Produzione di pannelli PV. Con riferimento a due imprese italiane.

FORMAZIONE DI Si GRADO METALLURGICO

La tecnica sviluppata per trasformare l'SiO2 in Si è la carboriduzione: nei forni ad arco sommerso. A temperature superiori a quelle di fusione del silicio (1550°C), viene prodotta la reazione:
SiO2 +2CO = Si + 2CO.
La sabbia e i cristalli di quarzite vengono sistemati in un crogiolo di grafite; il crogiolo viene inserito in una camera (la “carcassa” del forno), e al suo interno vengono immersi due elettrodi di grafite; durante il funzionamento si crea un arco elettrico sommerso, e il Si liquido che si forma cola, attraverso un opportuno becco, in una lingottiera dove poi solidifica in Si -MG. (silicio grado metallurgico). Come prodotti intermedi si formano CO, SiO, CO2, etano. Questi reagiscono, in presenza di un opportuno eccesso d’aria, e dànno luogo a CO2, SO2, H2O, SiO2. I primi due aeriformi vanno in un filtro a manica. Il grosso degli scarti è comunque SiO2 (96.5%). Il forno è l’unica macchina coinvolta nel processo.

TRASFORMAZIONE DEL Si -MG IN  Si - EG (silicio grado elettronico)

Tramite gassificazione e due reazioni chimiche avviene il processo Siemens. I blocchi di silicio metallurgico vengono inseriti in un reattore a letto fluido. Nel reattore viene immesso HCl in forma gassosa. Avviene così la reazione
Si + 3HCl = SiHCl3 + H2,
 nella quale vengono prodotti idrogeno e triclorosilano. Le impurezze presenti nel Si - MG dànno luogo a SiH4 (silano), clorosilani e cloruri vari. Il triclorosilano (aeriforme) fluisce in un filtro e poi in un reattore CVD (Chemical Vapor Deposition). Qui, tramite l’immissione di H2 nel reattore, avviene la deposizione catalitica del silicio, secondo la reazione
SiHCl3 + H2 = Si + 3HCl.
 In entrambi i reattori la temperatura raggiunge i 1375°K. A seguito della dissociazione del triclorosilano si forma nuovamente Si - MG. Avvengono inoltre altre due reazioni secondarie, con formazione di sottoprodotti. Molti dei sottoprodotti possono essere reinseriti nel mercato.
Il processo passa attraverso due macchine: il reattore a letto fluido e il reattore CVD.

BILANCI

Non sono disponibili dati sufficienti per comporre una tabella; in un processo ottimizzato si rilevano comunque i seguenti consumi ed emissioni, normalizzati per kg di Si - EG (grado elettronico) prodotto:

  1. 4,3 kg di Si -MG, come materia prima in entrata, più 17,1 kg di HCl e 0,6 kg di H2 necessari al processo, come materia secondaria in entrata.
  2. 101 kWh di elettricità.
  3. Una varietà di sottoprodotti ed emissioni tra cloruri e clorosilani; in dettaglio: 15,6 kg di SiCl4 riutilizzato nell’industria di siliconi e silicati; 2 kg di SiHCl3 parzialmente riciclato nel processo; 0,6 kg di idrogeno disperso in aria; 1 kg di HCl disperso in acqua. Inoltre 0,18 kg totali distribuiti tra le seguenti sostanze: FeCl2, CaCl2, FeCl2, AlCl3, BCl3, AsCl3, PCl3, POCl3, SiH2Cl3 e CH3SiHCl2, derivanti dalle impurezze del silicio metallurgico in ingresso.

CRISTALLIZZAZIONE CZOCHRALSKY


Il silicio policristallino di grado elettronico, in uscita dal processo Siemens, viene immesso in un crogiolo di grafite, infornato e fuso a radiofrequenza. Nel silicio fuso viene gettato un seme di silicio monocristallino. Al crogiolo viene impresso un movimento circolare e sulla verticale del seme un tubo effettua un'operazione di tiraggio. Il risultato è un accrescimento cilindrico monocristallino attorno al seme, verso l’alto. Testimone della natura del processo è lo stesso cilindro monocristallino che si ottiene, caratterizzato da una sorta di “cupola”.

BILANCI

Nel processo Czochralsky, che si può considerare di resa unitaria (ossia, per produrre 1 kg di c-Si viene impiegato esattamente 1 kg di Si - EG), per ogni kg di c-Si prodotto vengono utilizzati 0,41 kg di quarzo e 10 g di grafite, con un consumo di elettricità di 106,8 kWh.

PRODUZIONE DELLE CELLE

Possiamo distinguere tra celle mono e policristalline. I relativi processi di produzione sono diversi in una fase iniziale, proseguendo poi in una fase comune. Le fette monocristalline vengono prodotte tramite ricristallizzazione Czochralsky, mentre le policristalline vengono lavorate per solidificazione direzionale. Una volta prodotte le fette, tutte le fasi necessarie alla trasformazione in celle vere e proprie sono comuni alle due varietà.
Di seguito viene analizzato il processo di produzione delle celle policristalline.

DAL MIX AL PANE

La materia prima è costituita da un mix di pezzi di silicio di diversa provenienza e natura, in gran parte derivante dagli scarti delle industrie dell’elettronica; queste le diverse forme del silicio:

  1. Piccoli grani
  2. Teste e code di cilindri
  3. Dischi cilindrici venuti male
  4. Scarti rimasti nel crogiuolo di formazione (separati da apposite ditte)
  5. Scarti derivanti dal processo stesso.

I grani costano di meno ma offrono più superficie all’aria, con conseguente formazione di una maggiore quantità di SiO2. Teste e code sono “criccate” internamente, il che rende il processo di primo lavaggio meno efficace, con una maggiore permanenza di impurezze. I rimasugli del crogiuolo presentano invece le impurezze dovute al contatto con il quarzo e agli elementi contenuti all’interno di esso (come il manganese).
Le varie forme di silicio vengono posate su un nastro che le immette nella prima macchina della linea, per il lavaggio a più stadi. La macchina pompa prima acqua calda e poi acqua demi, entrambe in controcorrente; pompa inoltre NaOH in soluzione, che realizza un attacco basico (le basi sono più facili da smaltire che non gli acidi). Dopo il lavaggio in NaOH viene utilizzato l’HCl per evitare che la soda si attacchi al silicio e che dopo l’evaporazione il sodio (materiale che fa “morire” l’elettrone) rimanga negli interstizi e sulla superficie del silicio; utilizzando acido cloridrico si formano infatti modeste quantità di NaCl che vengono asportate da un ulteriore lavaggio in acqua calda demi in controccorente, e poi semplicemente buttate. Infine i pezzi vengono asciugati con una pompa d’aria calda. A fine lavaggio viene creato il mix, depositato in un crogiuolo (di quarzo bianco purissimo, dello stesso tipo di quelli usati nell’industria elettronica) nelle percentuali stabilite da un calcolatore a seconda della purezza desiderata; a tal fine è anche possibile aggiungere cubetti di boro; mediamente vengono inseriti 100÷200 g di boro per crogiuolo, così il pane di silicio che ne risulterà sarà già drogato di tipo p.
Il crogiuolo, contenente i 160 kg di mix, viene ora inserito in un forno miscelatore funzionante a radiofrequenza, dove eseguirà un ciclo della durata di 52÷53 ore. Esso viene inserito tra due piastre di grafite, una dura e una morbida, e infornato nella parte alta del miscelatore.
All’interno del forno si crea un'atmosfera inerte di Argon; per riempire la camera di Argon si fa prima il vuoto tramite un'opportuna pompa, e successivamente si pompa l’argon in pressione, in modo da evitare all’aria di filtrare dall’esterno. In una prima fase avviene il riscaldamento ad altissima temperatura: il Si comincia a fondere a 1560°C. Poi il crogiuolo viene sottoposto a un movimento elicoidale verso il basso, passando così gradualmente dalla zona calda a una zona fredda, e così cristallizzandosi nel pane; il processo di cristallizzazione può essere controllato regolando le componenti di velocità dei due moti traslatorio e rotatorio, e agendo sul coefficiente di scambio termico tramite alcuni fori a dimensione regolabile, presenti nel sostegno circolare di grafite.
Da segnalare che le movimentazioni del crogiuolo e del pane (160 Kg) avvengono tramite una bandiera meccanica da 200 Kg con motore da 0,2 kW.

DAL PANE ALLE FETTE

Il pane di Si viene ora incollato ad un supporto metallico tramite una colla morbida, e inserito in una macchina per il taglio. La macchina taglia il pane in lingotti tramite una sega circolare da 3 mm a denti di diamante (la superficie tagliente è spruzzata di scaglie di diamante miste ad altri minerali); dopo ogni taglio la sega verrà spolverata con allumina per asportare l’ottone e il legante e ravvivare il diamante. L’operazione di taglio dura 11÷15 ore (tempi minori, per esempio 7÷8 h- implicherebbero velocità maggiori e conseguenti svergolamenti della sega, a scapito della precisione del taglio e con il rischio di criccare il silicio). La macchina si avvale di 4 motori, 3 elettrici ed uno pneumatico che si occupa di ruotare a 90° il pane. Il movimento della sega sul piano xy è controllato digitalmente. Durante il taglio vengono spesi, per il raffreddamento della sega, circa 6÷7 litri d’acqua al minuto; poi l’acqua, piena di silicio, viene filtrata e inviata al depuratore. Nel filtro viene perduto circa il 5% del silicio del pane originario.
Tre dei lingotti ottenuti vengono sottoposti a test in un apparecchio che fornisce il “lifetime” del portatore di carica (es: 5 µsec.), indicando così la distanza dalla base alla quale è opportuno operare un taglio per la purificazione.
Una macchina taglia testa e coda di ogni lingotto, così che la percentuale di silicio scende al 70÷80% del pane originario. Le teste e le code vengono sottoposte ad abrasione meccanica, asportando così 1 mm di silicio, e ad un ciclo di lavaggio, dopo il quale sono pronte per essere riciclate.
Ogni lingotto viene incollato ad una piastra di vetro e inserito in una macchina affettatrice. Vengono affettati due lingotti per volta: ogni lingotto è posizionato in una presa per la piastra, e tagliato da un filo d’acciaio (disponibile in rocchetti di 60 km di lunghezza e 160 µ di diametro), avvolto attorno a quattro rulli in neoprene scanalati a 170 µ; sul filo, per renderlo più tagliente, viene rilasciata da due siringhe una miscela di olio e CaSi; la miscela è prodotta da un'altra macchina. Particolare attenzione va posta ai possibili accavallamenti dei fili dovuti a disomogeneità nei blocchetti, che rischiano di guastare l’intera operazione. Dopo ogni taglio viene cambiato il filo, parzialmente corroso dallo stesso CaSi; la miscela viene invece sostituita ogni 3 tagli. Dai due blocchetti originari vengono ricavate 360 fette. Le fette vengono sistemate in cestini e inserite in una macchina per il lavaggio in acqua calda con sapone sodico e sapone ammoniacale, onde purificarle dell’olio da taglio. Poi i cestini vengono depositati in una vasca ad acqua corrente per evitare che le fette si appiccichino le une alle altre. Le fette vengono infine asciugate mediante centrifuga e, sistemate su un supporto di polistirolo, sono pronte per le fasi successive.

DALLE FETTE ALLE CELLE

Le cassette contenenti le fette (dette anche wafers) vengono inserite in un’ulteriore macchina per il lavaggio. Dato che i fili precedenti hanno provocato tagli cristallografici sulla superficie delle fette è necessario regolarizzarle asportando 15 µ da ogni faccia; così vengono attaccate da una forte soluzione di NaOH a 120°C per 5÷6 minuti e risciacquate in acqua deionizzata; per asportare il


sodio sedimentatosi si usa, come all’inizio, HCl in soluzione con successivi risciacquo in acqua demi e centrifuga.
A questo punto si opera la “texturizzazione”, ossia un trattamento antiriflesso. Esso si ottiene immergendo le fette per 15 minuti in una debole soluzione di NaOH ed alcol isopropilico, che lentamente corrode la superficie delle fette formando sui cristalli di orientazione “100” delle microscopiche piramidi che intrappoleranno la luce impedendone in parte la riflessione; dato che le fette sono policristalline le altre orientazioni (“110,111,ecc.) non risponderanno al trattamento, che dunque avrà un’efficacia, nella risultante opacizzazione della fetta, del 40÷50%.
Per realizzare la giunzione p-n: le fette vanno in un forno esteso in profondità, dove sono esposte a vapori di fosforo. Su una faccia delle fette, per evitare che venga esposta al fosforo, viene fatto aderire un foglio di carta a perdere; poi vengono infornate. In un tubo di quarzo in cui è contenuto acido ortofosforico allo stato liquido (a 600°C) viene pompato azoto, che porta con sé l’acido e diffonde sulle fette; per il principio della parete fredda l’acido condensa in goccioline sulle fette e viene assorbito, essendo la temperatura, nel forno (riscaldato da resistenze elettriche), di 920°C; modulando la temperatura e la velocità di passaggio si riesce a drogare di tipo n uno strato di 0,3 µ. E' necessario, quindi, eliminare lo strato azzurrino di 20÷30 Å di SiO2 termico (isolante) che si è formato sulla superficie dei wafers. La deossidazione si effettua con acido fluoridrico e ammonio fluoruro. Si passa quindi al decapaggio, ossia alla rimozione delle giunzioni parassite lungo lo spessore perimetrale dei wafers. Per far questo si imprigionano le fette tra due piastre, e si immergono in un plasma caldo di ioni: il plasma corrode il bordo per 0.35 µ.
Dato che le due facce delle fette sono uguali, nel caso se ne confondesse il verso è possibile usare un misuratore di resistività. L’ultimo trattamento chimico è la deposizione di un film antiriflesso, questa volta a base di biossido di titanio; il titanio viene disciolto in alcool isopropilico (il quale evapora facilmente), e per il principio della parete fredda, sulle fette condensano goccioline di TiO2, dando una colorazione azzurrina, o incline al viola se avviene un eccesso di deposizione; queste ultime fette, troppo trattate, vengono comunque riciclate nel processo. Infine vengono stesi i contatti metallici: i wafers vengono introdotti nelle macchine per la serigrafia. Viene usata una griglia di fili di acciaio inossidabile ricoperta da un’emulsione. La prima serigrafia avviene sul lato n; si usa una pasta a base di Ag con una griglia a maglie larghe. La serigrafia sul lato p si realizza invece a lamina piana, utilizzando una pasta a base di Al. I contatti metallici appena realizzati vanno asciugati (fissati a fuoco) in un forno a infrarossi a 3 stadi: il forno fa evaporare la matrice organica delle paste, compatta i grani metallici ivi disciolti e normalizza le tensioni con il supporto; la temperatura media è 250÷260 °C, con uno stretto picco di 900°C. L’ultima macchina della catena realizza un test di rendimento e divide le celle in classi di efficienza: le celle oramai terminate vengono esposte una ad una ad un flash da una lampada allo xenon, e appositi sensori misurano le loro caratteristiche elettriche e un PC collegato realizza la caratteristica curva (V,I).

OPERAZIONI DI PROCESSO

1) lavaggio;
2) fusione;
3) squadratura;
4) test spessore;
5) affettatrice;
6) lavaggio;
7) vasca;
8) lavaggio;
9) texturizzazione;
10) giunzione p-n;
11) deossidazione;
12) decapaggio;
13) antiriflesso;
14) serigrafia;
15) forno a infrarossi;
16) test efficienza.

ASSEMBLAGGIO DEI MODULI

La prima fase è detta “tabbing”. Per evitare il formarsi di ossido si usano bandine di Cu ricotto stagnate elettroliticamente (Sn – Pb – Ag); le bandine vengono comprate in rulli; si tagliano le code e si passa il flussante, in modo da rendere possibile la trasmissione del calore da una parte all’altra della cella. Con un saldatore a 250°C le bande vengono unite alla cella.
A questo punto bisogna formare l’array serie; per farlo si può procedere sia manualmente sia con una macchina. L’array finisce su una tavola di polistirolo. Manualmente si usa una “lima” e si salda coda per coda. Nel processo automatico, invece, una macchina passa sopra l’array con una fila di cannelli dalle punte saldanti. Per rifinire l’array bisogna saldare le 4 stringhe, ciascuna composta da 9 celle. Fuori campo vengono preparate delle bande di Cu ricotto, con Ni e Sn-Pb elettrolitico, ma senza Ag, perché non vanno a contatto con l’Ag ossidato. Vengono inseriti i fili per le due polarità; inoltre viene inserito un filo centrale con diodi in antiparallello: questo affinché se metà del modulo va in ombra questa metà non accresca la resistenza del modulo e non lo riscaldi eccessivamente. Il Sandwich sarà composto da:

  1. un vetro temperato ad alta trasmittanza (a basso contenuto di Fe)
  2. uno strato di materiale plastico che fonde a bassa temperatura, e ingloba le celle: EVA (Etil Vinil Acetato)
  3. le celle fotovoltaiche
  4. uno strato di fibra di vetro
  5. un altro strato di EVA
  6. la copertura posteriore.

Il lato interno del vetro temperato è antiriflesso (piccole piramidi superficiali) mentre quello esterno è liscio al fine di impedire l’accumulo di polveri e la conseguente indesiderata opacizzazione del modulo.
L’EVA è lo stesso che si usa per i pneumatici delle automobili: grazie alla vulcanizzazione vengono rotti i polimeri (alla temperatura di 140÷160°C); alla temperatura di 80÷110°C il polimero va in fase liquida; oltre i 110°C si formano altre catene. Regolando i tempi di permanenza a queste temperatura si riesce ad ottenere una trasparenza dello strato di EVA corrispondente a una trasmittanza del 70÷92% La lana di vetro si taglia da un rullo e si inserisce a fogli. La fibra di vetro è importante nel processo di “cottura”: infatti, durante detta fase, l’EVA si liquefa, tendendo a trascinare ed allargare le distanze tra le celle; la fibra di vetro impedisce che ciò avvenga tramite la sua azione di attrito. L’EVA cotta è un buon assorbente di umidità; la penetrazione di umidità nel modulo potrebbe infatti causare elettrocorrosione (non dimentichiamo la compresenza di Ag e bandine di Cu). Per proteggere il modulo dall’umidità sul fronte c’è vetro, sul retro c’è una copertura opaca. L’optimum sarebbe avere uno strato di vetro temperato (nel sandwich va ad una temperatura di 160°C) anche sul retro, ma dato l’elevato costo di questa soluzione, essa si impiega solo in casi speciali. Inoltre il vetro temperato sul retro richiede un'elevata precisione nella saldatura e deposizione degli strati metallici delle celle: infatti possibili asperità possono rompere il vetro quando è nel laminatoio. In conclusione il doppio vetro trova applicazione prevalentemente in campo architettonico. Quando la tempratura è di tipo termico il vetro si spacca in piccoli pezzettini, mentre quando è di tipo chimico si spacca in grossi pezzi. La tempra chimica si ottiene mediante immersione in H2F.
Il Tetlar è composto da: bianco Tedlar (37µ), poliestere (75÷80µ), tedlar. Il tedlar resiste benissimo ai raggi UV, mentre altri materiali si criccano. Il film di poliestere serve per l’umidità; il colore non conta. Il laminatoio è fatto con una piastra di Cu riscaldata, e con una membrana sotto il coperchio. La membrana, tramite pompa del vuoto, schiaccia il sandwich, facendo fuoriuscire l’aria. Inizialmente si porta la temperatura a 80°C, si chiude il coperchio del laminatoio, e l’EVA comincia a liberare il gas (acetato); chiudendosi il coperchio la pompa del vuoto comincia a funzionare, aspirando aria dai bocchettoni; meno acetato rimane più aumenta la trasparenza. Il vuoto attrae la membrana. Il processo è computerizzato: il sandwich rimane ca. 20 minuti sotto vuoto, a 145°C. Alla fine si spengono le resistenze e si invia acqua di raffreddamento all’interno della piastra. Ci si serve di fogli di carta e di un bisturi per “rasare” il modulo, che viene infine incorniciato. Nella fase di preparazione le barre di Al vengono tagliate con una macchina; il silicone (manualmente o con la pistola) viene inserito a mo’ di colla tra pannello e cornice, e pressato con un sistema pneumatico. A questo punto si fissano le scatole elettriche e si testa il pannello (ISO 9000). La genesi del pannello deve essere tracciabile. La macchina per il test contiene una lampada di prova e un condensatore ad elevata capacità per generare il flash. Bisogna ottenere una curva di prova di forma affine alla caratteristica della cella. Gli scarti andranno ad alimentare un sottomercato (es.: camper, ecc). Va considerata l’energia elettrica spesa per la saldatura delle bandine, quella spesa nella macchina per la saldatura in serie dei contatti, quella elettrica richiesta dal laminatoio e dai computer per il controllo della cottura del sandwich, quella necessaria al funzionamento della pistola al silicone, quella della macchina per il taglio delle barre di alluminio. Per un’analisi di secondo livello è necessario considerare anche i bilanci inerenti ai cicli di vita dei materiali e sostanze afferenti.

OPERAZIONI DI PROCESSO

1) tabbing;
2) saldature array;
3) composizione sandwich;
4) cottura in laminatoio;
5) rasatura;
6) montaggio scatola di giunzione;
7) incorniciamento;
8) test efficienza.

COMPONENTI AUSILIARI (BOS)

L’unità funzionale è il kWp fotovoltaico prodotto (funzionante per un’ora), il quale viene inteso come una sottoparte del modulo; in esso sono quindi inclusi i contributi della cornice di alluminio, della scatola di giunzione, dei diodi e tutti quei componenti che sono serviti per arrivare alla fabbricazione del modulo completo. Per passare da qui all’esercizio di un impianto FV sono necessari, oltre ai moduli, un insieme di componenti ausiliari che andranno a far parte dell’impianto; essi sono:
1. sostegni in acciaio zincato
2. MPPT
3. locale ausiliari
4. inverter
5. regolatore di carica
6. batteria
7. trasformatore
8. impianto elettrico (scatole di derivazione, cavi, quadri, impianto di terra)
9. contatore di energia
10. protezioni (scaricatori, ecc.)
11. eventuale impianto di inseguimento solare
12. apparecchio di monitoraggio (per impianti in parallelo alla rete).


Per ognuno di questi componenti ausiliari bisognerà considerare, prendendola da una base di dati LCA, la parte di ciclo di vita e i relativi bilanci che li interessano nell’ambito dell’applicazione al fotovoltaico. A seconda, poi, della tipologia dell’installazione, i contributi di cui sopra dovranno essere opportunamente organizzati e divisi. I limiti dell’analisi derivano dal grado di attendibilità e di accuratezza con i quali sono stati redatti i cicli di vita dei dodici componenti. Inoltre, per ogni tipologia di componenti si sceglie un prodotto campione: andrebbe considerata la totalità dei modelli in commercio e analizzate le variazioni dal caso campione, stabilendo quindi non dei semplici valori bensì una fascia di contenimento di questi valori, compilata con opportuni riferimenti ai vari modelli.

INSTALLAZIONE, ESERCIZIO E DISMISSIONE

L’installazione è la fase, in termini di bilanci, meno rilevante. Vengono portati sul luogo i moduli e gli ausiliari. L’unica operazione da considerare ai fini di bilancio sarà quella di sollevamento effettuata da apposite macchine. Così nei tre bilanci giocherà un ruolo unico il combustibile degli apparecchi di sollevamento, impiegato sia durante il viaggio della macchina al luogo di installazione, sia durante l’esercizio. Per quanto riguarda l’esercizio, sono possibili tre diverse configurazioni, di cui andranno riportati gli schemi: stand-alone, in parallelo alla rete o ibrido. Il bilancio energetico andrà diviso in fasce, a seconda della latitudine del luogo e della corrispondente curva isoradiativa; altre sottofasce saranno necessarie per considerare la diversa tipologia dell’impianto (alpino, uffici pubblici, in campagna) a seconda del grado di utilizzazione. Si trascura l’energia impegnata per i segnali di comando all’inverter. È d’uopo una stima del numero medio di interventi di manutenzione nel corso dell’anno (frequenza di interventi, specificata per ogni componente), e dei pezzi di ricambio necessari nel relativo periodo, considerando anche il trasporto (in genere su gomma) dei ricambi. Ci sarà poi bisogno delle curve di rendimento dei moduli in funzione del tempo di esercizio.
Per quanto riguarda il bilancio materiale, oltre ai ricambi e ai prodotti usati per la manutenzione (ad es.: per eliminare neve e sporcizia da pioggia depositatasi sui moduli), sarà da considerare l’H2 e l’O2 prodotto dalla batteria. Saranno interessati dalla manutenzione principalmente l’inverter, le batterie, il trasformatore. Nel bilancio ambientale il ruolo di primo piano è svolto dall’occupazione di territorio e dall’impatto visivo, oltre alla mancata energia assorbita dal suolo e agli effetti di tale fenomeno sull’ecosistema.



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