1. Cittadini mono- e multi-mediali in Europa, l’Italia in coda
L’unico paese che presenta un profilo simile al nostro è la Francia (con un 47,1% di mono-mediali rispetto al nostro 47%), mentre la Spagna (61,3% di multi-mediali), la Germania (67,7%) e la Gran Bretagna (74,9%) si collocano su posizioni molto distanti. È bene ricordare la situazione precedente del nostro paese. Negli ultimi anni, infatti, in Italia c’è stato un notevole passo in avanti dei multimediali, che erano il 46,6% del totale nel 2002 (anno a partire dal quale abbiamo dati confrontabili con gli attuali) e sono diventati il 53% nel 2006.
Un risultato importante, raggiunto in particolare grazie all’apporto delle fasce più giovani e più istruite della popolazione, ma con cui non riusciamo a colmare il divario che ancora ci separa dal resto d’Europa.
La natura di questo divario emerge chiaramente quando si osservano i consumi europei dei media. Già il modo dei consumatori italiani di avvicinarsi alla televisione è molto diverso rispetto agli altri paesi europei, in quanto in Italia tv significa ancora, principalmente, televisione analogica terrestre, cioè le tradizionali reti Rai e Mediaset a cui si aggiunge La7 e poco altro, dato che il 72,1% degli italiani vede solo questo tipo di televisione, mentre altrove l’effettiva possibilità di scelta tra canali diversi è molto elevata, specie se pensiamo alla Germania, dove l’esclusività della tv tradizionale si attesta al 49,6% della popolazione e alla Gran Bretagna, dove scende al 30,7%. Tutto questo nel momento in cui è stato sottoposto all’attenzione del Parlamento e dell’opinione pubblica un Disegno di Legge di riordino del settore della tv tutto incentrato sul riequilibrio delle frequenze terrestri, ma in cui non si nota un progetto di sviluppo della comunicazione televisiva via satellite, web e cavo, di diffusione della banda larga, di sostegno ai servizi video su cellulare.
2. A cosa servono i media
Informarsi e approfondiresono le attività preferite dal pubblico dei media, non solo per l’alto livello di risposte che gli attribuiscono la massima importanza (80,7% e 69%), ma anche per il livello quasi assente di nessuna importanza (0,8% e 3,2%). Molto più bassa, invece, risulta l’importanza attribuita all’intrattenimento (massima importanza al 41,3%, ma con solo il 4,7% di nessuna importanza), o al relazionarsi con gli altri (massima importanza al 45,3% e nessuna importanza al 12,3%), che sembrano delle funzioni centrali nell’esperienza della fruizione dei media di massa.
In realtà questi dati sono perfettamente allineati con le aspettative che si nutrono nei confronti del rapporto che si stabilisce con il mondo, dal quale si cercano di acquisire le informazioni che permettono a ciascuno di collocarsi al suo interno, entrando in relazione con altre persone e ricavandone anche delle forme di godimento. Cercare prima di tutto nei media delle informazioni, dunque, non significa acquisire una grande mole di notizie giornalistiche, ma sapere delle cose su qualunque argomento, pettegolezzi sui divi del cinema o aggiornamenti sulle dinamiche interne a un reality show, che poi diventeranno esse stesse il materiale su cui si fondano approfondimenti, intrattenimento, relazioni. Queste sono almeno le funzioni che risultano più collegate tra di loro, in quanto sia l’interesse per la musica che per i servizi utili risultano più autosufficienti (anche se indirettamente possono essere a loro volta fonti di informazione e relazione, oltre che, specie la musica, forma di intrattenimento), mentre inevitabilmente più marginale appare la funzione di orientamento per gli acquisti (per la quale troviamo il 25% di nessuna importanza che supera il 20,6% di massima importanza).
3. Nuove fenomenologie della lettura
Per la prima volta il numero di quanti in Italia hanno letto almeno un libro nell’ultimo anno supera la metà della popolazione al di sopra dei quattordici anni, ponendosi al 55,3%. Eppure, nonostante questo notevole passo in avanti, rimaniamo molto indietro rispetto agli altri paesi, che oscillano dal 62% della Francia, al 75% della Gran Bretagna.
Per cercare di capire qualcosa di più sui percorsi che portano i libri nelle mani dei lettori e comprendere cosa significhi leggere per le persone che si accostano ai libri, possiamo analizzare, con maggiore dettaglio, i dati raccolti. Appare evidente che dal punto di vista degli acquisti la distanza tra l’Italia e gli altri paesi è meno marcata rispetto alla lettura, anzi, gli italiani che comprano libri (48,7%) sono anche più numerosi dei francesi (46,6%) e poco meno degli spagnoli (53,3%), mentre solo tedeschi (61,5%) e britannici (64,7%) si collocano su di un piano nettamente superiore. Una differenza più marcata la si nota, invece, calcolando il numero di libri acquistati nell’ultimo anno, visto che il 43,3% degli italiani ne acquista da uno a tre, contro il 36,9% dei francesi e appena il 21% dei britannici, che invece nel 37,6% di casi ne comprano più di dieci e tutti gli altri ci superano in questa fascia, chiusa da noi con il 14,5%. Il problema è che le motivazioni che portano gli italiani ad accostarsi ai libri sono ancora molto circoscritte. La rilevazione sui generi dei libri acquistati sgombra il campo da ogni equivoco. Infatti, se si parla di letteratura contemporanea (settore nel quale compaiono praticamente anche tutti i cosiddetti best sellers), di classici e anche di romanzi d’amore e polizieschi, i nostri dati sono allineati con quelli degli altri paesi europei, ma non appena si passa agli altri generi le differenze diventano notevoli. Non solo siamo irrimediabilmente indietro nelle letture storiche e biografiche, ma anche nei libri di avventura e viaggi, nella fantascienza e nella letteratura comica, per non parlare dei libri scientifici, di management, psicologici e religiosi.
Da una parte, dunque, non siamo secondi a nessuno nel consumo di letteratura di qualità e di attualità, dall’altra non riesce a sfondare nel pubblico italiano l’idea che il libro sia un mezzo attraverso il quale acquisire informazioni utili, da sfruttare come uno strumento, anche senza venerarlo come una reliquia. Infatti, nella manualistica siamo molto indietro, così come nelle guide turistiche, cioè nelle letture più strumentali che esistano. Potrà apparire paradossale, ma la strada per l’aumento della lettura in Italia passa per la desacralizzazione del libro, che solo se viene pensato come uno strumento utile e non un oggetto di prestigio può passare più facilmente dai banconi delle librerie nelle case degli italiani, e dalle biblioteche nelle loro mani.
4. Centralità e multi-medialità della musica nella vita quotidiana
Tra le funzioni rintracciabili nel rapporto tra gli utenti e i mezzi di comunicazione, ben il 46,5% degli italiani attribuisce la massima importanza all’interesse per la musica, al terzo posto dopo i più urgenti bisogni di informazione e approfondimento ma, a quanto pare, più rilevante del desiderio di relazionarsi con gli altri, di accedere a servizi utili, di godere di forme di intrattenimento o di orientarsi negli acquisti. È soprattutto tra i più giovani che l’interesse per la musica svolge una preponderante funzione di stimolo all’uso dei media: gli attribuisce infatti la massima rilevanza il 68,6% dei giovani fra i 14 e i 29 anni, contro il 41,5% degli adulti fra i 30 e i 64 e il 35,7% degli anziani con oltre 65 anni. Da notare, inoltre, che nessuno al di sotto dei 29 anni dichiara di non nutrire interesse per la musica, mentre tra gli adulti e gli anziani si registra una totale indifferenza rispettivamente nel 7% e nel 9% dei casi. Anche il livello di istruzione incide sul peso esercitato dai propri bisogni comunicativi e sul valore ad essi riconosciuto. Risulta così che per le persone con un più alto titolo di studio la musica riveste una funzione di grande importanza più frequentemente (48,1%) che per quelle con un minor livello di istruzione (45,3%), le quali assegnano maggior valore all’intrattenimento in genere.
Ma quali sono i media a cui si fa ricorso per assecondare tale interesse e che grado di soddisfazione se ne ricava? Ai primi posti, per percentuali di utilizzo, la radio (77,4%) e la televisione (57,3%), ma la massima soddisfazione si ottiene con l’Mp3 (77,2%) e con Internet (69,7%), che pure sono usati da fette di popolazione significativamente più modeste: rispettivamente il 20,4% e il 13,3%.
La cara vecchia radio, benché abbia ormai perso il monopolio della diffusione musicale, riscuote ancora buoni consensi tra gli ascoltatori (il 67,9% esprime nei suoi confronti la massima soddisfazione) ma non v’è dubbio che, in termini di gradimento, non tanto la radio quanto l’apparecchio radiofonico, stia perdendo terreno di fronte alla possibilità offerta dalle nuove tecnologie di ascoltare i programmi musicali attraverso vari canali.
5. I quotidiani in Italia si vendono poco, ma vendono molto
Che in Italia i giornali vendano meno che negli altri paesi europei è un dato di fatto ormai acquisito, ma che oggi non esaurisce la complessità di un fenomeno reso tale dai profondi e accelerati cambiamenti che hanno investito il settore dell’editoria e, più in generale, dei media.
Non è più pensabile poter parlare di diffusione dei giornali e di percentuali di lettori riferendosi esclusivamente alla vendita e all’acquisto del tradizionale giornale cartaceo nelle edicole. Solo una parte dell’informazione giornalistica quotidiana è oggi in vendita nelle edicole, l’altra viaggia liberamente, e gratuitamente, su internet e sulle metropolitane, oltre che in televisione, alla radio e sui cellulari.
Di conseguenza, anche stabilire una definizione condivisa di quotidiano non è più così semplice: l’avvento della free press e soprattutto la diffusione dei quotidiani on line hanno infatti cambiato il mezzo, il modo di percepirlo e di usarlo. Diventa quindi più delicato anche interpretare le indagini di settore perché chi afferma di leggere i giornali non necessariamente potrebbe riferirsi al quotidiano acquistato in edicola, così come chi, viceversa, dichiara di non comprarne potrebbe in realtà leggere la versione on line degli stessi o la free press.
I dati a disposizione sulla produzione di opere allegate ad alcuni principali quotidiani italiani tuttora disponibili in edicola, perché ancora in corso o da richiedere come arretrati, sono sorprendenti per le dimensioni del fenomeno: ben 89 iniziative editoriali per un numero complessivo di volumi pari a 1.397. Il più presente in edicola appare il Corriere della Sera con 45 opere allegate, dai classici dell’arte e della letteratura, all’atlante degli animali e ai libri di cucina, per un totale di 643 volumi. Seguono La Repubblicacon 24 titoli per 239 numeri, La Stampa, con 19 opere per 229 volumi, Il Giorno, La Nazione e Il Resto del Carlino con 16 proposte editoriali composte però da ben 318 volumi e Il Sole 24 Ore con 9 raccolte per un totale di 207 libri.
Oltre che per i suoi risultati economici, che pure sono tali da sanare le perdite registrate dagli editori, il fenomeno va considerato anche per i cambiamenti sociali e culturali che ha saputo indurre. Non è infatti irrilevante e privo di implicazioni che il 46,2% dei lettori abbia comprato dei volumi allegati ai quotidiani e tra di essi l’84,7% ne abbia acquistati da uno a dieci, l’8,2% tra undici e venti e il 4,7% addirittura più di trenta. Questo significa, mediamente, cinque volumi in più all’anno in ogni famiglia e se negli ultimi anni è aumentato il numero di lettori occasionali di libri una parte del merito va sicuramente attribuita anche a questo fenomeno.
40° Rapporto generale CENSIS – Anno 2006
Stralcio su “Comunicazione e media”.
15 gennaio 2007