I lavoratori delle imprese italiane e la formazione

La verità è più strana della finzione; la finzione deve almeno avere un senso.

Leo Rosten


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L’Associazione Nazionale Editoria Periodica Specializzata ha commissionato, nel 2005, alla società Astra un’inchiesta demoscopica sul rapporto tra i lavoratori e la formazione (1). La ricerca, condotta in collaborazione con Doxa, è stata realizzata tramite 2000 interviste telefoniche su un campione rappresentativo di “persone attive” di età compresa tra i 18 e i 64 anni, individuate tra lavoratori dipendenti, lavoratori autonomi e imprenditori.

La ricerca era articolata in una serie di domande, riportate nel seguito con le relative risposte.

D 1. E’ importante la formazione legata al lavoro?

Importantissima

92,5%

Dipende dai casi

4,3%

Non importante o non so

3,2%

D 2. Perché è importante la formazione legata al lavoro?

La formazione legata al lavoro è importante per …

Crescere professionalmente

92,6%

Permettere ai lavoratori di essere attivi e consapevoli

87,4%

Rendere le imprese più competitive

86,5%

Consentire di adattarsi alle imprese che cambiano

82,5%

Rendere l’impresa italiana più competitiva nel mondo

80,5%

Consentire di trovare un buon lavoro

77,9%

Rendere l’Italia più matura e civile

76,2%

Rendere più efficiente la pubblica amministrazione

72,9%

Consentire di guadagnare di più

62,8%

Consentire di cambiare lavoro più facilmente

62,2%

Analizzando questi dati con altri emersi dai questionari risulta che il 91% dei lavoratori ritiene che la formazione avvantaggi innanzi tutto coloro che lavorano, il 66% ritiene che avvantaggi le imprese, il 58% ritiene che la formazione sia un bene generale per la società.
È importante notare come sia forte l’apprezzamento sulla valenza “a favore della collettività” che i lavoratori percepiscono della formazione.

D 3. Qual è il giudizio sull’attuale formazione legata al lavoro in Italia?

Oggi la formazione legata al lavoro è …..

Considerata più importante che nel passato

68,8 %

Oggetto di chiacchiere e convegni, ma poco realizzata

64,6%

Rovinata da sprechi e ruberie

63,7%

Inquinata da interessi politici

60,3%

Inquinata da interessi economici deteriori

60,1%

Troppo scarsa

59,2%

In ritardo sui tempi

58,1%

Meno diffusa e qualificata che in altri paesi

57,8%

Riservata a pochi

52,5%

Come è ora, utile ai lavoratori

45,0%

Di bassa qualità

43,0%

Favorita dai contratti di lavoro

39,4%

Favorita da nuove leggi

37,1%

Come è ora non utile alle imprese e alla PA

35,2%

In forte crescita

34,5%

Fatta con programmi, testi e insegnanti adeguati

33,6%

Diminuita negli ultimi anni

32,0%

Favorita e aiutata dal governo

28,4%

Favorita da investimenti sufficienti delle imprese

24,6%

Favorita da investimenti sufficienti dello stato/regioni

24,2%

Il giudizio di più di due terzi degli intervistati è positivo e sostiene che oggi si dà maggior importanza alla formazione che nel passato.
Poi si riscontra una lunga serie di giudizi percentualmente importanti, ma negativi. Grandi chiacchiere ai convegni, scarsa realizzazione, sprechi e ruberie, inquinamento per interessi politici deteriori (al sud questa critica è più forte); il 60% circa ritiene che la formazione legata al lavoro sia inquinata da interessi economici deteriori, sia quantitativamente insufficiente, sia arretrata, sia meno diffusa e qualificata rispetto ad altri Paesi, sia riservata a pochi.
L’analisi statistica mostra che l’indice di critica su come viene svolta la formazione legata al lavoro in Italia è:

  1. Alto per il 36,7%
  2. Medio per il 37,5%
  3. Basso/nullo per il 25,8%.

Ciò significa che il 36,7 % degli intervistati è eccezionalmente critico e il 37,5 % è critico.
Tre addetti alle imprese di produzione su quattro reputano che in Italia, sul fronte della formazione, siamo in presenza di una insufficienza quantitativa, qualitativa e anche etica.
Secondo un indice che misura estroversione, leadership e innovazione sono i gruppi più dinamici ad essere critici, il che vuol dire che queste opinioni, essendo condivise da persone che influenzano gli altri, tendono ad estendersi.

D 4. Qual è il giudizio circa la propria formazione scolastica?

La formazione che ho ricevuto dalla scuola è stata  …

Discreta o buona

70,8%

Ottima

19,0%

Utile per la mia maturazione umana e culturale

70,1%

Valida anche se non collegata al lavoro successivo

68,3%

Allora valida, ma, oggi, superata

55,5%

Troppo astratta e teorica

49,1%

Utile, poi, nel lavoro

41,3%

Insufficiente per colpa mia

25,9%

Concreta e specifica per il lavoro successivo

25,2%

Finora è stato affrontato il tema della formazione legata al lavoro, ma la ricerca ha voluto aprire una parentesi per capire quali sono i giudizi del mondo dell’impresa sulla formazione avuta durante l’excursus scolastico.
Come è noto, in Italia, esiste da decenni un dibattito molto forte su quale debba essere il ruolo della scuola.
Si contrappongono, sostanzialmente, due tesi, a volte contraddittorie, a volte integrate tra di loro.

Secondo la prima tesi la scuola non deve preparare al lavoro, ma deve preparare alla vita, deve offrire una cultura generale, creare persone in grado di apprendere. Il lavoro lo si impara nell’impresa e comunque, quando la scuola offre insegnamenti relativi al mondo del lavoro, questi sono già obsoleti. È quindi bene creare gente con una solida etica, con capacità di interagire con gli altri, con idee ampie sul mondo, che sia flessibile, dopo di che si aggiornerà facendo.

Secondo la tesi opposta la scuola deve avere un carattere professionalizzante. Molte competenze, molte abilità devono essere apprese già durante il corso di studi. Questo non solo per coloro che seguono gli studi tecnico professionali, che più facilmente hanno uno sbocco in mestieri già definiti, ma anche per coloro che hanno una preparazione diversa. Con uno slogan si potrebbe dire” meno latino, greco e filosofia e più fisica, chimica, laboratori e lingue straniere”.

Questa ricerca dà parzialmente una risposta anche se, naturalmente, le opinioni contrapposte restano tali.
La ricerca  mostra che la gente è abbastanza o molto soddisfatta della scuola per quello che riguarda la propria formazione generale, mentre è largamente scontenta per quello che riguarda la componente professionalizzante di preparazione e avviamento al lavoro.
Circa 9 su 10 di coloro che oggi lavorano e hanno tra i 18 e i 64 anni, dà un giudizio discreto, buono o ottimo, comunque non prevalentemente critico, nei confronti della propria preparazione scolastica. Meno di un quinto ne è entusiasta ma il 70,8% è moderatamente contento.
Non si risolve il nodo della contrapposizione, a volte frontale tra i due “ partiti”  citati prima. Chi reputa che la scuola debba essere professionalizzante o comunque avviante al lavoro troverà, in questi dati, una conferma dell’insufficienza della scuola. Chi, viceversa, rivendica un modello di scuola non troppo connesso al lavoro, potrà dire che il modello storico della scuola italiana crea soddisfazione per il suo ruolo culturale e formativo.

D 5. Qual è il giudizio circa la formazione ricevuta durante l’attività lavorativa?

Hai ricevuto formazione dopo aver iniziato a lavorare

Si

51,2%

No

48,8%

Si riscontra un dato preoccupante: un 49% dei lavoratori afferma di non aver mai ricevuto formazione dopo aver iniziato a lavorare.
Quelli che hanno ricevuto una formazione si collocano nelle aree più forti del Paese.
La percentuale media di coloro che hanno ricevuto formazione è del 51%, ma in Piemonte, Val D’Aosta e Lombardia, si raggiunge il 61%. Le percentuali sono superiori alla media nelle aree urbane metropolitane, tra i diplomati e i laureati, tra le persone che percepiscono redditi medio alti e alti, tra coloro che accedono a Internet e che leggono regolarmente un quotidiano.
Questo vuol dire che, da un lato si amplia il divario tra l’Italia e i paesi più avanzati, e che, dall’altro, cresce il divario interno.
Gruppi sociali relativamente privilegiati camminano più velocemente, mentre coloro che restano indietro sono i ceti meno scolarizzati e con minor reddito. Si accentua così quel circolo vizioso per cui i marginali lo diventano sempre più.

È noto che un altro problema molto sentito nel mondo del lavoro è rappresentato dal cosiddetto precariato, specialmente perché colpisce, in percentuale elevata, i giovani. Questo argomento è sempre più spesso oggetto di diatribe politiche  tra destra e sinistra con attribuzione di torti di varia natura. Il mio parere è che, considerando “fisiologica” una percentuale di lavoro precario,

  1. è molto difficile che un’impresa mantenga in uno stato di precariato un giovane che si riveli utile per l’impresa,
  2. spesso i giovani si intestardiscono su strade non consone alle proprie capacità,
  3. una buona fetta di precariato potrebbe scomparire se i giovani, di propria intenzione, oppure con il sostegno delle imprese più evolute, investissero maggiormente nella formazione di ingresso al lavoro.

(1) L’autore ringrazia L’ANES per avergli consentito di pubblicare i risultati commissionati da ANES ad ASTRA.


Nell’ambito del convegno organizzato dall’ANES per illustrare i risultati di questa inchiesta, Giovanni Puglisi, rettore dell’Università IULM di Milano ha riconosciuto che, in Italia, il tema della formazione delle persone attive non è molto sentito nemmeno nel mondo universitario.
Egli ha ammesso che avviare un processo innovativo in merito alla formazione del lavoratore richiederebbe un diverso approccio del sistema universitario nei confronti del sistema produttivo.

L’Università avrebbe un meccanismo di reclutamento delle proprie professionalità obsoleto e legato ad aree disciplinari ingessate nella storia dell’Università stessa, che la rende impotente nel rispondere ai bisogni di un sistema produttivo in rapida evoluzione rispetto all’immobilismo del sistema universitario.
Un sistema dell’alta formazione, in grado di fornire qualità e livello di aggiornamento verso il sistema produttivo, avrebbe, a sua volta, bisogno di quel sistema e di quell’impresa al proprio interno, per rivitalizzare i meccanismi e i livelli di formazione. Attualmente, l’Università, salvo casi rari, non è stata in grado di attivare questo circolo virtuoso.

D 6. Quali sono gli strumenti della formazione ricevuta legata al lavoro?

La formazione legata al lavoro è avvenuta tramite …

Colloqui e incontri con persone più esperte

61,6%

Corsi organizzati dal datore di lavoro

60,8%

Lettura di libri e dispense

58,8%

Lettura di riviste specializzate

45,9%

Corsi di formazione pubblici gratuiti o quasi

44,8%

Corsi di formazione privati a pagamento

34,1%

Stage in altre imprese o uffici

24,4%

Internet

22,7%

La formazione che ha ricevuto il 51% del campione vede, quindi, la seguente articolazione, in ordine decrescente.

  1. Colloqui con persone esperte. Quindi, non una formazione formale, ma informale, all’insegna di un reticolo di relazioni interpersonali.
  2. Corsi organizzati dal datore di lavoro. Sono gli strumenti che, in genere, riscuotono maggior successo tra i lavoratori.
  3. Lettura di libri e dispense. Spesso riguarda la fase di acculturamento di carattere generale.
  4. Lettura di riviste specializzate. E’ uno strumento potente di formazione.
  5. Corsi pubblici gratuiti. Non hanno, generalmente, elevati standard qualitativi.
  6. Corsi privati a pagamento non imposti, ma scelti per aumentare la propria formazione o, specialmente al Sud, anche come area di parcheggio nell’attesa di trovare un posto retribuito.
  7. Stage presso altre imprese. Molto utili, anche se sottoutilizzati.
  8. Internet. Le sue potenzialità non sono state ancora del tutto sfruttate.

Il panorama della formazione organizzata nell’impresa per valorizzare le risorse umane è abbastanza deprimente anche perché, se togliamo il learning on the job (2), la percentuale del campione sottoposto a vere attività di formazione scende al 41%.
Io personalmente, durante la mia attività di dirigente e imprenditore ho avuto modo di constatare che il personale di imprese italiane assorbite da gruppi stranieri, in particolare Usa, dichiara che la più evidente differenza tra gestione italiana e gestione straniera sta nella maggiore importanza che questa seconda dà alla formazione.

D 7. Qual è il giudizio sulle riviste specializzate?

Le riviste specializzate nel proprio settore sono  …

Utili per tenersi aggiornati

89,1%

Utili per capire come cambia il settore

83,4%

Utili per conoscere le opinioni di esperti

76,0%

Utili per conoscere nuovi prodotti o soluzioni

75,8%

Interessanti

75,4%

Utili per conoscere innovazioni scientifiche, tecnologiche, organizzative

 

74,3%

Utili per sapere come cambiano leggi e norme italiane ed europee

 

71,5%

Utili per chi vuole arricchire le proprie conoscenze scolastiche

 

58,5%

Indispensabili perché non esistono altri strumenti di informazione specializzati

 

28,6%

Utili per trovare o cambiare più facilmente lavoro

25,4%

Affrontiamo il problema sulla base delle risposte ottenute anche con altre domande.

  1. Meno dell’1% del campione afferma di non conoscere le riviste specializzate. Questo dice che quando si parla di riviste tecnico professionali, tutti sanno di che cosa si tratta, quindi esse hanno una notorietà diffusa.
  2. Il 47% non le legge; è un dato negativo ma anche un dato che mostra un mercato potenziale di grande rilievo, d’altra parte, solo il 6,9% le ha abbandonate.
  3. Del 53% dei lettori, il 39% le legge regolarmente; il 61% sono i lettori saltuari, non abbonati che leggono le pubblicazioni che trovano  nell’impresa.
  4. I lettori delle testate specializzate, solo in un caso su due sono stati coinvolti in iniziative aziendali di formazione. Le testate specializzate sono quindi, per questo campione, uno strumento fondamentale per la formazione continua.

La ricerca condotta da Astra mostra, in sintesi, una serie di valutazioni.

  1. Un giudizio molto positivo sull’esperienza scolastica, anche se la positività è, in parte, oscurata da una valutazione prevalentemente negativa circa la funzione professionalizzante di tale esperienza.
  2. Un giudizio eccezionalmente positivo sull’importanza della formazione.
  3. Una sorta di denuncia dell’insufficiente investimento in formazione da parte delle imprese.
  4. Il ruolo fondamentale svolto dalle riviste specializzate a favore della formazione. Un ruolo, per certi versi, anche di supplenza anziché di integrazione. Da parte della popolazione che lavora c’è una forte spinta perché su esse si investa.

Il costo dell’ignoranza informatica

Una ricerca condotta, negli anni 2003 - 2005,  dall’AICA (Associazione Italiana per l’Informatica e il Calcolo Automatico), in collaborazione con la SDA – Bocconi, dal titolo Il costo dell’ignoranza nella società dell’informazione,ha stimato in 15,6 miliardi di euro il danno che l’Italia subisce ogni anno per la scarsa preparazione informatica dei suoi lavoratori.
Il tempo medio perso ogni settimana da ogni utente di PC non specialista  (sono circa 6 milioni in Italia) è stato quantificato in 171 minuti:

  1. 38 minuti per aiutare i colleghi in difficoltà,
  2. 22 per problemi di stampa,
  3. 22 in attesa di aiuto,
  4. 14 in manovre errate di accesso ai data base,
  5. 13 per tentativi impropri di accesso ad Internet,
  6. 12 per l’uso maldestro delle e-mail,
  7. 11 per l’uso maldestro dei programmi di elaborazione testi,
  8. 6 per problemi connessi ai virus.

La ricerca ha mostrato che la soluzione a questo grave problema dell’economia italiana non è tanto legato alla poca sensibilità delle imprese nei confronti dell’informatizzazione, ma alla loro poca sensibilità al problema della formazione informatica, vera leva per aumentare l’autonomia e la produttività dei lavoratori.
Si noti che l’Italia è al terzultimo posto nella graduatoria dei primi 15 paesi dell’UE per incidenza della formazione informatica di base sulla forza lavoro.
Gli addetti delle imprese che hanno avuto un minimo di formazione in materia non supera il 18% in Italia, contro il 28 % medio dei 15 paesi presi in considerazione (le star sono: Danimarca 55,6%, Finlandia 49,2% e Svezia 46,1%).

Occorre, peraltro, notare che una volta che un lavoratore abbia ricevuto una formazione informatica di base è sufficiente che segua una rivista di settore per mantenere e accrescere gradualmente la propria cultura. Inoltre i costi per una formazione di base, sufficiente per consentire al lavoratore di proseguire nell’acculturamento informatico, in modo autonomo,  sono modesti.

D’altra parte, la competitività di un’impresa passa obbligatoriamente attraverso l’innovazione, che, a sua volta, non può prescindere dall’utilizzo mirato e sistematico dell’informatica; pertanto, le imprese, specie se PMI, devono investire nella formazione informatica dei propri addetti e superare le difficoltà reali o virtuali.

La mia personale esperienza indica nei seguenti fattori le ragioni per cui le imprese non investono in formazione informatica:

  1. costi ritenuti troppo elevati,
  2. barriere culturali,
  3. incertezza sul ritorno degli investimenti,
  4. mancanza di personale da  avviare alla formazione.

Purtroppo questo atteggiamento, che come abbiamo visto investe tutto il fronte della formazione dei lavoratori italiani, sarà la ragione del decadimento e della scomparsa di quelle imprese che non adotteranno seri programmi di formazione.

Non occorre molta fantasia per comprendere quale potere comunicativo ha l’impresa che ha interiorizzato nel proprio dna la cultura informatica.

La facilità di trasmettere e ricevere e-mail, la semplicità nello scambio di documenti, fotografie o disegni, la “normalità” nello scambiarsi link e indirizzi web, l’esistenza di un sito web ben costruito e utilizzabile, trasmettono l’immagine di un’impresa viva, che sa vivere il proprio tempo.
Potrebbe sembrare poco credibile, ma le imprese con le quali le operazioni succitate avvengono con enormi difficoltà non sono poche e la sensazione che se ne ricava è dolorosamente negativa.

Eugenio Caruso


(2) Formazione acquisita lavorando.


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