In copertina: Annibale Carracci "il vizio e la virtù"
Italia: vizi e virtù
Eugenio Caruso
Impresa Oggi Ed.
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2.8 Le politiche economiche dei governi di transizione (1946 - 1953)
Il periodo post-bellico è caratterizzato dall'esigenza della ripresa economica; fortunatamente il sistema produttivo italiano non ha subìto grandi danni, essi ammontano, infatti, a circa il 10% del valore che esso aveva nel 1938. Evidentemente gli alleati avevano ritenuto le nostre industrie talmente obsolete che non valevano le bombe necessarie per distruggerle; sul finire della guerra gli industriali del Nord avevano, inoltre, mantenuto contatti con gli anglo-americani al fine di avere salve le proprie fabbriche.
Il Paese gode, peraltro, di un enorme bacino di manodopera essendo, nel 1945, gli occupati nell'agricoltura ben il 50% di tutta la forza lavoro. I primi passi dell'economia italiana vengono guidati da Luigi Einaudi (prima come governatore della Banca d'Italia e poi come ministro del bilancio), che, grazie al grande prestigio di cui gode, riesce a ribaltare la politica inflazionistica dei governi di coalizione e a imporre come obiettivo prioritario la stabilità della moneta. Con una severa restrizione del credito, nel 1948, l'inflazione, che aveva toccato, su base annua, il 50%, è domata. L'operazione, che rallenta, inizialmente, lo sviluppo avrà effetti positivi nel corso degli anni e sarà alla base della sorprendente crescita economica degli anni cinquanta e sessanta.
Nel 1950, la produzione industriale è tornata ai livelli prebellici e gli anni successivi sono caratterizzati da un progresso continuo con ritmi che l'Italia non aveva mai toccato. Nel 1946, all'interno del Cln, Nenni convinto che l'Agip sia solo il frutto della megalomania di Mussolini chiede e ottiene che l'azienda venga messa in liquidazione. Dossetti propone Enrico Mattei, che era stato comandante delle formazioni cattoliche partigiane, come commissario liquidatore; Mattei accetta, ma, prima di liquidare, fa alcune verifiche. Va da Mattioli, il banchiere della Comit, e lo convince a emettere un prestito di un miliardo per continuare le perforazioni nella pianura padana. E trova il metano. Nel 1948, De Gasperi, che culturalmente era più un costruttore che un demolitore, di fronte ai risultati ottenuti da Mattei, annulla la decisione della liquidazione.
I primi governanti del Paese sono convinti della necessità di una liberalizzazione degli scambi, come reazione agli anni del dirigismo e dell'autarchia fascista, ma sono anche convinti della necessità di una forte presenza dello stato nel sistema produttivo e nei servizi. Restano inascoltati i moniti di Einaudi secondo cui nelle aziende pubbliche, con il tempo, gli aspetti sociali avrebbero avuto il sopravvento sugli aspetti economici e le direttive della politica sulle decisioni dei manager, con il risultato di creare le condizioni per avere aziende perennemente in perdita. Einaudi era stato buon profeta anche quando aveva ammonito che sarebbe stato difficile quantificare le perdite delle aziende pubbliche perché «le vie che la contabilità apre per sfuggire alle cifre in rosso sono infinite». I giochi delle scatole cinesi che verranno utilizzati dai vari manager dell'Iri per nascondere perdite e debiti gli daranno ragione. Lo stesso Pasquale Saraceno, il padre della pianificazione economica, dovrà ammettere «… in media trascorre un triennio fra l'anno in cui le perdite si producono in un'azienda e l'anno in cui, attraverso le finanziarie, le perdite vengono accertate, in generale sotto forma di svalutazione del capitale, nel bilancio dell'Iri».
Al liberismo monetario fa, quindi, da contraltare la volontà politica della pianificazione degli snodi strutturali e una difesa degli elementi caratteristici del corporativismo e dello statalismo. Fortunatamente, le imprese pubbliche si trovano a essere gestite, in genere, da buoni manager che consentono di ammorbidire il principio della pianificazione in un più moderato capitalismo manageriale di stato, che produrrà, inizialmente, buoni risultati.
Nel giugno 1949, durante il terzo congresso della Dc, i dossettiani propongono la pianificazione dello sviluppo economico del Paese, che troverà la prima teorizzazione con Saraceno, nel 1948 (Saraceno, 1969), e, successivamente, con il documento Schema di sviluppo del reddito e della occupazione in Italia nel decennio 1955-1965, presentato dal ministro Ezio Vanoni nel 1954. Il documento prevede forti investimenti nell'edilizia abitativa e nelle opere pubbliche, in particolare attraverso le imprese di stato, interventi che si sommano a quelli attuati sulla base del documento Saraceno e cioè la riforma agraria, il programma di edilizia popolare e la costituzione della Cassa per il Mezzogiorno. Sul versante sindacale, dopo i grandi scioperi dei braccianti delle campagne settentrionali, nel '48 e '49, gli anni quaranta si chiudono con le violente proteste dei contadini del Sud, che, oppressi da secolari condizioni di degrado, sembrano conquistare una coscienza collettiva che consente di superare sfiducia e fatalismo.
Le stragi di Melissa e di Portella della Ginestra scuotono il Paese e il Parlamento, sconfiggendo il partito dei baroni e del notabilato meridionale, approva una legge che, come più importante provvedimento, prevede l'espropriazione di una parte dei grandi latifondi, quelli meno produttivi, e la relativa ridistribuzione ai contadini. La riforma rappresenta il primo tentativo, nella storia d'Italia, di colpire la proprietà fondiaria assenteista, responsabile dell'immobilismo del Sud, e di favorire i contadini. Secondo Mack Smith fu «forse il più ardito tentativo di riforma agraria compiuto nei paesi non comunisti; oltre due milioni di acri di terra non coltivata furono sottratti ai latifondisti (costretti a vendere) e distribuiti» (Smith, 1997).
All'interno del sindacato unico, la Cgil, i contrasti, tra comunisti, socialisti, cattolici e repubblicani, sono aspri, la componente comunista sostiene che la situazione economica è in continuo peggioramento perché «adattata e subordinata alle esigenze dell'economia americana». L'unità sindacale si spezza; il 22 luglio '49, esce dalla Cgil la componente cattolica, seguita, un anno dopo, da quelle socialdemocratica e repubblicana, che fondano la Fil. Successivamente la Fil si dissolve e, nel '50, nascono la Cisl filo-democristiana, di Giulio Pastore, e la Uil, che raccoglie, per lo più, le istanze repubblicane e dello Psli.
L'11 maggio del 1949, al XXIX congresso dello Psi, si rifà vivo il tarlo dello scissionismo; esce il gruppo che fa capo a Giuseppe Romita, il quale fonda il Partito socialista unitario, che tiene il suo I Congresso nel dicembre del 1949. Al suo II Congresso (gennaio '51) viene approvata l'unificazione con lo Psli; nel gennaio '52 i partiti di Saragat e Romita si unificano nel partito socialista democratico italiano (Psdi).
2.8.1 Le finanze del Vaticano
Ai primi cenni dell’imminente guerra mondiale Pio XII si era preoccupato di salvaguardare l’ingente liquidità di cui il Vaticano disponeva grazie all’Obolo di San Pietro e dà l’incarico a Massimo Spada, il segretario amministrativo dello Ior, la banca vaticana, creata nel 1942 sempre da Pio XII. Spada conferma la sua abilità di finanziere consigliando al papa di convertire tutta la liquidità in sterline oro. Alla fine della guerra quel patrimonio è diventato enorme sia rispetto alle lire e alle amlire, sia, anche, in rapporto al dollaro. Il Vaticano si trova a essere la più potente istituzione finanziaria del Paese e lo Ior inizia la propria avventura come azionista di molte imprese italiane. Nel giro di pochi anni Massimo Spada accumula una trentina di partecipazioni di comando o di co-comando di imprese nei cui consigli di amministrazione fa il bello e il cattivo tempo. Spada siede anche nel CdA dell’Iri ove acquista un ruolo sempre crescente. Giova ricordare che fu proprio lo Ior che fornì a Enrico Mattei la liquidità per comprare la Egyptian Oil Company, la prima società estera dell’Eni che consentì a Mattei di lanciare un guanto di sfida alle sette sorelle. Come presidente della Lancia, che aveva accumulato una montagna di debiti, Spada fu l’artefice della vendita della fabbrica automobilistica di Carlo Pesenti (con i relativi debiti) alla Fiat; il prezzo simbolico fu fissato in una lira per azione. Lo Ior fu anche protagonista in un’operazione di ingegneria finanziaria mai compiuta in Italia e nel mondo. La Italmobiliare da controllata da Italcementi diventò la controllante del colosso cementifero, grazie ad una serie di operazioni che oggi sarebbe impossibile compiere e che vide transitare da un soggetto all’altro ben 200 miliardi di lire; fulcro di tutta l’operazione fu proprio lo Ior. Con questa operazione Pesenti raggiunse il sogno della sua vita essere un banchiere (Panerai, 2010). Alla morte di Carlo, il figlio Gianpiero, con la supervisione di Enrico Cuccia, con il quale il padre non aveva mai voluto dialogare, mise in vendita la Ras, il secondo gruppo assicurativio italiano e vendette anche le banche. Un errore imperdonabile perchè ciò che Carlo Pesenti aveva intuito si avverò: di lì a poco i valori di banche e assicurazioni salirono alle stelle e il gruppo avrebbe avuto la possibilità di diventare il primo gruppo industriale italiano. La potenza finanziaria del Vaticano iniziò a calare con l’arrivo alla presidenza dello Ior di Paul Casimir Marcinkus, capo dei servizi di sicurezza del papa, che divenne socio e protettore di due grandi bancarottieri e faccendieri come Michele Sindona e Roberto Calvi. Per rivedere la grande finanza cattolica giocare un ruolo di primo piano in Italia si dovrà attendere la fondazione di Comunione e Liberazione, prima, e della Compagnia delle Opere, dopo (Pinotti, 2010).
2.8.2 Storia dell’Iri
Giova ricordare che l’Iri, acronimo di Istituto per la Ricostruzione Industriale, era stato istituito nel 1933 per iniziativa di Benito Mussolini, al fine di evitare il fallimento delle principali banche italiane (Commerciale, Credito Italiano e Banco di Roma), che detenevano forti pacchetti azionari delle maggiori imprese italiane provate dalla crisi economica mondiale del ‘29. Nel dopoguerra l’Iri allarga progressivamente i suoi settori di intervento e, nel 1980 diventa un gruppo di circa 1.000 società con più di 500.000 dipendenti. Per molti anni l'Iri è la più grande azienda industriale del pianeta, escudendo gli Usa. Scrisse Sergio Ricossa: «L’italiano vede con occhiali Salmoiraghi (Iri), si serve di elettricità della Finelettrica (Iri), ascolta programmi della Rai con dischi Cetra e pubblicità Sipra (Iri), telefona con l’Iri, affida i risparmi alle banche dell’Iri, legge giornali sostenuti dalla pubblicità dell’Iri» (Ricossa, 1996). Al momento della creazione dell’Iri, Alberto Beneduce, primo presidente dell’istituto, riuscì a far valere il principio in base al quale era interesse del Paese lasciare allo stato la totalità della proprietà di settori essenziali dell’industria nazionale, affidandone la gestione a dirigenti di provata esperienza. Essi avrebbero dovuto essere indipendenti nell’elaborare le strategie produttive più consone agli interessi del Paese, purchè adottassero nel perseguirle saldi criteri di razionalità economica. Questa impostazione chiamata “capitalismo manageriale” era al centro del dibattito tra gli economisti dell’epoca ed era servita a Franklin D. Roosevelt per superare la crisi delle industrie statunitensi a seguito della grande depressione. Nel dopoguerra, per circa 25 anni il capitalismo manageriale delle imprese italiane a partecipazione statale ha conseguito risultati di non poco rilievo. Esso ha contribuito a costruire in pochi anni la rete autostradale italiana, a portare la produzione annua di acciaio dai 2 milioni del 1950 ai 24 milioni di tonnelate anno del 1975. La capacità produttivistica dei manager dell’Iri comincia a venir meno quando “la politica” inizia a premere affinchè essi perseguissero fini estranei agli obiettivi industriali (assunzione di personale raccomandato dai partiti, localizzazione di fabbriche in aree poco indicate, acquisizione di imprese decotte lontane dal core business dell’impresa di stato).
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Eugenio Caruso - 6 febbraio 2017