INVENTORI E GRANDI IMPRENDITORI
In questa sottosezione illustrerò la vita di quei capitani d'industria e/o inventori che hanno sostanzialmente contribuito al progresso industriale del mondo occidentale con particolare riguardo dell'Italia.
Personaggi precedenti
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L - Vincenzo Lancia
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T - Franco Tosi
V - Vittorio Valletta - Giuseppe Volpi
Z - Lino Zanussi
Vittorio Necchi
Pavia, 21 novembre 1898 - Milano, 17 novembre 1975.
Figlio di Ambrogio, industriale del settore metallurgico e meccanico con tre stabilimenti a Pavia: nel primo decennio del Novecento la Società anonima Fonderie Ambrogio Necchi – costituita nel 1908 – ha una produzione differenziata che spazia dalla fusione della ghisa ai radiatori per caloriferi, dalle macchine agricole alle vasche da bagno, alle cucine economiche. Durante la prima guerra mondiale, nel 1916, muore il padre, e il giovane Necchi, tornato dal fronte al termine del conflitto, assume la guida dell’azienda di famiglia e decide di affiancare alle tradizionali attività la produzione di macchine per cucire “uso famiglia”. Nel 1919 costituisce le Industrie Riunite Italiane con 50 dipendenti, che l’anno successivo arrivano a produrre un totale di 2.000 macchine.
Dopo qualche anno di precaria attività, in cui la Necchi fatica a muoversi in uno scenario dominato dalla concorrenza dell’americana Singer e dei produttori tedeschi, l’impresa si avvia verso una relativa stabilità, anche grazie alla rete di punti vendita nazionali costruita dall'imprenditore nella prima metà degli anni Venti.
Al 1925 risale la separazione delle attività aziendali familiari: alle due sorelle Nedda e Luigia e al marito di quest’ultima, Angelo Campiglio, restano le fonderie di ghisa e la smalteria (in una ricostituita azienda denominata Fonderie Necchi-Campiglio), mentre Necchi assume in proprio le produzioni di ghisa malleabile e di macchine per cucire. Nello stesso anno le Industrie Riunite Italiane sono trasformate nella Società Anonima Vittorio Necchi, della quale lo stesso Necchi assume la presidenza; la produzione annua si attesta allora sulle 6.120 macchine.
Nella seconda metà degli anni Venti l’imprenditore, insieme al nuovo direttore tecnico Emilio Cerri (un ingegnere proveniente dalla Fiat), promuove una ristrutturazione dell’impresa il cui esito è una crescita ininterrotta dei volumi produttivi, fino ad arrivare a quasi 20.000 esemplari usciti dagli stabilimenti nel 1930 (con il 10% delle macchine destinate ai mercati esteri).
I primi anni Trenta, nonostante la riorganizzazione della rete di vendita in concessione, segnano una battuta d’arresto anche nell’espansione produttiva: agli effetti della difficile congiuntura internazionale si somma l’accresciuta concorrenza straniera, in particolare della Singer, che nel 1934 avvia la produzione in uno stabilimento a Monza.
Nel 1935 l’imprenditore è insignito del titolo di Cavaliere del lavoro. I quantitativi di macchine per cucire immessi sul mercato aumentano nella seconda metà del decennio, ma la produzione si arresta allo scoppio del secondo conflitto mondiale, mentre l’altro settore in cui Necchi è impegnato, quello della fonderia, è favorito dalle commesse dell’industria automobilistica e dei produttori di materiale ferroviario e, in misura minore, dallo smercio di raccordi e manicotti per tubazioni.
La nuova fase inaugurata nel dopoguerra vede la Necchi occupare una posizione preminente nel settore nazionale delle macchine per cucire: è la prima in quanto a numero di dipendenti, circa 1.200, e delle 120.000 macchine prodotte complessivamente in Italia nel corso del 1947, più del 40% proviene dagli stabilimenti di Necchi a Pavia. Gli impianti industriali hanno raggiunto un discreto livello di integrazione delle quattro linee produttive: la fonderia, le macchine per cucire industriali, le macchine per cucire familiari e l’ebanisteria (che realizza i mobili su cui vengono montate le stesse macchine per cucire).
Al direttore tecnico Cerri, che collabora con Necchi dagli anni Venti, si deve l’introduzione di moderni criteri di standardizzazione del prodotto, nonché il progetto e il brevetto di una macchina familiare che, sfruttando un sistema di trasmissione adottato in precedenze solo sulle macchine industriali, ha la particolarità di cucire con un ago che, spostandosi a zig-zag, consente di attaccare bottoni, fare asole, rammendi e ricami: sarà questo il prodotto alla base del successo internazionale della Necchi nel secondo dopoguerra.
A questa affermazione contribuisce anche l’opera di Leon Jolson, figlio di un agente di Necchi a Varsavia, di origini ebraiche, rifugiato negli Stati Uniti per sfuggire alle persecuzioni naziste prima della seconda guerra mondiale. Terminato il conflitto Necchi gli affida la rappresentanza dell’impresa a New York e l’estensione della rete di vendita in tutto il paese. La produzione Necchi nel corso del 1948 raggiunge le 75.118 macchine per cucire; di queste, grazie anche alle difficoltà delle aziende tedesche del comparto, circa il 67,24% prende la via dell’esportazione: verso l’Argentina (35,50%), gli Stati Uniti (13,33%), il Belgio (5,67%), e una quindicina di altri paesi. Nel corso degli anni Cinquanta il ricco mercato statunitense assume però sempre maggiore rilevanza, anche in conseguenza delle protezioni doganali messe in atto nei mercati sudamericani negli anni 1949-1950.
Nel 1948, in seguito alla morte di Cerri, Necchi assume come nuovo direttore tecnico Gino Martinoli, manager che per più di un decennio aveva ricoperto il medesimo incarico alla Olivetti di Ivrea e aveva poi lavorato per qualche anno nel settore meccanico dell’Iri: l’imprenditore pavese gli attribuisce proprio il compito di gestire le nuove sfide poste dalla strategia di penetrazione dei mercati internazionali.
L’imprenditore pavese sostiene quindi il progetto di ristrutturazione proposto da Martinoli, che prevede l’aumento della manodopera (800 nuovi dipendenti, coi quali gli occupati alla Necchi arrivano a 2.034), e un recupero della produttività attraverso la riorganizzazione dell’intero processo produttivo: viene abbandonato l’edificio a più piani in cui si svolgevano in precedenza le lavorazioni e viene destinata una nuova sezione di stabilimento, il capannone “F”, allo svolgimento in linea del flusso produttivo, dall’ingresso delle materie prime e dei semi-lavorati fino all’assemblaggio finale, con l’adozione della catena di montaggio.
La riorganizzazione comporta l’aggiornamento tecnologico con l’acquisto di nuovi macchinari, realizzato attraverso un ingente piano di finanziamento e l’aiuto economico che Necchi ottiene nell’ambito del Piano Marshall, ma anche il ripensamento della struttura aziendale e del suo coordinamento, parallelamente a nuove procedure di progettazione delle macchine per cucire, disegnate con maggiore attenzione agli aspetti estetici e funzionali. La collaborazione con il famoso designer Marcello Nizzoli, che Martinoli aveva conosciuto anni prima alla Olivetti, portano alla Necchi il premio Compasso d’oro per il design nel 1954, con la serie BU (Bobina Universale Supernova) e poi ancora nel 1957, con la serie Mirella.
Al termine del processo di ristrutturazione, alla metà degli anni Cinquanta, a fronte di un aumento della manodopera che raggiunge i 4.500 occupati, il numero di ore impiegate per produrre una macchina per cucire si è ridotto di più di un terzo, garantendo alla Necchi il predominio sul mercato nazionale (di cui detiene, insieme a Singer e Vigorelli, circa il 90%) e su quello dell’export, dove la quota delle macchine Necchi è pari al 74% del totale esportato.
In questi anni di splendore dell’impresa pavese si comincia già a intravedere qualche segno di declino: le statistiche dell’epoca indicano infatti come, a fronte di una produzione di svariate centinaia di unità da parte dell’intero comparto, il mercato italiano sia ormai prossimo alla saturazione, mentre sui mercati esteri di lì a poco avrebbe cominciato a farsi sentire la concorrenza di nuovi produttori internazionali, primi tra tutti quelli giapponesi.
Necchi si oppone però alla prospettiva di una diversificazione, sostenuta dal management: la scelta dell’imprenditore è quella di non impegnarsi in nuove produzioni ancora per alcuni anni, fino a che la decisione si mostra obbligata. Nel corso del 1959 deve infine concludere un accordo con la americana Kelvinator per produrre su licenza compressori per frigoriferi, una soluzione di compromesso che permette all’azienda di aprirsi un altro mercato di sbocco, per il quale possiede le competenze tecniche necessarie, senza rinunciare alla sua storica produzione di macchine per cucire. Negli anni seguenti emergono problemi sul versante dei costi di produzione dei compressori, mentre il mercato delle macchine per cucire appare in continua regressione; l’impresa imbocca la strada di un forte indebitamento, cui lo stesso Necchi cerca di porre rimedio mettendo in gioco il suo patrimonio personale.
Nel 1974, nel tentativo di risollevare le sorti dell’azienda, l’imprenditore contatta Giuseppe Luraghi, manager che ha alle spalle una pluriennale esperienza nel settore meccanico, privato e pubblico, ma non si concretizza alcun piano di rilancio perché Necchi muore alla fine del 1975, senza lasciare una discendenza diretta.
Gli ultimi anni
Verso la fine degli anni settanata, a seguito del subentro nella proprietà di una cordata d'imprenditori (tra cui le famiglie Marzotto, Merloni e Nocivelli) a cui faceva capo l'ingegner Bruno Beccaria, verrà avviato con successo il processo di risanamento aziendale che culminerà nel 1985 con la quotazione della società presso la borsa valori di Milano. Tale periodo fu caratterizzato da anni di rinnovata attività, in cui, tra l'altro, verrano lanciati nuovi prodotti tra i quali si ricorda in particolare la Logica, disegnata da Giorgio Giugiaro nel 1983, con pannello comandi elettronico. L'ultima crisi finanziaria della Necchi avvenne nel primo decennio degli anni 2000, periodo nel quale si registrò il passaggio della proprietà in capo alla Banca Popolare di Lodi. A questa operazione seguirono alcuni progetti per un aumento del capitale sociale della società - il cui amministratore delegato era Giampiero Beccaria - mediante conferimenti di obbligazioni,operazioni di bilancio che porteranno anche all'intervento della Consob e della magistratura.
La Necchi a quel punto cessa ogni attività, e gli stabilimenti di Pavia vengono chiusi. Le aree abbandonate vengono acquisite da diversi gruppi con progetti di ricostruzione residenziale. L'area, costellata di capannoni, è considerata dal Comune di Pavia di scarsa qualità architettonica fatta eccezione per l'ampliamento del precedente stabilimento Necchi progettato da Marco Zanuso nel 1961 ed è quindi prevista la demolizione degli edifici che attualmente insistono sull'area e alla successiva riqualificazione e riutilizzo del comparto attraverso l'inserimento di funzioni diversificate. L'unica attività soppravvissuta all'ultima crisi fu quella legata alle macchine per cucire per la famiglia, gestita tramite la "Necchi macchine per cucire S.r.l." che nel 2006 venne acquisita da Alpian Italia S.p.A., distributore in Italia per le macchine da cucire del gruppo Toyota. Quest'ultima nel 2010 ha realizzato una nuova unità logistica a Stradella e nel 2011 ha cambiato la propria denominazione sociale divenendo Necchi S.p.A e mantenendo la nuova sede di Stradella oltre alla sede direzionale situata ad Ariccia. Nella realtà, se la commercializzazione si è estesa anche ad aspirapolvere e altri elettrodomestici, l'attività produttiva è soprattutto concentrata sull'importazione di prodotti assemblati all'estero, pur su disegno e progetto nazionale. La dirigenza della Necchi ha poi cercato di valorizzare e separare il settore delle macchine da cucire acquisendo marchi storici quali Vigorelli e Millepunti.
FONTI E BIBLIOGRAFIA: per la bibliografia, molto frammentaria, si rimanda alla voce sulla famiglia dell'imprenditore, F. Lavista, Necchi, in DBI, vol. 78, 2013.
impresa.san.beniculturali.it - Eugenio Caruso
- 4 aprile 2017