Brexit. Finalmente la Commisione, prima causa dell'euroscetticismo, messa all'angolo.


Le passioni violente hanno violenta fine, e si dissolvono nel loro trionfo, come fuoco e polvere che si annientano al primo bacio. Il più delizioso miele diviene stucchevole per la sua stessa dolcezza.

Shakespeare, Romeo e Giulietta


Attenzione alle false impressioni. Il Regno Unito se ne va: una buona occasione per qualche vertice in più — si può pensare. No, questa volta è diverso. L’incontro di ieri a Berlino tra Angela Merkel, François Hollande, Matteo Renzi e il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk può essere sembrato la parata di sempre. Dietro la facciata, però, c’è l’accelerazione della storia. Un comunicato e una conferenza stampa finali che non potevano che dare l’impressione della massima unità, vista la crisi in atto: in realtà, divisioni non da poco, con il governo tedesco che ha deciso di prendere un ruolo di leadership che potrebbe cambiare davvero l’Unione europea.
La cancelliera non ha avuto difficoltà nel fare passare la sua idea sul tema prioritario del momento, cioè quando aprire le procedure per l’uscita di Londra dalla Ue. Si aspetterà il nuovo primo ministro britannico: ieri, anche dopo avere avuto contatti con Berlino, David Cameron ha deciso di anticipare le sue dimissioni da ottobre a settembre. A quel punto, chi gli succederà potrà chiedere formalmente alla Ue di avviare le procedure dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona sull’uscita dall’Unione. Merkel ha detto che non si può fare altro: spetta a Londra avviare il processo. Anche Hollande ha di fatto accettato questa agenda, nonostante a Parigi e a Bruxelles gran parte dei politici vorrebbero che la procedura d’uscita partisse subito, per dare il segnale che chi se ne va non deve aspettarsi sconti. «Prendiamo atto — ha detto il presidente francese — che c’è una tabella di marcia che riguarda anche le elezioni nel partito conservatore» britannico che dovrà decidere il nuovo premier. Bisogna fare presto, hanno detto i tre leader: ma le regole sono chiare, spetta a chi vuole uscire dalla Ue fare il primo passo. Non ci saranno nemmeno colloqui informali, si è precisato ieri.
Per Merkel la questione è rilevante. Da una parte vuole lasciare il tempo a Londra di digerire la Brexit per potere mantenere con il Regno Unito un rapporto da partner negli organismi internazionali, prima di tutto Nato e Onu. Dall’altra vuole segnalare che la Ue non è incattivita quando un elettorato le vota contro. Soprattutto, però, vuole tenere in mano l’iniziativa, cioè intende evitare che la gestione della Brexit sia lasciata alla Commissione europea: secondo lei è arrivato il momento di chiarire che in questo passaggio di crisi la leadership spetta ai governi. E probabilmente anche dopo la crisi. In Germania, gli attacchi di questi giorni al presidente della Commissione Jean-Claude Juncker per la sua incompetenza nel gestire la campagna sulla Brexit sono sempre più forti: oggi scende in campo la Frankfurter Allegemeine Zeitung, quotidiano vicino a Merkel, per chiederne le dimissioni in quanto «non ha capito nulla».
Lo scontro sulla tempistica delle pratiche del divorzio britannico, in altri termini, è il segno di due posizioni che si stanno delineando nel Continente. Da un lato chi vorrebbe procedere subito e dare mandato alla Commissione Ue di gestire le trattative; dall’altro Berlino che vuole la discussione tenuta sotto l’ombrello degli Stati, cioè del Consiglio europeo (anche per questo al vertice di Berlino c’era Tusk ma non Juncker). Ieri, Merkel ha detto esplicitamente che «le linee guida» su come procedere saranno date dal Consiglio europeo di oggi e domani. Non è cosa da poco. È che Berlino — o almeno Merkel — ritiene che la Commissione non abbia più una funzione propulsiva ma debba essere un esecutore delle decisioni degli Stati, una loro agenzia, in qualche modo.
E qui, sull’idea di cosa sarà la Ue del futuro, c’è lo scontro sulla contrapposizione tra «bisogna integrarsi di più», quindi ruolo centrale della Commissione, e «non si può proporre più Europa» ai cittadini che non la vogliono, quindi più potere agli Stati. Infatti, di questo ieri a Berlino non si è parlato. Unità su sicurezza interna ed esterna, compresa la Difesa; su economia forte e coesione sociale; su «programmi ambiziosi per i giovani». Tutto da lanciare a settembre. Ma niente su passi istituzionali verso più o meno integrazione nella Ue. Sarà la grande questione e lo scontro dei prossimi mesi. Merkel fa sapere che l’Europa è degli Stati, non di Bruxelles.

Danilo Taino
da www.corriere.it

28 giugno 2016

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