Non far nulla nella vita che ti possa fare paura se dovesse essere conosciuta dagli altri.
Dal gnomologio vaticano epicureo
Capisco l’esercito di astenuti in Grecia. Non ti viene la voglia di votare per la terza volta in 9 mesi, dopo aver dato la vittoria a gennaio a chi giurava di ribaltare le richieste Ue, dopo averla ridata a chi dal governo ti ha riportato a un referendum per respingere le richieste Ue, ma alla fine le richieste Ue le ha dovute e volute firmare, moderatamente attenuate ma sempre durissime, e comunque molto più dure di quelle che la Grecia avrebbe ottenuto se non avesse dato retta a Tsipras all’inizio. Ma che cosa significa davvero, la neovittoria netta di Tsipras? Per favore, ora non commettiamo l’errore di considerarlo un riformista socialdemocratico, perché non lo è affatto. Ma andiamo per ordine.
Non ci sarà dunque il governo di solidarietà nazionale tra Syriza e Nea Demokratia, l’esito che l’Europa sperava. Perché va bene che Tsipras ha dovuto cambiare radicalmente idea ed è diventato inopinatamente realista, invece di inseguire l’avventurista piano B di Varoufakis che voleva uscire dall’euro arrestando il presidente della banca centrale ad Atene. Ma l’Europa avrebbe preferito se ora Tsipras avesse dovuto condividere la responsabilità di governo con chi, come Meimarakis di Nuova Democrazia, esplicitamente dice che l’unica cosa che la Grecia deve fare è rispettare le intese con l’Europa, e pedalare ventre a terra. Al contrario, Syriza e la formaziocina di destra nazionalista con cui era spregiudicatamente alleata riottengono la maggioranza, sia pur risicata. Tsipras ha detto in campagna elettorale – l’unica cosa che ha detto, praticamente, è stato lontanissimo da ogni impregno concreto – che non avrebbe accettato mai un governo di convergenza. E i greci gli hanno dato ragione. Forse c’è della razionalità, in questo. Se Tsipras ritira la corda – come credo – almeno i greci si sono riservati per il dopo un’alternativa più moderata.
Per l’impatto del neo vittorioso Tsipras, distinguiamo i due piani: il primo è quello della Grecia in Europa, il secondo quello politico della sinistra.
Ai mercati il risultato non dispiace, Tsipras ha soprattutto vinto la sfida alla sua sinistra, accettando che un terzo dei membri dell’organo nazionale del suo partito provassero a sconfiggerlo alle elezioni: col risultato che non ottengono neanche il 3% e restano fuiori dal parlamento. Detto questo, molti elementi dicono che la nuova vittoria di Tsipras non significhi affatto che il memorandum d’intesa, tra Ue e Bce da una parte e Grecia dall’altra, sia a questo punto una Bibbia indiscutibile.
Nel solo mese di ottobre, ricorda giustamente l’ex direttore del FMI Andrea Montanino , il memorandum tra Grecia creditori prevede 55 nuovi atti legislativi e regolatori per cominciare ad attuare le riforme a cui Tsipras suo malgrado si è impegnato: pensioni, sanità, fisco, creazione di un’autorità indipendente sulle entrate, liberalizzazioni di molti settori e del turismo, riforma delle professioni. Quanto alle privatizzazioni, su alcune – per esempio quelle elettriche – Tsipras non ha mai abbandonato la sua contrarietà. E comunque va detto: l’intesa sulle privatizzazioni NON è assolutamente credibile. Dal 2011 a oggi il fondo ellenico responsabile delle cessioni pubbliche – si chiama HRADF, Hellenic Republic Asset Development Fund – ha avviato privatizzazioni per circa 7 miliardi, pari al 4% del PIL greco. Pensare davvero che entro il 2018 la Grecia privatizzi per 50 miliardi, cioè per un ammontare pari al 26% del suo PIL attuale, ha dell’assoluto inverosimile, quand’anche ci fossero davvero asset residui di quel valore. E’ come se all’Italia si chiedessero cessioni pubbliche per 400 miliardi: cedendo tutti i mattoni pubblici si potrebbe fare, ma capite al volo che non lo farebbe nessuno.
Infine, non dimenticate che la firma a fine luglio dell’intesa tra Tsipras e i creditori continua a veder incombere su di sé una appuntita spada di Damocle: l’abbattimento ulteriore del debito greco, chiesto da Tsipras, negato dalla Ue, e sostenuto dalla scorsa primavera però anche dal FMI (tanto, i miliardi la Grecia li deve ormai a Ue, ai suoi paesi membri e BCE, non al Fondo). La firma di allora fu apposta sulla base di un patto di fiducia: Tsipras ci faccia vedere che ora fa sul serio, e più avanti parleremo non di un vero taglio del debito, ma di allungarne ancor più le scadenze e di abbatterne ulteriormente gli interessi.
Chi qui scrive è convinto che l’abbattimento richiesto dalla Grecia – il secondo dopo quello del 2012, che vide i creditori privati perdere tra il 50 e il 60% in valore dei loro prestiti alla Grecia – sia tecnicamente giusto. E la pensano così moltissimi economisti, non solo keynesiani o ostili all’euro. C’è da scommettere che la nuova chiara vittoria di Tsipras lo porterà a rilanciare sull’haircut del debito: è meglio che a Berlino si preparino. E che cominciamo anche noi italiani a fare il conto di quanto perderemmo.
Quanto alla sinistra, ne esce con le ossa rotte chi ha puntato in mezza Europa sull’antagonismo di Varoufakis e di Unione Popolare, la neoformazione greca nata a sinistra gridando “traditore” a Tsipras. Ma già si vedono le giravolte: a casa nostra Vendola ieri sera dichiarava che in Grecia vince la sinistra che non si arrende. Come no, Tsipras ha firmato il contrario di quel che per due volte alle urne aveva giurato di non volere.
Detto questo, allo stesso modo è del tutto improprio dire che sia una vittoria netta del riformismo socialdemocratico. Non lo è: è una conferma delle molte facce contraddittorie che può assumere il neoradicalismo, rispetto ai tradizionali partiti socialisti travolti dall’eurocrisi. Il carisma personale porta a vincere e rivincere lo stesso leader, a distanza di pochi mesi e su scelte opposte. Sarebbe un errore pensare oggi che Tsipras sia la reincarnazione greca del tedesco Schroeder, che rimise i piedi la Germania con riforme impopolari del welfare, tagliando spesa e tasse, e rilanciando la produttività con grandi intese aziendali in cui si tagliava il salario per difendere l’occupazione. Tsipras si è liberato degli oppositori interni e ora può ritirare la corda. Anche l’Italia ne sa qualcosa, di come la leadership carismatica a sinistra sia qualcosa di molto diverso da una sana tradizione socialdemocratica, e a destra sia del tutto aliena da una sana tradizione liberale. Da chi vince per carisma è legittimo attendersi che possa fare e rifare l’esatto opposto di ciò che ha detto. Perché nel carisma la logica non è la coerenza, ma è la coerenza di voler vincere l’unica logica.
Oscar Giannino - da www.leoniblog - 21 settembre 2015