Italia: vizi e virtù. L'antifascismo


In copertina: Annibale Carracci "il vizio e la virtù"


Italia: vizi e virtù
Eugenio Caruso
Impresa Oggi Ed.

copertina 3

Premessa

2. Rinasce la democrazia in Italia
Prima di iniziare la cronaca degli avvenimenti che stanno caratterizzando la vita della Repubblica italiana, in uno dei periodi più confusi della sua storia, giova gettare un ponte per allacciare passato, presente e futuro. In un presente, che propone nuove forme di democrazia, è utile rivolgersi al passato, per tentare di individuare le cause che hanno condotto l'Italia al degrado politico, morale e culturale e per poter trarre insegnamenti affinché i nuovi orizzonti possano tradursi in una definitiva cesura con il passato. Ma poichè la storia è la "scienza del passato", per poter descrivere la patologia della malattia italiana e procedere, poi, senza soluzione di continuità alla disanima degli avvenimenti, è necessaria una rapida ricostruzione dei momenti salienti di questi ultimi sessanta/settanta anni, partendo dall'ossimoro fascismo/antifascismo, la cui interpretazione ha minato per sempre la memoria collettiva nazionale.
2.1 L'antifascismo
L'antifascismo in Italia non nasce solo quando gli italiani si rendono conto che la guerra è perduta, ma è un sentimento, che è stato tenuto in vita da un gruppo di "eroi", che si sono giocati posizioni sociali e carriere, che hanno perso o rischiato la vita, sofferto il carcere, il confino o l'esilio, pur di testimoniare la propria fede nella libertà.
Anche negli anni trenta, nel periodo del massimo "consenso", la volontà di opporsi alla sopraffazione e all'imbarbarimento, l'orgoglio del dissenso, non sono spenti. In prima linea si trovano gli oppositori politici, comunisti, socialisti, liberali e poi giellisti e azionisti, ma essi non sono soli, anche nel mondo della cultura e della società civile la resistenza è presente. Spesso è una resistenza, che non vede il fascismo come fatto politico o di classe, ma è un antifascismo, che, condivide l'opinione di Carlo Rosselli, "Il fascismo è, in certa misura, l'autobiografia di un popolo, che ha il culto dell'unanimità, che rifugge dall'eresia, che sogna il trionfo della facilità, della fiducia e dell'entusiasmo", è un antifascismo che considera quindi necessaria una palingenesi, una crescita culturale, sociale e politica del Paese, e che crede fermamente in una della ultime affermazioni di Giacomo Matteotti: "Ciascun popolo deve conquistare la sua libertà: se non sa, vuol dire che non ne è degno". Per intendersi non è l'antifascismo opportunista degli ultimi mesi della guerra.
Come il fascismo, anche l'antifascismo nasce e si sviluppa a Milano. La città partecipa al processo di crescita industriale, che caratterizza le aree più avanzate d'Europa, e, pertanto, non può non sviluppare l'attitudine alla tolleranza. I dirigenti dei centri studi di molte aziende e banche milanesi, sono antifascisti militanti; Parri, alla Edison, La Malfa, alla Commerciale Italiana, Lenti, alla Snia Viscosa, Di Fenizio, alla Montecatini, Valeri, alla Motta, "con i vari Raffaele Mattioli, Antonello Gerbi, Adriano Olivetti, Ermanno Bartellini, Virgilio Dagnino e altri ancora venivano a costituire l'intelligenza dell'antifascsimo operante, a livello gestionale, nella macchina produttiva della nazione" (Ferro. 1985). Inoltre, a Milano, la tradizione di libertà e autonomia ha le sue radici profonde nel periodo comunale, la tradizione liberale si è sviluppata con l'illuminismo e con il risorgimento, quella socialista è radicata nelle prime lotte sociali e in una classe operaia evoluta, la tradizione anarchica e libertaria è solida, quella capitalista si sta formando nell'unica borghesia industriale e finanziaria del Paese. Quando il primo luglio 1924, venti giorni dopo l'assassinio di Giacomo Matteotti, Riccardo Bauer e Ferruccio Parri iniziano la pubblicazione de Il Caffè, la "lombarda, liberale e antiretorica" prestigiosa testata dei conti Pietro e Alessandro Verri, la cultura milanese è pronta a impegnarsi sul percorso del dissenso. Dopo l'assassinio di Matteotti viene costituito a Milano il Comitato delle opposizioni e il Corriere della Sera di Luigi Albertini si schiera contro il fascismo, il pensiero dei socialisti è esposto in Critica Sociale, fondata a Milano da Filippo Turati e Anna Kuliscioff nel 1892. L'Università Bocconi è un laboratorio del pensiero economico, sufficientemente libero e incontaminato dal pensiero ufficiale.
Ma, nel novembre del 1926, il regime elimina le ultime speranze di poter mantenere viva, in Italia, la voce dell'opposizione. Con la promulgazione delle leggi eccezionali, vengono operati migliaia di arresti, il dissenso pubblico viene stroncato e destinato alla clandestinità e alla non ufficialità, i leader dell'antifascimo sono o in esilio o al confino. A Milano, le discussioni politiche, economiche e letterarie proseguono nei salotti di casa Banfi, casa Mattioli, casa Casati, dove si forma quel laboratorio di idee, che alimenterà, in modo continuo la cultura anti-fascista.
L'11 febbraio 1929, vengono firmati i patti lateranensi, grazie ai quali anche la Chiesa cattolica diventa un pilastro del fascismo. In quel periodo l'antifascismo sta riprendendosi dal tracollo successivo alle "leggi eccezionali", e l'accordo tra chiesa e fascismo dà maggior vigore alla dissidenza. A Milano, con Ferruccio Parri, Riccardo Bauer, Ernesto Rossi, Umberto Ceva e altri, va formandosi la struttura di Giustizia e Libertà, che si pone il motto: "Insorgere per risorgere". Il 27 luglio '29, Carlo Rosselli, Emilio Lussu, Fausto Nitti, fuggono dal confino di Lipari, raggiungono Parigi, dove costituiscono il motore estero di Giustizia e Libertà. Ma nell'ottobre del 1930 la polizia sgomina la struttura interna di GeL; la base italiana si sposta così a Torino, dove il movimento acquista una fisionomia "operaista", che lo differenzia dal Comitato parigino e dal gruppo dirigente milanese, oramai tutto al confino.
Questo dualismo tra operaismo e liberalismo si ritroverà anche nel futuro Partito d'azione e sarà una delle cause dei contrasti, che porteranno alla scomparsa del movimento. Quando il nazismo sale al potere in Germania, accolto dal consenso entusiastico del fascismo, anche nel mondo della chiesa iniziano a sollevarsi voci di dissenso, ma il fascismo risponde immediatamente scatenando un'offensiva, che porta allo scioglimento delle organizzazioni giovanili e universitarie dell'Azione cattolica. Come reazione gli antifascisti cattolici tentano di organizzarsi; nasce il cosiddetto movimento "neo-guelfo", con l'intento di cercare l'appoggio della borghesia conservatrice, ma, nel '34, i fondatori del movimento, Malvestiti e Malavasi, vengono condannati alla reclusione, tra l'indifferenza della chiesa. Anche gli ex-popolari tentano di ricucire le fila del partito, Sturzo dall'esilio, De Gasperi, in Vaticano, l'avvocato Clerici, estensore di una lettera al cardinale Schuster, di Milano, contro il regime, Spataro, Meda, Giro e altri.
In Emilia, Toscana, Umbria e Lazio è attivo il movimento ispirato al liberalsocialismo del filosofo Guido Calogero e del religioso Aldo Capitini, movimento, che trova terreno fertile nelle Università, ove il fascismo ha creato un grande vuoto culturale.
Il rapporto tra i partiti antifascisti non è sempre "fraterno", in particolare, a causa della dipendenza del partito comunista e dei socialisti massimalisti dalle direttive di Mosca. Infatti, dal 1919, socialisti massimalisti e comunisti si recano periodicamente a Mosca per ricevere direttive sulla condotta politica da seguire. I comunisti italiani avevano accettato, infatti, le "21 condizioni" di Mosca, che trasformavano il Partito comunista, da soggetto autonomo a semplice sezione della Terza internazionale, con l'obbligo di anteporre agli interessi del paese e della sua classe lavoratrice, quelli del proletariato internazionale. Questa decisione sarà all'origine delle numerose rotture con gli altri partiti antifascisti e genererà nel Pci quell'atteggiamento di intransigenza ideologica e di arroganza intellettuale, che lo contraddistinguerà durante tutta la sua storia. Solo con il VII congresso dell'internazionale comunista, dell'agosto 1935, si registra una svolta nel rapporto tra i partiti anti-fascisti; il congresso comunista apre, infatti, alle intese tra i comunisti e le altre forze democratiche, per la lotta al nazi-fascismo. In Italia nasce pertanto lo spirito del fronte popolare, che consente un'ampia collaborazione tra comunisti, socialisti e giellisti, nelle fabbriche, nei quartieri, nell'assistenza alle famiglie vittime del fascismo o di "compagni" in carcere o al confino. Questa collaborazione si rivela efficace in occasione della recrudescenza dell'attività dell'Ovra, che si sviluppa durante la guerra civile spagnola (iniziata il 18 luglio '36 con la rivolta del gen. Francisco Franco, contro il governo di sinistra), attività che conduce ancora allo scompaginamento della rete interna del fronte antifascista. Nel '39, dopo il capovolgimento delle alleanze operato dalla Russia, con l'accordo Ribbentrop-Molotov, lo schieramento antifascista vede un'altra frattura, dovuta al nuovo atteggiamento dei comunisti, allineati con le indicazioni dell'Urss per la rottura dei fronti unitari antifascisti; per Mosca "Francia e Inghilterra sono i pilastri del capitalismo mondiale e quindi i veri nemici del comunismo".
Quando nel giugno '41 la Germania apre il fronte contro l'Urss, i comunisti riprendono la collaborazione con gli altri movimenti antifascisti, ma il loro comportamento ha messo in luce, una volta ancora, che il centro di gravità della loro azione è Mosca. Nell'agosto '41 Togliatti invia in Italia un suo fiduciario, Umberto Massola, con l'incarico, sia di costituire un Centro interno del Pci, che di riaffermare il centralismo e il prestigio della direzione, contro alcune tendenze democratiche e federative, che andavano manifestandosi. L'iniziativa di Massola portò all'affossamento del movimento "Il Garibaldino", promosso da Giovanni Ferro, che si proponeva di promuovere un comunismo nazionale, svincolato dalle direttive del Comintern. Nell'ottobre del '41 a Tolosa si riuniscono i rappresentanti del Partito comunista (Emilio Sereni e Giuseppe Dozza), del Partito socialista (Pietro Nenni, Giuseppe Saragat) e di Giustizia e Libertà (Fausto Nitti e Silvio Trentin), che redigono un appello agli italiani perché insorgano contro il fascismo.

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7 gennaio 2017

 


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