Il tempo ci rapisce gli altri , ma toglie, furtivamente, a noi una parte di noi stessi.
Seneca, Lettere a Lucilio
L’agricoltura è a un passaggio
molto impegnativo della sua
storia moderna.
C’è uno spaventoso divario fra la
razionalizzazione del made in Italy
agroalimentare e una realtà che propone
una nuova dimensione competitiva ricca
di opportunità, ma anche di insidie.
Non è cambiata la natura dei processi
economici, è cambiata però tantissimo
la loro estensione, l’intensità e
l’accelerazione con cui si realizzano.
Ci sono problemi di definizione del ruolo
dell’agricoltura, di riposizionamento
di interi comparti, di organizzazione
funzionale e infine, in qualche caso, ci
troviamo di fronte a fenomeni di vera e
propria dismissione produttiva.
Le prospettive del settore e del
territorio interessato sono differenti in
rapporto alle condizioni strutturali, alle
potenzialità merceologiche, al corredo
identitario dei prodotti. C’è un problema
di remunerazione dei prodotti che rischia
di compromettere le condizioni che sono
alla base della stessa conservazione e
riproducibilità dei sistemi.
La destabilizzazione, per la prima volta,
colpisce maggiormente la pianura, quindi,
paradossalmente, la terra più vocata
all’agricoltura, che allo stesso tempo
è quella deputata alla produzione di
commodities prive di caratteri distintivi.
Il paesaggio agrario della pianura padana,
risparmiato dall’erosione abitativa, si è
trasformato radicalmente senza che si
siano aperte alternative.
Due fattori, più di altri, influenzano
questa fase: da una parte la pressione
internazionale per mercati più aperti con
l’esigenza storica di adottare politiche
inclusive, dall’altra la pressione interna
per un’agricoltura che tuteli la salute,
l’ambiente e il territorio.
Una risposta positiva alla seconda di
tali questioni è il solo modo per non
squilibrare l’insieme sotto il peso della
prima.
L’antidoto alle politiche
neoprotezionistiche e alla follia dei
dazi sta nella difesa di questo stadio
competitivo, del tipo di competitività
indicato alle nostre imprese come terreno
su cui muoversi. È importante dire alle
imprese “dovete vincere con la qualità”,
ma questa opzione va poi perseguita con
politiche forti articolate dal livello locale
a quello dell’Unione.
Questa strategia va perseguita con molta
determinazione e per farlo occorrono
regole intelligenti e controlli efficaci, oltre
a un sostegno istituzionale attivo per
accompagnare il percorso.
Dai produttori occorrono invece strategie
imprenditoriali finalizzate all’autogoverno
dell’offerta e alla competitività delle
imprese e dei sistemi, si sta sui mercati
in modo diverso, ma tutti devono
assoggettarsi alla sfida dell’efficienza.
A questi obiettivi si sta lavorando da
30 anni, ma i problemi cambiano, si
accentuano, gli strumenti d’intervento
vanno continuamente affinati.
Ci sono molti tipi d’innovazione ma
nessuna parte dell’agricoltura italiana può
discostarsi dai temi della qualità, della
salute e del territorio.
L’agricoltura è un settore economico
uguale agli altri e contemporaneamente
diverso dagli altri. La considerazione
sociale della molteplicità e del rilievo
delle sue funzioni è altrettanto
importante del riconoscimento del valore
dei suoi prodotti da parte del mercato.
Può esistere una qualità, esito della sola
scelta d’impresa ma ben altra è la forza
che si ottiene se c’è un’inclinazione
sensibile di carattere istituzionale e
sociale sui temi della salute, dell’ambiente,
della cultura, della responsabilità e della
solidarietà, se c’è in sostanza, una politica
multidisciplinare della qualità e per la
qualità che orienta e accompagna le scelte
dell’impresa.
Serve un’azione di governo condivisa
e cointerpretata con le Regioni che
metta imprese, consumatori, lavoratori
in condizione di svolgere al meglio
questa opzione strategica. Le politiche
per la qualità devono divenire il punto
d’incontro tra nuovi diritti che la società
rivendica e ricerca di opportunità
competitive che l’agricoltura persegue.
Un profilo regolativo alto delle nostre
produzioni sul piano della sicurezza e
della qualità è un fattore di marketing su
cui lavorare per fare reddito e non una
condizione subita su cui recriminare.
Se non sarà così assisteremo al
rafforzamento e anche alla degenerazione
di una domanda di ritorno delle
nostre imprese, una domanda che già
esiste e che segue il filo perverso della
deregolamentazione mondiale che via
via abbassa i profili di welfare e di tutela
sociale e ambientale conquistati, nella
vana illusione che ciò possa renderci
competitivi.
Questi processi richiedono due piani di
risposta fra loro connessi: un progetto
strategico costruito sulla lettura di ciò
che siamo, delle nostre potenzialità
e sulla assunzione razionale delle
dinamiche produttive e commerciali dei
nostri competitori e un governo della
transizione con una visione chiara e una
iniziativa forte senza contraddizioni.
Per fare questo la politica non si senta
sola, nel nostro paese: sia pure fra
parzialità e frammentazione, esiste
un patrimonio scientifico di grande
valore: agronomia, entomologia,
meteoclimatologia, tossicologia, sono
alcune delle branche scientifiche che
hanno prodotto conoscenze fondamentali
al servizio di un’agricoltura che assume la
questione ambientale e della salute come
propria, e con ciò vince anche dal punto
di vista economico e produttivo.
In tal senso la scienza ci documenta le
criticità, i rischi, gli impatti, l’inutilità
agronomica ed economica di certe
pratiche e fornisce le alternative
agronomiche e di difesa.
È sull’incontro fra la conoscenza e la
produzione che occorre agire con vigore
e rapidità per difendere e potenziare gli
strumenti già in parte realizzati.
Il rapporto fra diritto/dovere alla difesa
fitosanitaria, qualità e salubrità dei
prodotti e dell’ambiente e redditività
del settore descrive i connotati di una
nuova questione agraria che non riguarda
tanto, come nel passato, la stratificazione
sociale nelle campagne e la plurisecolare
aspirazione alla proprietà della terra da
parte dei contadini, ma riguarda il diritto
di questi di avere un reddito e, con tutti
noi, di vivere in salute.
Giancarlo Naldi
Direttore responsabile rivista Ecoscienza, Arpae Emilia-Romagna
Tratto da Ecoscienza - 1/2016
Impresa Oggi - 27 aprile 2016