Perdonami, perdonami di amarti e di avertelo lasciato capire.
Shakespeare, Romeo e Giulietta
Tanti semafori verdi, qualche sfumatura di giallo e nessun rosso. Potremmo forse così sintetizzare le posizioni in merito alla possibilità di ospitare le Olimpiadi del 2024 di partiti e candidati alla poltrona di sindaco nelle elezioni comunali di Roma. Il “no” dei pentastellati si trasformerebbe verosimilmente in un “sì” nell’eventualità di un loro successo elettorale. La posizione più problematica sembra essere quella dei radicali che sostengono di non avere pregiudizi ma che vorrebbero sottoporre la decisione a un referendum cittadino. Posizione apprezzabile ma lontana dall’essere interamente persuasiva. Ci si domanda infatti perché dovrebbero essere i soli romani a potersi esprimere in materia. Come ha affermato il Presidente del CONI la scorsa settimana: “il progetto è a costo zero per ogni cittadino di Roma, ed è un’occasione di investimento per rilanciare alcune opere pubbliche”. Un pasto gratis, dunque, al quale, quand’anche il sapore non fosse particolarmente gradito, sarebbe davvero difficile per il partito unico della spesa pubblica dire di no.
Il quesito referendario dovrebbe semmai essere sottoposto a tutti i contribuenti italiani che dovranno farsi carico dei costi. E sarebbe assai opportuno raccontare loro come le esperienze passate dovrebbero indurre a una grande prudenza. La più negativa è probabilmente quella della Grecia dove i debiti contratti per finanziare le opere connesse alle Olimpiadi del 2004 hanno rappresentato l’ultimo passo del percorso che ha portato alla non sostenibilità del debito. E l'Italia con il suo colossale debito non può permersi sbagli.
Più in generale, è ormai disponibile ampia letteratura che mostra come, tranne rare eccezioni, l’organizzazione dei Giochi si dimostra un cattivo affare con costi a consuntivo di gran lunga più elevati e benefici più contenuti rispetto a quelli inizialmente stimati. Per rimanere in Italia, l’unica analisi costi-benefici prodotta ex-post per le Olimpiadi invernali di Torino indica un bilancio complessivamente negativo di quella esperienza. E, anche in quel caso, ad avvantaggiarsi fu prevalentemente una ristretta comunità locale mentre i costi gravarono sulla collettività nazionale.
Sarebbe dunque preferibile seguire l’approccio adottato in Canada nel 1976 dove il Governo nazionale accordò il proprio consenso allo svolgimento dei Giochi a Montreal solo dopo aver ricevuto dal comitato organizzatore e dalla città garanzia scritta che non vi sarebbe stata richiesta all’esecutivo di ripianare eventuali deficit correlati all’evento. L’amministrazione locale decise di indebitarsi per una cifra intorno ai 2,5 miliardi di dollari; i residenti del capoluogo e della Provincia del Québec hanno terminato di ripagare il debito solo trent’anni dopo la conclusione dei Giochi.
Se formulata in questi termini, l’opzione del referendum da sottoporre ai cittadini romani sarebbe più accettabile. Ma, considerato che già oggi i contribuenti italiani si devono far carico di una parte dei debiti passati dell’Amministrazione capitolina, neppure questa alternativa appare del tutto rassicurante. La strada maestra è quella indicata dalla municipalità di Los Angeles che, sulla scorta dei risultati non entusiasmanti delle precedenti edizioni dei Giochi, approvò una risoluzione in base alla quale nessun contributo pubblico avrebbe potuto essere utilizzato per il finanziamento delle Olimpiadi del 1984. Il comitato organizzatore ebbe così un fortissimo incentivo a reperire risorse private: la scommessa si rivelò vincente. Il bilancio dei Giochi si chiuse con un profitto di 225 milioni di dollari ed il presidente del comitato, Peter Uberroth, venne nominato “man of the year” dalla rivista TIME.
In alternativa non resta che far nostro l’auspicio dell’Economist all’epoca della candidatura della capitale britannica: “Fate un favore a Londra: assegnate le Olimpiadi a Parigi”.
Editoriale
da www.brunoleoni.it
15 giugno 2016