GRANDI PERSONAGGI STORICI
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Ramsete II
In questa sezione ho illustrato la vita di grandi personaggi del passato, allo scopo di tratteggiare le caratteristiche e i valori che hanno portato questi personaggi al successo. Da ciascuna sfumatura dei comportamenti di questi ciascuno di noi può trarre insegnamenti, stimoli, coraggio, intuizioni, entusiasmo per intraprendere un percorso che possa condurre al successo personale o della propria impresa.
Ramses II (1303 a.C. – 1212 a.C.), chiamato anche Ramesse II, Ramsete II e Ramsete il Grande, è stato un faraone egizio appartenente alla XIX dinastia che regnò dal 1279 al 1212 a.C. Ricalcando le scelte politiche del suo predecessore Horemheb, Ramsete si era proposto come il restauratore del vecchio culto di Ra scosso dall’eresia con cui Akhenaton, una cinquantina di anni prima aveva sconvolto l’Egitto. Akhenaton aveva infatti soppiantato la religione di Amon con quella di Aton, dando vita a una sorta di monoteismo in cui la figura del faraone assurgeva pienamente a caratteri assolutistici.
Grazie alla durata eccezionale del suo regno gli egittologi usano chiamare col suo nome l'intero periodo della sua dinastia (Epoca Ramesside). Ramsete fece costruire numerosissimi monumenti in tutto il paese e incidere il suo nome su altrettante opere dei suoi predecessori; una tale quantità di oggetti d'arte e di elementi architettonici ha fatto sì che vi sia traccia di lui in qualsiasi museo del mondo che ospiti una collezione dedicata all'Antico Egitto.
Così come altri personaggi storici, guerrieri e condottieri, la cui gloria ha attraversato i secoli, così anche a Ramses II venne attribuito l'epiteto Il Grande. Egli combatté contro gli Ittiti e assicurò il predominio dell'Egitto sulla Nubia e sui giacimenti auriferi. In questa colonia dell'impero egizio, fece costruire sei templi, i più celebri dei quali sono certamente quelli di Abu Simbel. Se a ciò sommiamo che Ramses, nei sessantasette anni di regno che gli furono concessi in sorte, fu in grado di ricoprire la valle del Nilo di costruzioni della cui incomparabile bellezza godiamo ancora oggi, e seppe esercitare e sfruttare un’abilità militare tale da farlo conoscere come il faraone guerriero per antonomasia, ci rendiamo conto di essere di fronte a un personaggio capace di marchiare indelebilmente non solo la storia del Vicino Oriente ma quella dell’intera umanità.
Non appena assunto il potere, il faraone ricalcò l’esempio paterno soprattutto nella prosecuzione della politica interna ed estera. Come il genitore, Ramses comprese infatti che la conduzione di uno stato improntata alla prosperità e alla pace poggiava su frontiere sicure e sul soffocamento delle ambizioni dei popoli stranieri.
Così, se da un lato il primo triennio di governo fu basato sul disbrigo degli affari interni, nei quali moltiplicò gli sforzi in ambito edificatorio, già a partire dal secondo anno il faraone ebbe il suo bel da fare nel contrastare le velleità straniere che, nella fattispecie, si concretizzarono nella minaccia dei pericolosi shardana.
Era stato il faraone eretico Akhenaton a consegnare alla storia, per la prima volta, il nome Srdn-w, dietro cui si celavano coloro che nel 1350 a.C. apparivano già come pirati e mercenari, pronti a offrire i loro servizi ai signori locali. Sull’origine degli shardana, che unanimemente furono riconosciuti come indomiti guerrieri, unici all’epoca nel difendersi durante i combattimenti con scudi tondi, ancora si dibatte vivacemente. Più di uno storico propende nell’attribuirgli come patria la Sardegna, identificandoli con le popolazione nuragiche, in particolare gli iolei che, insediatisi in tempi remoti nella grande isola del Mediterraneo occidentale, sfruttavano le loro basi per compiere incursioni soprattutto sulle coste egizie.
Altri ravvisano negli shardana una popolazione di provenienza orientale (presumibilmente caldea), insediatasi in Sardegna solo nel XIII secolo a.C., sovrapponendosi alle genti nuragiche già esistenti con le quali, dunque, non potrebbe essere identificata.
Indipendentemente da quale dovette essere la tana che li partorì, i cosiddetti “popoli del mare” subirono una memorabile batosta a opera di Ramsete II più o meno nel 1278, quando, affacciatisi all’altezza del delta , furono indotti a riflettere bene prima di riproporre una scorrazzata a quelle latitudini.
Ma il faraone dimostrò di saper apprezzare le doti di chi pur passando da pirata e predone aveva fama di essere un guerriero ardito e coraggioso. Così, offrendo prova di senso pratico, Ramsete pensò di sfruttare questi loro pregi, inglobando gli sconfitti nel suo esercito in qualità di truppe mercenarie.
L’impresa fu nulla rispetto a ciò che ancora attendeva il giovane sovrano. All’orizzonte infatti si profilava il nemico che aveva già dato filo da torcere ai suoi antenati: l’impero ittita.
Thutmosis III, due secoli prima l’aveva ridotto a una potenza trascurabile, ma già al tempo di Akhenaton quel nemico si era rifatto aggressivo e da allora le sue mire l’avevano costantemente impegnato in Siria e in Cananea, esattamente dove il nascente impero egizio aveva individuato la sua base di espansione. Seti I aveva provveduto a comminargli un’altra batosta ma gli ittiti erano sempre pronti a rinascere a nuova vita.
Il desiderio di colpire questi eterni nemici fu quindi il primo sogno del giovane Ramsete.
La battaglia di Qadeš
Ciò che avvenne nella piana antistante la fortezza di Qadeš fu considerato da Ramses l’avvenimento militare più saliente del suo regno e dunque riprodotto con dovizia di particolari sulle mura dei suoi templi di Abido, Karnak, Abu Simbel, Luxor e nel Ramesseum. Come se ciò non bastasse, l’evento fu riportato in ben quattro opere: il Poema di Qadesh, il Poema di Pentaur, il Bollettino di Qadesh e il Trattato di Qadesh.
Sappiamo così che nel momento in cui l’avanguardia egizia raggiunse la valle dell’Oronte, il cocchio dorato di Ramses era tra quelle fila, seguito dall’inseparabile guardia reale. Qadesh era dall’altra parte del fiume, molto più a nord ma il focoso faraone mordeva il freno: voleva precipitarsi da solo sotto le mura di Qadesh e chiederne la resa, dimostrando ai nemici che il figlio di un dio potente come Amon era invincibile.
Fortunatamente per lui i consigli prosaici del suo scudiero Menna lo riportarono con i piedi per terra: il soldato rilevò l’opportunità di raffreddare i bollenti spiriti considerando che la divisione Amon era ancora a due giorni di marcia, la divisione Ra fosse ancora più indietro e le divisioni Ptah e Seth avrebbero dovuto ancora camminare per due archi di luce prima di essere della partita.
Ramses accolse il suggerimento, anche perché la notte incombeva. Allora guadò il fiume, portandosi sulla riva sinistra dove si stagliava il bosco di Rotawi che, setacciato dalle sue pattuglie risultò essere disabitato. Proseguì oltre e indugiò nel villaggio di Sabtuna, oggi Riblan, un’isola avvolta nel silenzio.
Dopo aver riflettuto su questa ineluttabile verità, Ramses ordinò di allestire il campo.
All’alba del giorno successivo, mentre le sue divisioni erano ancora lontane, sfilacciate lungo la valle, Ramses si rimise in marcia, attraversò la foresta di Robawi e pose di nuovo il campo nella piana antistante Qadesh.
Due beduini dell’esercito ittita, catturati poco prima, rassicurarono anche i luogotenenti più meticolosi: Muwatalli II, il re ittita, e l’intero esercito erano lontani, nei pressi di Halab (Aleppo), di cui stavano allestendo la difesa convinti che gli egizi l’avrebbero attaccata.
Nonostante i resoconti degli esploratori che gli riferirono che piccoli contingenti di ittiti si aggiravano guardinghi nei pressi, Ramses si persuase che la rocca di Qadesh fosse sguarnita. Senza neppure attendere l’arrivo del resto della divisione Amon, il faraone prese la sua guardia reale e il primo corpo di Amon da lui comandato, chiamato “Potere degli archi”, con i quali si spinse fin sotto le mura della fortezza. Quei bastioni, tra i cui merli scorse pochi elmi, erano riusciti a incutere timore anche a suo padre Seti. Per lui sarebbe stato diverso: al pari di Thutmosis sarebbe penetrato insieme ai “Valorosi del re” attraverso una breccia che si accingeva ad aprire.
Almeno nella sua fantasia, visto che la realtà di lì a breve sarebbe stata ben differente.
Due spie ittite, infatti, catturate nel frattempo rivelarono un’amara verità: Muwatalli non stava affatto ad Aleppo. Era anzi nascosto a un tiro d’arco a nord-ovest, al riparo di una collina che dominava la fortezza dove tremila carri e una marea di fanti attendevano frementi un suo cenno. Ramses si accorse troppo tardi di aver agito con l’ingenuità di un novellino alle prime armi, cadendo nell’abile trappola apparecchiata dal sovrano ittita che molto probabilmente aveva pagato i beduini della zona per diramare informazioni false sulla sua posizione.
Muwatalli lasciò così sfilare la divisione di Amon che si ricongiunse con il faraone; evitando di attaccare il campo egizio, di cui peraltro ignorava gli effettivi, il re ittita mosse il suo esercito a intercettare la divisione Ra, che al momento doveva attardarsi ancora nella foresta di Robawi mentre le altre due arrancavano drammaticamente più dietro, addirittura al di là del fiume oltre Sabtuna.
Ramses inviò subito messaggeri per affrettare l’arrivo dell’accorrente divisione; quindi si accingeva a sfogare la propria collera contro l’improvvido servizio di informazione quando la terra cominciò a tremare.
Muwatalli aveva lanciato i suoi carri verso sud, lungo la riva destra dell’Oronte, con l’ordine di guadare il fiume e sbarrare il passo alla Ra che, forse perché smaniosa di arrivare e congiungersi con il proprio sovrano, forse provata dalla marcia veloce che aveva richiesto Ramses, forse perché colta al principio dell’attraversamento del fiume, si ritrovò sfaldata, disomogenea e poco pronta a reagire a un attacco: i 2.500 carri ittiti, guidati da tre uomini di equipaggio e molto più pesanti e adatti allo sfondamento rispetto a quelli egizi, limitati solo al lancio di frecce, si abbatterono come un uragano.
Nonostante la forsennata corsa degli egizi costringesse i carri nemici a un’ampia manovra di accerchiamento, questi ebbero presto ragione della Ra, sulla quale esercitarono una pressione che costrinse i superstiti a ripiegare velocemente e disordinatamente proprio verso il campo, in cui stazionava il faraone.
Ai carri che ormai convergevano decisi verso nord, si associò anche l’iniziativa di Muwatalli che, abbandonata la sua posizione da dietro la rocca, toglieva l’ultimo spazio utile di manovra alla Amon e al suo incauto comandante, che ormai si trovava stretto in una morsa.
In quel frangente Ramses fu il solo a non perdere la testa.
Di fronte allo spettacolo dei suoi uomini impauriti egli riuscì a organizzare uno straccio di difesa. Cinta la corazza e salito sul suo cocchio dorato, si ritrovò solo, fatta eccezione per i pochi shardana che si riveleranno per l’ennesima volta preziosissimi; a sud intanto una nube di polvere oscurava il cielo e il frastuono rimbombava sempre più terrificante.
Più che il fragoroso intervento del dio Amon, ciò che salvò il faraone in quel momento critico fu l’eccessiva prudenza con la quale Muwatalli, preoccupato dall’arrivo di eventuali alleati nemici, non affondò il colpo, mantenendo in sostanza una sorta di situazione di stallo.
Quell’esitazione consentì a Ramses di approntare un cordone che salvaguardasse l’accampamento, affidandone il compito alla fanteria ausiliaria. Quindi, aggiogati al suo carro i suoi cavalli migliori, si gettò con una manovra disperata contro il nemico ormai incombente, seguito dagli shardana.
L’urto con la cavalleria avversaria fu devastante: tra cocchi sfasciati, urla di guerra, nitriti di cavalli, ordini gridati e lamenti invocati la battaglia entrò nel vivo. Ramses sembrò davvero pervaso dagli dèi. O piuttosto va ammesso che la sua reazione fu talmente repentina da prendere in contropiede il nemico che lo considerava ormai spacciato. Come che sia la controffensiva riuscì e permise al faraone scatenato di sbaragliare l’avanguardia rivale e puntare direttamente al cuore dello schieramento ittita.
Anche in questo caso, piuttosto che il divino furore fu l’ingordigia terrena l’alleata più proficua per Ramses, che vide le file nemiche sfaldarsi mentre i carristi avversari abbandonavano le postazioni per puntare sul campo egizio e azzuffarsi nella spartizione del bottino.
Fu in quel momento che da sud spuntarono gli stendardi della divisione Ptah, mentre da ovest giungeva un corpo d’assalto egizio, inatteso dallo stesso Ramses: erano le reclute che, desiderose di combattere, avanzavano con il fuoco nel sangue.
Le sorti della battaglia si capovolsero in un attimo. Gli ittiti intenti a far man bassa vennero decimati; altri tentarono il contrattacco ma erano ormai divisi e circondati. Muwatalli però, che orchestrava le operazioni dalle retrovie, disponeva ancora di 1.000 carri lasciati di riserva, vale a dire 3.000 uomini e 2.000 cavalli.
Inspiegabilmente però, tutta quella potenza fu convogliata in un settore sfavorevole, stretto tra la Ptah e il contingente di reclute che ne disinnescarono immediatamente la carica. Il cattivo utilizzo di quei reparti, che se impiegati differentemente avrebbero probabilmente consacrato la vittoria ittita, è stato spesso ascritto all’incapacità di Muwatalli di leggere l’andamento dello scontro: molto più verosimilmente, l’errore marchiano andrebbe invece imputato al fatto che nonostante la posizione privilegiata la visibilità sulla piana doveva essere scarsa o quantomeno insufficiente a cogliere appieno le opportune valutazioni.
Prima che potesse giungere la divisione Seth il campo di battaglia era una necropoli. Di fronte a quella mattanza, uno sconsolato e sgomento Muwatalli si rifugiò dentro Qadesh, mentre Ramses rivolgeva al dio Amon i ringraziamenti per una vittoria insperata.
Ciò che successe il giorno dopo agita ancora i sogni degli storici a più di trentadue secoli di distanza. A dispetto dell’abbondanza delle fonti, o forse proprio a causa di queste, tre versioni circolano in merito all’esito dello scontro. La prima interpretazione vuole i due eserciti scontrarsi il giorno seguente sulla piana, uno di fronte all’altro, con gli egizi a usare anche i carri pesanti dei nemici: la battaglia, cruenta ed eterna, avrebbe visto alla fine uno sparuto contingente ittita andare in rotta, lasciando un altrettanto sparuto contingente egizio a leccarsi le ferite più che esultare per la vittoria.
La seconda propende per una ritirata egizia, propiziata dalla visione dell’enormità dell’esercito ancora disponibile per Muwatalli, e dalla consapevolezza che sarebbe stato impossibile contrastarlo con soldati stremati dalla marcia e dalla precedente schermaglia.
La terza infine sostiene la vittoria abbastanza netta dell’esercito ittita, che affrontando il giorno seguente il nemico riuscì ad accerchiare Ramses e a metterlo talmente alle strette da costringerlo a dileguarsi, pur salvando quello che gli restava dell’esercito.
Al di là dei prodigiosi sforzi incisori con i quali gli egizi magnificarono il coraggio e l’impresa del proprio faraone sia su papiro che su pietra, sembra che la vulgata più accreditata fosse proprio l’ultima.
Ramses in effetti fallì sul piano tattico. Ancora ci si chiede come mai, durante la marcia di avvicinamento, non ignorando che l’esercito ittita fosse agguerritissimo e condotto da capi valorosi, il faraone avesse frazionato con tanta ingenuità le sue forze. Arrogante noncuranza del nemico? Pessimo servizio di spionaggio? Eccessiva valutazione del proprio prestigio e della propria autorità di re-dio? Forse un po’ di tutto ciò.
Se non altro, l’andamento di quella drammatica battaglia fornì l’occasione per rispondere a una questione non di scarso rilievo per tutti gli appassionati di cose militari: in una guerra di movimento, il comando delle operazioni deve essere all’avanguardia o nelle retrovie? Almeno per ciò che riguarda Qadesh la risposta appare scontata.
Se Ramses non avesse lanciato costantemente il proprio cocchio nella lotta, trascinandosi dietro gli altri carri, difficilmente sarebbe sopravvissuto al disastro che si stava profilando. E almeno in ciò va spezzata una lancia in suo favore, ammettendo che egli seppe far fronte a una situazione disperata reagendo prontamente. D’altro canto ciò fu abbondantemente concesso dagli errori commessi dal suo antagonista, che si rivelò più comandante da tavolino che non animale da battaglia. Pur avendo diretto con molta abilità le azioni della sua cavalleria, Muwatalli infatti non fu in grado né di prevedere l’arrivo delle truppe d’assalto egizie, né – e questo fu l’errore imperdonabile – di arginare i suoi uomini quando si abbandonarono al saccheggio prima di avere avuto la vittoria in pugno.
Di fatto la sua assenza fisica dallo scontro ebbe un peso notevole, che tuttavia non gli impedì di prendere la decisione giusta nel momento cruciale della battaglia, in cui rinunciò a impiegare la fanteria a sua disposizione quando si accorse che i suoi carri erano ormai in rotta.
Sebbene Muwatalli potesse contare su una superiorità di carri, 3.500 contro i 2.500 di Ramses, scontava al contrario una desolante inferiorità di fanti: 8.000 contro 20.000. Le gravissime perdite subite dalla cavalleria devono averlo consigliato giustamente a non rischiare e a impiegare molto più fruttuosamente quel contingente nella difesa della rocca di Qadesh.
Con buona pace di coloro, che attribuirono la sua ritrosia al terrore che gli avrebbe infuso Ramses nel corso della battaglia, rivelandosi come incarnazione di Baal che, incurante delle frecce e dei giavellotti, seminava la morte e il caos in tutto il campo. Al contrario, il redivivo dio fu ben contento di ricevere la proposta di armistizio che Muwatalli gli consegnò all’indomani della battaglia.
Che quella pace fosse una fortuna più per gli egizi che non per gli ittiti lo dimostrarono i fatti immediatamente successivi, che misero in evidenza quanto il fallimento di Ramses fosse rilevante anche in ambito strategico. Egli infatti non solo non riuscì a indurre a più miti consigli il nemico, fallendo nel suo proposito di sottrarre agli avversari sia Amurru che Qadesh, ma addirittura dovette subire l’iniziativa degli ittiti, che riuscirono ad allargare la propria influenza fino a Damasco, compromettendo le mire egizie in territorio asiatico e modificando nei fatti il confine a proprio vantaggio.
Al contrario, mentre Muwatalli destituiva il principe di Amurru, Benteshina, ponendo su quel trono il più compiacente Shapili, con il quale di fatto cancellava la provincia egizia di Upi, Ramses aveva il suo bel da fare nel contrastare le alzate di testa dei riottosi popoli confinanti, ringalluzziti dalla perdita di prestigio subita a Qadesh.
Guerre di mantenimento
I due anni successivi furono impiegati nel sedare le ribellioni a oriente del delta, dove gli israeliti irrequieti tentavano di scrollarsi un giogo al quale non si erano mai assuefatti e i beduini compivano razzie nei villaggi di confine. A occidente la situazione non era certo più rosea, considerato come i libici non avessero atteso che un cenno di debolezza per razziare bestiame e devastare le città.
Per fronteggiare queste minacce, soprattutto quelle occidentali, Ramses fu indotto a costruire una serie di fortezze costiere, da Rakotis a Marsa Matruth, con l’intento di controllare e possibilmente contenere gli spostamenti delle tribù nomadi. Quando poté di nuovo dedicarsi alla Siria, nel frattempo trasformata in un vero e proprio baluardo antiegizio, era ormai giunto al settimo anno del suo regno. Nella prima delle numerose campagne che egli intraprese nell’area si dovette confrontare con i nuovi regni locali di Moab ed Edom-Seir, da tempo legati a doppio filo con gli ittiti, oltre alle bande di guerrieri Shosu dedite a frequenti incursioni in Canaan. Per averne ragione, Ramses ricorse a un’incursione in cui sdoppiò il proprio esercito in due tronconi, con l’intento di adottare una manovra a tenaglia.
Un corpo d’armata, comandato dal figlio Amonherkhepeshef, si lanciò alla caccia degli Shosu attraverso il Negev sino al mar Morto, nei pressi del quale prese Edom-Seir per poi avanzare in Moab fino a Raba Batora. Contemporaneamente Ramses marciava su Gerusalemme e Gerico, entrava in Moab da nord, prendeva Dibon e si ricongiungeva infine con il figlio. I due eserciti marciarono poi uniti su Hesbon e Damasco, attraverso il Paese di Ammon, giungendo a impadronirsi di Kumidi. Al termine della spedizione, finalmente vittoriosa, gli egizi riuscirono quindi a ripristinare la provincia di Upi e ad affacciarsi di nuovo prepotentemente nella zona.
Lo slancio determinato da quel successo fu consolidato l’anno successivo, nella seconda campagna che vide il rafforzamento delle posizioni siriane. Ramses superò i monti della Galilea e occupò Acri; da lì risalì verso nord lungo la costa, assicurandosi durante il passaggio la fedeltà di Tiro, Sidone, Byblos, Irqata e Simyra, a nord del Nahr el-Kelb. Giunse fino a Dapur, dove si concedette alla vanità di erigere una statua che lo effigiasse e infine raggiunse addirittura Tunip, un luogo in cui da almeno centoventi anni nessun egizio aveva osato mettere piede.
Tanta libertà di manovra fu il frutto, oltre che della caparbietà del faraone, delle ambasce nelle quali in quel frangente versava il rivale ittita, alle prese con la crescente pressione esercitata sulle sue frontiere dal regno d’Assiria.
Il suo sovrano, Adad-Nirari I, aveva infatti sottomesso Hanigalbat, ossia il centro del regno di Mitanni tra il Tigri e l’Eufrate fino a quel momento fedele a Muwatalli, e minacciava prepotentemente le frontiere dello Stato ittita attraverso una spinta espansionistica che si sarebbe protratta anche sotto il successivo monarca Salmanassar I.
Gli ittiti, insidiati a oriente, assistettero praticamente impotenti allo sfaldamento delle loro posizioni in Siria, dove sotto l’avanzata dirompente degli egizi Benteshina ritornava sul trono mentre anche in Naharina perdevano terreno.
Come se ciò non bastasse, una furiosa crisi dinastica minò le fondamenta ittite anche dall’interno. Alla morte di Muwatalli, avvenuta nel 1272 al termine di una lunga malattia, il figlio da questi procreato con una concubina, Urhi-Teshub, gli succedette con il nome di Mursili III, escludendo dal trono lo zio Hattusili che, in quanto fratello del defunto, aveva più che un pallido diritto di ascendere al potere. Nei sette anni successivi, fino al 1265 il regno ittita naufragò sempre più in un’incessante contesa nella quale zio e nipote se le diedero di santa ragione, consentendo a egizi da un lato e assiri dall’altro di approfittare dello stillicidio e di rafforzare ulteriormente la propria influenza estera.
Alla fine prevalse Hattusili, che divenuto re con il titolo di Hattusili III si preoccupò di allontanare il pericoloso congiunto esiliandolo a Cipro e poi tese una mano verso Salmanassar di Assiria proponendogli la pace. Fu probabilmente per scongiurare un'alleanza – molto più che non il fatto che Urhi Teshub si fosse rintanato in Egitto, provocando la reazione dello zio che ne chiese immediatamente l’estradizione –, che Ramses, nel corso del diciottesimo anno del suo regno, decise di intervenire a piè pari nelle faccende ittite.
Ricordandosi improvvisamente di essere l’incarnazione della furia di Baal egli radunò un esercito e mosse guerra contro Edom e Moab, di cui ebbe ragione in breve tempo stroncando la ribellione dei principi locali. Ciò indusse Hattusili a più miti consigli e accelerò il processo che portò finalmente alla conclusione di quel trattato di pace alla cui stesura le cancellerie egizie e ittite stavano lavorando ormai da più di quindici anni. Alla ratifica si giunse infine nel ventunesimo anno del regno di Ramsete.
Il documento del trattato appare straordinario sotto molteplici aspetti. Innanzitutto costituisce l’unico esemplare di cui disponiamo, il che per una storia millenaria come quella egizia in cui di trattati devono essere stati redatti a bizzeffe ha quasi dell’incredibile. In secondo luogo, rappresentò il primo documento bilaterale che la Storia ricordi, vergato tra due stati di pari livello che attraverso di esso ponevano fine, almeno formalmente, non tanto al conflitto militare, esauritosi da più di un decennio, quanto allo stato di tensione tra le due superpotenze, paragonabile al clima che si respirò in tempi molto più recenti durante la “Guerra Fredda”.
Infine, tutte le diciannove clausole che componevano i quattro capitoli in cui era strutturato lo scritto sono giunte a noi attraverso la doppia versione egizia e accadica cuneiforme, il che se da un lato sancisce la ferrea volontà dei due contendenti di affidare alla memoria una testimonianza che consideravano preziosissima, dall’altro rappresenta una manna per tutti gli esegeti, che hanno la possibilità di appurare la veridicità di quanto vergato attraverso la discriminante delle reciproche stesure.
Il crescente livello di concordia tra le due nazioni si registrò già all’indomani della stipula del trattato, quando le due famiglie regnanti intesserono legami strettissimi, suggellati da una copiosa corrispondenza epistolare e da un nutrito scambio di doni, che si intensificò quando a partire dal trentaquattresimo anno del suo regno, l’anziano Ramses sposò la figlia maggiore di Hattusili trasformando quel sodalizio in parentela.
Lo stato di grazia che ne seguì fu ricordato a lungo come una vera e propria età dell’oro sia dai contemporanei che dai posteri, in cui Ramses poté consacrare la sua immagine di re-dio, ereditata dall’Antico regno e per molti versi filtrata attraverso l’esperienza dell’eretico Akhenaton, dedicandosi alla costruzione di un Egitto potente e pacificato.
Certo, per raggiungere questo scopo dovette pagare un prezzo, vale a dire trattare il re ittita come un suo pari, una cosa mai accaduta nei precedenti rapporti tra il regno delle piramidi e gli altri Stati. Ma il gioco valse la candela e Ramses era un sovrano paziente, che seppe riprendersi la sua rivincita proprio in occasione delle nozze con la principessa asiatica, quando le fonti si preoccuparono di presentare quell’unione come una sorta di teogamia tra un dio e una donna mortale, celebrata con una funzione fantasmagorica in cui la figura del suocero appariva fortemente ridimensionata.
Dopo di ciò, almeno dal punto di vista militare ci fu davvero poco da segnalare, se si esclude una precedente rivolta scoppiata a Irem nel ventesimo anno del regno , duramente repressa come testimoniarono i 7.000 prigionieri, e l’incursione che nel quarantaquattresimo anno di regno il viceré di Setau dovette compiere contro i Ciemehu, libici della Marmarica. Per il resto, quello che ormai si poteva definire come “impero” egizio si estese sotto il dominio di Ramses dalla quinta cataratta del Nilo a sud fino alla Siria a nord, includendo tutta la Nubia, le cui miniere d’oro alimentarono generosamente il tesoro del faraone.
Fu anche in virtù di tale ricchezza che l’opera edificatoria di Ramses si poté esprimere quasi senza paragoni.
La sua azione nella Nubia e soprattutto nella Siro-Palestina marcarono a tal punto gli animi del tempo che ancora in Periodo Tolemaico si raccontavano favolose leggende sul viaggio della "principessa di Bakhtan" venuta a offrirsi in sposa al grande re d'Egitto, eco lontana dei fatti veramente accaduti.
Ramses II viene considerato da alcuni studiosi il faraone che si oppose a Mosè nei fatti narrati dal Libro dell'Esodo; da altri invece è ritenuto il "faraone dell'oppressione", ossia il padre di quel faraone con cui Mosè si scontrò, che sarebbe Merenptah; ma di fatto non esiste alcuna prova archeologica che dimostri che Ramesse/Ramses sia stato o l'uno o l'altro faraone, né il suo nome viene menzionato nella Torah.
L'insieme di ciò che Ramses II ha lasciato all'archeologia e allo stesso modo nella memoria collettiva fa di lui il faraone più conosciuto nel mondo.
Raffigurazione di Nefertari su una parete della sua tomba, nella Valle delle Regine.
Biografia
Unica testimone dell'aspetto fisico del re è la sua mummia, conservata oggi al Museo egizio del Cairo, e studiata approfonditamente da un'équipe interdisciplinare al Musée de l'Homme di Parigi nel 1976.
Ramses aveva il naso aquilino, lungo e sottile, labbra carnose, il volto dalla forma ovale, la mascella possente. Era senza dubbio più alto della media del tempo: l'altezza antropometrica corrisponde a 173 cm, il che significa che in vita e in età giovanile egli era alto quasi 185 cm. Essendo morto all'età di circa 90 anni, la mummia presenta i segni della veneranda età; negli ultimi anni di vita il re era affetto da spondiloartrite anchilosante, ed era probabilmente costretto a camminare con l'aiuto di un bastone.
Ramses era inoltre di etnia berbera; durante gli studi sulla mummia, un'équipe di tredici specialisti, grazie all'analisi microscopica, confermò che il re portava per natura i capelli rosso fulvo.
La giovinezza
Ramses II nacque intorno al 1303 a.C. da Sethi I (1294-1279 a.C.) e Tuya. È difficile stabilire il luogo di nascita a causa della mancanza di materiale archeologico in proposito, anche se è appurato che la sua famiglia fosse originaria del Delta del Nilo, e più precisamente della città di Avaris, antica sede degli invasori Hyksos.
All'epoca dell'ascesa al trono di suo nonno Ramses I, precedentemente visir sotto Horemheb, il futuro Ramses II aveva circa cinque anni, una sorella maggiore chiamata Tia e, a quanto pare da iscrizioni del tempio di Karnak, un fratello maggiore, Mehi, morto in giovane età. È altresì nota l'esistenza di una certa Henutmire, divenuta in seguito una delle sue mogli, nata da Sethi I quand'egli era già re, e di conseguenza sorella minore di Ramses.
Scelto molto presto dal padre come principe ereditario, così come attestano i rilievi dei templi di Sethi ad Abydo e a Qurna, Ramses venne educato fin da bambino al rispetto e al mantenimento del prestigio e della grandezza del suo paese. Suo cognato Tia, marito di sua sorella Tia e già scriba reale, fu scelto come suo precettore. Intorno ai dieci anni, Ramses venne quindi nominato comandante di una squadra di militari e partecipò probabilmente ad una campagna paterna contro i Libici.
Nel frattempo, durante i periodi di pace, il principe accompagnava suo padre sui cantieri regali e nelle visite ufficiali in tutto il paese; questo apprendistato consisteva probabilmente nell'osservare cosa fosse necessario fare e come agire in determinate situazioni secondo l'esempio paterno.
Nell'anno 7 di Sethi (1287 a.C.), quindi, all'età di sedici o diciassette anni, il faraone decise che Ramses fosse pronto per incarichi di maggior peso, e perciò durante una cerimonia pubblica alla quale partecipava l'intera corte, lo nominò Principe Reggente, conferendogli anche tutti gli onori formali che si devono a un sovrano, fra i quali un "nome d'incoronazione", User-Maat-Ra, che Ramses II manterrà una volta divenuto unico faraone regnante.
Dopo la nomina, il padre ordinò che si costruisse per il figlio un palazzo, che fu edificato probabilmente nella città di Menfi. Fu in questo periodo che Ramses sposò la sua prima e prediletta moglie, Nefertari. Non si conoscono le origini della futura regina, il cui nome però non lascerebbe dubbi sulla sua nazionalità egiziana.
Nell'anno 13, Sethi I gli affidò la riscossione dei tributi dei paesi di Wawat e Kush (le due province nelle quali era divisa la Nubia), e il compito di reprimere alcune rivolte scoppiate fra i beduini shasu in terra di Canaan, compiti che si vennero a sommare al precedente incarico di responsabile del programma architettonico paterno lungo tutto l'Egitto.
Dopo quindici anni di governo circa, Sethi I morì e il regno passò quindi nelle mani di Ramses, allora venticinquenne.
Il primo anno di regno
Ramses II salì al trono i primi di giugno del 1279 a.C. (3º mese dell'estate, 27º giorno), e si impose subito come sovrano energico ed esperto grazie agli anni trascorsi in reggenza col padre Sethi I.
Durante il primo anno di regno, procedette al viaggio rituale lungo il Nilo, e si recò in visita ai principali santuari d'Egitto. Giunto al tempio di Abydo, fece riprendere immediatamente la costruzione del tempio cominciato dal padre, i cui lavori si erano interrotti alla morte di questi. Le grandi iscrizioni del portico di questo santuario ricordano questo evento.
Nello stesso anno presenziò alla Festa di Opet, dedicata al dio Amon di Tebe, durante la quale svolse, caso unico nella storia della monarchia egizia, un interinato come Primo Profeta di Amon, a causa della morte per anzianità del titolare. Poco dopo, procedette alla nomina di un suo fedelissimo, Nebuenenef, già Primo Profeta di Hathor a Dendera, in quella carica, assicurandosi così l'appoggio del clero tebano.
Imprese militari
Nel suo secondo anno di regno, Ramses sconfisse, in una battaglia navale e terrestre, i pirati Shardana, "Popoli del mare" che depredavano i territori lungo la costa mediterranea, interrompendo le relazioni commerciali con i propri saccheggi. Alcuni studiosi collocano questo evento poco prima dell'effettiva ascesa al trono di Ramses quale unico faraone d'Egitto.
La guerra contro gli Ittiti
La politica estera di Ramses II fu principalmente rivolta all'area mediorientale e si sviluppò attraverso una serie di campagne militari che ebbero luogo negli anni 4°, 5°, 7°, 10°, e forse 18°, di regno.
L'obiettivo primario delle prime di queste campagne fu quello di ripristinare la zona d'influenza egizia nell'area palestinese così come l'avevano delineata la politica estera e le conquiste militari di Thutmose III. Questa intenzione si scontrò con la crescente influenza del regno ittita che controllava ormai tutta la Siria settentrionale e l'intera regione di Mitanni.
Si arrivò così alla battaglia di Qadeš di cui s'è detto. Il sovrano egizio presentò la battaglia come un vittoria personale e ne fece immortalare il resoconto sulle pareti del suo tempio funerario, il Ramesseum, nei templi di Karnak e Luxor e nel tempio grande di Abu Simbel. Malgrado le affermazioni dei contendenti, gli storici sono portati a ritenere che la battaglia non ebbe vincitori, poiché nonostante Ramses avesse vinto lo scontro armato vero e proprio, fermando l'avanzata degli anatolici, il progetto di recuperare le zone d'influenza nella Siria non ebbe successo, e la roccaforte di Qadesh rimase dominio dell'impero ittita.
Le seguenti spedizioni militari egizie nell'area palestinese furono rivolte solamente a riportare all'ordine alcuni governanti locali, ribellatisi al controllo egizio. La battaglia di Kadesh, immortalata come una vittoria sui templi di tutto l'Egitto, in realtà ridusse l'influenza di Ramses a Caanan, mentre l'intera Siria finì nelle mani degli Ittiti.
Nel settimo anno del suo regno, il sovrano decise di riprovare la conquista e questa volta l'esito risultò positivo. Durante questa campagna divise l'esercito in due armate. Uno di questi, guidato dal figlio primogenito, Amon-her-khepshef, si diede all'inseguimento dei guerrieri delle tribù di Shasu, attraverso il Deserto del Negev. Conquistò in seguito la terra di Moab. L'altro schieramento, guidato da Ramses stesso, attaccò Gerusalemme e Gerico. Le due armate si rincontrarono a Moab. Si estese così l'influenza egizia su quella regione. Furono sottomesse anche le città di Damasco e Upi. Intorno al 9º o 10º anno del suo regno, Ramses tornò alla conquista dei territori che aveva perso dopo la battaglia con gli Ittiti. Si spinse così fino a Tunip, ben oltre Kadesh, ma i territori vinti furono presto sottomessi nuovamente dagli Ittiti.
Il confronto con il regno ittita ebbe il suo epilogo solo nel ventunesimo anno di regno di Ramses quando la minaccia del regno degli Assiri sui confini ittiti ed egiziani, indusse il faraone a stipulare il Trattato di Qadeš con il re Hattusili III succeduto nel frattempo a Muwatalli in modo da chiudere le ostilità.
Infine, nel corso del suo lungo regno Ramses II intervenne anche nell'area libica per frenare i tentativi di infiltrazione delle tribù di quella regione verso il delta del Nilo. A questo scopo venne anche realizzata una linea di difesa fortificata che partendo dall'area costiera di Rakotis si estendeva fino all'odierna Marsa Matruh.
L'attività edilizia
Ramses fu, oltre che grande capo militare, anche grande costruttore. Portò a compimento i monumenti edificati dal padre e riempì l'Egitto di templi e statue in suo onore allo scopo di rafforzare l'aspetto divino della propria regalità. Proprio grazie alle iscrizioni su questi edifici è stato possibile ricostruire la storia di questo grande sovrano. Fra i più grandi monumenti da lui edificati si può ricordare il tempio di Abu Simbel e il Ramesseum.
Nella sua attività edilizia non si diede scrupoli nel demolire gli edifici eretti da Akhenaton (per riutilizzarne i materiali), né di deturpare le costruzioni di altri predecessori.
Tra le sue realizzazioni anche quella di Pi-Ramses, in pratica una città eretta solamente come residenza del sovrano (la capitale dell'Egitto continuò ad essere Tebe). La nuova città sorse nell'area est del delta del Nilo non lontano dal sito di Avaris, la capitale dei sovrani hyksos della XV dinastia.
La sua opera più grandiosa e celebre è senza dubbio il tempio di Abu Simbel, località dell'Egitto meridionale lungo il fiume Nilo, a sud della città di Assuan.
Ramses fece costruire sulla roccia della montagna due templi, uno maggiore, dedicato a sé stesso e uno minore, dedicato alla moglie Nefertari.
Il tempio maggiore si sviluppa in profondità nella roccia per circa 55 metri; la facciata è adorna di quattro colossali statue di Ramses, alte più di 20 metri. Tra le gambe vi sono statue più piccole, raffiguranti Tuya, Nefertari e alcuni fra i suoi figli.
La grande sala, che si apre subito dopo il breve corridoio di ingresso, è sorretta da otto imponenti colonne, disposte in due file di quattro, a ciascuna delle quali è addossata una statua di Ramses II, ritratto con gli attributi di Osiride. Sulle pareti della sala ipostila sono rappresentati i celebri episodi della battaglia di Kadesh. Nelle celle meridionali, utilizzate come depositi di oggetti sacri, è raffigurato invece il sovrano nell'atto di donare offerte agli dei.
Il tempio minore, costruito nello stesso periodo, è dedicato, oltre che a Nefertari, anche alla dea Hathor. È di dimensioni minori rispetto all'altro ma appare comunque imponente; la facciata è adorna di sei statue (quattro raffiguranti Ramses, due raffiguranti Nefertari) alte più di nove metri.
Il Ramesseum
Ci vollero ben vent'anni per completare questo immenso complesso, il tempio funerario di Ramses, non destinato ad ospitarne il corpo dopo la morte, bensì a celebrarvi cerimonie legate al suo culto una volta che egli fosse scomparso. Il re affidò la missione a Penra, suo architetto di corte, che non deluse di certo le sue aspettative. Il Ramesseum venne edificato sulla riva sinistra del Nilo, nella regione tebana. Lungo 300 metri e largo 195 metri possedeva persino una baia cui far attraccare le navi per le cerimonie. Proprio la vicinanza con il fiume fu la causa del degrado della struttura a causa delle inondazioni annuali: oggi della grande struttura sopravvive soltanto il primo cortile del tempio.
L'edificio principale, con una struttura molto simile a quella degli altri templi del Nuovo Regno, era costituito da due cortili, con un enorme ingresso di piloni, una sala ipostila, nella quale svolgere le celebrazioni, tre vestiboli, un santuario. I piloni sono decorati con scene tratte dalla battaglia di Kadesh. All'interno della sala ipostila viene invece descritta la presa della fortezza di Dapur. I resti del complesso includevano inoltre un palazzo, alcuni granai e due templi, più piccoli, dedicati rispettivamente a Tuya, madre del sovrano e a Nefertari. Il Ramesseum poteva dunque essere definito come una specie di cittadella religiosa poiché comprendeva, oltre al tempio principale, una serie di edifici, alcuni dei quali destinati a residenze. C'erano anche botteghe, magazzini e persino una scuola di scribi, la cosiddetta "Casa della vita", luogo nel quale si trovavano scribi addetti a commemorare (e a ingigantire) le imprese del sovrano. L'intero complesso era circondato da una cinta muraria. Come aveva già fatto, per realizzare altri templi, Ramses diede ordine di utilizzare parti di antichi monumenti. Il complesso che doveva rappresentare la grandezza del sovrano e del suo regno per i secoli a venire, fu invece parzialmente smantellato, allo scopo di riciclarne i materiali da costruzione, da sovrani successivi. Di fronte alle rovine si trova la base di un colosso raffigurante Ramses, che, ai tempi in cui venne scolpito, era alto 17 metri e pesante ben 1.000 tonnellate, ora rimangono di essa solo la testa e la base, mentre gli altri frammenti sono disseminati in vari musei. I resti di questo monumentale santuario stupiscono ancora oggi i turisti, come un tempo stupirono Diodoro Siculo, che lo descrisse minuziosamente come la tomba di Osimandia, corruzione greca di Usermaatra, parte del prenome di Ramses II.
Pi-Ramses
Pi-Ramses (pr rmssw - che significa "casa di Ramses") venne realizzata nel quinto anno del suo regno e lì il sovrano trasferì la sua residenza. La città sorse nei pressi dell'antica Avaris, nel delta orientale del Nilo, località in cui già si trovava la residenza estiva del padre, Sethi I. C'erano ragioni militari e politiche alla base della costruzione di Pi-Ramses. Sorse infatti a ridosso della frontiera orientale, una zona che andava controllata perché esposta al pericolo di continue invasioni. Inoltre questo mutamento di residenza riduceva politicamente il potere crescente del clero tebano. La nuova residenza sorgeva in una zona molto ricca. I campi erano rigogliosi e produttivi, i fiumi ricchi di pesci e ciò permetteva di sostenere gli abitanti della nuova città. La popolazione era composta da genti provenienti anche da parti del regno esterne alla valle del Nilo come la Libia, la Nubia, Canaan e Amurru. La storia di Pi-Ramses fu però abbastanza breve, i sovrani della XXI dinastia, a poco più di un secolo dalla morte di Ramses, decisero di spostare la capitale a Tanis e per darle lustro saccheggiarono molti degli edifici della città. Gli studiosi ritengono che l'antica capitale si trovi nella zona dove oggi sorge il villaggio di Qantir. Lì vennero infatti scoperte tegole e altri manufatti sul quale erano intagliati i nomi di Sethi e Ramses. Dagli anni settanta una squadra di archeologi austriaci si è messa al lavoro, ricercando il perimetro dell'immensa capitale di Ramses. Sono state ritrovate le fondamenta di un enorme tempio, di un cimitero e di alcune abitazioni private. Venne inoltre scoperto il perimetro di una gigantesca stalla, di circa 17.000 metri quadrati, nella quale veniva conservato il carro del sovrano e le armi dei suoi soldati. Secondo il libro dell'Esodo furono gli schiavi ebrei a costruire la capitale del regno di Ramses (Esodo cap. 1,11).
Il tempio di Luxor
Per la realizzazione di questo tempio Ramses non svolse soltanto il ruolo di committente ma anche di supervisore ai lavori. Fece erigere un colossale pilone d'ingresso, affiancato da sei gigantesche statue di 6.5 metri ciascuna, due in granito nero che lo raffiguravano seduto e quattro in granito rosso che lo raffiguravano in posizione eretta.
Per completare l'edificio vennero eretti due obelischi alti 25 metri ciascuno. Sui piloni vengono descritti gli episodi della guerra contro gli hittiti e della sua vittoria presso Kadesh.
Il tempio di Karnak
Nell'immenso tempio di Amon-Ra, egli terminò la Grande sala ipostila, iniziata sotto il regno di Amenofi II e portata avanti a più riprese durante i regni di Horemheb e del padre Sethi I.
Ramses fece decorare con rilievi celebrativi le mura e volle anche la creazione di un lago sacro, conservatosi fino ai giorni nostri. Le sue acque rappresentavano simbolicamente il luogo da cui erano nate tutte le forme di vita. Qui si celebravano i culti del Sole e di Osiride e i sacerdoti vi si purificavano prima di ogni rito.
Gli ultimi anni
Dopo trent'anni di regno Ramses celebrò la Heb-Sed (o giubileo), avente lo scopo di rinvigorire le forze del sovrano. La prima festa Sed di ogni sovrano, tranne alcune eccezioni, doveva essere celebrata nel trentesimo anno di regno, benché alcuni l'abbiano celebrata dopo periodi più brevi di regno, in seguito veniva ripetuta con maggiore frequenza. Ramses arrivò a celebrarne quattordici. Dagli esami fatti sulla sua mummia si evince che soffrì per una carie molto dolorosa che gli rese difficile la masticazione, probabilmente dovuta all'abbondante consumo di miele. Fu colpito inoltre da artrite e gravi problemi circolatori, senza contare una deformazione alla colonna vertebrale che lo costrinse a camminare grazie all'aiuto di un bastone. Il lungo regno di Ramses lo vide sopravvivere a molti dei suoi figli al punto che giunse a non nominare più ufficialmente un principe ereditario. Negli ultimi anni di vita venne affiancato da Merenptah, suo tredicesimo figlio, nato dall'unione con Isinofret. Questi prese in mano il governo del regno nell'ultimo periodo di regno del padre e gli succedette alla sua morte.
La morte
Ramses morì a Pi-Ramses il 1° di settembre del 1213 a.C., dopo sessantasette anni di regno circa. La notizia si diffuse per tutto l'impero, e il popolo cadde nella desolazione. La maggior parte degli egiziani infatti non aveva conosciuto altri sovrani oltre a Ramses. A Pi-Ramses vennero celebrati i riti della mummificazione per settanta giorni. Dopo le relative cerimonie il corpo venne privato degli organi.
Dopo i riti preparatori, la mummia di Ramses, accompagnata da un'enorme flotta, con alla testa la nave regale del successore, Merenptah, navigò lungo il Nilo fino a Tebe.
Il corteo funebre si diresse verso la tomba, che era stata scavata nella roccia nella necropoli della Valle dei Re. Dopo la celebrazione dell'"Apertura della bocca", compiuta dallo stesso Merenptah, i presenti fecero un banchetto in onore del defunto. Il sarcofago, contenente la salma del sovrano, venne posto all'interno della tomba e con lui il tesoro che avrebbe dovuto accompagnarlo nel Regno dei Morti. Poi l'ingresso fu sigillato.
La tomba
La tomba del grande sovrano, identificata come KV7, venne saccheggiata pochi anni dopo la sua morte e, di conseguenza venne disperso il corredo funebre, probabilmente imponente, che vi era contenuto. La tomba era nota e visitata già nell'antichità. È senza dubbio una fra le più grandi della Valle dei Re. A causa di alcune inondazioni e del trascorrere del tempo, è gravemente danneggiata. Presenta una pianta molto complicata. All'ingresso ci sono due rampe di scale, quindi segue un corridoio, un'altra scalinata e un secondo corridoio; di seguito vi si trova un'anticamera ad una sala a pilastri. Al centro di questa sala vi è una terza scalinata che è collegata un'altra sala laterale circondata da colonne. Si prosegue attraverso due corridoi assiali in sequenza, attraverso una stanza che conduce alla camera del sarcofago che è disposta a L rispetto al resto della struttura. La sala, dove nel centro si trova il sarcofago del re, è formata da otto pilastri quadrangolari. Si affacciano quattro stanzette laterali sulla sala; lo sviluppo della tomba si conclude con altre due camerette rette da due pilastri, da una delle quali si accede ad una terza identica, tramite un vestibolo.
La mummia
Qualche decennio dopo la tomba fu violata e le ricchezze che conteneva portate via. Iniziò in questo modo la travagliata storia della mummia di Ramses. Essa fu spostata più volte dai sacerdoti egizi addetti alla necropoli per evitare le razzie dei ladri di tombe, che pur di impadronirsi di qualche oggetto prezioso arrivavano a danneggiare gravemente i corpi imbalsamati per cercare gli amuleti d'oro e i gioielli inseriti fra le bende. Intorno al 1000 a.C. la mummia, insieme a quelle di altri sovrani fra cui suo nonno Ramses I e suo padre Sethi, fu infine riposta nel nascondiglio segreto vicino al Tempio funerario di Hatshepsut di Deir el-Bahari, nella tomba DB320 vicino a Tebe. Qui rimase fino al 1881, quando fu scoperta dall'egittologo Gaston Maspero e portata al Museo Egizio del Cairo. Qui accadde un fatto alquanto insolito: mentre era esposta in una sala del Museo la mummia avrebbe alzato un braccio davanti a una folla di visitatori. Tale fenomeno fu attribuito a una contrazione dei muscoli mummificati, dovuta al calore. Nel 1974 gli egittologi del Museo del Cairo, in cui era conservata la salma del grande sovrano, notarono come la mummia stesse subendo un rapido deterioramento a causa dell'esposizione all'aria, portatrice di umidità e funghi, pericolose minacce per un corpo disseccato, da cui era stata per secoli preservata grazie all'avvolgimento delle bende e dal clima secco del deserto in cui si trovava. Decisero dunque di condurre il corpo a Parigi per accertamenti. Siccome la salma doveva viaggiare in aereo, venne realizzato uno speciale passaporto per Ramses che indicava, come occupazione, la dicitura «re (deceduto)». Il sovrano egizio fece dunque il suo ingresso in Europa, accolto con gli onori militari riservati ai sovrani.
Gli scienziati scoprirono così che il deterioramento era causato da un fungo. Dopo aver sottoposto la salma a un trattamento ai raggi gamma, eliminando così i parassiti dannosi, analizzarono il corpo, diagnosticando le malattie che avevano fatto soffrire il sovrano nei suoi ultimi anni di vita. Venne così portata alla luce la probabile causa della morte del sovrano: un'infezione fatale che ebbe origine da un ascesso ai denti. Terminata l'odissea di cure e studi, Ramses fu finalmente restituito al Museo del Cairo. Oggi, le mummie custodite nei musei sono generalmente conservate in atmosfera controllata, in modo da evitare qualsiasi contaminazione proveniente dall'aria.
Vita familiare
Le Grandi Spose Reali
Nefertari è ritenuta la più importante e, senza dubbio, la più amata fra le Grandi Spose Reali. Non si conoscono le sue vere origini anche se, probabilmente, discendeva da una famiglia della nobiltà tebana. Secondo alcuni studiosi era perfino sorellastra di Ramses e dunque, figlia di Sethi I. Quest'ultimo la scelse, ancora tredicenne quale moglie per il suo successore. Sposò Ramses quando questi aveva solo quindici anni. I documenti del periodo la definiscono come una donna furba e intelligente, senza dubbio dotata di eccezionale bellezza. Da Nefertari, Ramses ebbe tre o quattro figli, fra questi il primogenito, Amon-her-khepshef e Merytamon, che divenne Grande Sposa Reale dopo la morte della madre. Il sovrano dimostrò il proprio favore per la sposa costruendo in suo onore il tempio minore di Abu Simbel, deificandola e associandola alla dea Hathor. La tomba che venne edificata per lei è senza dubbio una fra le più splendide della Valle delle regine, ancora oggi apprezzata e visitata. Nel 24º anno di regno di Ramses, mentre Nefertari viaggiava verso sud per inaugurare il tempio di Abu Simbel, venne colta da un malore che la portò alla morte. Aveva circa quarant'anni.
Benché Nefertari sia la più celebre fra le molte mogli di Ramses, anche Isinofret ricoprì un ruolo predominante all'interno della corte egiziana. Secondo alcuni studiosi, Nefertari collaborava col marito nel risanamento delle controversie nella zona meridionale, mentre Isinofret si occupava delle questioni nella zona settentrionale.
Da Isinofret, Ramses ebbe il maggior numero di figli; fra questi ricordiamo Ramses, Merenptah (che gli successe sul trono) e Khaemwaset, futuro sommo sacerdote di Menfi. Ricevette il titolo di Grande Sposa reale dopo la morte di Nefertari a cui sopravvisse dieci anni. Non è stata ancora ritrovata la sua tomba.
Altre spose minori
Ramses ebbe un grande numero di spose minori che gli donarono una miriade di figli. Fra queste possiamo ricordarne solo alcune: Bintanath, una delle sue figlie, Maat-hor Neferura, figlia del re ittita Hattušili III, Henutmire, sua sorella minore. Bintanath era una delle figlie che Ramses ebbe da Isinofret. Divenne Grande Sposa reale, probabilmente dopo la morte della madre. Esiste una statua raffigurante questa regina ma è profondamente deturpata.
Il matrimonio con Maat-hor Neferura nacque invece a scopi diplomatici. Questa fu una mossa politica per suggellare il trattato di pace avuto con gli Ittiti, ai quali la principessa apparteneva, essendo figlia del loro re Hattusili III. Quando Maat-hor Neferura morì, Ramses sposò un'altra principessa ittita, sorella della prima, della quale però non conosciamo il nome.
10 marzo 2017
Una statua di Ramses II è stata ritrovata da un gruppo di archeologi egiziani e tedeschi in un sobborgo del Cairo. I resti di un colosso di circa otto metri raffigurante il faraone sono stati scoperti a el-Matariya, tra le rovine di Eliopoli. A riferire la notizia è al Ahram, uno dei più diffusi quotidiani d’Egitto. Il ministro delle Antichità, Khaled al-Anani, ha spiegato alla Reuters che “si tratta di una delle più importanti scoperte del Paese. Abbiamo visto il busto e una parte della testa, poi la corona e ancora un frammento dell’orecchio e dell’occhio destro”. Accanto alla statua gigante anche un’altra di circa un metro del faraone Seti II.
Il simulacro di Ramses II è “spezzata in grandi pezzi” ed è fatta di “quarzite”, scrive il sito Egypt Independent riferendosi a un tipo di roccia composta quasi esclusivamente da quarzo granulare. Finora sono emerse solo “parte della testa, con un orecchio e un occhio” e della corona, aggiunge citando il capo del Dipartimento antichità egiziane del dicastero, Mahmud Afifi. La statua di Seti II, di cui sono stati rinvenuti circa 80 centimetri, è “a grandezza naturale”. La scoperta “è una delle più importanti” fra quelle “recenti”, scrive ancora il sito sintetizzando dichiarazioni del capo della missione egiziana, il professor Ayman al-Ashmawy, in occasione dell’annuncio fatto ieri. Il tempio di Ramses “è uno dei più grandi dell’antico Egitto visto che raggiungeva il doppio delle dimensioni del tempio di Karnak a Luxor“, aggiunge Egypt Independent.
Eugenio Caruso
28-02-2017