Bormioli, tra i leader mondiali della vetreria


Io lavoro sempre con la convinzione che non esista, in fondo, nessun problema irrisolvibile.
Jung


INVENTORI E GRANDI IMPRENDITORI

In questa corposa sottosezione illustro la vita di quei capitani d'industria e/o inventori che hanno sostanzialmente contribuito al progresso industriale del mondo occidentale con particolare riguardo dell'Italia e del made in Italy. Anche con riferimento alle piccole e medie imprese che hanno contribuito al progresso del Paese.

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Rocco Bormioli (Altare, 1830 – Parma, 1883)

Nacque da un'antica famiglia di vetraii. Quando nel XVI secolo la famiglia Borniolle emigra dalla Francia del Nord per stabilirsi nei pressi di Genova, ad Altare, cambia il cognome in Bormioli. Nel 1825 Luigi Bormioli si trasferisce nel Ducato di Parma e Piacenza e ottiene dal governo di Maria Luisa d’Austria la concessione ad avviare una vetreria a Borgo San Donnino (l’attuale Fidenza). Nel 1854 la famiglia si insedia nella capitale, avendo ottenuto l’esercizio della Reale fabbrica delle maioliche e dei vetri, la privativa creata nel 1759 dal Ministro riformatore Guillame du Tillot. Dopo l’Unità, l’impresa impiega 50 operai, il capitale fisso ammonta a 16.000 lire (fabbricati e attrezzi), mentre il circolante è pari a 3.200 lire, e il fatturato, composto per lo più dallo smercio delle stoviglie, di 12.000. Si tratta ancora di un opificio antiquato, caratterizzato da metodi di lavorazione tradizionali, dove prevale l’abilità del maestro artigiano, coadiuvato dai garzoni e dagli apprendisti.
Le tariffe protezionistiche, che proteggono le imprese nazionali dalla concorrenza estera, pongono le premesse per l’evoluzione in senso industriale della vetreria Bormioli. All’inizio del Novecento l’impresa si affaccia sul mercato nazionale, vi lavorano un centinaio di addetti a tempo pieno, Rocco Bormioli (figlio del capostipite Luigi) ha avviato una parziale meccanizzazione degli impianti e ha sostituito il carbone alla legna come fonte di energia. Viene progressivamente abbandonata la produzione delle stoviglie per concentrarsi su quella del vetro bianco di qualità, destinato a contenitori per profumi e medicinali, calici, vasi, servizi da tavola e da cancelleria.
Nel 1903 la Bormioli lascia la vecchia sede urbana per insediarsi in un nuovo stabilimento alla periferia della città. Nel 1906 la società partecipa, con altre 17 imprese, alla creazione di un trust dei più importanti produttori nazionali di vetro bianco patrocinato dalla Banca commerciale italiana, la Società anonima cristallerie e vetrerie riunite, per regolare la concorrenza e i prezzi. L’operazione fallisce dopo pochi anni e nel 1913 la Bormioli riacquista la propria autonomia. Nel 1914 è un’impresa di medie dimensioni e conta circa 300 operai. Durante la Prima guerra mondiale la domanda generata dalle commesse della Sanità militare sostiene un notevole incremento della produzione, che ascende a 9.000 quintali nel 1918, rispetto ai 2.000 di inizio secolo. Nel 1921 viene edificato un secondo stabilimento. Alla fine degli anni Venti l’impresa è ormai uno dei marchi di spicco del mercato italiano.

Ritornando alla famiglia Bormioli giova ricordare che, morto il capostipite, Luigi Bormioli, l'impresa venne gestita con grande vigore dalla vedova Petronilla, che riuscì non solo a salvarla, ma ad imprimerle nuovo impulso. Non appena l'età glielo permise, Rocco si affiancò alla madre nella gestione della fabbrica, che aveva ormai assunto dimensioni ragguardevoli. Nel 1854, con i fratelli Domenico e Carlo, acquistò a Parma dalla famiglia Serventi lo stabilimento di via dei Farnese, l'ex "Real fabbrica di stoviglie, vetri e cristalli", adottando la nuova ragione sociale "Vetrerie Fratelli Bormioli". Da allora, gestendo l'impresa con grande passione e capacità imprenditoriale, Rocco rinnovò i processi produttivi e si espanse commercialmente in Europa, partecipando alle principali esposizioni. L'impresa divenne in breve tempo la più importante della regione. Alla morte di Rocco la gestione dell'impresa passò al figlio Luigi, e dopo la prima guerra mondiale al nipote Rocco jr..
La crisi colpisce duramente l’impresa. Nel 1932, però, Rocco Bormioli, prende una serie di decisioni coraggiose, che pongono le basi per il risanamento e per una nuova espansione. Innanzi tutto trasforma l’impresa da una società di fatto a un’accomandita per azioni, con un capitale di 2 milioni di lire; poi concentra l’attività solo nella produzione di contenitori per la profumeria, la farmaceutica, l’industria alimentare e negli articoli per la tavola. Ma la scelta cruciale è quella di investire nell’innovazione tecnologica, procedendo all’acquisto di una nuova linea di macchinari che consentono la transizione definitiva dalla lavorazione manuale a quella semiautomatica. Nella seconda metà degli anni Trenta la società torna a generare utili (da 60.000 lire nel 1935 a 180.000 nel 1940), mentre il volume della produzione è pari a 35.000 quintali. Le materie prime importate dall’estero vengono sostituite con quelle autarchiche (quarzite dall’Istria e lignite dalla Toscana).
Nel dopoguerra il problema più delicato è quello derivante dall’eccesso di manodopera (1.000 unità nel 1947), che appesantisce i conti dell’impresa in una fase in cui il mercato stenta a ripartire. Si apre una durissima vertenza tra la proprietà e le maestranze, che culmina nell’occupazione dello stabilimento nel 1949. Finalmente, con la mediazione del Governo in un conflitto che sta lacerando la città, la Bormioli arriva a ridurre il numero degli occupati. Viene effettuata una ricapitalizzazione da 2 a 8 milioni di lire del capitale sociale con la partecipazione decisiva del finanziere Andrea Balestrieri.
Grazie agli aiuti del “piano Marshall”, l’impresa viene dotata delle più moderne linee di produzione statunitensi. Inoltre vengono stretti accordi tecnici e di ricerca con altre vetrerie, nordamericane ed europee, per adeguare costantemente la tecnologia e generare innovazioni di prodotto e di processo specialmente nei settori della farmaceutica, della profumeria e della cosmesi. L’apertura del Mercato comune europeo è fondamentale per ampliare l’esportazione, mentre altre importanti aree di sbocco all’estero sono la Gran Bretagna, la Svezia, il Sudafrica, Israele e i Paesi del Medio Oriente. Negli anni Cinquanta si registra una crescita impressionante della produzione concentrata nel settore farmaceutico (140 milioni di pezzi su un totale di 303 milioni nel 1960), della profumeria e della cosmesi (120 milioni) e degli articoli da tavola. Nel 1966 la Bormioli conta 1.600 dipendenti e costituisce il complesso industriale più importante della provincia di Parma. Rocco Bormioli, nominato Cavaliere del lavoro nel 1960, cede la guida operativa dell’impresa al figlio Pier Luigi nel 1966.
La fine degli anni Sessanta, con l’inasprimento della conflittualità sindacale, rallenta notevolmente lo sviluppo dell’impresa. Ma gli anni più duri sono quelli successivi agli shock petroliferi. Nel 1975 la società registra un drammatico calo delle commesse, al quale non riesce a contrapporre nell’immediato una riduzione proporzionale della produzione, generando un forte aumento delle giacenze con conseguente immobilizzo di capitali. La contrazione della liquidità obbliga l’impresa a ricorrere in misura maggiore al credito, con un notevole aumento degli oneri finanziari – ascesi da 719 miliardi di lire nel 1974 a 1.335 nel 1975 –, mentre il costo del lavoro, che costituisce il 35% degli oneri complessivi, continua ad aumentare (+24% nel 1975 e +15% nel 1976). La Bormioli, per frenare questa spirale e per limitare le pressioni rivendicative dei sindacati, pone in atto una ristrutturazione dei reparti a maggiore intensità di lavoro. Uno degli strumenti fondamentali del riassetto è la delocalizzazione di alcune fasi produttive. La Bormioli incoraggia la costituzione di una schiera di contoterzisti che si occupano della cosiddetta “seconda lavorazione”: decorazione, scelta, confezionamento e imballaggio. Molti dei lavoratori impiegati in queste piccole ditte sono anche operai della società che svolgono un secondo lavoro in nero. La congiuntura, però, è destinata a peggiorare fra il 1979 e il 1982 a causa dell’aumento del prezzo delle materie prime, dell’elevato costo del lavoro e, infine, della consistente flessione della domanda determinata dalla crescente tendenza all’utilizzo di contenitori alternativi al vetro, in particolare nei settori farmaceutico e delle bevande non alcoliche.

Fra i primi vagiti del boom industriale, Pierluigi Bormioli si trova fra le mani un catalogo di prodotti un po' datati, processi produttivi ancora troppo legati alla manualità e sullo sfondo l'assedio della plastica. Pierluigi Bormioli non ci pensa due volte, la sfida è il suo pane. Lui che aveva consumato le vacanze estive a girare vetrerie, vola in America e compra una gigantesca macchina per la produzione di flaconi di penicillina. Ha la grande intuizione: nel settore farmaceutico la plastica non potrà mai soppiantare il vetro. Nel 1970 Si finalizza il processo per la saldatura dei gambi ai calici e inizia la produzione in quadrupla goccia per i flaconi farmaceutici. Nel 1976 nasce un'icona che segnerà la storia: il primo vaso a uso domestico idoneo alla pastorizzazione.
Il resto viene da sé: il rischio lo alletta e far le cose in grande fa parte della sua indole. Così, con la sicurezza di un cow boy dell' industria, tira su un piccolo impero di boccetti e bicchieri. Nel '78, dopo oltre quindici anni di conduzione, la Bormioli Rocco s.p.a., è un piccolo impero che supera la soglia dei 100 miliardi di fatturato, seconda, nel parmense, solo alla Barilla. Ma l' impeto passionale delle sue decisioni sono la forza e la debolezza di Pierluigi (detto Bubi).
Sono il cuore e il carattere a condurlo nel bene e nel male. Un Dimitri Karamazov che incontra la fatale Tamara Baroni sul finire degli anni '60 e ne resta stregato. Lei, ex miss Italia, sposata poco più che ragazza, fotomodella, è molto bella.
Ne nasce una storia che, vista con gli occhi di oggi, starebbe bene in un film di Carlo Vanzina, ma nel '73, quando deflagra con tutto il suo clamore, coglie un'Italia che ha appena scoperto la liberazione sessuale e nell'amore galeotto di Bubi e Tamara, elegge il proprio simbolo. La vicenda rosa si tinge di nero quando un sardo tenta di investire la moglie di Bormioli, la marchesa Maria Stefania Balduino Serra sposata nel '56. A Parma non hanno dubbi: è la Tamara che vuol sposare Bubi e cerca di sbarazzarsi della moglie di lui. Al processo, tuttavia, la cosa finisce in niente e la bella Tamara ne esce indenne. Sui muri della fabbrica di via San Leonardo qualcuno, con ironia da lotta sindacale, scrive: "Bubi non tamareggiare". La coppia parmigiana diventa la più chiacchierata d'Italia, additata quale simbolo di peccato, ma invidiata nelle discussioni al cral o in salotto. Bormioli aveva cuore nel bene e nel male. Era in grado di prendere per il colletto un sindacalista negli anni dell'autunno caldo, di tirare fuori la rivoltella nel bel mezzo di un consiglio di amministrazione di fronte a un socio di minoranza, Giorgio Balestra, che si era permesso di contrastarne l'opinione. Quel 26 febbraio del '73 partirono anche due colpi ma la vicenda venne archiviata. Sui muri comparve allora l'invito: "Bubi non sbalestrare". Poi, nell' 82, Bormioli è protagonista di un'altra vicenda che l'ha trascinato in tribunale. I fatti lo contrapposero a tal Rino Baranes, un libico americano di cui si servì come rappresentante all'epoca dello sbarco negli Usa. C'è di mezzo dell'eroina trovata sull'auto di Baranes e, a detta di quest'ultimo, mewssavi per ordine di Bormioli allo scopo di screditare l'ex rappresentante dopo una lite per affari. Anche questo fatto finisce in nulla. Tuttavia il celebre Bubi è capace anche di grandi slanci umanitari. Per esempio è il primo fra i grandi industriali di Parma ad assumere, negli anni '70, i dimessi dagli ospedali psichiatrici e gli handicappati.
Anche gli operai avevano la sua stima e quando qualcosa andava storto la colpa non era mai sua bensì del gruppo dirigente, una volta addirittura licenziato in blocco.

È costituita una holding, la Vetreria Bormioli Rocco e figlio spa, allo scopo di gestire le partecipazioni nelle varie società controllate (otto) e partecipate (cinque). La razionalizzazione degli impianti, in particolare della “seconda lavorazione” e del “fine linea”, nonché l’introduzione dei sistemi informatici, inducono anche una riduzione degli organici. Dapprima si fa ampio ricorso alla cassa integrazione guadagni, successivamente l’impresa incentiva il prepensionamento dei dipendenti più anziani e il part time. Sul versante produttivo, la Bormioli opera una costante diversificazione, entrando nel settore degli articoli casalinghi (22% della produzione nel 1991) e dei contenitori di plastica. Contemporaneamente è sospinta la ricerca tesa al perfezionamento qualitativo ed estetico dei prodotti per la farmaceutica (l’impresa diventa leader nel settore dei vetri speciali neutri per iniettabili) e per la profumeria e la cosmetica. La diversificazione viene realizzata anche assorbendo altre industrie nel gruppo. Vengono inoltre rinnovate le strutture commerciali, in particolare quelle all’estero (nel 1989 l’export è pari al 30% del fatturato).
Complessivamente, fra il 1975 e il 1984, vengono investiti oltre 160 miliardi di lire per la ristrutturazione dell’impresa (120 miliardi fra il 1980 e il 1984), ai quali si aggiungono altri 150 miliardi nel biennio 1989-1991. Nella seconda metà degli anni Ottanta la Bormioli torna a crescere, passando da un fatturato di 203 miliardi di lire nel 1982 (era di 72 nel 1979) a uno di 600 miliardi nel 1992.
Pier Luigi Bormioli, nominato Cavaliere del lavoro nel 1977, muore nel gennaio 1991, dopo aver portato a termine il risanamento dell’impresa. Se il padre Rocco aveva guidato la definitiva transizione dall’artigianato all’industria, egli ha trasformato la Bormioli in una grande impresa moderna, leader in Italia e fortemente orientata all’internazionalizzazione, dotata delle strutture organizzative e produttive indispensabili per sostenere le crescenti sfide del mercato. Nel 2000 la società è la terza al mondo nel suo settore, con un’articolazione produttiva di 18 stabilimenti. La politica delle acquisizioni, però, ha generato un forte aumento dell’indebitamento, che aggrava i conti economici del gruppo già alle prese con una perdita di competitività causata dall’ampliamento della concorrenza internazionale.
Con Rocco, figlio di Pierluigi, l'impresa entra nel vortice della crisi. Rocco fu costretto da una forte crisi finanziaria a cedere il pacchetto di maggioranza alla Banca Popolare di Lodi. Negli anni seguenti la società entrò a far parte del Gruppo Banca Popolare (attraverso le controllate Efibanca Spa e Partecipazioni Italiane) che nel corso del 2011 l'?hanno ceduta al fondo di private equity Vision Capital.
Nel 2013 il gruppo acquista la società Neubor Glass, dedicata alla produzione di vetro tubo per l'industria farmaceutica. Nel 2014 si ha l'vvio del progetto Glassblock nello stabilimento spagnolo; comincia la produzione del vetro mattone per l'edilizia. La Bormioli Rocco e Figlio Spa, oggi, opera con nove stabilimenti produttivi (di cui 6 in Italia, 2 in Francia ed 1 in Spagna), circa 3.000 dipendenti e un fatturato che, nel 2008, si aggira intorno ai 530 milioni di euro.

Risorse bibliografiche
P. Bianchi, Le vetrerie Bormioli 1825-1967, Parma, Vetrerie Bormioli, 1967; G. Gonizzi, Le grandi famiglie. I Bormioli. Otto secoli di storia, in «Parma ieri, oggi, domani», 1995, I, 4, pp. 20-33; G. Gonizzi e U. Delsante, Tra economia e storia. L’impresa a Parma negli anni Cinquanta, in Parma anni Cinquanta. Avvenimenti, atmosfere, personaggi, a cura di G. Gonizzi, Parma, 1997; G. Dondi, I Bormioli. Seicento anni di fedeltà a un mestiere, Colorno, 2002.

Eugenio Caruso - 4 dicembrec 2017

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