Giuseppe Amarelli il re della liquerizia

INVENTORI E GRANDI IMPRENDITORI

In questa sottosezione illustro la vita di quei capitani d'industria e/o inventori che hanno sostanzialmente contribuito al progresso industriale del mondo occidentale con particolare riguardo dell'Italia.

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amarelli 1

Giuseppe Amarelli
Rossano (CS), 12 giugno 1904 - Rossano (CS), 17 gennaio 1990
Il giovane Amarelli frequenta la Scuola tecnica di Rossano con l’intenzione di iscriversi alla facoltà di Ingegneria. Alla morte del padre, nel 1924, abbandona gli studi e subentra, insieme ai fratelli, nella conduzione dell’azienda familiare.
La famiglia paterna di Amarelli, ricchi proprietari terrieri, vanta antiche tradizioni nobiliari e da parecchie generazioni si fregia del titolo baronale. Già dal XVI secolo la lavorazione della radice di liquirizia si era affiancata, come attività secondaria, alle principali produzioni agricole praticate nei vasti latifondi della famiglia. Tale attività consentiva, infatti, nei periodi di riposo dei terreni dovuti alla rotazione delle colture, sia lo sfruttamento dei fondi, sia l’impiego della manodopera bracciantile. Nel 1731 le fonti attestano la fondazione del concio – la fabbrica di liquirizia – degli Amarelli.
A partire dal Settecento, e fino ai primi decenni del Novecento, sul versante ionico della provincia di Cosenza si concentrava la gran parte della produzione nazionale di succo di liquirizia. Le particolari condizioni del clima e dei terreni, che favorivano la copiosa crescita spontanea della pianta, utilizzata, oltre che per usi farmaceutici, anche nell’industria dolciaria, liquoriera e nella concia dei tabacchi, conferivano al prodotto calabrese una qualità eccellente. Oltre a quello degli Amarelli, nel Cosentino operavano altri conci, tutti appartenenti a famiglie di proprietari terrieri. Nella prima metà dell’Ottocento la produzione locale rappresenta il 70% di quella nazionale. Alla fine del secolo l’estratto viene venduto sia sul mercato interno, sia su quello estero (in particolare in Belgio, Gran Bretagna e Olanda).
Nei primi decenni del Novecento, l’industria cosentina della liquirizia comincia ad accusare segni di declino, ma la vera crisi del settore arriverà negli anni Trenta, a causa del basso livello di investimenti e dell’agguerrita concorrenza estera, in particolare quella del colosso dolciario statunitense Mac Andrews and Forbes che, trasformando all’estero la materia prima acquistata in Calabria, sottrarrà risorse all’industria calabrese.
Quando, nel 1924, i tre fratelli Amarelli subentrano al padre nella gestione, la fabbrica ha già subito una consistente ristrutturazione e una prima meccanizzazione, che permettono all’impresa di fronteggiare le incertezze della crisi imminente. Il processo produttivo tradizionale era estremamente articolato (le fasi principali consistevano nel lavaggio, nel taglio, nella molazzatura, nella bollitura, nella pressatura e nel consolidamento del prodotto) e utilizzava in maniera intensiva il fattore lavoro: nella fabbrica Amarelli l’impiego di manodopera raggiungeva, nelle fasi di maggiore intensità produttiva, gli 85 addetti. Le innovazioni tecniche meccanizzano parzialmente il ciclo produttivo, pur conservando il principio della bollitura in acqua per l’estrazione, e permettono all’azienda di aumentare la quantità di prodotto finito.
L’ingresso dei tre fratelli Amarelli nella conduzione dell’impresa impone una riorganizzazione della gestione aziendale: nella nuova società il maggiore, Fortunato, si dedica all’amministrazione, Pasquale alla commercializzazione e Giuseppe assume la direzione della produzione, con l’intento di modernizzarla e renderla un vero processo industriale. In Italia la rete commerciale si estende al Nord, con uffici a Torino, Milano e Trieste, mentre Giuseppe Amarelli alterna la gestione dello stabilimento con frequenti viaggi in Italia e all’estero, soprattutto in Inghilterra, diretti a stabilire rapporti con importatori capaci di assicurare alla produzione aziendale gli sbocchi sui grandi mercati europei.
Nella seconda metà degli anni Venti la ditta Amarelli esporta in Inghilterra, in Belgio e in Francia; sul mercato nazionale figurano tra i principali clienti, nei primi anni Trenta, importanti ditte torinesi come Schiapparelli, Venchi e4 C. e Leone.
La concorrenza estera, sempre più pressante, induce Amarelli ad ampliare la gamma dei prodotti e ad avviare la produzione di un surrogato (la liquirizia con aggiunta di amidi) commercializzato con il marchio Lealmair, che permette di sostenere il fatturato senza svilire il prestigio del marchio principale, rappresentato dal nome della famiglia.
L’impegno principale di Amarelli è comunque diretto all’ampliamento e al perfezionamento del ciclo di produzione. Nel 1931 impianta gli estrusori meccanici per filare la pasta (attività svolta, fino ad allora, da 46 lavoratrici). Negli anni Quaranta installa nuove caldaie a vapore per incrementare la produzione di estratto. Grazie alle innovazioni introdotte, l’attività viene sottratta alla stagionalità dei raccolti e la produzione aumenta sensibilmente. I continui investimenti e le conseguenti economie di scala permettono all’azienda di fronteggiare la grave crisi che porta, nei primi anni Cinquanta, alla progressiva scomparsa delle vecchie fabbriche calabresi. È in quegli anni, infatti, che la produzione della liquirizia per usi alimentari passa a nuove imprese di maggiori dimensioni, come la Saila (Società per azioni industria liquirizia abruzzese, costituita nel 1937): l’unico concio di antica tradizione che sopravvive alla crisi, tra i numerosi della Calabria ionica, è quello dell’impresa Amarelli.
Durante gli anni Sessanta Amarelli prosegue il programma di ristrutturazione e aggiornamento tecnologico del processo produttivo. Progetta personalmente un nuovo sistema di estrazione a vapore, commissionando una serie di prototipi per la messa a punto del processo. Nei primi anni Settanta, approfondendo lo studio delle nuove tecnologie, compie una serie di visite nelle principali imprese meccaniche europee. Pur mantenendo inalterata la qualità dell’estratto, la meccanizzazione migliora l’efficienza della fabbrica, con un impiego sensibilmente inferiore di manodopera. L’interesse di Amarelli per l’applicazione delle nuove tecnologie porta anche a una prima automazione del processo produttivo: nel 1974 commissiona infatti un sistema computerizzato (a schede perforate) di comando del ciclo di cottura della radice. Dal 1980, in seguito alla morte dei fratelli, Amarelli continua l’attività imprenditoriale attraverso una ditta individuale. Negli anni Ottanta il marchio Amarelli ha ormai consolidato una notorietà internazionale. I suoi prodotti conoscono ampia diffusione, oltre che in Europa, negli Stati Uniti, in Canada e in Australia.
Amarelli muore a Rossano all’inizio del 1990.

AMARELLI OGGI
È una delle quaranta aziende italiane del food che avrà il suo spazio nella Fabbrica Italiana Contadina, il grande parco tematico progettato da Oscar Farinetti, che aprirà a Bologna a fine 2016 con l’idea di raccontare la storia dei migliori prodotti made in Italy. Pina Amarelli ha fatto grande il marchio di famiglia che si tramanda di padre in figlio dal 1731. Per quasi 300 anni e per 13 generazioni, fratelli, cugini, nipoti fanno parte di una società in accomandita semplice, in cui, anche se impegnati in altri lavori - magistrato, cardiochirurgo, professore universitario - si decide sempre tutti insieme. La signora della liquirizia, napoletana, arriva a Rossano a 22 anni, dopo il matrimonio con Franco, nel 1969. Lui insegna Diritto romano all’università ed è figlio di Giuseppe, il patron che negli anni Sessanta ha rilanciato l’azienda. “Al mio sbarco in Calabria – racconta l’imprenditrice – trovai un paese con una mentalità ottocentesca. Si stava sempre chiusi nel palazzo padronale, mio suocero, il barone Amarelli, rispettato e venerato da tutti, era il dominus di questa impresa che produceva liquirizia, un prodotto di nicchia di eccellente qualità che si vendeva quasi esclusivamente in ambito locale. Si usciva di casa soltanto per le visite formali, rigorosamente accompagnati. Io, invece, venivo da una famiglia borghese, papà avvocato, mamma fiorentina, con le mie due sorelle abituata a un’educazione liberal, a una vita più dinamica, si usciva, si viaggiava, ero desiderosa di farmi strada. Insegnavo Diritto all’università e ancora non lavoravo in azienda”. A Rossano, Pina passa il tempo tra libri e carte a leggere la storia della famiglia. In quegli anni gli Amarelli investono nella modernizzazione dell’azienda, quasi 100 milioni di lire per macchinari e marketing. Quello è il momento in cui si torna a trasmettere attraverso le immagini, l’unicità del prodotto. “Verso il 1974 – racconta l’ambasciatrice del marchio nel mondo - mio cognato Giorgio, scomparso troppo presto, decise di recuperare le antiche confezioni di pasticche di liquirizia e mi coinvolse nel lavoro. Scovai negli archivi le vecchie etichette liberty con cui ‘vestire’ le scatolette di metallo, scelte apposta perché era materiale riciclabile, secondo la tendenza della Germania ambientalista dell’epoca, e dopo averle utilizzate tutte, ne feci fare di nuove e belle da un bravissimo grafico, Carlo Angelini. Ora vendiamo un milione di scatolette all’anno e sono diventate oggetti da collezione”. Pina Amarelli ricorda come è stata via via conquistata dalla vita dell’azienda. “Mi piaceva scrivere e me ne sono servita per sviluppare la strategia di comunicazione. Ero contenta di lavorare al Sud per valorizzare un patrimonio di famiglia: non ho mai considerato come un handicap l’essere donna e imprenditrice nella regione più arretrata d’Italia. Siamo entrati a far parte de Les Hénokiens, l’associazione internazionale che riunisce le aziende ultracentenarie, ho conosciuto imprenditori come Agnelli e Falck. Il mio ruolo era una tale novità, che i calabresi non riuscivano nemmeno a vederlo in negativo, del resto rappresentavo all’esterno una famiglia che sta lì da secoli, ha dato molto e continua a farlo. Questa parte della Calabria non è, per fortuna, un territorio ad alta densità mafiosa, come il Reggino, ma c’è ancora la mentalità di un tempo”. Il nuovo corso la vede protagonista nell’impresa calabrese. Nel 2006 viene insignita, prima donna in Calabria, dal presidente della Repubblica, Ciampi, del titolo di Cavaliere del lavoro “per aver portato l’industria alimentare familiare al ruolo di leader mondiale nel settore della liquirizia”. Pur gestendo l’azienda in prima fila, Pina Amarelli, non ha voluto assumere ruoli ufficiali nella società. “Non ho mai cercato cariche ho preferito lasciare il timone a Margherita, vedova del fratello di mio suocero, per quasi otto anni, poi la guida è passata a mio nipote, Fortunato Amarelli”. Il catalogo Amarelli contiene ormai una sessantina di prodotti. Dal luglio dell’anno scorso è stato varato l’e-commerce, che sta navigando bene. “Non potevamo andare avanti con un mono prodotto – racconta l’imprenditrice - e per espanderci dovevamo diversificare e cercare mercati all’estero. Alle caramelle di liquirizia abbiamo affiancato i sassolini, il cioccolato, poi la pasta, il liquore, fino al sapone, il bagno schiuma e persino il dentifricio”. È inutile cercarli nei grandi magazzini. “Caffè, pasticcerie importanti, erboristerie e farmacie sono i nostri distributori privilegiati”, spiega l’amministratore delegato Fortunato Amarelli, 43 anni, laurea in Giurisprudenza, corsi alla Bocconi e poi in America, alla Loyola University di Chicago. Dal 2003 si occupa della produzione, vivendo a Rossano nello storico palazzo dei suoi antenati, fulcro e sede dell’attività. “Eataly ha portato la nostra liquirizia negli Usa – continua - in Brasile e in Giappone; così negli ultimi cinque anni siamo cresciuti all’estero del 70 per cento. E siamo sugli scaffali di Harrod’s, Lafayette, Magazin Du Nord”. “Punto di forza del nostro marchio - sottolinea la sorella Margherita, 46 anni, che cura il marketing - è aver recuperato l’idea di produrre liquirizia dalla materia prima, con la ricetta antica, il metodo unico, artigianale e naturale, mentre il mondo dolciario è andato verso l’utilizzo di semilavorati delle multinazionali a gusto omologato. Ragione di orgoglio della nostra famiglia è l’aver perpetuato la filiera completa che ha fatto la fortuna commerciale di un prodotto antichissimo, anche se vuol dire andare controcorrente”. Nella fabbrica della liquirizia Amarelli si sono succeduti di padre in figlio non solo i proprietari, ma anche i 40 dipendenti. Come Giovanni Spataro, ragioniere, impiegato da 30 anni, che ricorda il traguardo della ‘partita doppia’: “Eravamo una delle poche aziende a farla, sui registri Buffetti, tutto scritto a mano. Si è lavorato sodo, ogni giorno era un mettersi alla prova”. E Raffaele Gallina, maestro liquiriziaio, 71 anni: “Prima di me c’era mio padre e prima ancora mio nonno. Molte cose sono cambiate, ma il sistema di produzione è sempre lo stesso. E anche l’entusiasmo”. Altra tappa fondamentale, di cui Pina Amarelli è orgogliosa, è stata la nascita a Rossano di un Auditorium per convegni e manifestazioni culturali e il Museo della Liquirizia, inaugurato nel 2001 e curato dall’architetto Giulio Pane, per raccontare la storia e l’economia della Calabria: il TouringClub lo cita come secondo museo d’impresa più visitato in Italia dopo quello della Ferrari a Maranello. Qui sotto, una scatola di Liquirizia Amarelli realizzata a partire dalla grafica originale dei prodotti venduti nell’Ottocento. Uno dei primi impegni di Pina Amarelli per il rilancio dell’azienda di Rossano. Oggi sono diventate oggetti da collezione Sopra e in basso, il museo della Liquirizia Amarelli: il secondo museo d’impresa più visitato d’Italia dopo quello della Ferrari a Maranello

Risorse archivistiche e bibliografiche
Gli atti ufficiali (documenti contabili, corrispondenze, relazioni tecniche) possono essere consultati nell’archivio aziendale conservato presso il Museo della Liquirizia “Giorgio Amarelli” di Rossano. Una storia della ditta Amarelli e dell’attività imprenditoriale di Giuseppe Amarelli è contenuta in A.A.V.V. La dolce industria. Conci e liquirizia in provincia di Cosenza dal XVIII al XX secolo, Corigliano Calabro, Il Serratore, 1991. Notizie su Amarelli sono contenute anche in E. Fata, La liquirizia del barone da oltre due secoli, in «Agorà», IV, 1987, n. 6, pp. 4-5.

Eugenio Caruso - 10 maggio 2017


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