INVENTORI E GRANDI IMPRENDITORI
In questa sottosezione illustrerò la vita di quei capitani d'industria e/o inventori che hanno sostanzialmente contribuito al progresso industriale del mondo occidentale con particolare riguardo dell'Italia.
Biografie precedenti
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G - Giuseppe Gilera - Carlo Guzzi -
H - Hewlett e Packard
I - Ferdinando Innocenti -
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N - Vittorio Necchi
O - Adriano Olivetti
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R - Louis Renault - John Davison Rochefeller - Nicola Romeo
S - Isaac Merrit Singer - Alfred Sloan - Otto Sundbäck
T - Franco Tosi
V - Vittorio Valletta - Giuseppe Volpi
Z - Lino Zanussi
Enzo Ferrari
Modena, 20 febbraio 1898 - Modena, 14 agosto 1988
Il padre, proprietario di una piccola azienda produttrice di materiale ferroviario, aveva raggiunto una certa agiatezza, tanto da possedere – già all’inizio del secolo – diverse automobili. Il giovane Ferrari abbandona gli studi alla seconda classe dell’Istituto tecnico superiore per dedicarsi al giornalismo, e collabora con «La Gazzetta dello sport».
Gli anni della Prima guerra mondiale lo segnano con dure esperienze: nel 1916 muoiono il padre e il fratello maggiore, si interrompe l’attività della piccola impresa di famiglia e lo stesso Ferrari, arruolato, si ammala gravemente e viene ricoverato per diversi mesi in un ospedale militare di Bologna. Dopo la fine del conflitto si trasferisce a Torino e tenta senza successo di farsi assumere dalla Fiat; resta nell’ambiente automobilistico perché trova lavoro in una piccola ditta che riadatta autocarri Lancia; in seguito si impiega come collaudatore a Milano alla Costruzioni meccaniche nazionali (Cmn), per passare poi nel 1920 all’Alfa Romeo.
La casa del Portello vive in quegli anni una difficilissima fase seguita alla sproporzionata espansione degli anni del conflitto e cerca una propria collocazione nel panorama automobilistico italiano fabbricando vetture veloci e da competizione. Ferrari si cimenta in questi anni come pilota: nel 1919 su una Cmn 3.000; in seguito corre per l’Isotta Fraschini, prima di approdare all’Alfa, con cui ottiene buoni piazzamenti e qualche successo. In occasione della vittoria conseguita nel 1923 nel Circuito del Savio a Ravenna, la madre dell’aviatore medaglia d’oro Francesco Baracca lo invita a fregiarsi dello stemma di suo figlio, il cavallino rampante, un simbolo che accompagnerà tutta la sua carriera di imprenditore.
Ferrari decide di ritirarsi dalle competizioni nel 1932, anno in cui nasce suo figlio Dino, ma sin dagli anni Venti il suo impegno si volge anche alle attività organizzative e commerciali. È concessionario dell’Alfa Romeo per l’Emilia Romagna e per le Marche e nel 1925 apre a Modena un’autorimessa con officina per riparazioni e assistenza alle vetture. Nel 1929 stringe un accordo con alcuni imprenditori del settore tessile interessati alle corse automobilistiche, e costituisce la Società anonima Scuderia Ferrari, alla quale partecipano come azionisti anche l’Alfa Romeo e alcune importanti imprese produttrici di componentistica quali la Bosch e la Pirelli.
La Scuderia Ferrari, con sede a Modena, ha come obiettivo l’assistenza e il sostegno a piloti dilettanti che intendono affrontare le competizioni. Per questo dispone già dal primo anno di tre vetture Alfa Romeo GL 1750, mentre l’officina è adeguatamente attrezzata di pezzi di ricambio e macchinari. Viene inoltre creata una squadra corse che ingaggia i migliori piloti professionisti già affermati, come Tazio Nuvolari e Achille Varzi, e altri che vengono formati all’interno. In questo modo la Scuderia sfrutta i vantaggi economici derivanti dalle competizioni sotto forma di ingaggi e premi. Strettissimo è il rapporto con l’Alfa Romeo, di cui la Scuderia Ferrari costituisce in breve tempo un secondo reparto corse e in alcune fasi è delegata a rappresentarne interamente l’attività sportiva. Sebbene non manchino episodi di rivalità nelle competizioni fra l’Alfa e la Scuderia, l’interesse per il successo del suo marchio spinge l’impresa milanese a indirizzare a Modena risorse tecniche e umane di alto valore.
La Scuderia diventa negli anni Trenta un vero e proprio centro di sperimentazione, dove si studiano carrozzerie esclusive, le vetture vengono profondamente elaborate e si realizzano originali modifiche e assemblaggi. Nel 1937, l’Alfa Romeo decentra a Modena la progettazione e la costruzione della nuova monoposto Tipo 158, dotata di un motore di 1.500 cm³ con compressore, cioè l’Alfetta che nel dopoguerra vincerà due campionati mondiali.
Ben presto l’iniziativa di Ferrari si dimostra di consistente impegno: nel 1933, la Scuderia si avvale di ventuno piloti professionisti, sei piloti motociclisti e ventisette meccanici altamente qualificati; nel 1936, Ferrari ricopre al carica di Presidente. Notevoli sono in questi anni i successi sportivi della Scuderia, ma questa esperienza ha termine nel 1938, quando viene assorbita dall’Alfa corse, della quale Ferrari è nominato Direttore. La casa automobilistica milanese punta in tal modo a controllare più strettamente l’attività sportiva, a cui il regime fascista attribuisce una notevole importanza per il prestigio nazionale.
Ferrari non resiste a lungo nella nuova posizione e alla fine del 1939 abbandona la società. Il documento che sancisce la rottura con l’Alfa Romeo impedisce a Ferrari l’utilizzo del marchio della Scuderia per quattro anni. L’imprenditore modenese crea quindi una nuova ditta individuale, l’Auto avio costruzioni, che nei locali appartenuti alla Scuderia comincia a fabbricare piccoli motori per aerei-scuola per la Compagnia nazionale aeronautica di Roma, e in seguito rettificatrici oleodinamiche.
Nel 1943, quando l’azienda conta più di cento dipendenti, la legge sul decentramento industriale spinge Ferrari a trasferire la produzione a Maranello, un piccolo centro distante pochi chilometri da Modena ai piedi dell’Appennino, dove l’attività prosegue nonostante lo stabilimento subisca due bombardamenti.
In realtà Ferrari, dopo aver lasciato l’Alfa Romeo, non abbandona l’interesse per le vetture da competizione. Nel 1940 realizza la vettura da competizione 815 che, affidata al giovane Alberto Ascari, partecipa senza molta fortuna alla Mille Miglia. Nei primi mesi del 1945 prende contatto con altri progettisti per realizzare nuovi modelli da competizione. La capacità imprenditoriale di Ferrari si mostra in questa fase nella scelta dei migliori tecnici per la progettazione e dei piloti: è però sempre concentrato a far convergere l’attenzione sulle sue vetture, in particolare sulla potenza dei motori, che considera l’elemento più importante.
Per sostenere economicamente l’attività sportiva, trasferisce inoltre sulle vetture granturismo le parti meccaniche e i motori di quelle da competizione. Una scelta del genere, unica fra i costruttori impegnati sui due fronti – gare e produzione di serie –, conferisce un fascino particolare alle Ferrari destinate alla strada e risulterà molto efficace da un punto di vista commerciale.
La decisione di Ferrari di dedicarsi alla costruzione di vetture sportive è confortata dall’entusiasmo diffuso nell’Italia del Secondo dopoguerra per le competizioni automobilistiche: un fenomeno in realtà europeo, perché a soli quattro mesi dalla fine del conflitto si corre a Parigi il Gran Premio della Liberazione, mentre dalla primavera del 1946 anche negli altri Paesi le competizioni riprendono su vasta scala.
Intanto Modena, grazie anche alla presenza di una diffusa industria metalmeccanica, diventa una sorta di Mecca dell’alta velocità. La supremazia di Ferrari è messa in discussione dalla competizione con la Maserati, trasferita in città dal 1940. Il centro emiliano diventa così meta di fornitori, commercianti d’auto, tecnici, progettisti, piloti professionisti, ricchi dilettanti, giornalisti sportivi.
L’iniziativa di Ferrari decolla rapidamente. Nel 1947 la Ferrari ottiene sei vittorie sulle quattordici competizioni a cui partecipano le sue vetture; l’anno successivo vince la prima di sei Mille Miglia consecutive e nel 1949 coglie il successo alla 24 Ore di Le Mans. Nel 1951, nel Gran Premio di Inghilterra a Silverstone, in una prova del Campionato mondiale piloti per vetture di Formula 1 (inaugurato l’anno precedente), una Ferrari con il nuovo motore aspirato da 4.500 cm³ batte le rivali della vecchia casa madre, l’Alfa Romeo.
Nel 1951 è Manuel Fangio dell’Alfa Romeo a ottenere il titolo mondiale, titolo che però non sfugge a Ferrari nei due anni seguenti con Alberto Ascari. Nel 1952 e nel 1953 al titolo mondiale per piloti Ferrari unisce anche quello per marche.
La produzione e la vendita delle vetture granturismo appare il modo più efficace per sfruttare da un punto di vista economico i trionfi sportivi. Nel 1947 le Ferrari vendute sono sette, nel 1948 sono 45 e circa 80 ogni anno nel periodo tra il 1950 e il 1955. A differenza dei rivali della Maserati, orientati verso il mercato interno, Ferrari punta soprattutto sulla ricca clientela dei mercati stranieri. Particolarmente efficace è l’azione commerciale negli Stati Uniti. Alle fortune delle Ferrari granturismo contribuisce in misura rilevante la collaborazione avviata dal 1952 con Pininfarina.
Il carrozziere torinese combina magistralmente una costruzione aerodinamica che valorizza le potenzialità del motore con l’attenzione per la comodità, la raffinatezza e l’estetica. È il caso di uno dei modelli di base della Ferrari negli anni Cinquanta, il 250 GT che, presentato al Salone di Parigi nel 1955, viene prodotto in serie dal 1959.
Le affermazioni delle Ferrari dei primi anni Cinquanta sono agevolate dalla momentanea debolezza della concorrenza: la situazione cambia nel 1954, con il ritorno alle competizioni della Mercedes e con l’ingresso della Lancia. Nel 1954 Ferrari conserva il titolo di campione del mondo per marche, ma la Mercedes con Fangio ottiene quello per piloti, mentre l’anno seguente la casa tedesca consegue entrambi i titoli, lasciando alla Ferrari pochissime vittorie. Tuttavia la Mercedes, acquisiti questi risultati, decide di ritirarsi dalle gare (è del 1955 il gravissimo incidente di Le Mans, in cui una Mercedes causa la morte di ottanta spettatori), e anche la Lancia abbandona le competizioni, causa non secondaria della grave crisi economica in cui versa. La Lancia cede quindi alla Ferrari le sue vetture e il suo materiale per le competizioni: a questo la Fiat aggiunge un contributo a favore della casa di Maranello di 50 milioni annui per cinque anni, come sostegno all’automobilismo sportivo nazionale.
Rielaborando le Lancia D50, Ferrari vince nel 1956 il suo terzo titolo mondiale per piloti con Fangio. Per Ferrari ha inizio un periodo difficile, segnato dalla morte del figlio Dino nel giugno del 1956 e da una serie di incidenti in gara in cui nei mesi seguenti perdono la vita alcuni fra i suoi migliori piloti e persone del pubblico. Ferrari ottiene una assoluzione nel corso dell’istruttoria di un processo in cui deve difendersi dalle accuse di non aver dotato le sue vetture di sistemi di sicurezza adeguati per i piloti; per quanto riguarda la sicurezza del pubblico invece, richiama l’attenzione sulle responsabilità degli organizzatori delle gare e non delle vetture partecipanti.
Alla fine degli anni Cinquanta la posizione di Ferrari appare solida. L’impresa conta più di 300 dipendenti, produce 250 vetture l’anno e, per costruire all’interno i motori ideati dai propri ingegneri, si è dotata con un impegnativo investimento, di una fonderia. All’interno della fabbrica Ferrari si segnala per una certa apertura nelle relazioni sindacali, concedendo il premio di produzione collettivo, riconoscendo i diritti della commissione interna, evitando discriminazioni politiche. La sfida cittadina con la Maserati è definitivamente vinta al termine del 1957, quando la rivale, a causa delle difficoltà economiche, annuncia il ritiro dalle competizioni. Ferrari, ormai unico costruttore in grado di rappresentare l’Italia nelle grandi competizioni mondiali dell’automobilismo sportivo, assurge al ruolo di gloria nazionale. Dal 1952 è Cavaliere del lavoro. Nel 1960 l’Università di Bologna gli conferisce la laurea honoris causa in Ingegneria meccanica.
L’espansione, però, non può più essere contenuta nell’alveo della ditta individuale. Nel maggio 1960 si costituisce a Modena la Società esercizio fabbriche automobili e corse (Sefac), per la costruzione di automobili Ferrari e la partecipazione a competizioni automobilistiche. Ma un passo del genere non appare ancora sufficiente a sostenere il peso economico dell’attività sportiva e della produzione di serie: alla ricerca di un alleato forte, Ferrari avvia una trattativa con la Ford nel 1963; questo forza la mano alla maggiore impresa automobilistica nazionale, la Fiat, che teme l’intervento di un concorrente di quel calibro; l’accordo tra la Fiat e la Ferrari è infine siglato nel 1965 per la realizzazione di un motore a sei cilindri denominato Dino che la Ferrari avrebbe progettato e la Fiat prodotto per vetture di serie.
Alla metà del 1969 viene inoltre annunciata la costituzione di una società con partecipazioni paritetiche tra le due imprese, con il settore granturismo dipendente interamente dalla Fiat, mentre Ferrari, Presidente della nuova impresa, si dedica alle competizioni. Sotto la guida del management Fiat la produzione aumenta gradualmente sino a superare la quota annua di 2000 vetture nel 1979, quota sulla quale le esportazioni incidono per l’80%. Nel 1973, infine, Ferrari decide di limitare le attività sportive alla partecipazione al Campionato mondiale di Formula 1.
Il sostegno della Fiat consente un netto potenziamento della fabbrica di Maranello: sono ammodernate le linee di montaggio e la fonderia, viene acquisita la carrozzeria modenese Scaglietti, mentre si costruisce nelle vicinanze, a Fiorano, una pista per le prove. Il ramo sportivo dell’azienda beneficia della maggiore consistenza economico-organizzativa: Ferrari vince il Campionato del mondo per piloti nel 1975 e nel 1977 con Niki Lauda e nel 1979 con Jody Scheckter; uno dei piloti prediletti di Ferrari, il canadese Gilles Villeneuve, muore in un incidente durante le prove del Gran Premio del Belgio nel 1982.
Dalla fine degli anni Settanta il mondo della Formula 1 subisce un rapido cambiamento. Nuove tecnologie, nuove forme di finanziamento, costruttori intesi sempre più come assemblatori lo rendono profondamente diverso da quello in cui Ferrari aveva iniziato la sua avventura, ma il prestigio personale e la popolarità delle sue autovetture mantengono l’anziano imprenditore fino agli ultimi anni di vita al centro del mondo dello sport automobilistico. Ferrari muore a Modena nell’estate del 1988.
Risorse bibliografiche
Della sterminata bibliografia sulla Ferrari si segnalano qui solo alcuni volumi autobiografici: Le mie gioie terribili, Bologna, Cappelli, 1962; Le briglie del successo, ibid. 1970; Ferrari, Modena, 1974; Piloti che gente…, Bologna, Conti, 1985 e Una vita per l'automobile, San Lazzaro di Savena, Conti, 1988 e Ferrari 1947-1997: [Il libro ufficiale], Vimodrone, G. Nada, 1999, più volte ristampato. Non esiste invece alcun archivio o centro storico a Maranello.
impresa.san.beniculturali.it - Eugenio Caruso
- 24 aprile 2017