Noi, come in mezzo alle tenebre, passiamo oltre a quello che ci sta vicino, inciampando proprio in quello di cui sentiamo bisogno.
Seneca, De vita beata
Meteoclimatologia con il clima che cambia,
fragilità idrogeologica, ormai strutturale
del nostro territorio, prevenzione e allerta
come cultura e per la prevenzione e la
gestione delle calamità. Il consumo del suolo
rientra fra le componenti della fragilità del
territorio? Che lettura dà del fenomeno?
È vero che c’è un calo nell’ultimo decennio?
Non mi pare tuttavia che si possa ancora
parlare di inversione di tendenza, o sbaglio?
Nei primi decenni del dopo guerra il
consumo del suolo era strettamente
connesso all’aumento del benessere e
poi si è arrivati successivamente a un
processo di crescita demografica e di
evoluzione sociale. Negli ultimi 20 anni
si è registrato un aumento del consumo
di suolo totalmente slegato dalla crescita
demografica. Si è consumato troppo
e in maniera immotivata rispetto al
fabbisogno reale, con sottrazione di
terreno all’agricoltura e devastazione
del paesaggio. La crisi ha determinato
un rallentamento di questa dinamica,
ma senza una vera e propria inversione
di tendenza, anche per gli effetti di uno
sviluppo di urbanizzazione eccessivo nei
5-7 anni precedenti e del conseguente
invenduto che si registra ovunque, sia
per l’abitativo che per il produttivo.
Non possiamo certo affidare il governo
del territorio alla crisi dell’edilizia,
dobbiamo preoccuparci con lungimiranza
della dinamica del consumo di suolo,
sia perché il consumo non si è ancora
arrestato, sia perché contenerlo può
essere il modo migliore per fare ripartire
l’edilizia e quindi l’occupazione ma
su nuove basi, fondate appunto sulla
rigenerazione delle nostre città e sulla
riqualificazione edilizia, energetica e
sismica del patrimonio edilizio esistente.
Per questo si sta lavorando per dare al
nostro Paese una legge sul contenimento
del consumo di suolo che ha un obiettivo:
tendere al consumo di suolo zero al 2050,
come ci invita a fare l’Europa, in maniera
graduale e tenuto conto che il nostro
intervento legislativo nazionale deve
rapportarsi alla competenza delle Regioni
in una materia di competenza delle
Regioni stesse.
C’è solo il disegno di legge del Pd, oppure ce
ne sono altri?
Vi erano diversi disegni di legge depositati
in Parlamento; io, insieme al collega
Massimo Fiorio della commissione
agricoltura della Camera, sono la relatrice
di un disegno di legge che tiene conto
di queste proposte. Abbiamo deciso
di lavorare sul testo base che è quello
di iniziativa del governo. Abbiamo
ripreso la proposta che fu presentata
dal ministro Catania, poi ripresa dal
ministro dell’Ambiente Orlando, e
da De Girolamo, allora ministro delle
Politiche agricole; siamo partiti da quel
testo anche perché ha avuto l’avallo dalla
conferenza delle Regioni, in quanto c’è
un aspetto sensibile di attribuzione di
competenze da considerare. Siamo in una
fase conclusiva, anche se vanno esaminati
450 emendamenti, del nuovo testo base
che abbiamo adottato qualche mese fa.
Siamo riusciti ad avere finalmente il parere
dei due ministeri, Ambiente e Politiche
agricole, e credo che saremo pronti prima
dell’estate.
Ci può illustrare le linee fondamentali di
questo disegno di legge?
Questa legge, traendo spunto anche da
altre normative europee – Germania
e Inghilterra hanno da anni leggi per
il contenimento di consumo del suolo
agricolo – ha l’obiettivo di fissare limiti
quantitativi al consumo di suolo a fini
edificatori tendenti all’obiettivo zero al
2050; affida ai ministeri competenti e alla
Conferenza unificata, che si avvalgono
del supporto tecnico di Ispra e Consiglio
per la ricerca in agricoltura e per l’analisi
dell’economia agraria, la definizione
della riduzione progressiva in termini
quantitativi di consumo di suolo.
Questo valore, che viene definito a
livello centrale per tutto il paese, viene
quindi ripartito a livello regionale dalla
Conferenza unificata; le Regioni quindi
avranno una quantità contingentata di
suolo consumabile per i prossimi anni.
C’è un criterio per tenere conto del pregresso e
per ripartire nel modo più equo possibile, dal
punto di vista ambientale?
Si tiene conto del consumo di suolo
in relazione alla superficie agricola,
intendendo col termine tutte le superfici
allo stato di fatto non impermeabilizzate.
Nel definire i criteri e le modalità
per la definizione della riduzione del
consumo di suolo si tiene conto delle
caratteristiche ambientali e dello
stato della pianificazione territoriale,
urbanistica e paesaggistica, nonché
dell’estensione del suolo già edificato e
della presenza di edifici inutilizzati.
Tutto il procedimento di definizione
degli obiettivi di riduzione richiede un
certo tempo, per questo la legge prevede
un periodo transitorio in cui viene
congelata la possibilità di occupazione
del nuovo suolo agricolo, fatte salve
alcune eccezioni relative essenzialmente
a procedimenti edilizi già in corso (cioè
il permesso di costruire già dato) e piani
attuativi già adottati dai Comuni.
Mi pare di capire che la discriminante per
poter costruire o meno non è la semplice
previsione delle aree nel Piano regolatore
o Piano strutturale ma l’avvenuto
inserimento nel Piano attuativo del Comune
(Poc), è così?
Il Comune può consumare solo quello
che è già stabilito in modo operativo, il
resto viene congelato. Tema di grande
attualità è l’ultimo rapporto Ispra, appena
presentato, il quale ci dice che anche
per effetto della crisi dell’edilizia oggi
il consumo di suolo è determinato in
parte significativa dalle infrastrutture.
La legge attualmente fa salve tutte le
opere pubbliche inserite negli strumenti
e nei programmi di pianificazione e gli
obblighi che derivano dalle convenzioni
urbanistiche già sottoscritte dal Comune.
La legge, nel testo attuale, fa salve anche
le opere della legge obiettivo, sulla quale
stiamo ragionando, anche alla luce della
volontà del ministro Delrio di rivederla,
in senso restrittivo, in ragione di una
più attenta valutazione di quelle opere
infrastrutturali davvero prioritarie e
necessarie. Su questo punto stiamo
lavorando per una riformulazione del testo.
Una legge nazionale è importante perché
entra nel merito del governo del suolo,
insieme alle Regioni e ai Comuni, che sono
protagonisti molto importanti. Mi pare che
andrebbero considerate anche delle concause
difficilmente governabili con la sola legge.
Concause che si generano a livello locale
con effetti molto impattanti. Mi riferisco
al disposto combinato fra il grave stato di
finanza dei Comuni e la possibilità che i
Comuni stessi hanno di spendere i soldi
provenienti dagli oneri di urbanizzazione
per coprire la spesa corrente. Questo ha
prodotto un brutto effetto sul consumo del
suolo. È d’accordo?
Sì, perché non tutti gli amministratori
agiscono con la stessa logica di
responsabilità, poi naturalmente c’è una
difficoltà oggettiva dei Comuni nel fare
i bilanci. Questa legge però stabilisce,
una volta per tutte, che gli oneri di
urbanizzazione devono ritornare alla
loro destinazione propria. Abbiamo
scritto che debbono essere destinati alla
realizzazione e alla manutenzione di
opere di urbanizzazione e poi a opere di
prevenzione del sistema idrogeologico.
Nell’affermare questo principio ci
rendiamo conto che occorre anche
risolvere in altro modo il problema della
finanza locale.
Fermo restando che le infrastrutture stradali
sono necessarie, anche se in modo mirato e
selettivo, si può adottare qualche strumento,
nella legge, che scoraggi il vecchio modello
di sviluppo per cui fatta una strada ci si
costruiscono intorno case e fabbriche?
Penso proprio che uno dei problemi
più grossi che abbiamo avuto sia stato
questo. Molte volte le strade hanno solo
in parte dato risposta alle esigenze di
collegamento, ma nella maggior parte dei
casi hanno concorso a generare nuove
opportunità di urbanizzazione. Questo
è il destino che hanno avuto le grandi
autostrade. Per me è arrivato il momento
di porsi anche il problema di come
risolvere l’idea che la concentrazione
dei volumi, la densificazione edilizia,
sia un male. Dobbiamo fare in modo
che il suolo che abbiamo compromesso
sia usato in maniera rispettosa del
paesaggio, delle nostre qualità storiche,
ma in maniera adeguata ed efficiente.
Quindi questo pensiero ha portato, anche
in questa legge sul contenimento del
consumo di suolo, un articolo di principi
proprio sul tema della rigenerazione/
riqualificazione urbana e cioè il recupero
delle aree già compromesse, all’interno
della città, che devono essere recuperate
prima di occupare nuovo suolo.
Per non consumare nuovo suolo occorre avere
un pensiero profondo sulla trasformazione.
Un pensiero che sfruttando la scuola e la
cultura urbanista di questo paese sia in grado
di indirizzare la riqualificazione urbana
e dei siti produttivi, non solo la residenza.
Questo perché anche la trasformazione
può comportare rischi per il patrimonio
paesaggistico, soprattutto urbano.
Nonostante questa sia una legge “senza
portafoglio”, cioè mi pare che non si tratti di
una legge di spesa, si riesce a inserire qualche
incentivo, anche indiretto, una sorta di
premialità, per gli enti locali e per chi adotta
questa politica di riuso del suolo?
In questa legge ci sono delle norme
abbastanza generali su questo aspetto,
che vanno a indirizzare questo tema
con la possibilità di incentivare dal
punto di vista volumetrico, e non solo, le
trasformazioni di parti di città esistenti.
È una legge nazionale, detta i principi
ai quali si chiede alle Regioni di dare
attuazione, perché non c’è una incidenza
diretta. Secondo noi è importante tenere
insieme in questa legge questi due
aspetti in quanto sono collegati: creare
le condizioni affinché si consumi meno
suolo e rendere conveniente il recupero
dell’esistente.
È chiaro che ci sono cose che non stanno
in questa legge, ma che spettano alla
politica: la stabilizzazione degli incentivi
per la riqualificazione degli edifici, le
condizioni di recupero di aree dismesse,
rendere più praticabili le operazioni di
bonifica.
Ci sono punti di vista molto diversi,
io non sono per demonizzare la
perequazione all’interno delle città, se
devo recuperare può anche voler dire
che devo demolire e ricostruire in modo
diverso, altrimenti non ho le condizioni
per poterlo fare. Credo che quella sia la
strada giusta da seguire. Questa legge non
è di riforma urbanistica, di cui il nostro
paese avrebbe comunque bisogno, non
abbiamo voluto mettere tutto insieme in
questo testo, perché si rischiava di non
arrivare in fondo. Mi auguro tuttavia si
possa riprendere presto anche questa
discussione, per realizzare una riforma
più organica delle leggi in materia di
governo del territorio.
Intervista all'onorevole Chiara Braga (Pd) a cura di GIancarlo Naldi,
direttore responsabile di Ecoscienza
da ecoscienza 3/15 - 20 agosto 2015
Impresa Oggi - 3 agosto 2015