La privatizzazione dell'EniNon č uomo di valore chi evita la fatica e se il suo coraggio non aumenta di pari passo con le difficoltŕ. Seneca Lettere morali a Lucilio Con il governo Amato, il 3 agosto del 1992, l'Eni dice addio alla Giunta, longa manus dei partiti, il consiglio di amministrazione è costituito da Cagliari, presidente, Ammassari, del ministero dell'industria e Bernabè, il più anziano in servizio dei sette direttori centrali; Cagliari deve piegarsi alle direttive del governo e cedere le leve del comando a Bernabè, a suo tempo voluto in Eni da Reviglio. Il nuovo amministratore delegato dell'Eni si trova a dover sbrogliare una matassa di ben 335 imprese, per lo più in perdita e operanti nei settori più disparati e partire con un rosso di bilancio, nell'esercizio '92, di oltre 800 miliardi. Bernabè ha, però, in mente un progetto ben chiaro di privatizzazione; tagliare tutto ciò che non ha niente a che vedere con il core business dell'impresa (petrolio e chimica) e portare sul mercato l'Eni nella sua interezza e non le varie controllate, come auspicato dal management di queste. Il processo di privatizzazione dell'Eni trova ostacoli enormi; dirà lo stesso Bernabè «Perché la presunta irrealizzabilità del processo di privatizzazione era quasi un elemento scritto nel dna di politici e manager. Era nella loro mappa genetica considerare il sistema pubblico come qualcosa di inattaccabile». Con fatica, con determinazione e con la consulenza degli advisor Merrill Lynch, Ubs e FinComit, Bernabè avvia il percorso delle dismissioni delle imprese non strategiche o patologicamente in crisi; prima le minori, poi, man mano, imprese più importanti, affrontando, di volta in volta, discussioni infinite sul ruolo strategico o no dell'impresa da dismettere, con il fronte compatto del management interno. Ricorderà Bernabè «Stavano combattendo ferocemente contro di me, ma soprattutto contro la privatizzazione che metteva in discussione il meccanismo di legittimazione del loro potere e cioè il rapporto con la politica. Ricorda Bernabè «Le pressioni perché mi dimettessi, dopo il cambio di governo, erano fortissime. Ma era evidente che se io mi fossi dimesso perché era cambiato il governo avrei dato un segnale chiaro e inequivocabile che l'Eni rimaneva una società delle partecipazioni statali. Al contrario, volevo a tutti i costi riaffermare il principio che l'Eni era ormai una società dove la natura privatistica non era un fatto puramente formale». Lo stesso segnale non lo daranno Romano Prodi e Claudio Demattè, che si dimetteranno, rispettivamente, dall'Iri e dalla Rai. La cura intensiva praticata da Bernabè e la lontananza dal cane a sei zampe dei maneggioni della politica hanno dato risultati più che buoni, anche se resta un po' deprezzato il valore del titolo per la presenza dello stato come azionista di maggioranza. Per approndire l'argomento vai al successo editoriale L'estinzione dei dinosauri di stato di Eugenio Caruso. Il portale IMPRESA OGGI vi offre un servizio? |
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