Il dibattito sul referenduma tra Renzi e Zagrebelsky

Venerdi sera ho assistito al dibattito sul referenduma tra Renzi e Zagrebelsky. Io non sono un politologo e, in questi ultimi due, tre anni, non mi sono molto interessato delle diatribe tra politici sempre più astiosi, irascibili, voltagabbana, comici e volgari. Ho seguito, comunque, il dibattito come se tra due dirigenti d'impresa dovessi scegliere la soluzione dell'uno o dell'altro. Valutando argomentazioni, passione, posture, empatia ecc.
Per anni sono stato professore universitario e research manager; dal primo ruolo ho dedotto che un professore non è mai un tecnico puro ma un innammorato della sua idea, dal secondo di non affidare mai a uno specialista la soluzione di un problema; questi infatti cercherà sempre la perfezione e poi, eventualmente, la soluzione.
Non ho particolari simpatie per Renzi, però dal confronto con Zagrebelsky, questi, dal mio osservatorio imprenditoriale, è uscito sonoramente sconfitto e non gli affiderei nemmeno la responsabilità del guardianato della mia impresa. Le argomentazioni erano tutte basate sul benaltrismo, che come è noto non porta mai a nulla, non c'era passione, ma una litania di osservazioni in punta di diritto. Il grado di empatia è risultato nullo: era il professore con la verità in tasca di fronte a uno studente impreparato, risolini e smorfie erano l'atteggiamento costante alle parole dell'altro, interrompeva continuamente, con il consenso tacito del conduttore, chiudeva gli occhi con fare compassionevole.
Il dibattito è partito subito con frizzi da bar da parte deol professorone. Renzi prova ad andare piano, diplomatico. Zagrebelsky replica affilato: «Beh, intanto mai avrei potuto sperare di incontrare il premier in persona, al massimo il ministro Boschi… Anzi, se poi può mettere una buona parola pure con il ministro…». Prende fiato, e prosegue: «Rilevo inoltre che il premier ha cambiato idea su gufi, rosiconi e parrucconi: altrimenti non avrebbe perso tempo, stasera, con uno di loro…».
Renzi deglutisce. Glielo leggi in faccia che si sta ripetendo: stai calmo, Matteo, calmo. «Prof, venga al merito». Mentana gongola.
Dopo venti minuti, la sensazione è questa: il professore cerca di buttarla sul tecnico, usa termini che probabilmente comprende un ascoltatore su cinque e continua a graffiare: «Anche lei è un costituzionalista, Renzi, no?»; ma Renzi non cade nella provocazione e, invece, accetta lo scontro: dimostrando di maneggiare argomenti, concetti, Costituzione. «Del resto, professore, io ho studiato Diritto costituzionale sui suoi libri…».
Gli argomenti di Zagrebelsky: dice che con la riforma rischiamo di passare da una democrazia a una oligarchia e che l'attuale ping-pong delle leggi tra Camera e Senato non deriva dal bicameralismo, ma dalle forze politiche; poi, evoca la Costituzione di Bokassa. È così che, lentamente, il confronto scivola allora su un terreno più congeniale a Renzi. Quello del botta e risposta. Della velocità dialettica. Del comizio tivù.
Battute. Il professore: «Ma mi ascolta?». Il premier: «Lei deve fare pace con se stesso, con i suoi articoli e le sue interviste». Il professore: «Io dico solo che lei, Renzi, vuole regole per essere più forte…». Il premier: «Va bene: posso annunciarle che, come Pd, prenderemo l’iniziativa per cambiare l’Italicum. Dunque, questo dibattito che stiamo facendo potrebbe anche essere inutile…».
In realtà, con il trascorrere dei minuti, il dibattito diventa scivoloso, inafferrabile, in qualche passaggio francamente incomprensibile (Mentana, in un paio di circostanze, costretto a tradurre i concetti del professore). Comunque: Renzi, sempre più sicuro. Zagrebelsky, sempre più dottorale e fumoso. Cinque minuti a parlare di Leopoldo Elia e altri cinque a discettare sul problema dei trasporti sul lago Maggiore. Altri cinque dedicati al «bicameralismo paritario». Altro tempo a dimostrare la facezia che sindaci e consiglieri nominati per il nuovo Senato non potrebbero fare bene due lavori. Più volte è citato Silvio Berlusconi (Zagrebelsky con smorfie piene d’un miscuglio di fastidio e disprezzo). Poi Renzi annuncia: «Comunque il sistema dei “capilista” bloccati non piace neanche a me. È una delle cose che vorrei cambiare. E quanto a Berlusconi: sa perché è finito il Patto del Nazareno? Perché sono libero. E infatti adesso Berlusconi voterà “No” al referendum: come lei, professore».
Si riprende con il professor Zagrebelsky che torna con toni ancora più tragici. Se ne accorge: «Mhmm… So che mi state per interrompere…». E Renzi: «No. Però lei non può fare sempre il professore, eh?».
Eugenio Caruso - 1 ottobre 2016
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