clienti reali o potenziali e di oltre 50 seminari, sempre in tutto il mondo, per un pubblico di tecnici e progettisti ai quali veniva proposta l'immagine di un'Intel capace di risolvere ogni problema;
  • l'avvio di una campagna a tappeto di Pr e pubblicità.

Il primo risultato positivo fu quello di far uscire i dipendenti da uno stato di timore e soggezione per l'accerchiamento della concorrenza e portarli su un livello di fiducia in se stessi; infine gli ordini di acquisto presero a correre e l'acquisizione del cliente Ibm segnò il culmine del successo della crociata. Motorola non fu frantumata, ma il risultato di quella battaglia della fine degli anni '70 sta nel fatto che, oggi, Intel detiene la leadership indiscussa del mercato dei microprocessori. Con un semplice riposizionamento dinamico dei prodotti l'area degli obiettivi globali dell'Intel riuscì a dare la sensazione di aver messo sul mercato un prodotto nuovo; ricordiamo l'affermazione di Davidow: «la produzione crea dei dispositivi, il marketing dei prodotti».
Va comunque tenuto presente che l'area degli obiettivi globali difficilmente riesce a coinvolgere il personale in una crociata in difesa della mission della propria impresa se non tiene conto di alcune condizioni (Koch, 1993):

  • Nessun’impresa può condurre una crociata contro la sua storia e la sua cultura senza aver operato, preventivamente, un radicale cambiamento di strategie e di gestione.
  • L'impresa deve essere compatta e totalmente coinvolta nel processo.
  • Deve essere stata approntata un'adeguata strategia che possa essere in grado di funzionare.
  • L'impresa deve poter fare riferimento a un leader «che si trovi al posto giusto, con il messaggio giusto e che abbia fermezza di intenti».

Gli esempi riportati riguardano alcune multinazionali e si ritiene corretto parlarne poiché fanno parte della storia dell'impresa degli ultimi anni; d'altra parte le forme di "miopia" discusse da Levitt e i comportamenti di Intel e Walt Disney sono riferimenti interessanti anche per la PMI.

1.2 L'area del marketing strategico

In una piccola impresa l'area delle strategie coincide con quella degli obiettivi globali e si riassume nell'imprenditore e nei suoi più stretti collaboratori; è importante però che nell'impresa si sia consapevoli che le due aree corrispondono a due momenti e a due approcci diversi.
L'area del marketing strategico è quella nella quale si idea, si realizza e si controlla la strategia aziendale.
La continua e rapida evoluzione dei mercati comporta all'impresa, come logica conseguenza, la necessità di elaborare una strategia per mantenere o acquisire un posizionamento sul mercato; questo profilo strategico dovrà, inoltre, realizzarsi attraverso l'interazione delle diverse realtà aziendali e quindi dovrà prevedere il coinvolgimento del sistema degli stakeholder. La strategia è il cardine intorno al quale deve ruotare non solo il marketing, ma l'insieme degli interventi aziendali. Essa coagula scelte, interventi produttivi, tecnici, tecnologici, commerciali, di marketing, organizzativi, finanziari, al fine di conseguire determinati obiettivi. La necessità di disporre di una strategia nasce proprio dal fatto che, ad esempio, la collocazione di un prodotto sul mercato non può essere vissuta come un episodio, ma, piuttosto, in maniera coordinata, organica e pianificata
Per l'impresa che si propone obiettivi pianificati, in un quadro di riferimento individuato dal marketing, un piano strategico è puro ossigeno. Il marketing diventa così un mezzo formidabile per la formulazione di decisioni strategiche; attraverso il marketing, infatti, si ha una chiave di lettura per capire il mercato, per confrontarsi con esso con più efficacia, per rispondere adeguatamente alle sue richieste, per poterlo affrontare con più grinta e professionalità (Foglio, 1995).
La strategia messa a punto deve tenere conto delle opportunità e dei rischi presenti sul mercato e, quindi, deve saper recepire quali capacità e risorse siano in grado di permettere di raggiungere gli obiettivi prefissati. In questo senso diventa importante conoscere le forze competitive esistenti e le proprie fonti di vantaggio competitivo; in base a questa precisa conoscenza il piano strategico consentirà all'impresa di inserirsi vantaggiosamente nella battaglia concorrenziale.
 
 Il marketing strategico sceglie i nuovi prodotti, i nuovi mercati, come differenziarsi, l'espansione o la contrazione di un mercato. Al marketing strategico, oltre alla definizione dei piani di marketing, spetta anche il compito di far sì che essi vengano mandati a effetto. Afferma W. Davidow «Se volete vincere una battaglia su un mercato dovete affidarvi alla migliore strategia e realizzarla con successo. Il mercato non ha pazienza con i sentimenti».
Il marketing strategico fonda la propria azione sull'analisi dei bisogni degli individui o delle organizzazioni. Nell'ottica del marketing quello che l'acquirente cerca non è tanto una fornitura, in quanto tale, ma un servizio o il soddisfacimento di un bisogno che quella fornitura è in grado di offrire.
Il ruolo chiave del marketing strategico, che opera con un orizzonte temporale medio-lungo, è seguire l'evoluzione del mercato di riferimento, identificare i differenti segmenti del mercato e individuare quelli reali. L'appetibilità di un prodotto/segmento, per un'impresa, si misura valutando il mercato potenziale, il ciclo di vita del prodotto e la propria competitività, nei confronti della concorrenza, per quel prodotto/segmento.

Nel caso in cui debbano essere prese decisioni strategiche tra varie alternative, il marketing utilizza frequentemente la tecnica delle matrici a quattro celle. Nel seguito mostriamo come si utilizza questa tecnica per prendere, ad esempio, decisioni sulla sorte di un qualunque tipo di fornitura.
 
La fig. 1 mostra la più conosciuta delle matrici a celle, quella proposta, inizialmente, dal Boston Consulting Group, e, successivamente integrata e migliorata da vari studiosi, per prendere decisioni strategiche sul destino di un prodotto.

Sulla dimensione verticale è riportata la forza del business che s'intraprende. Questo parametro può essere quantificato in base a: quota di mercato, tasso di crescita della quota di mercato, efficacia del sistema di vendita, vantaggio competitivo di costo o di differenziazione, efficacia della promozione, efficienza del sistema di produzione, valore aggiunto, costo delle materie prime, qualità del prodotto, vantaggi tecnologici, RoI, etc.

Alta

 

Forza del
business

Bassa

2.

Problem
chidren

3.

Stars

1.

Dogs

4.

Cash cows

......Bassa          .....Alta
  Attrattività del mercato

Fig. 1 Matrice delle decisioni strategiche in base alla forza del business e all'attrattività del mercato.

Sulla dimensione orizzontale è riportata l'attrattività del mercato per quel business. Il parametro può essere quantificato in base a: tasso di sviluppo del mercato, forza della domanda di quel prodotto, composizione della concorrenza, regolamentazioni internazionali, nazionali e locali, valenza ambientale del prodotto, stadio del ciclo di vita di quel tipo di fornitura.

La chiave di lettura della matrice (secondo un gergo accettato dagli addetti ai lavori) è la seguente:

Cella 1. Il prodotto dovrebbe uscire dalla produzione al più presto.
Cella 2. Bambini problematici da seguire o cella dello "sviluppo selettivo". È necessario, selettivamente, fare investimenti perché il prodotto passi dalla cella 2 alla cella 3.
Cella 3. Stelle nel firmamento del business. L'impresa dovrà combattere per ridurre il margine di manovra della concorrenza e cercare di mantenere a lungo il suo vantaggio competitivo.
Cella 4. Mucche da mungere. Sono quei prodotti sui quali non è più conveniente fare investimenti industriali, ma che devono dare i ritorni economici degli investimenti fatti nel passato (Cohen, 1987).

Giova osservare che l'analisi condotta sulla figura 1 è stata puramente qualitativa.
Il marketing strategico può utilizzare però, il metodo della matrice a celle, anche con valutazioni quantitative. Alle generiche variabili x ed y della matrice possono essere associati valori numerici, la valutazione quantitativa del un singolo prodotto viene effettuata assegnando un valore a ciascuna delle due variabili e collocando, quindi, il prodotto in una posizione precisa del piano x-y.

Un'altra matrice strategica usata frequentemente è quella che analizza un prodotto in base al livello di soddisfazione che il prodotto produce nel consumatore e al livello di soddisfazione per il prezzo; fig. 2.

Alta

 

Soddisfazione
del prodotto

 

Bassa

2.
Combattere
l’ingresso di
competitori

3.
Investire per
mantenere le
caratteristiche
di soddisfazione

1.
Prodotto da
eliminare

4.
Investire per
migliorare la
qualità del
prodotto

.....Bassa         .....Alta
Soddisfazione del prezzo

Fig. 2 Matrice delle decisioni strategiche in base al livello di soddisfazione per il prodotto e al livello di soddisfazione per il prezzo.
Cella 1. Il prodotto non soddisfa le aspettative, è distante dalla prestazione ideale e viene considerato eccessivamente costoso. Se l'acquisto è già avvenuto, il consumatore avvertirà una condizione di frustrazione o insoddisfazione. La probabilità di riacquisto è nulla. La scelta strategica dovrebbe essere quella di eliminare il prodotto dalla propria offerta.
Cella 2. Il prodotto acquistato risponde alle aspettative ed è prossimo alla valutazione di prodotto ideale. Il consumatore ritiene, però, di aver pagato troppo e pertanto sarà portato a ricercare lo stesso prodotto presso un fornitore in grado di assicurare un prezzo inferiore. L'unicità del fornitore, dovuto ad accordi di esclusività o all'unicità del prodotto, è in grado di garantire l'offerta solo finché permangono barriere all'entrata di competitori sul mercato. La probabilità di acquisto è generalmente circoscritta a clienti con elevato reddito. La strategia dell'impresa sarà orientata ad ostacolare l'ingresso di competitori sul mercato.
Cella 3. Le caratteristiche del prodotto sono accettate, la prestazione è valutata positivamente in quanto le attese iniziali sono rispettate e il prodotto viene percepito dal consumatore positivamente. Allo stesso tempo il prezzo viene ritenuto giustificato: è quello che il consumatore si attendeva di pagare, percependone le ragioni (un prezzo basso per un prodotto di alta qualità insospettisce il cliente). La probabilità di acquisto è elevata. L'impresa dovrà investire in modo da mantenere nel tempo le caratteristiche del prodotto.
Cella 4. È il caso dei cosiddetti prodotti a basso costo, ma, generalmente, la prestazione tecnica del prodotto è insufficiente rispetto alle esigenze. Il consumatore si "accontenta" di un prodotto scarso, sapendo in partenza che esso è distante dal proprio "ideale" di prodotto. La probabilità di acquisto è elevata solo in consumatori con basso potenziale d'acquisto. L'impresa dovrà impegnarsi in azioni volte a migliorare la qualità o le prestazioni del prodotto.

Secondo Trevisani nel definire la strategia prodotto/prezzo l'impresa dovrebbe tener conto di due principi, la psicologia del prezzo e la verità del risultato (Trevisani, 2003).

Principio 1 - La psicologia del prezzo

La competitività dipende:

  • Dalla capacità di realizzare l'offerta con la creazione di un prezzo psicologico più basso del vantaggio/utilità che il cliente percepisce di ricevere.
  • Dalla capacità di riposizionare il prezzo rispetto ai benefici risultanti dall’acquisto e dalla capacità di una riduzione psicologica del prezzo percepito.

Spesso il venditore concentra la propria comunicazione sui dettagli del prezzo, senza approfondire veramente i benefici ricercati dal cliente.

Principio 2 - La verità di risultato

  • Le promesse di vendita non corrisposte distruggono il valore dell'immagine aziendale e sono controproducenti per il marketing e la competitività.
  • Nessun prezzo è eccessivo se il prodotto/servizio produce veramente il risultato atteso, e questo è il riscontro veramente importante per il cliente.

 

 La psicologia del prezzo è, quindi, soprattutto, un problema di comunicazione, dato per scontato che le promesse fatte devono essere mantenute. La vendita ottenuta grazie a false promesse non ha alcuna valenza di marketing, ma produce solamente scollamento con il cliente e appannamento dell’immagine aziendale, valore ben superiore a quello di una vendita.

Un altro compito del marketing strategico consiste nell'analizzare le principali caratteristiche del prodotto, confrontandole, sia con quelle della concorrenza, sia con quelle che il cliente si aspetta.

Anche in questo caso gli studiosi di marketing strategico hanno introdotto una matrice a quattro celle (vedi fig. 3), ove le variabili prese in considerazione sono:  quanto una caratteristica influenza le performance del prodotto e qual è l'importanza di quella caratteristica, sia ai fini delle performance, sia ai fini della scelta di quel prodotto da parte del cliente (Lambin, 2000).

Cella 1. L'analisi di quella caratteristica è un falso problema, oppure i criteri di quella caratteristica sono stati mal posti.
Cella 2. Vi figurano le "false forze", vale a dire le caratteristiche ben rappresentate, ma poco importanti per il cliente. In questo caso si ha un sovra-investimento volto ad esaltare quella caratteristica: ciò significa che le risorse stanziatevi potrebbero essere dirottate su attributi del prodotto più importanti per il cliente.
Cella 3. Il prodotto gode di un'immagine forte in virtù di questa caratteristica; essa dovrà essere evidenziata nella comunicazione.
Cella 4. Riunisce i punti di debolezza del prodotto. La caratteristica presa in considerazione è importante per il cliente, ma l'impresa non riesce a valorizzarla; occorreranno investimenti in questa direzione.

Alta

 

Performance
del prodotto
dovuta a una
sua caratteristica

 

 

Bassa

2.

False forze

3.

Immagini
forti

1.

Falsi
problemi

4.

Debolezze

Bassa .............Alta
   Importanza di
quella caratteristica

Fig. 3 Matrice delle decisioni strategiche in base alle singole caratteristiche del prodotto.

Altro compito del marketing strategico è valutare se la soddisfazione per il prodotto è coerente con l'immagine che il prodotto dà di sé (fig. 4).

Alta

 

 

Soddisfazione del prodotto

 

       

Bassa

2.

Acquisto dipendente
dal tipo di cliente

 

3.  

Acquisto certo e cliente fidelizzato

1.

Insod-

disfazione

 

4.

Acquisto forzato  dall'immagine

Bassa         ............... Alta
Immagine del prodotto

Fig. 4 Matrice delle decisioni strategiche in base alla soddisfazione del cliente per le caratteristiche del prodotto e per l'immagine del prodotto.
Cella 1. Il prodotto non soddisfa le attese, è distante dalla prestazione ideale, non si conforma all'immagine ricercata dal consumatore. La probabilità di acquisto è bassa.
Cella 2. Il prodotto acquistato risponde alle attese prestazionali, ma viene abbinato a un'immagine non gradita o scarsa. La probabilità di acquisto è in genere bassa, ma può variare in funzione della tipologia di consumatore; un consumatore funzionale, che si cura meno dell’immagine, non dà peso a questo fattore.
Cella 3. Le caratteristiche del prodotto sono accettate, la prestazione è valutata positivamente poiché le attese iniziali sono rispettate e il prodotto viene percepito positivamente. L'immagine del prodotto appaga il consumatore in quanto si accosta a una sua autoimmagine. E' questa la cella dalla quale può partire la strategia di fidelizzazione del cliente.
Cella 4. Questa condizione caratterizza il gradimento per il marchio abbinato ad un non gradimento per il prodotto. La pressione psicologica potrà determinare, in ogni caso, un acquisto, che diverrà più un acquisto di marchio che non una scelta di prodotto. Anche se il consumatore si rende conto che esistono prodotti tecnicamente migliori a prezzi inferiori, il livello di fidelizzazione al marchio e l'elevata attrazione per l’immagine del marchio rendono possibili acquisti di questo tipo.
 
Tevisani afferma «La competitività dipende dalla capacità di creare immagine nel prodotto e nell'azienda/marchio. L'immagine ricercata è guidata dal concetto di un sé ideale del cliente, con il quale realizzare consonanze e associazioni proiettive. Il successo di strategie di costruzione dell'immagine si realizza quanto più il soggetto identifica nell'offerta (prodotto-marchio) una porzione espressiva del proprio vissuto ideale e uno strumento per il raggiungimento del sé ideale» (Trevisani, 2003).
Il marketing strategico dovrà preoccuparsi anche di come il prodotto è offerto al cliente e quindi del rapporto tra il prodotto e il canale. Spesso le imprese focalizzano le proprie risorse sulla qualità del prodotto, sulle caratteristiche intrinseche del bene o servizio, dimenticando che la qualità complessiva percepita (e quindi la soddisfazione complessiva del consumatore) proviene anche dal canale di vendita.
Per questo motivo è necessario utilizzare ancora la tecnica della matrice a celle ove la dimensione verticale è data dalla Product customer satisfaction (Pcs) e la dimensione orizzontale dalla Channel satisfaction (Cs). La  Pcs riguarda le caratteristiche intrinseche del prodotto o servizio (composizione, struttura, performance). La Cs include componenti relazionali e componenti logistiche, che, sommate, producono la qualità complessiva del servizio erogato dal canale distributivo: capacità di rapporto interpersonale, cortesia, tempi di risposta, servizio post-vendita e assistenza, facilità di accesso al luogo di distribuzione, facilità di acquisizione del prodotto/servizio, rispetto dei termini e condizioni di consegna (Trevisani, 2003). La fig. 5 mostra la matrice a celle succitata.

Alta

 

 

Soddisfazione del prodotto

 

            

 

Bassa

2.

Appannamento
dell'immagine

 

3.  

Acquisto con fidelizzazione

1.

Rischio del fenomeno del cliente trattenuto

 

4.
L'impresa rischia che il canale indirizzi il cliente verso un altro fornitore

............Bassa           ...........Alta

Soddisfazione
del canale di vendita

Fig. 5 Matrice delle decisioni strategiche in base alla soddisfazione del cliente per il prodotto e per il canale di vendita.

Cella 1. L'insoddisfazione del cliente riguarda sia le caratteristiche del prodotto che il rapporto con il canale distributivo. La probabilità di riacquisto del prodotto è bassa, così come quella che il cliente non si rivolga allo stesso canale distributivo. La presenza di barriere all'uscita dal canale può generare fenomeni di "cliente trattenuto", che producono danni elevati all'immagine dell'impresa.
Cella 2. In questa condizione si determina un'elevata soddisfazione di acquisto relativamente alle caratteristiche e performance del prodotto, tuttavia la soddisfazione verso il canale distributivo è bassa. In questo caso il consumatore cercherà lo stesso prodotto presso un canale distributivo diverso. È necessario sottolineare che esistono connessioni precise tra immagine del canale (per esempio professionalità percepita della rete di vendita) e immagine dell'impresa. Studi condotti nel settore industriale hanno evidenziato una correlazione statisticamente significativa tra le due variabili. Questo significa che il comportamento della rete distributiva si riverbera sull'immagine dell'impresa. La qualità del "venditore" incide sull'immagine di chi gli ha fornito l'incarico di vendita. Di converso un bravo "venditore" concorre, fortemente, con il suo comportamento, a formare l’immagine dell'impresa per cui lavora.
Cella 3. Il cliente è soddisfatto sia del prodotto che del rapporto con il canale di vendita. La probabilità di riacquisto e di fidelizzazione è alta.
Cella 4. Il consumatore non valuta positivamente il prodotto, tuttavia il rapporto con il canale e con il venditore è buono. La channel satisfaction determina il fenomeno della fidelizzazione al canale. Il fatto che il parco-clienti si fidelizzi al canale (più che all’impresa produttrice) permette a questo di spostare il parco clienti in blocco (o quasi) presso altre aziende del settore. È il tipico caso in cui l’agente, cambiando impresa, porta con sé il proprio parco clienti.

Per l'impresa, emerge la necessità di attivare un triplice livello di attenzione:

  • gestire la soddisfazione del cliente finale nei confronti del venditore;
  • gestire la soddisfazione tra cliente finale e impresa;
  • gestire la soddisfazione tra rivenditore e impresa.

Se l'impresa riesce ad attivare modalità di contatto diretto con il cliente finale potrà recuperare un rapporto deterioratosi a causa di problemi con il canale di vendita.

Possiamo chiudere questo paragrafo chiedendoci «Se vogliamo ampliare o modificare la gamma dei prodotti a catalogo, come scegliere tra diversi progetti, specie quando le risorse sono poche, le opportunità numerose e i rischi molteplici?». Esiste una vasta letteratura sul capital budgeting, ossia sui criteri di valutazione degli investimenti, ma spesso, anche in questo caso, il marketing strategico ricorre ad una matrice di valutazione del tipo di quella mostrata in fig. 6.
La matrice è costruita con una dimensione orizzontale che misura l'attrattività di un progetto per l'impresa, in base ad indicatori qualitativi e quantitativi che l'impresa determina ad-hoc. La dimensione verticale misura la probabilità di successo tecnologico e commerciale di un progetto.

Alta

 

 

Probabilità di successo del progetto

 

        Bassa

2.

Ciotole di riso

 

3.  

Perle

1.

Cause perse

 

4.

Gemme

............Bassa           .........Alta

Attrattività
del progetto per l'impresa

 

Fig. 6 Matrice delle decisioni strategiche per la valutazione dei progetti di nuovi prodotti.

Cella 1. I progetti che si collocano in questa cella non vanno affrontati.
Cella 2. Progetti con alte probabilità di successo, ma strategicamente poco interessanti per l'impresa, in generale, vanno realizzati perché possono portare danaro, anche se non molto, poiché, l'impresa non farà forti investimenti in questa direzione.
Cella 3. Su questi progetti l'impresa deve impegnare risorse materiali e immateriali.
Cella 4. I progetti vanno realizzati se l'impresa riesce a portarli nella cella 3.

1.3 L'area del marketing operativo

È l'area che realizza l'interfaccia reale con il sistema della domanda; secondo la famosa terminologia di McCarthy, è quella dove operano le cosiddette 4P, che, nell'insieme, costituiscono il marketing mix.
Il marketing operativo rappresenta un approccio attivo, di conquista dei mercati  esistenti e il suo orizzonte si situa nel breve-medio termine. Esso costituisce l'approccio commerciale classico centrato sulla realizzazione di un obiettivo di volume d'affari e si basa sui mezzi derivanti dalle politiche di prodotto, prezzo, distribuzione e comunicazione. L'azione del marketing operativo consiste nel definire gli obiettivi da conseguire in termini di quota di mercato, posizionamento, tattica da adottare ed elaborazione di un budget idoneo al raggiungimento di tali obiettivi.
Il compito fondamentale del marketing operativo è, pertanto, quello di creare il fatturato, cioè di vendere e di utilizzare, a tal fine, i metodi di vendita più efficaci, minimizzando i costi; tale obiettivo si traduce, anche, in programmi di fabbricazione o di progettazione di un servizio e in programmi di logistica.
L'incisività e la forza del marketing operativo costituiscono un fattore basilare nella performance dell'impresa. Ogni tipo di fornitura, anche se di qualità superiore alla media, deve avere un prezzo accettato dal mercato, essere distribuito in circuiti adatti alla tipologia del cliente, essere sostenuto da azioni volte a far conoscere l'esistenza del prodotto.

  • Product. La pura e semplice esistenza fisica di un prodotto non è condizione sufficiente perché avvenga un processo di scambio. La produzione non può creare un prodotto e valutare, poi, se si può vendere, ma essa deve sempre dare vita a un prodotto che, per essere venduto, ha solo bisogno di essere realizzato. Prima che un prodotto sia immesso sul mercato si possono distinguere tre fasi: il prodotto che vive a livello dell'idea, il prodotto fattibile (a valle delle analisi e degli studi, s'identificano cioè uno o più modelli potenziali di prodotto) e il prodotto finale, che tra i prodotti fattibili, nella scala delle probabilità di successo, occupa il gradino più elevato. Su questo si avviano il piano di marketing e la produzione.

La realizzazione di un "prodotto" è, generalmente, un processo di ideazione e costruzione che coinvolge tutta l'impresa.
Alcuni operatori sono soliti dire «tutti i prodotti sono uguali». Per mostrare l'erroneità di questa affermazione Levitt ha dato un'interessante definizione di cosa realmente sia un prodotto e di come esso abbia sempre una valenza di differenziazione.

Il prodotto, preso nella sua interezza e complessità, può essere diviso in quattro livelli; il prodotto generico, quello atteso, il prodotto aumentato, quello potenziale. Visivamente, si può descrivere un prodotto a partire da una serie di ellissi concentriche.

L’ellisse più interna rappresenta il prodotto generico è "la cosa", il prodotto alimentare, il microprocessore, la macchina utensile, il viaggio nei Caraibi, l'automobile, l'immobile.
La seconda ellisse rappresenta il prodotto atteso indica l'aspettativa minima del cliente, ad esempio, nel caso di un prodotto alimentare l'aspettativa minima si identifica con la facilità di acquisto, la sicurezza della qualità, la pulizia dell'ambiente di vendita, la semplicità dell'imballaggio, la facilità del parcheggio; nel caso di una vacanza in un villaggio turistico l'aspettativa minima si identifica con l'assicurazione dei bagagli, l'assistenza in loco, corsi e attività sportive, attività di animazione, il baby club.  In genere si può affermare che quello generico non è un prodotto, ma un'idea, e che solo quello atteso diventa prodotto.
Con il prodotto aumentato le attese del cliente possono essere aumentate, in modo da metterlo in condizione di fruire meglio il prodotto: ad esempio un produttore di computer inserisce un software di auto diagnostica, un produttore di detersivi per lavatrici offre un dispositivo per una migliore diffusione del detersivo nella biancheria, un produttore di videoregistratori VHS offre una cassetta per la pulizia delle testine, un tour operator offre vari plus quali il giornale la mattina, il caffè dopo pranzo, l'aperitivo, un'escursione non programmata.
 Ritornando ad un bene ad alta tecnologia, come il computer, possiamo affermare che esso diventa prodotto vero quando può vantare: un sistema hardware, un sistema operativo, linguaggi e programmi applicativi, un sistema di auto diagnostica, una ricca documentazione, un training per l'acquirente, un supporto prevendita e post-vendita, il collegamento ad Internet, assistenza alla manutenzione, facilità di reperimento delle parti di ricambio, immagine della società venditrice, fiducia dell'acquirente nel venditore. Le aggiunte spontanee e inattese dal cliente, con la creazione del prodotto aumentato, sono le forme di differenziazione più utilizzate dalla strategia competitiva.
L’ellisse più esterna è il prodotto potenziale consiste in tutto ciò che è potenzialmente adatto ad attirare e conservare i clienti, ma che non è stato ancora realizzato: è il potenziale di differenziazione che le imprese più avvedute hanno già pronto nel cassetto. 
L'articolazione del prodotto è stata descritta da Levitt, simbolicamente con le quattro curve concentriche, che passando dal prodotto generico al prodotto potenziale aumentano di superficie, proprio per descrivere l'incremento di valore che ne deriva.
Esiste una più recente categoria di prodotto, che sta avendo grande successo, quella del prodotto a potere anticipatorio. La proprietà di questa categoria di prodotti è data dalla capacità di anticipare stati di bisogno futuro, prevenendone l'insorgenza. Un esempio è dato dalla categoria di integratori dietetici utilizzati per prevenire malattie (prodotti contro i radicali liberi per prevenire l'invecchiamento cellulare, prodotti per prevenire la cellulite, prodotti per evitare la caduta dei capelli, ad esempio); l'individuo assume tali sostanze non per risolvere un problema esistente, ma per anticipare un problema futuro. Un problema organico futuro diventa un problema psicologico attuale; i prodotti anticipatori fanno chiaramente leva su pulsioni d’acquisto negative (ansie, paure, preoccupazioni) per le quali il prodotto/servizio viene proposto come metodo di prevenzione.

  • Price. Al fine di qualificare il prodotto per la vendita non è il costo ad essere essenziale bensì il prezzo; ciò ingenera la prassi che il settore produttivo debba seguire le indicazioni che vengono da chi stabilisce le modalità di prezzo. Si deve guardare al prezzo esattamente come si guarda al prodotto, "anche il prezzo deve essere venduto" e, a seguito della transazione, esso deve poter realizzare una condizione di stati di equilibrio. Va tenuto conto che, oltre al cosiddetto prezzo di mercato esiste anche il prezzo psicologico, cioè il valore che il cliente attribuisce al bene; ovviamente la situazione ideale è quando i due prezzi tendono a coincidere. L'area del marketing operativo dovrà, quindi, acquisire una sensibilità che consenta di "vendere" il miglior prezzo e lasciare il compratore nel migliore stato di soddisfazione. Non per nulla, afferma Davidow: «Pricing is an art».

L’analisi delle pulsioni si pone l’obiettivo di capire quali leve decisionali scattano, per portare un soggetto a separarsi da un valore (il proprio denaro) in cambio di altro (una prestazione, un bene, un servizio, un favore). Studi qualitativi, svolti da Trevisani, hanno evidenziato che durante un atto d’acquisto avvengono alcuni fenomeni che hanno una valenza generale. Possono cioè essere applicati a qualsiasi fenomeno di acquisto e vendita.
I risultati di questi studi evidenziano due fenomeni:

  • Il prezzo di acquisto reale è molto diverso dal costo monetario: il prezzo di acquisto è una sommatoria di costi economici e costi psicologici - correlati all’acquisto - che il cliente anticipa, percepisce o prevede.
  • Il rientro percepito derivante dall’acquisto è molto diverso dal bene o proprietà realmente acquisito: anche in questo caso sono presenti flussi di valore psicologico che influenzano la percezione di valore del bene acquistato. Pertanto, anche il rientro totale dell’acquisto è una somma di beni materiali o immateriali e di rientri psicologici di varia natura.

 

Si può quindi parlare di un costo totale di separazione (somma del denaro ceduto + costi psicologici connessi all’acquisto) e di un rientro totale dell’acquisto (somma dei rientri fisici + rientri psicologici). In generale, affinché avvenga un acquisto, il costo totale di separazione deve essere inferiore al rientro totale dell'acquisto (Trevisani, 2003).
Per una precisa politica di marketing, a volte, il prezzo di vendita di un prodotto può essere inferiore al suo costo di produzione. Molti anni fa, la Gillette, mise in vendita, negli Usa, il proprio rasoio di sicurezza al prezzo di 55 cent, quando il prezzo di fabbricazione era di 2,5 dollari. Il rasoio era però studiato in modo tale da poter utilizzare solo lame Gillette, che avevano un costo unitario di produzione inferiore al cent e un prezzo di vendita di 5 cent. Promuovere la vendita delle proprie lame, che sono arrivate a dominare il mercato, era l'obiettivo della politica di prezzo del rasoio. Ancora oggi, la politica del prezzo inferiore al costo, allo scopo di promuovere la vendita di un prodotto complementare, viene chiamata la politica "lama e rasoio".

  • Promotion. La promozione va intesa nei significati, sia di avviare il prodotto alla vendita, sia di "promuovere" il prodotto da un livello ad uno superiore. Il marketing operativo, una volta individuata la necessità di attività promozionali per un prodotto, ne individua gli strumenti cercando di rispondere, prima, alle seguenti domande: Who? What? When? Where? Why?

Afferma Davidow che la promotion è un importante atto di leadership; «i bisogni espressi dal consumatore, devono trasformarsi in parole che ritornino al consumatore, catturandone cuore, mente, immaginazione».
Franco Bosisio, noto per aver decretato il successo del marchio Swatch, afferma che quando si deve vendere un bene del quale il consumatore non ha un bisogno primario «la promotion deve saper offrire un sogno, un'emozione, perché essi sono gli elementi che rendono desiderabile il prodotto e, soprattutto, lo differenziano dalla concorrenza». È interessante analizzare la forma di alcuni messaggi pubblicitari passati su una radio che tratta quasi esclusivamente questioni economiche. «Nulla è più rigenerante di un tuffo nel mondo Autodesk». «Fate il pieno di energia. Al resto pensa Alfa Romeo». «Epson é…immagine, emozione». «Whirpool, la lavatrice dal sesto senso». «Sono un'impresa ho goduto delle alte prestazioni dei software Zucchetti. Padre ho peccato?».
Trasmettere un messaggio sbagliato può significare la sconfitta di un'intera attività di marketing. Un approfondimento della promotion sarà dato nel capitolo sulla comunicazione.

  • Placement. Il processo dello scambio avviene nel momento in cui il prodotto passa dal sistema dell'offerta a quello della domanda e questo passo è realizzato dalla vendita, funzione essenziale e insostituibile che dà concretamente vita al mercato. La forza di vendita, inoltre, rappresenta il sensore del sistema dell'offerta sul sistema della domanda; essa, infatti, è in grado di trasmettere all'interno dell'impresa informazioni che, una volta analizzate ed elaborate, consentono, tra l'altro, di:

 

  • ideare nuovi prodotti;
  • mettere a punto nuovi processi produttivi;
  • mettere a punto nuovi processi di comunicazione;
  • migliorare il processo di vendita;
  • migliorare l'assistenza post-vendita;
  • migliorare complessivamente la soddisfazione a valle dello scambio.

  
Le strategie di promotion possono essere opportunamente combinate con quelle di placement, dando luogo a due combinazioni:

  •  push strategy, con la quale si "spinge" il prodotto all'interno dei canali di distribuzione per convincere grossisti e dettaglianti ad offrire il prodotto al consumatore;
  •  pull strategy, con la quale si costruisce una buona rete di distribuzione commerciale e si convince, poi, il consumatore, attraverso la pubblicità, a "tirare" il prodotto chiedendolo ai dettaglianti, i quali, a loro volta, lo chiederanno alla rete di distribuzione commerciale (si pensi alla strategia di vendita del summenzionato orologio Swatch o del prosciutto Granbiscotto).

Nella vendita di prodotti tecnologici il venditore o il distributore possono diventare un elemento di differenziazione del prodotto. Se il venditore è riuscito a stabilire un rapporto di fiducia con il cliente (ad esempio, ha sempre evitato di vendergli qualcosa di cui il cliente non aveva un bisogno, né palese, né latente) il prodotto offerto sarà arricchito di un valore intangibile: il rapporto fiduciario tra venditore e compratore. Un altro valore intangibile di differenziazione dei prodotti tecnologici è rappresentato dalla qualità dei servizi di assistenza offerti dal venditore al cliente, anche se, provocatoriamente, Davidow osserva che nell'offerta di un prodotto «il miglior servizio è eliminare il bisogno del servizio». L'industria giapponese, ad esempio, ha sviluppato in modo molto avanzato il principio del servizio al cliente, mentre in occidente questo principio non è stata ancora completamente assimilato. Si noti che l'immagine di un'impresa cresce più per la qualità delle componenti intangibili che per il valore intrinseco dei prodotti e l'immagine di un'azienda fa parte del prodotto, migliore è l'immagine, migliore è il prodotto.

Nel pianificare la propria politica di vendita, il marketing dovrà tenere conto della distribution satisfaction. Essa comprende il sistema di attese del cliente relative ai seguenti fattori:

  • il rapporto con la forza di vendita;
  • la facilità di accesso al luogo di distribuzione;
  • la soddisfazione riguardante gli ambienti fisici in cui avviene l’acquisto (temperatura, umidità, illuminazione, architetture, comfort);
  • la soddisfazione riguardante gli ambienti psicologici in cui avviene l’acquisto (le persone presenti, la loro gradevolezza, ciò che accade nell’ambiente, i climi relazionali ed emotivi);
  • la facilità di acquisizione del prodotto;
  • il rispetto aziendale dei termini e delle condizioni di consegna;
  • le modalità di fruizione della prestazione rese possibili dall'offerente.

Dal punto di vista dell’impresa, ogni fattore succitato deve diventare un elemento del proprio piano di qualità. Ma non solo. La capacità di adattarsi ad esigenze distributive non palesate, permette di conseguire un indubbio vantaggio competitivo (Trevisani, 2003).

2 Il direct marketing

Uno degli strumenti del marketing mix che ha contribuito alla nascita del marketing relazionale è il direct marketing, il contatto diretto tra produttore e consumatore.

La Direct Marketing Association ha coniato per questa funzione la seguente definizione: "Il marketing diretto è un sistema di marketing interattivo che utilizza uno o più media per ottenere una risposta misurabile e/o una transazione in qualsiasi luogo". Questa definizione contiene alcune parole chiave che è opportuno analizzare.

  • Interattivo. L'interazione diretta e personale tra l'operatore di mercato e client, prospect e suspect è un fattore di assoluta importanza.
  • Uno o più media. L'uso combinato di più media è sempre più produttivo dell'uso di un singolo mezzo.
  • Risposta misurabile. La misurabilità deve essere un punto distintivo del direct marketing; dobbiamo valutare quanto spenderemo e quanto ricaveremo da questa spesa.
  • Transazione in qualsiasi luogo. Le transazioni possono avvenire per corrispondenza, per telefono, con la visita personale di un venditore, presso un'edicola, per televisione.

Per concludere queste considerazioni sul direct marketing giova ricordare, ad esempio, che lo strumento della visita a domicilio del venditore ha consentito alla Enciclopedia Britannica di diventare un testo di consultazione diffuso in tutto il mondo, mentre la Vorwerk Folletto, è leader nel settore delle apparecchiature per la pulizia della casa, vendendo, esclusivamente, con la tecnica del porta a porta.

3 L'operatività del modello relazionale

Nel terzo capitolo abbiamo visto l'importanza che ha nell'impresa moderna il tessuto delle sue relazioni, tessuto che può portare a realizzare quel modello d'impresa a rete che è, per le PMI, l'elemento più potente di difesa e d'aggressività sui mercati interno e globale.
Si tratta ora di analizzare come va gestito il tessuto delle relazioni che rappresenta, sempre più, l'asset più significativo per un'impresa.
Va, innanzi tutto detto, che il legame tra soggetti si costruisce grazie ad un rapporto e che ciascun rapporto si costruisce attraverso i seguenti sei stadi:

  • incontro tra due soggetti;
  • riduzione del grado d'incertezza reciproca;
  • crescita del coinvolgimento;
  • adattamento tra i soggetti per ottenere vantaggi cooperativi;
  • trasparenza;
  • fiducia relazionale (Hakansson, 1976).

Il processo che conduce agli stadi del vantaggio cooperativo, della trasparenza e della fiducia relazionale deve, però, superare quattro ostacoli (Grandinetti, 1993):

  • l'incertezza sui vantaggi conseguibili;
  • la non univocità nelle valutazioni dei vantaggi conseguibili;
  • la non omogeneità dei costi che i soggetti devono sostenere;
  • l'asimmetria tra costi e vantaggi dei due soggetti.

È ovvio che il consolidamento di un rapporto richiede un costo (il portafoglio relazioni costa), ma un adeguato marketing management è in grado di trasformare questi costi in investimenti, di consentire di superare i quattro ostacoli citati e di arrivare alla "fiducia relazionale".
Il dispiegarsi del processo che porta alla realizzazione di relazioni fiduciarie passa anche attraverso la creazione dei «linguaggi necessari allo svolgimento del dialogo tra i soggetti interagenti, nonché la predisposizione d'adeguati moduli comunicativi bidirezionali finalizzati alla trasmissione delle informazioni» (Chalvin, 1998). La realizzazione di queste condizioni è proprio terreno per l'operatività del marketing relazionale.
Non è, comunque, possibile disporre di un portafoglio di sole relazioni forti, vanno curati in modo equilibrato, sia i rapporti forti, che quelli deboli; con il tempo alcuni di questi potranno diventare forti.
I soggetti che interagiscono per costruire un rapporto possono condividere la strategia, oppure no, possono avere strutture simili, oppure no; in base al posizionamento rispetto a queste due categorie si può costruire una matrice a celle per classificare i rapporti tra due soggetti; questa analisi vale nel B2B.

In questo caso assegnando alle ascisse il parametro uguaglianza delle strutture e alle ordinate il parametro condivisione della strategia (fig. 7) e numerando in senso orario le celle possiamo ricavare la seguente lettura:

  • Cella 1.    Non vale la pena mantenere il rapporto.
  • Cella 2.    Il rapporto è difficile ma vale la pena investirvi. I due soggetti dovranno fare uno sforzo per cercare di facilitare la relazione.

Alta

 

Condivisione
della
strategia

 

                       
Bassa

2.
Il rapporto è difficile ma vale la pena investirvi.

3.  
Il rapporto è tanto forte che le imprese alzano barriere all'ingresso di altri partner.

1.
Non è conveniente mantenere la relazione.

4.
Il rapporto può essere buono ma risulta, per lo più, occasionale.

Bassa                                                   Alta
            Uguaglianza delle strutture

Fig. 7. Classificazione di una relazione in base alla condivisione della strategia e all'uguaglianza delle strutture.

  • Cella 3.    Il rapporto è un matrimonio felice.
  • Cella 4.    Va cercata la condivisione tra i due soggetti, di volta in volta.

Personalmente ho avuto modo di riscontrare, frequentemente, che imprese in grado di cogliere insieme opportunità di business, perdono l'occasione per difficoltà nella comunicazione. Questa difficoltà può essere dovuta alla forte differenza tra le strutture organizzative, così come a differenze culturali nella gestione delle rispettive imprese.

La relazione può essere descritta considerando gli episodi passati vissuti insieme; in base a questi è possibile costruire una matrice a quattro celle che consente di classificare il valore del rapporto nel momento in cui si presenti la possibilità di un'iniziativa comune.

Alta

 

 

Complessità del problema

 

                      

 

 Bassa

2.
Vanno stabilite, rapidamente, le procedure per semplificare i rapporti di lavoro.

3.  
Il rapporto è tanto forte che le imprese alzano barriere all'ingresso di altri partner.

1.
Il rapporto è debole ed entrambi possono scegliere altri partner.

4.
Il rapporto può essere buono ma occorre operare per portarlo in cella 3.
 

Basso                                                   Alto
            Numero di episodi precedenti

Fig. 8. Classificazione di una relazione in base alla complessità del problema che i due soggetti devono affrontare e al numero di casi precedentemente risolti insieme.

Per costruire la matrice si considerano due variabili, la complessità del problema che l'episodio comporta (asse verticale) e il numero di episodi precedenti che le aziende hanno sperimentato insieme (asse orizzontale); si veda la fig. 8.

  • Cella 1.    Il rapporto tra i due è debole; entrambi possono scegliere tra diverse alternative e la decisione è facile. 
  • Cella 2.    I due soggetti stanno affrontando per la prima volta, insieme, un problema. Le procedure dell'interazione vanno stabilite in itinere e un ostacolo è rappresentato dal bisogno di assicurare la propria credibilità all'altro. 
  • Cella 3.    I soggetti realizzano una barriera per ostacolare che terzi interferiscano nel rapporto. 
  • Cella 4.    I rapporti sono basati su routine comuni.

All'interno del portafoglio relazioni, il cliente è la relazione privilegiata; esso va classificato secondo la sua importanza strategica (asse verticale) e la complessità dell'interazione (asse orizzontale).

Alta

 

 

Importanza strategica del cliente

 

                       

 

Bassa

2.
Il cliente è importante, ma non sono necessari grandi investimenti per mantenere la relazione.

3.  
Il cliente è importante, anche se sono necessari  investimenti per mantenere la relazione.

1.
Non vanno fatti investimenti per mantenere la relazione.

4.
Occorre operare per portare la relazione in cella 3.
 

Bassa                                                   Alta
            Complessità dell'interazione

Fig. 9. Classificazione del cliente in base alla sua importanza e alla complessità della relazione.

La lettura della relativa matrice a celle è la seguente (fig. 9):

  • Cella 1.    È un cliente minore, non vanno fatti, in linea di massima, investimenti per mantenere il rapporto. 
  • Cella 2.    Il cliente è importante e va seguito con una serie di azioni pianificate, ma i cui costi possono essere modesti. 
  • Cella 3.    Il cliente è importante e va seguito con una strategia definita ad hoc (è normalmente richiesto un alto investimento e una personalizzazione del rapporto). 
  • Cella 4.    Un rapporto richiede sempre un investimento, pertanto i soggetti devono operare per portare la relazione a livello di cella 3.

Come si vedrà in un prossimo capitolo, il modello relazionale, oltre che essere uno strumento di gestione dell'impresa moderna, è "la metodologia" dell'operatività delle società di servizi. Va però ricordato, come già detto a proposito delle quattro arene del marketing, che, anche per queste  organizzazioni, non esiste una cesura tra il modello classico e quello relazionale, essi sono invece compatibili. Sono le circostanze che fanno propendere per l'una o l'altra soluzione ma, più frequentemente, per un mix dei due.

Bibliografia

E. Caruso Il circolo virtuoso impresa - mercato, Tecniche Nuove, 2004
Chalvin D., et al. L'analisi transazionale, FrancoAngeli, 1998.
Cohen W. A., Marketing planning, Ed. Jackson, 1987.
Davidow W.H., Marketing high technology, The Free Press, 1986.
Di Stefano P. M., Il marketing del terzo millennio, Franco Angeli, 1997
Fiocca R., The best of marketing, Bridge, 1994.
Foglio A., Marketing strategico e competitivo, FrancoAngeli, 1995.
Grandinetti R., Reti di marketing, Etaslibri, 1993.
Hakansson H., J. Johanson, B. Wootz, Influence and tactics in buyer-seller processes, Industrial Marketing Management, n. 5, 1976.
Lambin J.J., Marketing strategico e operativo, McGraw-Hill, 2000.
Koch R., A. Campbell, Wake-up& shake-up your company, Pitman Publishing, 1993.
Stone B., Metodi di successo del marketing diretto, Sarin, 1988.
Trevisani D., Psicologia di Marketing e Comunicazione: Pulsioni d'acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management. FrancoAngeli, 2003.

25 novembre 2008

Eugenio Caruso

Per un approfondimento sul marketing si invia al successo editoriale
E. Caruso, Il circolo virtuoso impresa mercato, Tecniche Nuove

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