Si tratta di cattiva volontà, non di una nostra presunta impossibilità
Seneca Lettere morali a Lucilio
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I GRANDI IMPRENDITORI
Ernesto De Angeli
Ernesto De Angeli, nato a Laveno (Varese) il 29 genn. 1849 si trasferì a Milano per prepararsi ai corsi in ingegneria industriale del Politecnico, studi che a sedici anni, con la morte del padre, dovette interrompere per provvedere al sostentamento della madre e di tre sorelle. Trovò un impiego a Milano nell'azienda di Eugenio Cantoni. industriale e banchiere di grande prestigio.
Lo stipendio non era però sufficiente ai bisogni familiari, e perciò fu costretto a cercarsi un altro guadagno occupandosi della contabilità di una piccola tintoria, situata nel sobborgo della Maddalena (VA), acquistata dal Cantoni nel 1868.
In questa seconda attività ebbe modo di formarsi ai problemi relativi alla conduzione d'impresa e di progettare una ristrutturazione della tintoria-stamperia (produceva fazzoletti stampati a mano). Lo stesso Cantoni gli fornì le somme necessarie per un prolungato soggiorno di studio e di pratica in Germania, Francia e Gran Bretagna.
Divenuto direttore della stamperia, approfittando delle favorevoli condizioni del mercato finanziario milanese e della ripresa del settore, spalleggiato dal Cantoni, De Angeli costituì nel 1878 una Società in accomandita semplice per la stamperia e la colorazione dei tessuti E. De Angeli e C., con un capitale sociale di L. 650.000 sottoscritto dai più bei nomi della finanza e dell'imprenditoria lombarda: oltre allo stesso Cantoni, G. Crespi, E. Krumm, A. Namias, L. Terruggia, G. Borgomancri e il Credito lombardo.
Le carature sottoscritte dal De Angeli erano percentualmente inferiori a quelle degli altri azionisti. Nel 1886 però, dopo successivi aumenti di capitale (giunto in quell'anno a L. 1.875.000), De Angeli era il terzo maggiore azionista della società, e nel 1897, quando il capitale sociale fu elevato a 7.500.000 lire, raggiunse il primo posto tra i sottoscrittori, con una quota di L. 650.000 circa. In venti anni l'azienda divenne uno dei giganti dell'industria italiana grazie alle capacità tecniche e imprenditoriali di De Angeli, in collaborazione con Giuseppe Frua (anch'egli era stato assunto dal Cantoni) che nel 1883 ne aveva sposato la sorella Anna e fu poi nominato procuratore generale della società. Gli interessi di De Angeli si erano anche allargati verso settori di recente sviluppo tecnologico e finanziario: nel 1883 divenne presidente della Banca cooperativa milanese; nel 1890 consigliere della Società filati cucirini e, nel 1898, della Società italiana industria linoleum; nel 1899 presidente della Società anonima lombarda per la distribuzione di energia elettrica.
Nel 1899 veniva sciolta la società in accomandita E. De Angeli e C. per dare vita, il 14 ottobre, alla Società italiana per l'industria dei tessuti stampati De Angeli-Frua, con capitale sociale di 15 milioni in azioni da lire 250. De Angeli sottoscrisse l'11% del capitale; altri sottoscrittori erano la Banca cooperativa milanese, la Banca svizzera italiana, la Banke Suisse, le famiglie Casati e Weill Scott, U. Pisa (presidente della Camera di commercio di Milano), Giovanni Battista Pirelli.
Animatore della Camera di commercio, De Angeli ne diventò consigliere nel 1882 Sostenuto dal Circolo industriale e commerciale, dall'Associazione industria e commercio delle sete, e dai quotidiani La Perseveranza, Il Pungolo e Corriere della Sera, proprio quando più rovente si faceva la lotta per la riforma del trattato economico con la Francia. Moderatamente favorevole a una mite protezione da accordarsi all'industria cotoniera, interrogato dalla Commissione per l'inchiesta industriale (1870-74) in qualità di direttore della fabbrica per la stamperia dei Cotonificio Cantoni, aveva dichiarato di non ritenere necessaria una salvaguardia doganale per questa lavorazione. Anzi, era propenso ad abolire i dazi d'ingresso per le materie coloranti che, insieme alla mancanza di manodopera qualificata, costituivano uno degli ostacoli principali alla crescita industriale. Il suo protezionismo, in concomitanza con le difficoltà del settore tessile, maturò all'interno del Circolo industriale e commerciale, del cui consiglio direttivo fu nominato presidente il 30 dic. 1882.
In quell'occasione presentò una relazione dettagliata sui risultati economici ottenuti con l'applicazione delle tariffe doganali del 1878, in rapporto alla revisione che il Parlamento si apprestava a farne discutendo su un disegno di legge governativo. Alla fine fu votato un ordine del giorno redatto dallo stesso De Angeli e indirizzato alle Camere, con cui si informavano delle apprensioni destate negli industriali milanesi dalla presentazione del progetto di legge sulle tariffe doganali che non rispondeva all'aspettativa di una larga e profonda revisione in senso completamente protezionista, e si invitavano a sospenderne l'approvazione in attesa di una sua modifica, tale da soddisfare realmente gli interessi economici del paese.
Esponente di punta dello schieramento filoprotezionista all'interno della Camera di commercio, ancora incerta sulla linea da seguire, il De Angeli fu uno degli artefici della successiva rapida adesione di questa al protezionismo integrale, tanto che la sua ascesa alla presidenza (avvenuta nel gennaio del 1887) costitui una sorta di riscontro a tale conversione. Nell'aprile del 1887 inviava una relazione, elaborata dalla Commissione per le tariffe doganali, alla giunta d'inchiesta ministeriale in cui si chiedeva un inasprimento delle aliquote contenute nel tariffario generale, richieste che la giunta aveva già respinto come pretestuose ed eccessivamente favorevoli agli industriali (soprattutto per quanto riguardava il settore tessile). L'impegno dal De Angeli profuso su tale questione, all'interno e all'esterno della Camera di commercio (scrisse personalmente al ministro Luzzatti per esprimergli la proprie stima, ma allo stesso tempo per spingerlo a compiere ulteriori passi sulla via del protezionismo integrale), gli valse l'enchetta di protezionista di ferro, sia da parte dei contemporanei sia della storiografia. Giova sottolineare che l'imptrenditore fu il primo a rendersi conto che la concorrenza nel settore tessile sarebbe venuta dall'estero, da imprese più capitalizzate o da nazionio a costo della manodopera inferiore.
La sua autorevolezza e il suo impegno non riuscirono comunque a sanare i contrasti che in quel periodo lacerarono i membri della Camera di commercio, tanto che ai primi del 1889 si dimise dalla carica presidenziale adducendo motivi di lavoro; cercò poi negli anni successivi di dimostrare che il suo era stato un protezionismo pragmatico e contingente. Nel 1891, al Circolo industriale commerciale e agricolo, si oppose all'ulteriore aumento del dazio sulla importazione delle sete e nel 1895, all'Associazione fra industriali cotonieri, affermò di aver sempre combattuto il principio di imporre dazi all'ingresso di materie prime.
Nel necrologio scritto quattro anni dopo per Alessandro Rossi, a cui lo avevano legato, oltre che gli affari, una profonda stima ed amicizia, diceva: "Non mi si chiegga, a questo punto, un giudizio su tale propaganda protezionista ...: che non le mie idee ma quelle di Alessandro Rossi io qui espongo. Io certo non condivido tutto il suo credo economico ...; né posso dire che quella protezione legittima che ho sempre invocato per le più promettenti produzioni nazionali sia alla mia mente giustificata dagli stessi presupposti. Non credo che lo Stato debba trascurare gli interessi dei consumatori, come non credo che solo questi esso abbia ad avere di mira. Gli è che, a parer mio, la protezione concessa a quelle produzioni che ne sono degne, la protezione accordata con sano criterio a chi ha attitudini alla lotta e chiede solo tempo per svolgere queste attitudini al riparo da sopraffazioni dei più forti ed agguerriti, se aggrava momentaneamente il consumatore, promuove e sviluppa il lavoro nazionale, generando poi all'interno una concorrenza la quale ribassa i prezzi e sollecita i progressi e l'esportazione" (A. Rossi, in Nuova Antologia, 16 marzo 1899, pp. 306-21).
Con A. Rossi il De Angeli aveva presentato una relazione sulla organizzazione nazionale di rappresentanze libere dell'agricoltura, industria e commercio al Congresso nazionale delle società economiche, tenutosi a Torino nel maggio del 1893. Qui si dispiega il disegno razionalizzatore della produzione economica perseguito dal De Angeli: partendo dall'inefficenza e dalla frammentarietà dei pur scarsi organismi di rappresentanza, si auspicava la separazione di questi secondo i tre principali settori produttivi, l'agricoltura, l'industria e il commercio, soprattutto per gli ultimi due la cui mescolanza di bisogni ed interessi costituiva la causa prima della crisi delle camere di commercio. Per l'agricoltura si chiedeva quindi la creazione di enti rappresentativi capaci di coagulare le energie migliori dell'imprenditoria rurale col fine di razionalizzare la struttura agraria, eliminando il più possibile l'intermediazione tra produttore e consumatore, le frodi alimentari; diffondendo nuovi metodi di coltivazione, il credito agrario e l'istruzione tecnica; difendendo le piccole industrie e creando società di assicurazione contro i sinistri agricoli. Tali enti, denominati "sindacati", dovevano poi federarsi su base regionale e nominare un comitato centrale col compito di far valere gli interessi e le istanze delle federazioni regionali presso il governo e il Parlamento. Uguale schema organizzativo, veniva proposto per il settore industriale, salvo un'attenzione maggiore a costituire i comitati regionali più sull'omogeneità produttiva delle industrie che sulla loro dislocazione territoriale. Alle camere di commercio restava, funzione ugualmente primaria, appunto il commercio inteso in senso lato: i servizi ferroviari, le banche, le borse, i magazzini generali, le scuole commerciali, ecc.
Postulata l'indipendenza di ciascuna categoria economica e di queste dai poteri pubblici, l'armonia generale andava ricercata nel vincolo di ciascun operatore a rendere prospero e potente il paese. Gli organi dello Stato andavano sensibilizzati e condizionati secondo le esigenze delle singole categorie produttive (De Angeli infatti si recò più volte a Roma in delegazione come rappresentante della Camera di commercio o degli industriali cotonieri per perorare questa o quella causa economica), ma ciascuno nell'ambito delle proprie prerogative. Allo Stato il De Angeli non riconosceva la tutela, in via generale, dei consumatori e del mondo del lavoro. Se, a partire dal 1880, le autorità governative erano intervenute nel campo della protezione dei lavoro minorile, ciò si doveva all'indifferenza di alcuni imprenditori verso le proprie maestranze, condotta che aveva offerto il destro all'intervento del legislatore. Per parte sua egli aveva dimostrato subito la massima attenzione verso le condizioni sociali degli operai: con l'ampliamento della sua fabbrica aveva provveduto a dotarla di alloggi per operai, di cooperative di consumo, di scuole.
Nel 1894 fu nominato vicepresidente del III Congresso internazionale infortuni sul lavoro, carica che gli fu confermata nel comitato italiano presente al Congresso internazionale sugli infortuni del lavoro a Parigi nel 1900. Quattro anni prima era diventato consigliere dell'Associazione per l'assistenza medica per gli infortuni sul lavoro e nel 1898 aderì al Comitato per la cultura popolare. In prima linea nel richiedere l'abolizione dei lavoro notturno (fu uno dei relatori dell'apposita commissione del Consiglio dell'industria e del commercio), motivò la sua posizione soprattutto dalle colonne della rivista L'Industria, di cui era comproprietario.
In primo luogo respingeva l'insinuazione di quanti andavano dicendo che i cotonieri volevano questa legge per ridurre il fatturato in un momento di crisi di sovraproduzione: "presupporrò un attuale eccesso di produzione e mi domanderò senz'altro: hanno i cotonieri diritto e ha lo Stato il dovere di promuovere leggi di qualsiasi natura che tendano a frenare eccessi di produzione? Io non sono un liberalista ... : ma a una tale domanda non esito a rispondere negativamente perché non credo che lo Stato, dopo aver stabilito un equo sistema di dazi, abbia il compito di provvedere perché la produzione si mantenga in limiti che assicurino ai produttori un tranquillo monopolio nel mercato interno ... a quanto io mi so, i più autorevoli espositori dei sistema produttivo hanno sempre pensato e detto che fra gli Stabilimenti sorti all'ombra delle tariffe si sarebbe dovuta sviluppare una concorrenza benefica ... . Questo in massima. Nel caso concreto poi non so convincermi come nell'abolizione del lavoro notturno possa ravvisarsi un rimedio a un eccesso di produzione. Intendiamoci, parlo di quell'abolizione ... che si compirà entro tre anni dal giorno della promulgazione della legge. Come è mai possibile prevedere quale sarà la condizione dell'industria cotoniera trascorsi tre anni da quel giorno? E come è mai possibile non credere che molti filatori a cui sia vietato il lavoro notturno, non aumentino il numero dei fusi appunto per rimediare ai danni della diminuzione della produzione che deriverà dall'abolizione del lavoro notturno?". Del resto, continuava il De Angeli, l'associazione cotoniera aveva già avanzato proposte simili in tempi non sospetti. L'abolizione del lavoro notturno era un atto dovuto per migliorare le condizioni igieniche della collettività e inserire, anche su questo piano, l'Italia tra le nazioni più progredite. Invitando dunque gli imprenditoria tessili a trovare in loro stessi la forza per superare le eventuali difficoltà che sarebbero scaturite dall'applicazione della legge, toccava l'altro tema che preoccupava molto i suoi colleghi: l'intervento dello Stato. "Esso suscita sempre diffidenze e timori .... Ma lo Stato italiano non ha colpe in questo genere; cioè le ha ... dal punto di vista fiscale, ma non dal punto di vista sociale. Anzi lo Stato italiano ha troppo praticato una politica di non intervento, che ha offerto buon gioco ai partiti sovversivi".
Per tutto il 1897, in particolare, L'Industria ospitò articoli di raffronto sulle condizioni della classe operaia in alcuni paesi europei e sulle colpe dei politici per il vuoto di legislazione sociale. E verso questi ultimi, come verso la politica, De Angeli conservò sempre un atteggiamento ambiguo, al pari di altri notabili dell'alta borghesia milanese. Da un lato, non si riconosceva pienamente in nessuna forza politica allora operante a Milano; né nella conservatrice Associazione costituzionale, né nei circoli radicali e tantomeno in quelli repubblicani. Dall'altro, non mancò di promuovere iniziative e sottoscrivere programmi, convinto com'era che anche nel campo politico gli imprenditori (industriali e non) dovessero conquistare la leadership.
Nominato senatore nel 1896, in tale veste intervenne nei lavori parlamentari concernenti soprattutto i problemi della produzione e del lavoro (fu tra coloro che reclamarono la ripresa delle trattative economiche con la Francia) sui quali doveva calibrarsi l'azione dello Stato italiano sia all'interno sia all'estero. Contrario alle imprese coloniali di stampo crispino, il De Angeli concepì, fin dagli esordi della sua attività imprenditoriale, la penetrazione dell'Italia in aree geografiche esterne come passo per la creazione di una vasta rete commerciale e di rifornimento di materie prime necessarie alla produzione nazionale. Nel 1879 era stato tra i soci fondatori della Società di esplorazione commerciale in Africa, il cui scopo primario si orientò sullo studio e la valorizzazione dell'Africa mediterranea. Tale valorizzazione doveva compiersi, secondo De Angeli, costituendo in loco società di esportazione con personale formato da giovani preparati sulle necessità e sui meccanismi della produzione nazionale. La Società si rivelò incapace di realizzare un simile progetto, paralizzata ben presto dalla mancanza di fondi e dalle opposizioni ministeriali, sicché nel 1884 De Angeli finì per dimettersi dal comitato direttivo. Quando, però, nel 1891 l'ingegnere Manfredo Camperio, che si era dimesso anch'egli lo stesso anno dalla Società di esplorazione commerciale e dalla direzione del periodico L'Esploratore, propose l'istituzione di un ente per il conferimento di borse biennali che permettessero ai migliori allievi degli istituti commerciali di far pratica all'estero, il De Angeli vi aderì prontamente sperando di realizzare finalmente la società di esportazione. Modificava però il progetto Camperio in tre punti: la sede dell'ente doveva essere Milano anziché Roma; esso doveva suddividersi in due sezioni, agricola e industriale; i borsisti dovevano espatriare previo apprendistato di due anni sul funzionamento e sulle necessità delle industrie italiane. Fallito anche questo tentativo per l'indifferenza del mondo imprenditoriale (lo stesso Camperio accusò il De Angeli di non aver sostenuto fino in fondo la sua iniziativa), migliore esito ebbe la Compagnia commerciale del Benadir allo scopo di coltivare cotone in Somalia ed esportarvi tessuti e di cui, anche qui, il De Angeli figurò tra i soci promotori insieme a Pirelli, Crespi, Amman e il sindaco di Milano Vigoni.
Insieme al primo, il De Angeli diventò comproprietario del Corriere della sera nel 1895 facendo assumere, come redattore, grazie anche all'intervento di Luzzatti, L. Albertini. Convinto della capacità del giornalista, riuscì a portarlo alla direzione del giornale successivamente ai moti di Milano del 1898, durante lo stato d'assedio, dopo l'estromissione di Torelli-Viollier.
La difesa delle prerogative imprenditoriali e l'opposizione alle ingerenze governative furono caratteri peculiari del quotidiano milanese anche durante il periodo giolittiano. L'amministrazione municipale, secondo il De Angeli, doveva essere guidata dalla borghesia economica attiva e modellare lo sviluppo e la vita della città secondo le esigenze della fabbrica e del suo sistema. Con questo spirito era stato eletto per la prima volta consigliere comunale nel 1885, intervenendo attivamente nei lavori dei Consiglio e delle commissioni (fece, tra l'altro, parte della commissione incaricata di studiare i termini dell'allargamento della cinta daziaria al circondario dei "corpi santi").
Personaggio di spicco dell'alta società milanese, membro della Società di incoraggiamento di arti e mestieri, del Museo commerciale di Milano, della Società industriale di Mulhouse, Rouen, Lilla e dell'Accademia industriale di Parigi, conservò la sua residenza a Milano in via della Maddalena, nel pressi del cotonificio, dove morì il 17 gennaio 1907.
La fabbrica di Legnano
La fabbrica
La De Angeli-Frua il cui nome completo era "De Angeli-Frua, Società per l'industria dei tessuti stampati S.p.A." e come Stampati era abbreviata nel listino della Borsa di Milano. Terminò le attività produttive nel 1968.
I tre primi stabilimenti produttivi che costituirono la società erano situati a Milano, Agliè (facenti parte dalla Società Ernesto De Angeli e C.) e Legnano (Anonima Frua e Banfi). Nei primi anni del XX secolo la De Angeli-Frua iniziò a diventare famosa grazie alla produzione di tessuti colorati, che furono introdotti nel 1906. In questo contesto l'azienda cominciò anche a esportare facendo concorrenza ai tessuti prodotti nel Regno Unito. Venivano prodotti tessuti in cotone, seta, taffetà, satin e georgette. Nel 1907 alla scomparsa di Ernesto De Angeli, Giuseppe Frua diventò l'unico proprietario dell'azienda. Sotto la sua direzione la De Angeli-Frua conobbe un periodo di crescita. Dopo la prima guerra mondiale la De-Angeli-Frua iniziò a creare iniziative di carattere sociale per i dipendenti come la costituzione di fondi previdenziali e la costruzione di scuole e asili. Negli anni venti la De Angeli-Frua conobbe una fase di grande crescita che portò alla presenza, nel 1925, di 1.500 telai e 750 dipendenti nello stabilimento di Aglié. Questi ultimi, nel 1927, salirono a 950. Nell'anno citato dallo stabilimento De Angeli-Frua di Aglié uscivano 24.000 metri di tessuti di cotone al giorno. Due anni più tardi ci fu un cambiamento molto importante. L'azienda iniziò infatti a lavorare le fibre artificiali. Da ciò conseguì la diminuzione della produzione e del numero dei telai che scesero, ad Aglié, a 19.000 metri di stoffa e 804 macchine tessili. Negli anni trenta l'azienda riprese a crescere dopo la crisi postbellica. La produzione fu indirizzata verso tessuti pregiati e di media fattura, che vennero pubblicizzati su molte riviste femminili dell'epoca. Nel 1937, alla morte di Frua, la De Angeli-Frua arrivò a possedere altre quattro fabbriche a Omegna, Ponte Nossa, Gerenzano, Roè Volciano. In tutto i lavoratori superavano gli 11.000 addetti. La decadenza cominciò negli anni cinquanta, e gli stabilimenti gradualmente furono ridimensionati fino alla definitiva chiusura negli anni sessanta. In particolare, la fabbrica di Aglié fu ceduta nel 1953 alla Olivetti.
Eugenio Caruso - 31 agosto 2016