L'acciaio italiano sta andando a picco


Dice un proverbio che il gladiatore decide le sue mosse quando è nell'arena.
Seneca, Lettere morali a Lucilio


Notizia numero uno: a fine ottobre 2015 l’Italia è uscita dalla lista dei primi 10 produttori mondiali di acciaio, segnando anche quest’anno un meno 8,6%. E’ l’effetto diretto del continuo declino dell’ILVA pubblica a Taranto, l’azienda espropriata senza indennizzo ai Riva a seguito della vicenda giudiziaria iniziata nel 2012.
Seconda notizia: in Svizzera, il tribunale federale di Bellinzona ha respinto su tutta la linea la richiesta avanzata dalla magistratura italiana di trasferire alla disponibilità dei commissari pubblici dell’ILVA 1,2 miliardi detenuti dagli eredi Riva su conti UBS. Per i giudici elvetici, è illegittimo espropriare fondi privati prima che venga emessa qualunque sentenza sui Riva indagati, in assenza di garanzie esplicite sulla loro tutela patrimoniale in caso di proclamata innocenza. Inoltre, era manifesto che la richiesta italiana fosse volta ad altro fine: non la sanzione per ipotesi di reato ancora da accertare, ma la devoluzione immediata al risanamento ambientale dell’ILVA ormai pubblica.
Terza notizia: la Commissione europea è ormai pronta a formalizzare la contestazione all’Italia per aiuti di Stato all’ILVA, per non meno di 1,8 miliardi a seguito dei due ultimi decreti riservati all’acciaeria di Taranto. I concorrenti dell’un tempo profittevole e temibile gruppo siderurgico italiano stringono d’assedio Bruxelles da ormai due anni, perché il dossier venga aperto.
Aridi fatti messi in fila: il bilancio dell’immane distruzione di valore, occupazione, export e gettito fiscale realizzata da una rinazionalizzazione per via giudiziaria che non ha eguali in alcun paese del mondo, tranne le autocrazie in cui le imprese vengono confiscate a discrezione.
Lasciamo ad altri – cioè ai sindacati – dar torto ai giudici svizzeri: in base anche alla più elementare concezione liberale del diritto penale e di proprietà, quei giudici hanno mille volte ragione.
Ma ormai questionare sul passato non ha molto senso: le procure hanno creato un fatto compiuto. E la domanda diventa un’altra. Come ne esce il governo? Stanzia altri denari del contribuente? Chiude l’impianto, che dà lavoro a 12 mila persone e oltre 22 mila con l’indotto, in una delle aree più colpite dalla crisi al Sud? O ha un’altra alternativa? L’Europa intanto dà quasi per scontato che, anche quei 2milioni di tonnellate annue che Taranto si è ridotta a produrre, presto scompariranno. E così diminuirà l’eccesso di produzione continentale. Cinesi e indiani, già da 2 anni, commossi ringraziano.


Oscar Giannino da www.leoniblog.it - 8 dicembre 2015

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