L'uomo che vive nella quiete sia più operoso, l'uomo d'azione trovi il tempo per meditare.
Seneca, Lettere morali a Lucilio
Esportare il modello-Milano a Roma e in tutta Italia? Lo slogan sembra diffondersi, all’indomani della chiusura di Expo e della nomina del prefetto di Milano, Paolo Francesco Tronca, a commissario di Roma dopo l’incredibile autodafè del sindaco Marino. E’ uno slogan che può sembrare ovvio e seducente, di fronte all’imminente Giubileo a Roma. Ma bisogna avere l’onestà liberale e non propagandistica di dirlo: attenti all’equivoco, perché c’è bisogno di altro.
L’EXPO è finito ieri con un ottimo bilancio. “l’Italia ha vinto la sfida”, ha detto alla cerimonia conclusiva il Capo dello Stato, Mattarella. E’ un fatto. Quando i ritardi nei lavori fecero dire ai più che la scommessa appariva in bilico, quando la scure degli scandali e delle indagini giudiziarie colpì anche progetti legati a Expo come quello delle cosiddette “Vie d’Acqua”, tutte le istituzioni milanesi, il governo nazionale e i manager di prima fila di EXPO, seppero serrare le fila. E il risultato c’è stato. Ventuno milioni di visitatori. Tutte le delegazioni internazionali, politiche e del mondo del business, unanimi nel riconoscere che non si aspettavano una prova così riuscita dall’Italia.
La vera chiave del metodo-Milano è stata una sola. Constatato che anche a Milano i ritardi delle procedure ordinarie dell’ancora vigente codice degli appalti si sommavano a quelli precedenti nelle decisioni di Regione e Comune, e che il malaffare era in agguato anche negli appalti lombardi, di fronte al baratro internazionale che sembrava aprirsi tutti hanno saputo convergere. Il governo ha messo soldi. I manager di EXPO, Regione e Comune hanno concordato comunque col governo di procedere in regime di deroga rispetto alle gare, ma spalancando a Raffaele Cantone e all’ANAC la porta preventiva di ogni aggiudicazione. I sindacati hanno siglato mesi prima la tregua su ogni sciopero. Quando l’inaugurazione fu bruttata dai black bloc, che misero a fuoco il centro di Milano, la reazione civile e istituzionale fu immediata e unanime.
Ma detto questo, valgono comunque quattro osservazioni.
La prima è che il prefetto Tronca, da solo, non avrebbe potuto ottenere nulla più a Milano del collega Gabrielli a Roma, se non avesse incontrato una convergenza assoluta di tutte le istituzioni, centrali e locali. Non è così a Roma, dove l’esperienza Marino tramonta nello scontro aperto tra governo e Pd da una parte ed ex sindaco dall’altro. E lo stesso vale per Napoli o Palermo e il resto del Sud. Forse è per questo ed è comunque apprezzabile, che il prefetto Tronca neo commissario a Roma abbia ieri cominciato a correggersi e a frenare, sulla replicabilità del modello-Milano anche altrove.
La seconda. EXPO è stato un successo, ma la sfida ha riguardato infrastrutturare e gestire al meglio un’area di 100 ettari. Sono un milione di metri quadrati, cioè un chilometro quadrato. Ma il Comune di Roma ha una superficie 1.285 volte superiore: pari alla somma di Milano, Napoli, Torino, Palermo, Genova, Bologna, Firenze, Bari e Cagliari insieme. A Roma per il Giubileo, per quanto gonfiate siano le cifre girate sull’attesa di pellegrini, è enormemente più complesso il compito di assicurare in poche settimane trasporti pubblici e raccolta d’immondizia efficienti, dopo decenni di malaffare e inefficienza, conflittualità diffusa e incuria civica. E la stessa cosa vale in tutto il Sud, verso il quale il governo non mostra la stessa forte disponibilità riservata a Milano, all’EXPO prima e ora all’utilizzo dell’area post EXPO.
La terza. Riguarda un tema scivoloso: la moralità pubblica. Sostenere la superiorità etica di Milano su Roma e sul Sud potrà piacere a molti, e molti dati come l’evasione IVA così attestano, ma comunque è un modo certo per sbagliare. Anche EXPO è stato realizzato in un regime di deroghe, e con le Procure addosso. Intanto, la riforma del codice degli appalti dopo 16 mesi ancora non è stata approvata dal parlamento (anche se per un liberale la riforma avrebbe dovuto disboscare molto di più le nome…). E il ruolo dell’ANAC non è ancora regola e non eccezione nella fase pre-appalti a Roma, dove la percentuale di gare affidate senza evidenza pubblica è rimasta maggioritaria anche sotto il sindaco Marino (anche se a un liberale l’ANAC sembra una foglia di fico…).
Ma no, in realtà non c’è una superiorità morale del Nord sul Sud: le norme favorevoli alla malagestio pubblica sono le stesse. In Italia c’è un problema generale di troppe regole vischiose che spalancano la porta ad affari impropri di chi le gestisce. Quando l’ex assessore ai Trasporti di Roma Esposito dice che funzionari e dipendenti del suo assessorato sono collusi, non è un prefetto super-commissario da solo a poter far pulizia. Cento centri di spesa pubblica all’ombra del solo Campidoglio e delle sue società partecipate sono ben altro problema, rispetto all’unica società che ha gestito EXPO. E in legge di stabilità non c’è l’ombra di una spending review né di una riduzione delle partecipate pubbliche, ovviamente.
La quarta osservazione, conclusiva. Dal successo di EXPO c’è da imparare. Ma i guai profondi di Roma e del Sud sono una sfida cento volte più complessa. Solo mobilitando per anni risorse incomparabilmente superiori, risorse istituzionali e civili, economiche e professionali, sarà possibile colmare il profondo fossato della fiducia aperto tra cittadini e cosa pubblica. Il miglior Giubileo possibile a Roma ha la forza di un simbolo. Ma la sfida a Roma e nel Sud non durerà sei mesi come a Milano, perché troppi sono gli anni degli errori commessi e da riparare. Il liberale resta scettico, insomma, e non crede ai miracoli.
Eugenio Caruso- 3 novembre 2015