Angelo Rizzoli dall'editoria alla cinematografia

INVENTORI E GRANDI IMPRENDITORI

In questa corposa sottosezione illustro la vita di quei capitani d'industria e/o inventori che hanno sostanzialmente contribuito al progresso industriale del mondo occidentale con particolare riguardo dell'Italia.

Biografie precedenti

A - Giovanni Agnelli - Domenico Agusta - Giuseppe Amarelli - Francesco Angelini - Giovanni Ansaldo - Gianluigi Aponte - Richard Arkright
B -Pietro Barilla - Pietro Bastogi - Alberto Beneduce - Karl Benz - László József Bíró - Coniugi Bissel - Ferdinando Bocconi - William Edward Boeing - Giovanni Borghi - Giuseppe Borletti - Fulvio Bracco - Ernesto Breda- Giovanni Buitoni -
C - Davide Campari - Eugenio Cantoni - Bernardo Caprotti - Furio Cicogna - Vittorio Cini - Francesco Cirio - André Gustave Citroen - Giacomo Colussi - Angelo Costa - Cristoforo Benigno Crespi
D - Gottlieb Wilhelm Daimler - Cecilia Danieli - Ernesto De Angeli - Filippo De Cecco - Rudolf Diesel - Guido Donegani - Antonio Cavalieri Ducati -
E - Thomas Edison - Carlo Erba -
F - Giorgio Enrico Falck - Enzo Ferrari - Michele Ferrero - Serafino Ferruzzi - Henry Ford
G - Egidio Galbani - Giuseppe Gilera - Carlo Guzzi -
H - Hewlett e Packard
I - Ferdinando Innocenti -
L - Vincenzo Lancia - Achille Lauro - Luigi Lavazza -
K - Raymond Albert Kroc - Alfred Krupp
M - Ercole Marelli - Franco Marinotti - Alessandro Martini - Alfieri Maserati- Gaetano Marzotto - Enrico Mattei - Domenico Melegatti - Archimede Menarini - Aristide Merloni - Fratelli Michelin - Angelo Moratti - Angelo Motta -
N - Vittorio Necchi
O - Adriano Olivetti
P - Mario Pavesi - Carlo Pesenti - Armand Peugeot - Enrico Piaggio - Pininfarina - Giovanni Battista Pirelli - Stephen Poplawski - Ferdinand Porsche
R - Louis Renault - John Davison Rochefeller - Nicola Romeo
S - Isaac Merrit Singer - Alfred Sloan - Luisa Spagnoli - Otto Sundbäck
T - Franco Tosi
V - Vittorio Valletta - Giuseppe Volpi
Z - Lino Zanussi

rizzoli 1

Angelo Rizzoli

Milano, 31 ottobre 1889 - Milano, 24 settembre 1970
Nato in una famiglia di modeste condizioni e orfano di padre, morto suicida prima della sua nascita, viene affidato nel 1897 alle cure dell’orfanotrofio dei Martinitt a Milano. Qui rimane fino al 1906, conseguendo la licenza elementare e imparando il mestiere di tipografo. Lasciato l’orfanotrofio, viene assunto come operaio da una piccola tipografia, la Bernini, passando dopo qualche mese a un’azienda più grande, specializzata in pubblicazioni d’arte, la Alfieri e Lacroix.
Nel 1909 Rizzoli decide di mettersi in proprio insieme a un altro operaio, acquista i primi macchinari tipografici da una ditta tedesca e prende in affitto un piccolo locale vicino a piazza San Babila. Le ristrettezze in cui si trova la piccola impresa nei primi anni di vita sono testimoniate dal fatto che la costituzione ufficiale della ditta individuale – la A. Rizzoli e C. – dev’essere posticipata fino al gennaio del 1911. La prima occasione di crescita vera per l’azienda arriva nell’ottobre del 1911, grazie all’intuizione di Rizzoli di stampare cartoline commemorative della guerra di Libia. I profitti di questo primo successo commerciale permettono di trasferire la tipografia in una sede di maggiori dimensioni, nelle vicinanze della stazione di Porta Vittoria, di aumentare il numero di macchinari e assumere i primi dipendenti. Negli anni seguenti l’ulteriore sviluppo della A. Rizzoli e C. viene invece garantito dalle commesse della Casa Editrice d’Arte Bestetti e Tumminelli, fra cui va segnalata la stampa dei volantini pubblicitari della Rinascente. Fra i frutti della collaborazione con la Bestetti e Tumminelli va annoverato anche lo sviluppo di una stretta relazione d’affari fra Rizzoli e Calogero Tumminelli, contitolare della casa editrice.
Alla metà degli anni Venti la Rizzoli è ormai diventata un’impresa di dimensioni rispettabili, con circa 80 dipendenti; Rizzoli può quindi permettersi di acquistare in Germania una delle prime macchine per la stampa a rotocalco, un nuovo procedimento particolarmente adatto per la stampa di fotografie: l’impresa diventa così una delle tecnologicamente più avanzate del settore in Italia. Rizzoli tuttavia non stampa ancora né libri né riviste, ma solo cartoline, manifesti e dépliant pubblicitari per conto terzi. L’occasione per imboccare la strada dell’editoria arriva nel 1927, quando rileva dalla Arnoldo Mondadori Editore quattro periodici in precarie condizioni finanziarie: il settimanale «Il Secolo Illustrato», il quindicinale «Novella», i mensili «La Donna» e «Comoedia».
Rizzoli accetta la proposta di Guido Cantini, direttore di «Novella», di trasformare la rivista, che fino a quel momento aveva pubblicato essenzialmente opere letterarie, in un settimanale popolare; la scelta è quella di orientare decisamente la rivista verso un pubblico femminile: si avvia quindi la pubblicazione a puntate dei primi romanzi “rosa”, si inaugura una rubrica delle lettere che diventerà il modello per tutti gli altri giornali del genere e, soprattutto, «Novella» è la prima rivista italiana a puntare sul divismo, pubblicando numerose foto di attori e attrici. La nuova formula si rivela un successo: nonostante la bassa qualità grafica dei primi numeri, porta a un’impennata delle vendite, che raggiungono quasi subito le 100.000 copie, e toccano quota 150.000 tre anni più tardi, nel 1930.
Un altro passaggio importante nella trasformazione definitiva della Rizzoli da impresa tipografica a casa editrice è rappresentato dall’incarico di stampare l’Enciclopedia Treccani, ottenuto in buona parte grazie ai buoni uffici di Calogero Tumminelli, divenuto dal 1925 Direttore dell’Istituto Treccani. Si tratta di una commessa di notevoli proporzioni – il progetto contempla l’uscita di 36 tomi in nove anni, con una cadenza trimestrale e una tiratura di base di 26.000 copie, per un totale di 900.000 volumi di circa mille pagine l’uno – la cui realizzazione tecnica richiede la costruzione di un nuovo stabilimento poligrafico a Milano, in piazza Carlo Erba, ufficialmente inaugurato nel gennaio 1929.
Gli investimenti necessari per la realizzazione del nuovo stabilimento vengono garantiti da un consorzio di finanziatori: Giovanni Treccani, imprenditore tessile e fondatore dell’istituto omonimo, Ettore Bocconi, azionista di controllo della casa editrice Treves, e Senatore Borletti entrano nel capitale della nuova società anonima Arte della Stampa Rizzoli e C, che incorpora il marchio e l’attività della precedente ditta individuale. Rizzoli si trova a dover cedere in cambio del finanziamento concessogli metà delle azioni dell’impresa, riservandosi tuttavia il diritto di riacquisto delle quote, che riesce a esercitare già nel 1933. Nel 1934 la nomina a Cavaliere del lavoro è il riconoscimento più tangibile del nuovo status raggiunto dall’imprenditore Rizzoli, e segna il suo ingresso nella ristretta cerchia dei principali editori italiani.
Nel corso degli anni Trenta Rizzoli lancia nuove iniziative nel settore dei periodici con «Cinema Illustrazione» (1930), il primo settimanale italiano dedicato al cinema, «Annabella» (1933), un settimanale a basso costo dedicato alle donne, e il «Bertoldo» (1936), un settimanale umoristico diretto da Giovanni Mosca; nel settore editoriale vengono inaugurate le collane I classici Rizzoli e I giovani, quest’ultima diretta da Cesare Zavattini. Nel 1935 Rizzoli accetta la proposta di Leo Longanesi, giornalista e scrittore, di creare un nuovo settimanale politico e letterario che sfrutti le potenzialità tecniche offerte dal rotocalco; nasce così «Omnibus», il capostipite dei settimanali d’informazione italiani. Il taglio innovativo del nuovo periodico ne assicura il rapido successo – le vendite raggiungono in pochi mesi le 70.000 copie – ma il tono critico nei confronti del Regime portano alla sospensione delle pubblicazioni per decisione diretta di Mussolini.
Rizzoli decide di non interrompere la collaborazione con Longanesi, a cui assegna la direzione della nuova collana editoriale Il Sofà delle Muse, che diverrà celebre per aver presentato per la prima volta al grande pubblico scrittori come Dino Buzzati, Elsa Morante e Mario Soldati. A segnare la crescente distanza fra Rizzoli e il Fascismo c’è anche la decisione di finanziare il progetto di due dei redattori più brillanti dell’ormai defunto «Omnibus» – Arrigo Benedetti e Mario Pannunzio – di creare una nuova rivista denominata «Oggi», che arriva a vendere oltre 30.000 copie prima di essere anch’essa soppressa dal Regime nel 1941. Sempre nel corso degli anni Trenta, Rizzoli avvia la prima iniziativa mirata a diversificare le attività dell’azienda fondando, nel 1933, la Novella Film, una società di produzione cinematografica.
Nel dopoguerra Rizzoli deve fare i conti con il calo deciso delle vendite: non ha più una testata di punta e anche i periodici popolari sembrano in declino. È tuttavia fermamente convinto che i periodici d’informazione abbiano enormi potenzialità di sviluppo nella nuova Italia uscita dalla guerra e decide di sfruttarle con la pubblicazione, a partire dal luglio del 1945, di un rinato «Oggi», la cui Direzione viene affidata a Edilio Rusconi. Sempre nel 1945 l’editore, per sostituire il «Bertoldo» soppresso dagli occupanti tedeschi, crea anche un nuovo giornale satirico-politico – «Candido» – affidandone la direzione a Giovanni Guareschi e Giovanni Mosca. Nel 1953 acquisisce inoltre «L’Europeo», un settimanale di informazione politica fondato nel 1945 che, sotto la direzione di Arrigo Benedetti, lo stesso giornalista che aveva fondato il primo «Oggi» per Rizzoli, in poco tempo era arrivato a toccare le 300.000 copie di vendita. Successi esplosivi Nel giro di pochi anni le previsioni di crescita del mercato dei settimanali sono superate da un successo esplosivo: le vendite di «Oggi» nel 1948 sfiorano già quota 300.000 copie; l’anno successivo il numero con il drammatico servizio sulla sciagura di Superga (in cui muoiono i giocatori della squadra di calcio del Torino) supera per la prima volta il mezzo milione di copie vendute, mentre negli anni Cinquanta la tiratura si attesta sulle 600.000 copie, con punte che toccano il milione. Il «Candido», portato da Guareschi su posizioni ferocemente anticomuniste, diventa uno dei giornali più letti dei primi anni del dopoguerra, con mezzo milione di copie di tiratura media. Sulle pagine di «Candido» compaiono per la prima volta, riscuotendo un grande successo, anche i racconti di Don Camillo scritti da Guareschi. Il primo libro che li raccoglie, Mondo Piccolo, viene pubblicato nel 1948 da Rizzoli e in pochi mesi arriva a vendere oltre 300.000 copie. Il successo delle opere di Guareschi segna il ritorno prepotente di Rizzoli in campo editoriale: a partire dal 1949 viene avviata la pubblicazione della collana di edizioni economiche di grandi classici Biblioteca Universale Rizzoli (Bur), seguita negli anni successivi dalle collane di narrativa La Scala, Sidera, Narratori moderni, I nostri umoristi, I classici dell’arte e, tra le grandi opere, la collana dell’Enciclopedia Universale. Un vero e proprio impero editoriale Verso la fine degli anni Cinquanta l’espansione della produzione – solo la tiratura dei periodici Rizzoli supera stabilmente i due milioni e mezzo di copie alla settimana – spinge Rizzoli a iniziare la costruzione di un nuovo stabilimento in via Civitavecchia (oggi via Angelo Rizzoli), dove vengono trasferite nel 1960 le tipografie e le redazioni dei periodici, che insieme impiegano ormai oltre mille dipendenti. La trasformazione dell’azienda – dal 1952 divenuta Rizzoli Editore spa – in vero e proprio impero editoriale è portata a termine con l’acquisizione nel 1954 della storica Cartiera di Lama del Reno, nei pressi di Marzabotto in provincia di Bologna, che viene ristrutturata e potenziata con l’obiettivo di produrre tutta la carta necessaria per le riviste e i libri stampati dall’azienda, e con l’apertura di librerie a Roma, Milano e New York. A partire dalla fine degli anni Quaranta Rizzoli riprende anche a interessarsi di industria cinematografica. Nel 1950 costituisce insieme al produttore Giuseppe Amato la Distribuzione edizioni Amato Rizzoli Film (Dear) per produrre e distribuire il film Don Camillo, che si rivela uno straordinario successo di pubblico. Tra il 1950 e il 1955 Rizzoli, attraverso la Dear, produce oltre 40 film, fra cui Francesco, giullare di Dio di Roberto Rossellini e Umberto D di Vittorio De Sica. Nel 1957 Rizzoli fonda una nuova casa cinematografica la Cinema Rizzoli (Cineriz), che negli anni successivi produrrà La dolce vita e 8 e ½ di Federico Fellini e L’eclisse di Michelangelo Antonioni. Altre società vengono fondate nei settori alberghiero: Ischia alberghi e Lacco Ameno Terme. Nel 1960 viene inaugurata la nuova sede di via Civitavecchia (oggi via Rizzoli), alla periferia nordest di Milano (quartiere Cimiano). Nel corso degli anni sessanta gli impianti tipografici vengono potenziati e in parte rinnovati, garantendo la richiesta di tirature più elevate. I dipendenti aumentano in dieci anni da 1.000 a 3.600. Nell’aprile 1967 Rizzoli riceve il titolo di Conte dall’ex Re d’Italia Umberto II dal suo esilio di Cascais. Muore nel 1970, all’età di 81 anni.

Nel secondo semestre del 1973 il presidente del Gruppo, Andrea Rizzoli, avviò l'acquisizione della società editrice del «Corriere della Sera», il primo quotidiano italiano. L'«Editoriale Corriere della Sera», vera e propria corazzata editoriale, pubblicava anche un quotidiano del pomeriggio, il Corriere d'Informazione e i settimanali Amica, La Domenica del Corriere, Corriere dei Piccoli. Il pacchetto azionario dell'Editoriale Corriere della Sera era ripartito fra tre soggetti: famiglia Crespi (nella persona di Giulia Maria), Angelo Moratti e famiglia Agnelli. Era sufficiente quindi acquisirne due per diventare i nuovi proprietari. L'operazione si concluse il 12 luglio 1974. Andrea Rizzoli non si accontentò del pacchetto di controllo, ma volle per sé il 100% della società editrice. L'investimento superò i 40 miliardi di lire. Le tre quote furono pagate rispettivamente: 15 miliardi e 445 milioni, in contanti, a Giulia Maria Crespi; 13 miliardi, parte in contanti e parte differiti, a Moratti; 13,5 miliardi, somma da devolvere entro 3 anni, agli Agnelli. La società acquirente assorbì la società acquisita: dalla fusione nacque la «Rizzoli-Corriere della Sera» (RCS). Per effettuare l'acquisizione, la Rizzoli dovette chiedere un finanziamento bancario di 25 miliardi di lire. L'unica a manifestare dissenso sulla complessa operazione fu la sorella di Andrea, Giuseppina, che deteneva il 29% del pacchetto azionario. Anche Alberto, figlio secondogenito di Andrea, fu contrario. Ma il suo parere contava poco poiché non aveva ancora 30 anni. Nicola Carraro, figlio di Giuseppina e direttore amministrativo del gruppo, cercò di mediare per evitare una spaccatura in famiglia. Quando l'acquisto fu perfezionato, in agosto Carraro (promosso amministratore delegato della «Rizzoli-Corriere della Sera») presentò la verifica finanziaria ed economica delle due società riunite. I conti erano in rosso per 15 miliardi. Ne seguì una furibonda lite con il patron Andrea. Alla fine dell'anno i Carraro uscirono definitivamente dal gruppo Rizzoli. Andrea rilevò la loro quota al prezzo di 24 miliardi di lire. Il 10 ottobre 1975 la Rizzoli comunicò ai sindacati che il deficit patrimoniale ammontava a 20 miliardi di lire. Sui 3.500 dipendenti, 500 erano in esubero. L'editore però rassicurò i sindacati: il gruppo intendeva espandersi e consolidarsi. Infatti nel 1976 la RCS mise a segno due colpi: l'acquisto della rete tv Telemalta e del maggiore quotidiano del sud, Il Mattino. Furono effettuate nuove nomine ai vertici del gruppo: Lorenzo Jorio responsabile del settore quotidiani, Giorgio Trombetta Panigadi ai periodici (fino al 1978, poi sostituito da Giacomo Casarotto), Mario Spagnol ai libri e Bruno Tassan Din responsabile del settore finanziario. Nel 1977 altre tappe dell'espansione furono l'acquisizione della Gazzetta dello Sport, il primo quotidiano sportivo italiano, e il controllo azionario di due giornali locali, Alto Adige e Il Piccolo di Trieste. In quello stesso anno giunse a scadenza il pagamento della quota acquisita dalla famiglia Agnelli per rilevare il Corriere. Il suo valore, a causa dell'indicizzazione dei tassi d'interesse, era lievitato da 13,5 a 22,475 miliardi, una somma che la Rizzoli non disponeva. Cercando finanziamenti in tutte le direzioni, finì per accettare l'offerta di Roberto Calvi (presidente del Banco Ambrosiano), pervenutagli tramite la mediazione della loggia massonica P2 di Licio Gelli. In luglio la Rizzoli, finanziata dal Banco, estinse il debito con la Fiat. Cinque giorni dopo il Banco procedette a un'iniezione di denaro fresco: 20,4 miliardi sotto forma di un aumento di capitale (che passò da 5,1 a 25,5 miliardi). Roberto Calvi ottenne in pegno da Rizzoli l'80 per cento delle quote del gruppo. L'editore avrebbe potuto riscattare interamente il suo 80% dopo tre anni, ma al valore, maggiorato, di 35 miliardi. Calvi era diventato il vero padrone della Rizzoli. In seguito alla modifica dell'assetto finanziario salì alla cabina di comando Bruno Tassan Din, che divenne il direttore generale. La solidità della RCS dipendeva dalle buone relazioni con la P2 e i partiti politici, commistioni che Andrea Rizzoli aveva sempre accuratamente evitato. Nel 1978 Andrea lasciò al figlio Angelo (chiamato da tutti Angelone) le redini del gruppo. Nel nuovo consiglio di amministrazione entrarono Umberto Ortolani, avvocato, braccio destro di Licio Gelli, e Bruno Tassan Din. Nel 1979 il gruppo RCS era saldamente il maggiore gruppo editoriale italiano, con una quota di mercato del 25% e un fatturato di 1.000 miliardi di lire, e si posizionava al secondo posto in Europa. Ogni giorno pubblicava 1.380.000 copie di quotidiani e quasi due milioni di copie di periodici. Il fatturato pubblicitario si aggirava sui 60 miliardi di lire annuali, a fronte di 3.500 dipendenti, 700 dei quali giornalisti. In quell'anno Rizzoli e Tassan Din acquisirono il quotidiano genovese Il Lavoro e lanciarono una nuova iniziativa che avrebbe dovuto portare buoni frutti: il quotidiano popolare L'Occhio. Diretto da Maurizio Costanzo, noto giornalista televisivo, e venduto a 200 lire (cento in meno degli altri quotidiani), il nuovo giornale, lanciato con una costosa campagna pubblicitaria e con un'elevata tiratura, doveva trovare spazio nel panorama editoriale italiano come "quotidiano popolare". In poco tempo si rivelò un fiasco, facendo perdere alla RCS altri miliardi. Si rese necessaria una nuova ricapitalizzazione. Questa volta Calvi fece pervenire i finanziamenti attraverso l'Istituto per le Opere di Religione (IOR), banca privata con sede nella Città del Vaticano. Nel 1980 giunsero a scadenza per Angelone i tre anni che Roberto Calvi gli aveva concesso per riacquistare l'80% delle azioni RCS. Rizzoli però non disponeva delle risorse per rilevare la quota: il deficit del gruppo aveva raggiunto i 150 miliardi. Il Banco Ambrosiano, la banca presieduta da Calvi, predispose un piano di salvataggio del gruppo. L'operazione divenne in seguito nota come «il pattone». Il piano prevedeva un secondo aumento di capitale per ripianare l'intero deficit. Angelone Rizzoli, che possedeva il 90,2% delle azioni (l'80% delle quali era da tre anni in pegno al Banco Ambrosiano), sarebbe rientrato in possesso del 50,2% di azioni; il restante 40% sarebbe passato definitivamente in mano alla banca di Calvi al prezzo di 150 miliardi. Incassato il denaro, la Rizzoli Editore avrebbe potuto pagare i 35 miliardi necessari al riscatto del vecchio 80%, mentre il resto sarebbe servito per sottoscrivere l'aumento di capitale pro quota. Il «pattone» venne siglato a Roma all'Hotel Excelsior nel settembre 1980 da Angelone Rizzoli, Bruno Tassan Din, Roberto Calvi, Licio Gelli e Umberto Ortolani. L'operazione venne perfezionata il 29 aprile 1981. Quel giorno una società dell'Ambrosiano (quindi di Calvi), la «Centrale Finanziaria S.p.A.» effettuò l'acquisto del 40% di azioni Rizzoli. L'investimento invece si rivelò un falso. Calvi ingannò Rizzoli. L'operazione fu comunicata al pubblico e annotata nei conti dell'azienda; in realtà i soldi finirono in conti esteri intestati a Bruno Tassan Din, Licio Gelli e Umberto Ortolani. Calvi, inoltre, nascose alla Rizzoli che oltre all'intervento del Banco c'era anche un conferimento, nascosto, dello IOR, presso il quale erano state depositate le azioni che erano state in possesso di Rizzoli (il suo 80%). Nel 1981 scoppiò lo scandalo della P2, cui si aggiunse il dissesto del Banco Ambrosiano. Le ripercussioni sulla RCS furono enormi: vennero chiusi L'Occhio (che era sempre stato in perdita), il Corriere d'Informazione, i supplementi settimanali e la rete televisiva. Furono ceduti Il Piccolo (al gruppo Monti), l'Alto Adige e Il Lavoro. Angelone Rizzoli viene ritenuto penalmente responsabile, al pari di Calvi e Tassan Din.
Il 6 agosto 1982, a pochi mesi di distanza dalla morte di Roberto Calvi, il ministero del Tesoro e la Banca d'Italia mettono in liquidazione il vecchio Banco Ambrosiano. La nuova banca eredita, attraverso la «Centrale Finanziaria», anche il pacchetto del 40% di azioni di Angelone Rizzoli. Questa posta va in attivo. Tra i passivi, figura il debito di 150 miliardi verso la casa editrice e lo stesso Rizzoli (l'aumento di capitale dell'anno prima, mai versato). Angelone Rizzoli decide di chiedere al Tribunale di Milano di porre la propria impresa sotto amministrazione controllata. La procedura gli permetterebbe di ottenere la sospensione generalizzata dei pagamenti per un anno, e di utilizzare quei 12 mesi ai fini del risanamento dell'azienda. Il Tribunale di Milano acconsente e pone la RCS in amministrazione controllata il 21 ottobre 1982.
La società ha un anno di tempo per ripianare tutti i debiti. Ma il nuovo presidente del Banco, Giovanni Bazoli, chiede al gruppo l'immediato rientro dei fidi. La Rizzoli passa dalla posizione di creditrice a quella di debitrice insolvente. Nel febbraio seguente Angelone Rizzoli e Bruno Tassan Din sono tratti agli arresti con l'accusa di bancarotta patrimoniale societaria in amministrazione controllata. Finisce in carcere anche Alberto Rizzoli, fratello di Angelone. Il 18 febbraio 1983, giorno dell'arresto, finisce definitivamente l'epopea della dinastia Rizzoli nel mondo dell'editoria. Il successivo 18 agosto il giudice istruttore del tribunale di Milano ordina il sequestro conservativo di tutte le azioni degli imputati Angelo Rizzoli e Bruno Tassan Din.
Dopo l'arresto di Rizzoli, ricopre la carica di presidente del gruppo Carlo Scognamiglio Pasini, 38 anni, docente all'Università Bocconi. Scognamiglio, nominato su proposta di Luigi Guatri, il commissario giudiziale, nonché docente nella stessa università, chiede ed ottiene la proroga di un anno del regime di amministrazione controllata. In maggio viene approvato il bilancio d'esercizio 1982. Alla fine dell'anno Scognamiglio lascia la presidenza del gruppo al suo vice, Roberto Poli.
L'amministrazione controllata risolleva i conti del gruppo. Le perdite vengono via via ridotte fino ad essere azzerate. Si contano 1200 licenziamenti. Nel 1984 scade il termine dell'amministrazione controllata. Il bilancio è in utile di 7 miliardi. Il gruppo, risanato, può trovare un nuovo acquirente. Il Nuovo Banco Ambrosiano offre inizialmente la Rizzoli alla Fiat; la trattativa prosegue con la regia di Mediobanca. La Fiat si impegna indirettamente attraverso la società finanziaria Gemina, che forma una cordata di cui è il vertice. L'alleanza di Gemina prevale sulla seconda offerta, presentata da una cordata guidata dal fiscalista Victor Uckmar.
Il capitale sociale del gruppo di controllo ammonta a lire 66.812.790.000, suddiviso in 96.690.000 azioni. La notizia viene diffusa il 5 ottobre; l'entità dell'offerta non viene resa nota. Anni dopo si verrà a sapere che l'intero gruppo RCS è passato di mano al prezzo di soli 9 miliardi di lire. I nuovi soci nominano Carlo Callieri, manager Fiat, nuovo amministratore delegato. I nuovi azionisti fanno confluire in un sindacato (denominato «sindacato di blocco azioni Rizzoli editore») il 60% dei loro possessi azionari nella casa editrice.[30] Il patto prevede che le decisioni del sindacato di blocco vengano prese con il voto favorevole di quattro quinti dei membri della direzione. Successivamente si procede ad un aumento di capitale. Dall'acquisizione nasce un gigante editoriale capace di esercitare una posizione dominante nel mercato dei quotidiani in Italia: la Fiat aveva già La Stampa e la Montedison possedeva Il Messaggero. A questi due grandi quotidiani si aggiungono il Corriere della Sera e La Gazzetta dello Sport della Rizzoli. La Fiat supera il tetto del 20% del mercato dei quotidiani e quindi viola la norma sull'editoria (legge 416/81). In novembre un gruppo di privati impugna il passaggio delle azioni di fronte al Tribunale di Milano.
La Corte d'appello dà loro torto: rileva infatti che non è la Fiat a possedere delle quote di Gemina, bensì la partecipata Sadip. La questione è anche oggetto di un'interrogazione parlamentare. Nella risposta, resa il 21 gennaio 1985, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio (all'epoca Giuliano Amato) afferma che la Rizzoli, dopo l'entrata dei nuovi soci, controlla il 19,92% del mercato dei quotidiani e quindi rimane all'interno del tetto del 20% fissato dalla legge. Per fugare ogni dubbio, Carlo Callieri decide di cedere il quotidiano Il Mattino. Nel 1985 la partecipazione di Gemina sale dal 46,28% al 62,5%, raggiungendo la maggioranza assoluta. L'assetto proprietario del gruppo Rizzoli "mutò radicalmente in quanto la società Gemina assunse la fisionomia di azionista di maggioranza con relativo controllo assoluto della politica editoriale del gruppo, mentre la quota intestata a Meta e Montedison venne praticamente neutralizzata". Nel 1986 il gruppo viene ristrutturato. La nuova struttura societaria è costituita dalla capogruppo, RCS Editori, e da cinque società operative: RCS Libri, RCS Quotidiani, RCS Periodici, RCS Pubblicità e dalla cartiera. Sotto il controllo del nuovo gruppo entrano anche i marchi Bompiani, Fabbri Editori, Sonzogno, Sansoni ed Etas. I giornali del gruppo vendono bene e anche la pubblicità è aumentata, così la RCS alla fine dell'anno vede passare gli utili da 29 a 55 miliardi di lire. Quell'anno una quota di azioni RCS è ceduta al prezzo di 2.274 lire cadauna (contro le 708 lire della precedente gestione); nel 1987 un'altra parte passa di mano al prezzo di 5.227 lire cadauna. Il valore delle azioni RCS è aumentato di sette volte nel giro di due anni. Di lì a quattro anni il valore aumenta di dieci volte, tant'è vero che il 10% venduto ai francesi di Hachette viene pagato 100 miliardi. Nel 1987 RCS vale 893 miliardi. Nel 1992, dopo alcuni aumenti di capitale, sfiora i 2700. L'impresa è in netta crescita.
Dopo il 1986 la compagine azionaria non subisce particolari modifiche fino al 1995. Quell'anno la RCS Editori incappa in un cattivo affare: l'acquisto per fusione della Fabbri Editori. La Fabbri si rivela, dopo un controllo dei conti, un'azienda decotta. Il capitale della Rizzoli scende a zero. Di conseguenza i soci minori escono dal capitale sociale e il gruppo passa sotto il controllo completo di Gemina. Il 28 aprile 1997 Gemina, che attraversa un momento difficile, scorpora le partecipazioni industriali (tra cui la RCS Editori) e le conferisce in una nuova società, denominata «H.d.P.» (Holding di Partecipazioni Industriali). H.d.P. detiene il 100% delle azioni di RCS nonché la maggioranza di GFT NET (moda e abbigliamento) e dell'azienda di abbigliamento e calzature sportive Fila. Viene stipulato un nuovo patto di sindacato di blocco e consultazione, che sostituisce quello in essere dal 1984. Siglato tra 13 dei maggiori azionisti, il patto di sindacato è regolato da norme molto complesse. Per esempio, si dispone che eventuali nuovi azionisti debbano fare richiesta al patto ed essere accettati; dopo 2-3 anni di "anticamera" se la risposta è positiva si viene invitati ad entrare nel patto di sindacato. Il patto parasociale prevede inoltre che le delibere vadano prese «con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei membri in carica», qualunque sia la percentuale di azioni dagli stessi rappresentata. Ciò significa che i partecipanti al sindacato devono mettersi d'accordo ogniqualvolta si prende una decisione. All'interno del patto non deve emergere un dominatore.
La famiglia Rotelli è tra i maggiori azionisti di RCS ma non fa parte del patto di sindacato. Dopo una prima fase di gestione come holding diversificata, H.d.P. ha concentrato le proprie risorse nei soli settori dell'editoria e della comunicazione. Dismesse le società GFT NET e Fila, H.d.P. ha posto in essere, con effetto dal 20 maggio 2002, un piano di integrazione delle proprie attività con quelle di RCS. Il nuovo marchio RCS MediaGroup nasce il 10 giugno 2002. Il gruppo ottiene la quotazione in Borsa. Nel 2004, in occasione del rinnovo triennale del patto, la Fiat scende nell'azionariato diventando il secondo azionista dopo Mediobanca. L'istituto bancario rileva il pacchetto di Gemina, pari al 2,25%, salendo all'11,61% come partecipazione complessiva e superando così il 10,3 della Fiat. Viene nominato amministratore delegato Vittorio Colao. Nell'estate del 2005 l'immobiliarista Stefano Ricucci si rende protagonista di un tentativo di scalata alla maggioranza del gruppo, arrivando a possedere circa il 20 per cento delle azioni. La scalata fallisce quando Ricucci viene coinvolto nell'inchiesta giudiziaria soprannominata Bancopoli. Nell'estate del 2006 l'AD Vittorio Colao rassegna le dimissioni, fortemente contrario al piano di acquisizione del gruppo spagnolo Recoletos. Il 12 settembre 2006 viene sostituito da Antonello Perricone. L'acquisto di Recoletos viene perfezionato nell'aprile 2007 attraverso la controllata Unedisa. L'operazione comporta un investimento complessivo di 1,1 miliardi di euro. L'anno seguente la Consob punisce RCS con una sanzione da 200 mila euro per la mancata trasparenza nella conduzione dell'affare. Il 18 gennaio 2008 il gruppo Unicredit esce dal patto cedendo - all'interno del patto stesso - il 2,02% posseduto da Capitalia Partecipazioni S.p.a. Alla data del 26 gennaio 2008, il patto di sindacato controllava il 63,527% del capitale ordinario di RCS MediaGroup. In quell'anno si decide la chiusura della rivista Newton. È la prima di una serie di cessazioni che riguarderanno altre riviste del gruppo. Nel 2012 Diego Della Valle esce dal patto dopo 10 anni di permanenza, mantenendo comunque le proprie quote. Viene scelto un nuovo amministratore delegato, Pietro Scott Jovane. In carica dal 2 luglio, deve predisporre un nuovo piano industriale per ridurre i debiti di RCS. A tale data RCS era ancora il primo gruppo editoriale italiano per fatturato, se si calcolano tutti i rami d'azienda (quotidiani, periodici, libri, TV, radio, pubblicità, Internet, ecc.). Ma il confronto con i concorrenti era reso complesso dal fatto che questi ultimi non coprivano la totalità dei settori a cui era interessata RCS (Arnoldo Mondadori Editore ad esempio non aveva quotidiani e il Gruppo editoriale L'Espresso non editava libri).
Nel 2013 la società si trova costretta a varare un aumento di capitale per fare fronte ai debiti; si decide per un aumento di capitale fino a 600 milioni di euro. Viene varato un piano di esuberi che coinvolge anche il principale quotidiano del gruppo, il «Corriere della Sera». I redattori del giornale pubblicano una contro-inchiesta dalla quale emerge che la causa principale dell'indebitamento è stata l'acquisto, effettuato nel 2007, dell'editrice spagnola Recoletos. La società fu rilevata al 100%, quando bastava il 51% per acquisirne il controllo. A dire del Comitato di redazione del Corriere, il debito di 880 milioni che pesa sul bilancio RCS deriva soprattutto dal miliardo speso per acquisire la società spagnola.
A quella data il patto di sindacato controlla il 60,544% del capitale ordinario. Con una comunicazione pubblicata il 31 ottobre 2013 i componenti del patto di sindacato hanno convenuto che il Patto non venisse ulteriormente rinnovato e che esso cessasse anticipatamente a far tempo dal 30 ottobre 2013. A partire dal 2015 il gruppo avvia un piano di dismissioni delle attività non direttamente legate alla pubblicistica. In settembre viene ceduta la quota di partecipazione del 44,45% nel Gruppo Finelco, proprietario delle emittenti radiofoniche «Radio 105», «Radio Monte Carlo», «Virgin Radio Italia» e «Virgin Radio TV». Nel mese di aprile 2016, intervenute le necessarie autorizzazioni delle competenti autorità regolatorie, è stata perfezionata la cessione ad Arnoldo Mondadori editore dell'intera partecipazione detenuta in Rcs Libri (la transazione era stata stipulata il 5 ottobre 2015). Sempre nel 2016 il gruppo Fiat Chrysler Automobiles (FCA) decide il disimpegno da RCS. Il 15 aprile l'assemblea dei soci di FCA approva la scissione finalizzata alla distribuzione ai propri azionisti delle azioni di Rcs detenute dal gruppo. La scissione è diventata efficace il primo maggio, l'azzeramento delle azioni è terminato il 9 giugno.

A. Mazzuca, La erre verde. Ascesa e declino dell'impero Rizzoli, Milano, Longanesi, 1991; AA. VV., Angelo Rizzoli 1889-1970, Milano, Rcs, 2000.

Ricordo personale. Negli anni cinquanta la famiglia Caruso con un'altra di amici napoletani si recava, nel mese di agosto, a Lacco Ameno, sull'isola d'Ischia. Si arrivava sulla spiaggia con un ombrellone, qualche improvvisata sedia a sdraio e una borsa termica con qualche bottiglietta per dissetarsi. Non c'era nulla se non il mare, lo splendido fungo e poco lontano, nella baia di San Montana, acque calde e rocce levigate. Noi prendevamo in affitto una grande casa poco lontano dal mare, bella ma priva di acqua e dotata di un modesto cesso alla turca; ogni mattina ci portavano, grazie a capienti anfore, acqua potabile di una sorgente del monte Epomeo, che i locali chiamavano "piasciariello". Sulla spiaggia avevamo come vicino di ombrellone un certo Angelo Rizzoli, con la famiglia. Era una persona cordiale che non ostentava nessuna forma di ricchezza o importanza sociale, anche se incuteva autorevolezza, grazie anche all'imponenza della sua persona fisica. I grandi ogni tanto parlavano di quanto sarebbe stato bello realizzare a Lacco Ameno un ... importante centro termale. Lui quel signore privo di qualunque forma di superbia o prosopopea lo realizzò.

Eugenio Caruso - 29 maggio 2017


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