Giuseppe Volpi di Misurata, tra elettricità e cinema


Platone afferma non esserci alcun re che non sia discendente da schiavi e nessuno schiavo che non sia discendente da re.
Seneca Lettere morali a Lucilio


INVENTORI E GRANDI IMPRENDITORI

In questa sottosezione illustrerò la vita di quei capitani d'industria e/o inventori che hanno sostanzialente contribuito al progresso industriale del mondo occidentale con particolare riguardo dell'Italia.

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Giuseppe Volpi di Misurata

Era figlio dell'ingegnere Ernesto Volpi e di Emilia De Mitri. Rimasto orfano di padre, con pochi soldi in tasca abbandonò l'università di Padova e iniziò a lavorare. Come rappresentante di commercio, entrò in contatto con gli ambienti finanziarî legati alla Banca commerciale e con l'appoggio di quest'ultima promosse attività economiche in Oriente e nei Balcani. Nel 1903 assicurò al capitale italiano il monopolio dei tabacchi nel Montenegro e nel 1905 la società Antivari, da lui fondata, ottenne l'appalto per la costruzione della ferrovia Antivari-Vir Pazar. Investì i guadagni acquisiti nella nascente industria elettrica e nel 1905, rientrato in patria, costituì la SADE (Società Adriatica di Elettricità), acquisendo in tal modo una posizione di rilievo nel settore della produzione e della fornitura di energia elettrica. La società era proprietaria dell'impianto del Vajont sino alla nazionalizzazione dell'energia elettrica con la nascita dell’Enel nel 1962.
Nel 1917 fu tra i protagonisti della realizzazione del nuovo Porto Marghera e dopo il primo conflitto mondiale acquistò prestigiose catene alberghiere, gestendo a Venezia il Grand Hotel e l'Excelsior. Fu Presidente dell'Assonime dal 1919 al 1921, chiamando nel ruolo di segretario Felice Guarneri.
Benché massone, aderì al fascismo e dal 1922 al 1925 fu governatore della Tripolitania italiana. In questa veste avallò le azioni di dura repressione ordinate dal generale Rodolfo Graziani contro i ribelli libici. Nel 1925 gli fu concesso il titolo di conte di Misurata da Vittorio Emanuele III. Dal 1925 al 1928 fu Ministro delle finanze del governo Mussolini: la sua azione governativa fu tesa ad avvicinare i capitalisti al fascismo. Per inciso, va ricordato che anche se la Massoneria fu posta fuorilegge con il Regio Decreto 13 marzo 1927, n. 313, voluto da Benito Mussolini, tutti e quattro i “quadrumviri” della Marcia su Roma (Italo Balbo, Michele Bianchi, Cesare Maria De Vecchi e Emilio De Bono) appartenevano alla Gran Loggia d'Italia. Cfr. Aldo Alessandro Mola, Storia della massoneria italiana: dalle origini ai giorni nostri, Milano, Bompiani, 1992, p. 505. Alla stessa comunione appartenevano anche altri importanti gerarchi quali Roberto Farinacci, Cesare Rossi, Giacomo Acerbo e Giovanni Marinelli.
Fu presidente della Confindustria dal 1934 al 1943. In tale veste, Volpi si fece promotore degli interessi del capitalismo italiano presso il regime, assicurando in cambio il sostegno e la collaborazione del mondo industriale al fascismo e al progetto politico mussoliniano, considerato dai vertici del mondo produttivo italiano come modernizzatore e funzionale ai propri interessi. Tale sostegno iniziò a venir meno nel 1943, quando le gravi distruzioni apportate alle infrastrutture e agli impianti industriali italiani dall'offensiva angloamericana - e la coscienza che la guerra fosse irrimediabilmente perduta - misero in crisi il quadro politico ed economico del Paese[.
Nel 1938 divenne presidente del consiglio di amministrazione delle Assicurazioni Generali al posto del dimissionario Edgardo Morpurgo, che, in quanto ebreo, dovette cedere la guida dell'istituto assicurativo a causa delle leggi razziali. Negli stessi anni nei quali fu al vertice della Confindustria fu anche presidente della Biennale di Venezia e, in tale ambito, fu il principale promotore della 1ª Esposizione Internazionale d'Arte Cinematografica, oggi conosciuta come Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia. Per questa ragione il premio al miglior attore e quello alla miglior attrice (le "Coppe Volpi") portano il suo nome. Anche un altro premio attribuito dalla giuria della Mostra, la medaglia d'oro del Senato, ha origine dal suo ruolo di senatore, nominato nel 1922.
Nei primi mesi del 1943, avvertendo il formarsi di una sempre più vasta e trasversale opposizione alla prosecuzione della guerra, all'alleanza con Hitler, e al suo stesso governo nei vertici politici e finanziari del Paese, Mussolini procedette a un vasto rimpasto del suo governo (tra le vittime più illustri Galeazzo Ciano e Alessandro Pavolini) e rimosse Volpi dalla presidenza di Confindustria, sostituendolo, il 30 aprile con il direttore generale, Giovanni Balella. Per questo motivo Volpi non poté prender parte alla seduta del Gran Consiglio del fascismo (nel quale sedeva di diritto il presidente di Confindustria) che, nella notte tra il 24 e il 25 luglio decretò la fine del regime. Dell'evento Volpi fu informato, a quanto pare, solo la mattina successiva da Dino Grandi, al quale era legato da personale amicizia, e che fu tra i principali ispiratori della caduta del regime fascista; proprio in quel periodo Volpi cominciò a presentare i primi sintomi della malattia che nel giro di pochi anni spense le sue facoltà intellettive e lo condusse alla morte.
Tentò due volte di fuggire in Svizzera (il 26 luglio ed il 16 ottobre), senza tuttavia riuscirci. Il giorno prima del suo secondo tentativo di fuga, delegò la cura delle sue aziende al conte Vittorio Cini. Fu quindi arrestato dalle SS e trattenuto per qualche giorno nella prigione di via Tasso, ma visto il peggioramento delle sue condizioni, per intervento diretto del Maresciallo Rodolfo Graziani, fu liberato e riconsegnato alla famiglia. Nel dopoguerra subì una serie di procedimenti per le sue responsabilità durante il regime fascista. Il suo stato gli impedì di presentarsi davanti ai giudici, ma grazie all'Amnistia Togliatti e alle testimonianze a suo favore di autorevoli personalità antifasciste, fu prosciolto da ogni accusa. Fu tra i promotori, come titolare della SADE (Società Adriatica Di Elettricità). Acquistò e restaurò Villa Barbaro di Maser, dimora cinquecentesca opera di Andrea Palladio ed inserita nei siti patrimonio dell'umanità dell'UNESCO nel 1996, originariamente posseduta dalla famiglia Barbaro.
Giuseppe Volpi si sposò per la prima volta, a Firenze l'8 ottobre 1906, con la nobile Nerina Pisani (morta a Roma il 29 novembre 1942), raffigurata in un dipinto (1906) da Vittorio Matteo Corcos, immortalata da d'Annunzio nel romanzo Il fuoco, da cui ebbe due figlie:
Marina (nata a Venezia il 19 febbraio 1908).
Anna Maria Losanna (nata a Venezia il 19 aprile 1913).

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La contessa Nerina Pisani Volpi di Misurata in un ritratto di Vittorio Matteo Corcos (1906)

In seconde nozze sposò l'algerina Nathalie (Natalia - Lily) El Kanoni (Leonia Kanoni o Nathalie El Kanoui), nata a Orano. Dall'unione nacque (1938) Giovanni Volpi.

INTERVISTA DI GIOVANNI VOLPI AL FATTO QUOTIDIANO
Malcom Pagani per "Il Fatto Quotidiano"
Illusioni poche: "La Venezia di ieri non tornerà più, dalla croce, come saprà, ne è resuscitato uno solo". Ironia ereditaria: "A ogni edizione il busto di mio padre Giuseppe viene spostato di sede. Nel Palazzo del Cinema, lo trova in fondo a destra. L'anno prossimo magari sparisce oppure lo sotterrano in cantina". Rabbia ancora giovane nonostante il cuore batta il ritmo dell'età: "Ho qualche problema di salute e da un certo punto in poi, comunque, si vive in prestito".
E dietro gli occhiali, i 75 anni non restituiscono più il mare di un'epoca lontana: "Al Lido venivano le famiglie, anche per due mesi. Chi ci vada ancora esattamente non lo so, ma mi basta vedere al Festival un buttafuori vestito come Man in black per smarrire la voglia di scoprirlo".
Di Giuseppe Volpi di Misurata, esistenza da romanzo tra amori berberi, alberghi, presidenze confindustriali, Afriche in camicia nera, celle in via Tasso e processi, Giovanni Volpi è il figlio. Di suo padre: "Non certo il fascista pregiudizialmente descritto da più parti, ma un uomo che diede lavoro a migliaia di veneziani" e che in un attivismo da pioniere, fondò tra molte altre cose la Mostra del Cinema, parlerebbe per ore.
Aneddoti, rivisitazioni, Libia, petrolio, Mussolini, De Gasperi e Andreotti. La Coppa che omaggia i migliori attori porta ancora il suo nome, ma Volpi è stanco di recitare: "Mio padre andrebbe osannato anche se almeno un errore, anzi un crimine, l'ha commesso".

Quale, Conte?
Ha provato a essere profeta in patria. In Italia non te lo perdonano. C'è il vizio di cancellare le proprie origini.
Lei le difende?
Ho brevettato un marchio registrato con la denominazione Coppa Volpi. Sa, quello con la erre tra le due parentesi?
Anche il Festival numero 70 è diventato una parentesi?
Prenda la lista dei film del Dopoguerra. Otto su 10 sono diventati grandi classici. Una volta trovavi Kurosawa o Fronte del Porto.
Oggi?
Devi applaudire l'ultima cagatina jugoslava e francamente, non è una prospettiva affascinante. È quello che è accaduto al Festival e allora, col vostro permesso, non ci sto più. C'era un certo numero di premi. Come a ogni tavolo da gioco c'erano delle regole. Poi le hanno stravolte e abbiamo assistito al miracolo della moltiplicazione degli ex aequo, ai bambini di tre anni premiati per la loro straordinaria interpretazione e alla consegna di una trentina di targhe concesse a vario titolo. La rassegna ha perso credibilità. Ed è una cosetta che non si recupera facilmente. Sa che le dico?
Cosa, Conte Volpi?
Che se io fossi il produttore di un grande film americano, a Venezia non verrei mai. Si va a perdere in ogni caso, da queste parti. Costi folli, mancanza di posti letto, le giurie, vere e proprie mine vaganti. Non conviene.
Le piace il Festival di Barbera?
È appena arrivato, ci vuole continuità. Hanno cacciato Müller che avrà avuto i suoi difetti, ma era lì da anni. A Cannes hanno cambiato pochissimo, da noi 22 direttori. Rapporti? Andavo d'accordo con Pontecorvo e con Biraghi e almeno per tre quarti, anche con Müller. Oggi il dialogo è zero. Come diceva il filosofo? Siamo come atomi che non agganciano.
Al Lido la invitano?
Certo, ma vado poco. D'inverno viene voglia di spararsi, d'estate mi immalinconisco.
Venezia soffre?
Ha una storia e fa di tutto per affossarla. Vende male la sua dignità. Chiunque si alzi per proporre una porcata, ottiene genuflessioni e stuoli di funzionari pronti a sdraiarsi. L'ultimo è stato Pierre Cardin. Voleva costruire a Marghera una torre alta 250 metri. Una follia che sarebbe stata visibile da ogni angolo della città. Sarebbe bastato dirgli di no, suggerirgli di andarsi a costruire il suo Chrysler building a Treviso. Cardin non viene da lì?
Invece?
In una commistione di sinistrismo pericolosamente inclinato al cretinismo, i veneziani parlano d'altro. Si lamentano dei turisti e sputano nel piatto dove mangiano, ma appena manca un solo americano, si stracciano le vesti. Venezia non ha il petrolio. Vive di turismo. È e sarà sempre disneyana.
Però ha molti problemi.
Il problema di Venezia è che è sempre stata una città di stronzi che torturano il turista sapendo che non tornerà. Tanto c'è il ricambio. Nel 2011, per dire, ha ospitato 22 milioni di persone. I veneziani vogliono l'affare sicuro. Pretendono che la domandi superi di 10 volte l'offerta. Non è normale.
E l'affare del viscontiano Des Bains, chiuso per essere diviso in appartamenti?
Cazzata pazzesca e scempio messi in piedi allo scopo di accumulare un fottìo di soldi. Ma qui non siamo a New York e gli appartamenti non vuole comprarli nessuno. Il Lido con il solo Excelsior, non può farcela. A meno che il progetto non sia quello di spostare la Mostra all'Arsenale per altre speculazioni. Non mi stupirei.
Si parla molto di vaporetti, traffico in laguna e navi mostro.
Storia vecchia. Ogni anno un vaporetto speronava una famiglia, di solito invariabilmente svizzera. Questa volta ci sono stati i morti. Sul moto ondoso poi, con la scusa di prendere i soldi per la stabilizzazione delle acque, si raccontano balle spaventose. L'acqua ferma, c'era forse 2 secoli fa. Siamo nel 2013. Ma come mi disse un amico del NYT, Venezia fa notizia solo se affonda. Di scrivere che è tra le città più sicure al mondo non importa a nessuno.
Almeno si scrive del Festival.
Purtroppo è in mano alla politica. Era più facile parlare con i comunisti nel '47, ai tempi in cui avevano il mitra nell'armadio che con questi destrorsi di sinistra con il portafogli a destra.
Meglio Berlusconi?
Se lasciamo stare le desolanti esperienze personali e il fatto che gli abbiano fatto fare poco o nulla, una cosa l'aveva capita. Bisogna far ridere. Spiazzare. Fare spettacolo. Per questo aveva successo con le donne. Ha visto certe foto su Dagospia? Pure istantanee dell'albertosordismo all'italiana. Poteva tenere il pantalone chiuso e un po' se l'è cercata, ma sia sincero, la sua battuta sulla Merkel, con quell'inchiavabile di chiara derivazione veneta, non fece ridere anche lei?


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Eugenio Caruso - 13 gennaio 2017


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