Italcementi diventa tedesca.


Quando diciamo che il fine ultimo è il piacere non ci riferiamo ai piaceri dissoluti e ai godimenti volgari, ma intendiamo il non patire dolore nel corpo e il non essere turbati nell'anima
Epicuro, Lettera a Meneceo

Dopo Andaldo sts e Breda ai giapponesi, Pirelli ai cinesi, Italcementi va ai tedeschi. Queste operazioni rappresentano due aspetti uno positivo e uno negativo. L'aspetto positivo sta nella constatazione che gli stranieri hanno ripreso a investire in Italia, l'apetto negativo mostra che il nostro management non è in grado di gestire le grandi imprese e deve, pertanto, ricorrere al management di altri paesi.
«Italiana o tedesca, non è la nazionalità a contare, ma l’efficienza. Ci sono aspetti che in Italia, in Italcementi, funzionano meglio che in Germania? Bene, sono pronto ad adottarli anche nella tedesca HeidelbergCement. E viceversa, naturalmente». Sono le parole di Bernd Scheifele, 57 anni, amministratore delegato del gruppo “made in Germany” che ha appena rilevato dall’Italmobiliare della famiglia Pesenti il 45% di Italcementi, per poi lanciare un’Opa sul resto delle quote.
Scheifele è volato a Bergamo, sede di Italcementi e del suo centro di ricerca I.lab, per un primo incontro con le linee di vertice del management italiano.
Herr Scheifele, quali sono i punti di forza di Italcementi? Qualche esempio?
«Siamo molto interessati al talento italiano per il design e la creatività, all’innovazione di prodotto, alla ricerca e sviluppo e alle piattaforme informatiche. Sono solo alcuni esempi, in un’operazione che unisce due aziende tra loro molto complementari. Lo scambio di know-how sarà un aspetto molto importante».
Nelle fusioni e acquisizioni, però, spesso ci sono anche sovrapposizioni e conseguenti tagli dei costi. Sarà così anche nel matrimonio del cemento tra Italia e Germania?
«E’ presto per dirlo. Dobbiamo valutare bene la situazione. Vogliamo sederci intorno a un tavolo con il management di Italcementi per studiare approfonditamente la società: come è strutturata e come vogliamo organizzarci».
Quindi?
«L’obiettivo è vedere quali funzioni andranno a livello di gruppo, senza duplicazioni, e quali invece resteranno a livello di Paese o di fabbrica. Dovremo capire, per esempio, come gestire gli acquisti, se centralmente o sulle diverse sedi locali. Ma naturalmente l’operazione con Italcementi non è una semplice questione di costi. La nostra filosofia di gruppo, che vale quindi anche in questo caso, prevede sì una rigorosa gestione degli oneri e una forte attenzione ai flussi di cassa, ma anche la voglia di continuare a investire nel business».
Anche sul marchio Italcementi?
«Tradizionalmente nel nostro gruppo conserviamo i diversi brand locali. Penso che manterremo la stessa linea anche in questo caso».
E sui mercati esteri, per esempio gli Stati Uniti, dove sono presenti sia HeidelbergCement sia Italcementi?
«Vedremo, la decisione è ancora tutta da prendere».
Dopo la tappa di Bergamo, quali sono i prossimi viaggi?
«Domani sarò a Parigi nella sede di Ciments Français, controllata dalla società bergamasca. E la prossima settimana andrò con Carlo Pesenti, consigliere delegato di Italcementi, a visitare la produzione in Egitto e Marocco. Sono mercati molto promettenti, dove la presenza di Italcementi e i suoi rapporti con i clienti sono molto importanti. Poi, a settembre, tornerò in Italia, per un giro delle fabbriche del Paese».
Prima la fusione tra Holcim e Lafarge, adesso l’intesa italo-tedesca. Il mercato del cemento si trova di fronte a un nuovo round di consolidamenti?
«Possibile. Questi accordi possono rivelarsi un punto di partenza per ripensare l’equilibrio dei poteri nel settore. Spesso a una fusione ne segue un’altra. E via dicendo».
Ogni fusione o acquisizione deve però ricevere l’ok dell’Antitrust, oltre a essere sostenibile per le casse di chi compra. Come avete affrontato la questione?
«Per questioni legate all’Antitrust abbiamo in mente alcune cessioni di fabbriche, soprattutto negli Stati Uniti e in Belgio. Quanto al debito, contiamo di ridurlo non solo con le dismissioni di attività, ma anche con gli effetti positivi che la fusione avrà sui flussi di cassa».
Positivi per tutti o solo per una parte?
«Questa è un’intesa che porta nuove opportunità a tutte le parti coinvolte. Ci sono più chance per tutti rispetto all’ipotesi di proseguire da soli, HeidelbergCement da una parte e Italcementi dall’altra, in un mercato in fase di consolidamento».
Quando è partita, sul tavolo, la fusione?
«Abbiamo iniziato a lavorarci a marzo».
Avete offerto agli azionisti un premio che supera di oltre il 70% il valore del titolo negli ultimi tre mesi. Forse avevate fretta di chiudere?
«Il prezzo può sembrare alto rispetto alle quotazioni di Borsa, ma è congruo se invece si considerano i reali valori industriali».
La vostra acquisizione ha riaperto in Italia il dibattito sulle aziende che passano da un socio italiano a uno estero. Che cosa ne pensa?
«Non è una peculiarità solo italiana. Anche in Germania molte grandi imprese hanno un azionariato principalmente estero. La stessa HeidelbergCement, al di là del 25% in mano alla famiglia Merckle, ha tra i propri azionisti diversi investitori istituzionali, dai britannici agli statunitensi fino agli asiatici. Senza dimenticare la quota che andrà in mano a Italmobiliare, in base ai termini dell’operazione».

da www.corriere.it - 31-07-2015

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