Non c'è niente di più facile che indirizzare giovani spiriti all'amore dell'onestà e della giustizia.
Seneca, Lettere a Lucilio
Non diversamente da quelle individuali, le rimozioni collettive di prospettive sgradite ci fanno trovare impreparati, quando l’averle esorcizzate non impedisce che si avverino. Per questo mi preoccupa che non si discuta della politica ambientale che Trump ha promesso di attuare.
A inquietare, nel suo «America-First Energy Plan» non sono le bufale, che pure non mancano, come l’obiettivo di aumentare la produzione di shale gas e nel contempo di restituire all’industria del carbone il suo «ruolo glorioso», dimenticando che è stata proprio la caduta del prezzo del gas, dovuta al boom dello shale, a mettere in crisi il settore carbonifero e non una presunta «job-destroying» politica di Obama. Un certo allarme lo desta l’inversione di rotta nella politica ambientale, con la cancellazione immediata di tutte le restrizioni all’uso del fracking per l’estrazione di shale gas, alle perforazioni off-shore, alla produzione di gas e petrolio nelle aree di proprietà federale. Tuttavia si tratta di provvedimenti che devono passare al vaglio del Congresso, il cui esito non è quindi né scontato, né immediato.
In ogni caso, però, questa difesa a oltranza degli interessi economici dell’industria del petrolio e del carbone inciderebbe negativamente sul futuro delle fonti rinnovabili, come conferma lo scetticismo nei loro confronti manifestato da Trump. L’energia solare è «very expensive», quella eolica «uccide le aquile ed è rumorosa». Si salva solo il bioetanolo, in linea con la politica di G.W. Bush a favore dei produttori americani di mais. La maggioranza parlamentare repubblicana , potrebbe sostenere questa linea, non rinnovando le misure a sostegno delle rinnovabili, o depotenziandole.
La cornice «teorica» a giustificazione di queste scelte è il giudizio trumpiano sul cambiamento climatico, sintetizzato in un tweet: «This very expensive GLOBAL WARMING bullshit has got to stop. Our planet is freezing, record low temps, and our Global Warming scientists are stuck in ice». Il suo negazionismo non si limita dunque a contestare l’origine antropica del riscaldamento globale: va oltre, sostenendo che la terra si sta raffreddando. In altre circostanze ha detto che il cambiamento climatico è una «bufala» messa in giro dalla Cina, per minare gli interessi industriali e i posti di lavoro americani. Di conseguenza, si è impegnato a revocare l’adesione americana all’accordo sulla lotta al cambiamento climatico, raggiunto nel dicembre scorso alla COP21 di Parigi.
Poiché, per bypassare l’opposizione della maggioranza repubblicana al Congresso, il presidente Obama a più riprese ha utilizzato lo strumento degli ordini esecutivi, con i quali ha posto limiti all’utilizzo di combustibili fossili e alle emissioni delle centrali elettriche, e ha ratificato l’accordo raggiunto a Parigi, si tratta di decisioni che Trump potrà prendere in totale autonomia.
Quali effetti potrebbero avere la cancellazione delle peraltro insufficienti normative ambientali, introdotte negli ultimi anni da Obama, e l’abbandono di qualsiasi futuro impegno sul clima che oltre tutto, nelle intenzioni di Trump, dovrebbero essere accompagnato dalla cancellazione di tutti i finanziamenti americani ai programmi climatici delle Nazioni Unite?
Dopo la Cina, gli Stati Uniti sono il principale emettitore di gas serra. Se si tirano fuori, quanti altri paesi saranno tentati di seguirne l’esempio? È vero che prima e dopo Parigi una parte non piccola del mondo finanziario e delle grandi imprese ha dimostrato di essere più avanti dei governi nella consapevolezza dei rischi di un cambiamento climatico irreversibile, per cui la defezione americana non riuscirebbe a bloccare il percorso avviato. Però lo rallenterebbe, e in un mondo impegnato in una corsa contro il tempo (secondo recenti previsioni della NASA, ci stiamo avvicinando a 1,3 °C di sovratemperatura) questo ritardo potrebbe rivelarsi esiziale.
GB Zorzoli
Tratto da IL pianeta terra 9/16
13 novembre 2016