Mentre uno guasta l'altro, ne è guastato lui stesso.
Seneca, Lettere morali a Lucilio
Fra opportunità e criticità l’ecosistema digitale traccia cambiamenti profondi. Lo sviluppo e la diffusione delle nuove tecnologie rappresentano una vera e propria rivoluzione, a cui nessun versante della società resta immune: dall’informazione all’economia, dalla vita sociale al lavoro, dall’organizzazione delle città alla pubblica amministrazione. Uno dei tratti distintivi della rivoluzione digitale è l’uso, sempre più ampio, dei bigdata, un fenomeno dalla portata enorme, ricco di potenzialità, ma anche di rischi. La sfida è estrarre senso da sterminate quantità di dati, per le finalità più varie: monitorare comportamenti sociali, prevenire l’espansione di un’epidemia, migliorare la sicurezza delle città, prevedere lo sviluppo economico dei luoghi in base a come le persone si muovono. I dati, poi, se analizzati con un approccio creativo, possono guidare gli analisti verso nuove informazioni, diverse da quelle cercate inizialmente. Capacità descrittiva, capacità analitica, storytelling e sviluppo di un uso etico sono gli obiettivi cui deve puntare la formazione ai bigdata, indispensabile per gestire uno strumento così potente.
Ognuno di noi produce 4 GB di dati all’anno e questo dato è destinato a crescere: è sufficiente accedere a un social network, usare uno smartphone o semplicemente navigare sul web, per cedere informazioni sui nostri dati demografici, i nostri stili di consumo, le nostre abitudini. Lo scenario che si profila è che, in un futuro non troppo lontano, i cittadini potranno monetizzare dalla cessione dei propri dati. Già oggi molti servizi, in particolare digitali, dai social network all’e-mail, sono gratuiti in virtù dell’acquisizione di informazioni sugli utenti, ma la quantità di beni di consumo cui potremo accedere “pagando” solo con le nostre informazioni, sarà sempre più grande.
Dirompente, poi, è l’impatto della tecnologia sull'organizzazione del lavoro. La rivoluzione digitale trasforma sta ridisegnando numerose figure professionali, il che implica la necessità di nuove professioni da progettare, un adattamento delle competenze e inevitabilmente la scomparsa di alcuni profili lavorativi. Occorre tuttavia evitare lo scontro fra posizioni fideistiche rispetto all'innovazione e posizioni lobbistiche rispetto ai vecchi mestieri. Internet of things, big data analytics, mobile and cloud computing sono alcune delle sfide che le imprese devono affrontare per sopravvivere in un ambiente competitivo. Talmente competitivo, che si parla di darwinismo digitale: alcune delle aziende quotate in borsa cinque anni fa, oggi non esistono più. Vanno avanti quelle che sanno cogliere i mutamenti e che sanno adattarsi velocemente: se il tempo esterno all'azienda è più veloce di quello interno, la sua esistenza è seriamente a rischio.
Trentamila aziende italiane fanno ricorso abitualmente a uno fra i principali artefici della rivoluzione del retail, eBay - il 60% delle imprese lo utilizza per l’export – e la real time customization è uno strumento che viene sempre più adottato – Amazon può cambiare il prezzo delle merci anche quotidianamente, in base al trend degli acquisti -. I consumi, insomma, stanno migrando on-line ed è necessario continuare a intercettarli. È cambiato il modello di acquisto anche rispetto al brick and mortar retail: anche quando i clienti si recano nel negozio fisico, hanno già subito l’influenza della rete, e hanno preso già una decisione rispetto alle informazioni che hanno trovato.
Il sistema imprenditoriale italiano può stare al passo solo se supera le proprie fragilità, a partire da una scarsa visione strategica sia da parte delle aziende che dello Stato, recuperando l'ingegneria visionaria che ha fatto grande il Paese nell'innovazione del Novecento e cessando di utilizzare Internet solo a scopi ludici, quindi da consumatori, anziché per produrre ricchezza; formando i giovani sui modelli di business del digitale; diminuendo la frammentazione di sistema (nel Paese sono presenti circa 40mila amministrazioni pubbliche); infine, imbastendo una robusta filiera amministrativa, che equivale a una catena di comando efficace, e creando efficienza nella pubblica amministrazione.
Editoriale www.aspeninstitute.it - 23 marzo 2016