Economia digitale e ruolo dell'antitrust

A poco più di 25 anni dalla sua istituzione in Italia, l’Antitrust – certamente una storia di successo – si trova a fronteggiare nuove sfide legate alle profonde trasformazioni che hanno interessato l’intero sistema economico. Tra queste emergono una sempre maggiore integrazione globale, una nuova dialettica fra dimensione reale e finanziaria dell’economia, nonché, soprattutto, un completo ripensamento dei modelli di creazione del valore per effetto della crescente digitalizzazione di ogni ambito del vivere umano.
La portata dei cambiamenti indotti dalla trasformazione digitale dell’economia induce alla riflessione di essere solo all’inizio di una nuova e pervasiva rivoluzione, che sfugge ad una piena conoscenza, nonché a precise definizioni. La nozione di mercato (e non solo di mercato rilevante in senso antitrust) si presenta meno chiaramente individuabile che in passato. Le piattaforme – attori chiave nello scenario digitale – sono altrettanto difficili da catturare in definizioni univoche. Soprattutto, le convenzionali distinzioni fra incumbent e new entrant non funzionano così bene come in passato come sicuro riferimento concettuale, considerato che i new entrant capaci di adottare con successo modelli di disruptive innovation possono rapidamente diventare incumbent, in un contesto di competizione fra monopoli particolarmente fluido.
Al contempo, le potenzialità dell’economia digitale come strumento per incrementare il benessere sociale e creare esternalità positive sono percepite in modo così evidente da rendere auspicabile, ad avviso di molti, la mobilitazione a fini di promozione dello sviluppo digitale, di tutti gli strumenti di intervento pubblico nel tessuto economico, ivi incluso l’antitrust. Si pone, dunque, un problema di conoscenza, ma anche di valori e di regolazione.
In questo scenario, emerge la domanda se sia necessario ripensare gli obiettivi dell’intervento antitrust. In particolare, appare opportuno interrogarsi sulla questione se obiettivi diversi dall’esclusiva enfasi sul benessere del consumatore siano legittimamente inclusi nella sfera di applicazione della disciplina della concorrenza. Le tradizionali divergenze in merito all’interpretazione degli obiettivi dell’azione antitrust tendono, dunque, ad approfondirsi in presenza dei fenomeni sopra brevemente richiamati. Se, da un lato, è certamente vero che la disciplina europea della concorrenza incorpora da sempre obiettivi diversi dal benessere del consumatore in senso stretto, affini alla politica industriale, dall’altro non è scontato che all’antitrust debba essere affidato un ruolo di promozione della digitalizzazione, né che l’antitrust sia uno strumento efficace per perseguire questo obiettivo. Secondo un’opinione condivisa il contributo migliore allo stimolo dell’economia digitale da parte dell’antitrust risiede nella rimozione di ogni barriera al pieno dispiegarsi delle dinamiche concorrenziali, sia essa derivante da condotte anticoncorrenziali, sia essa il frutto di incauti interventi legislativi restrittivi della concorrenza. Interventi più pervasivi rischierebbero, infatti, di interferire con dinamiche innovative ancora scarsamente comprese e prevedibili.
Distinte, ma altrettanto rilevanti questioni emergono in relazione ad un diverso profilo dell’intersezione fra antitrust ed economia digitale. In particolare, è necessario chiedersi se siano necessari cambiamenti nella forma e negli strumenti dell’intervento antitrust in un sistema economico sempre più digitalizzato. Se è vero che questi ultimi appaiono sostanzialmente in grado di rispondere alle nuove sfide, pur con qualche opportuno aggiustamento, resta il fatto che il tempo richiesto per la loro adeguata applicazione è poco congruente con il rapido ritmo dell’evoluzione tecnologica e di mercato. Diverse soluzioni appaiono meritevoli di considerazione: un maggiore ricorso allo strumento finora poco utilizzato delle misure cautelari, un ruolo più ampio attribuito alle misure rimediali, o ancora l’introduzione di un’innovazione istituzionale nella forma del potenziamento di strumenti di soft law come le Guidelines.
Infine, lo scenario globale e digitalizzato solleva la questione della necessità di una migliore divisione del lavoro e di una più efficace cooperazione fra i diversi soggetti preposti all’enforcement, sia a livello europeo che internazionale.

EDITORIALE - www.aspeninstitute.it - 29 luglio 2016


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