Quella che sembrava una vetta, era solo un gradino.
Seneca, Lettere morali a Lucilio
Se la nuova economia si sviluppa attraverso trasformazioni epocali
dell’impresa, del cliente, del mercato, a maggior ragione si caratterizza
per una drastica trasformazione del capitale, l’elemento
fondante dell’economia capitalista. Infatti, nella nuova economia, è
il capitale intellettuale l’asset più ambito; sono le idee, i concetti, le
immagini le componenti essenziali del valore, non i beni materiali.
Le imprese stanno vendendo immobili, riducendo le scorte, noleggiando
gli impianti produttivi, terziarizzando le attività, in una
corsa verso l’impresa virtuale, verso forme organizzative più adatte
a sostenere le sfide della nuova economia; questa infatti impone
alle imprese, come sostengo da tempo, “una flessibilità che poggia
sull’eccellenza di tre componenti: leadership, creatività e capacità
di lanciarsi rapidamente su nuove opportunità di business”.
I paradigmi della vecchia economia iniziano a sgretolarsi;
il XXI secolo vede infatti la proprietà, l’acquisto, lo scambio
cedere il passo all’accesso temporaneo a beni o servizi e il mercato
cedere il passo alle reti; la trasformazione dal capitalismo industriale
e post-industriale al capitalismo della conoscenza sta già mettendo
in discussione molti degli assunti economici validi fino a ieri. I rapporti
proprietari, gli scambi di mercato, l’accumulazione materiale
vengono lentamente erosi per lasciare spazio a una società in cui la
cultura, l’accesso, il tempo, i commons, la vita di ciascuno diventano
le più importanti risorse economiche.
Giova notare che negli ultimi 20 anni molte imprese sono scomparse
dalla classifica Top 500 Fortune proprio perché non hanno
saputo operare questa trasformazione.
Nella nuova economia anche il denaro si sta smaterializzando,
grazie alle carte di credito, alle banche on-line, alle borse telematiche;
osserva Kurtzman, nel suo The death of money, che “l’equivalente del
prodotto mondiale annuo passa, in un giorno, attraverso i network
di New York” e che “la nuova moneta, priva di materia, è niente più
che un insieme di codici binari ……. lanciato attraverso migliaia di
chilometri di cavi, risucchiato nelle autostrade a fibre ottiche, rimbalzato
verso satelliti e palleggiato da una stazione di collegamento
all’altra”. Eppure, una volta, il denaro doveva essere solido e pesante;
il termine capitale infatti ha come radice etimologica la parola caput,
ossia capo di bestiame, uno strumento usato per effettuare scambi
commerciali, così come il sale, il pepe, le pezze di tessuto, il cacao, il
tabacco, le pellicce, i metalli. Rame, oro e argento hanno rappresentato
la forma più diffusa e duratura di moneta, essendo questi usati per
coniare, durante gran parte della storia del mondo occidentale. Solo
tra il XVI e il XVII secolo iniziano a circolare lettere di credito e banconote
che segnano l’inizio del percorso verso la smaterializzazione
del denaro, che avrà il suo definitivo momento di ufficializzazione
quando, il 15 agosto 1971, Nixon pone fine all’intercambiabilità oro/
dollaro.
S’è detto che capitale deriva da caput; ebbene, considerando che
il capitale intellettuale sta progressivamente sostituendo il capitale
materiale, possiamo affermare che mai come oggi è valida l’origine
etimologica della parola, dove i capi di bestiame sono stati sostituiti
dalle teste dell’uomo. Nell’economia dei mercati le istituzioni
che accumulavano capitale monetario detenevano il controllo dello
scambio di beni tra venditori e compratori; nell’economia delle reti i
soggetti che accumulano capitale intellettuale detengono il controllo
dell’accesso a conoscenze, idee ed esperienze. Già oggi, il quinto più
ricco della popolazione mondiale spende, per garantirsi l’accesso alla
conoscenza, quasi quanto spende per acquistare manufatti e servizi
di base.
Nel mondo dell’industria e del commercio i vecchi giganti dell’era
industriale (General Electric, General Motors, Ford, Boeing) stanno
cedendo la leadership ai nuovi giganti del capitalismo basato sulla
conoscenza (Apple, Microsoft, Facebook, Google).
Molti economisti oramai teorizzano che, per un’impresa, il possedere
beni di produzione non ripaga ed è anzi una palla al piede che
impedisce di passare velocemente da una linea di business a un’altra,
e che il capitale inteso come “stock di capacità” deve lasciare il passo
al capitale just-in-time, che permette “l’accesso alla capacità” in base
alle necessità del business in atto. Una regola suggerita agli imprenditori
è: “Nel dubbio, fallo fare ad altri”; l’outsourcing permette infatti
all’azienda sia di concentrarsi su quello che deve fare per realizzare
profitti, sia di godere di un servizio impeccabile, realizzato da imprese
superspecializzate e a costi ridotti.
Questa transizione dagli asset materiali a quelli immateriali è
una spiegazione del fatto che piccole imprese con buone idee riescano
in pochi anni a raggiungere fatturati di tutto rispetto.
21 ottobre 2016
Eugenio Caruso