GRANDI PERSONAGGI STORICI - Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona.
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Kanishka I
Nell'epoca in cui a Roma regnava Traiano «un’altra grande forza spiccava allora le sue ali» dalle parti dell’Indo. Si trattava dell’impero kushana, un’entità che al massimo dello splendore, in un’era a cavallo tra II e III secolo d.C., estenderà la sua potenza dal bacino dell’Oxus, posto in Battriana (il nord delll'Afganistan), alla valle dell’Indo adagiata in Gandhara e Punjab, raggiungendo il bacino del Gange almeno fino a Patna (Bihar), se non addirittura sino al golfo del Bengala.
La frequenza con cui, in un arco di tempo compreso tra I e VI secolo d.C. si sono alternate dinastie regnanti nel territorio corrispondente agli attuali Pakistan e Afghanistan del Nord, dimostrò la difficoltà, rimasta immutata nei secoli, di insediare, imporre e mantenere un governo stabile in una regione caratterizzata da lunghe e strette vallate difficilmente accessibili, le cui altissime catene montuose hanno sempre operato come vere e proprie barriere tra popoli e civiltà. Le popolazioni locali, abituate all’isolamento imposto dal territorio e dal clima rigido, mantennero così la loro indipendenza rispetto al potere esercitato da dinastie che, il più delle volte, risiedevano lontano, in Persia o nel subcontinente indiano, come nel caso dei Maurya, la cui capitale Pataliputra si adagiava nelle pianure del Gange: anche quando queste imposero dei governatori, per lo più residenti nelle principali città della regione come Kabul o Peshawar, il loro potere risultava spesso effimero a causa della precarietà dei collegamenti. Dopo Alessandro, ci fu una penetrazione greca nell'area con la nascita di piccoli regni; il più rappresentativo fu lo Stato creato nel 155 a.C. da Menandro, di gran lunga il più famoso re greco-indiano, capace di tentare, sia pure senza riuscirvi, di estendere il suo dominio da Sagala sino all’antica capitale Maurya, Pataliputra.
La penetrazione greca nella valle dell’Indo, iniziata come fenomeno espansionistico, si trasformò in un riflusso quando a partire dal 160 a.C. la Battriana fu oggetto della migrazione dei barbari noti come sciti. Partendo da lì questi nomadi dilagarono nel Punjab dove travolsero i piccoli regni indo-greci decretandone la fine.
Mentre questi erano intenti ad annettersi il nord est dell’India, giungendo per mano di Azes I a regnare indisturbati dal 57 a.C. su un territorio che si estendeva dall’Aracosia all’Indo, sul versante nord-occidentale, lungo il confine iranico si affacciava la nuova potenza dei parti, che attraverso il sovrano Mitridate I avanzarono fino a impadronirsi di Taxila. Seguì un periodo di lotte tra sciti e parti, finché questi ultimi ebbero il sopravvento sancendo il predominio del proprio sovrano Gondophares. Costui viene considerato come il fondatore della dinastia indo-partica, originaria della provincia di Sistan nell’Est dell’Iran. È possibile fissare esattamente la durata del suo regnoin un periodo compreso tra il 20 e il 46 d.C..
Le province di Aracosia e Gandhara sottratte agli indo-sciti rimasero il centro del regno indo-partico che comprendeva a ovest il Sistan, a est la regione attorno a Sagala situata a oriente del Jhelum nel Punjab, e infine il Sind, lungo il corso inferiore dell’Indo. Gli indo-parti non ebbero però modo di godere a lungo del loro potere, visto che da nord giunsero minacciose nubi destinate a sopraffarli: stavano infatti per fare il loro ingresso i kushana.
Il nome kushana deriva dal cinese Guishuang, designante una delle cinque tribù degli yuezhi, un’ampia federazione di genti indoeuropee che parlava una lingua iranica, il tocario. Provenienti dalle aride regioni della Cina esterna, ovvero le steppe del Nord-Ovest concentrate nel bacino del Tarim, oggi appartenenti allo Xinjiang, gli yuezhi vennero sospinti a ovest da un altro popolo nomade, gli xiongnu o hsiung-nu, finché nel 150 a.C. giunsero a occupare la Battriana greca, cioè le attuali regioni ai confini di Iran e Afghanistan.
Tra il I secolo a.C. e II i d.C., il capo dei kushana, Kujula Kadphises, unificò le cinque tribù yuezhi, fece loro valicare l’Hindu-kush e le trascinò alla conquista dell’India.
Kujula Kadphises travolse con le sue genti una serie di potentati locali, unificando un mondo frammentario, dal punto di vista sia etnico che religioso. Sotto la sua egida, intorno al 30 d.C., nasceva così un impero. Tuttavia i kushana non riuscirono a controllare stabilmente le regioni di questo vasto territorio.
Fu a quel punto che entrò in gioco, Kanishka, colui che in tutte le fonti viene annoverato come il più grande esponente della dinastia. Il silenzio della storia contribuì a rendere nebuloso l’avvento di questo personaggio, la cui datazione costituisce uno dei misteri più fitti dell’intera storia indiana. Sono state proposte cifre che vanno dal 50 a.C. al 278 d.C., e ognuna di queste cronologie così diverse si fonda su argomenti apparentemente validi. Sembra tuttavia che il periodo compreso tra il 78 e il 130 d.C. sia il più verosimile, individuando nel 78 d.C. l’anno più probabile, considerato che esso fu il punto di inizio dell’era šaka – ovvero della datazione ancora oggi in uso in India al fianco della computazione gregoriana.
La discordanza con i nomi dei suoi predecessori, Kujula Kadphises e Vima Kadphises, e il fatto che Kanishka non nomini i suoi antenati, hanno spesso spinto a ritenere che vi sia stata una frattura dinastica: Kanishka sarebbe appartenuto a un ramo dei kushana diverso da quello di Vima Kadphises. Varie teorie propongono che egli potrebbe essere stato un invasore proveniente da una regione del Nord, come Khotan nel Xinjiang, o che sia stato il leader di uno stato indiano emerso vittorioso da una lotta di potere dopo la scomparsa della linea Kadphises. Una volta assunto il potere, Kanishka avrebbe istituito una sorta di coreggenza, condividendo la sua autorità con un uomo di nome Vashishka, probabilmente suo figlio o fratello.
Non esistono tuttavia elementi che sostengano questa ipotesi.
Ciò che appare certo fu che sotto il governo di Kanishka, durato verosimilmente ventitré anni, l’impero kushana raggiunse il suo apogeo.
Partendo dai possedimenti del Gandhara (la Battriana dell’epoca ellenistica) Kanishka si addentrò vittoriosamente in India, annettendo il Punjab e parte delle valli del Gange; sembra che si sia spinto fino a Pataliputra e sicuramente sino a Saketa e Sarnath, l’attuale Ayodhya nel distretto di Faizabad, nello Stato federale dell’Uttar Pradeshe in India orientale.
Il fiume Indo divenne territorio kushana fino alla foce nel mare Arabico, insieme alla Gedrosia a ovest e a un arco di terre che andava dalla Drangiana e dall’Aria fino alla Corasmia. Il regno kushana, insomma, si estese al punto da coprire l’intero territorio degli odierni Afghanistan e Pakistan, e ampie aree dell’India e dell’Asia centrale. Fu Kanishka a fondare Purushapura, l’attuale Peshawar, che elesse a capitale, dimostrando come il passo Khyber e cioè il limite fra le regioni montuose nord-occidentali del suo regno e la pianura dell’Indostan, fosse diventato nodo centrale del suo progetto imperiale. Va aggiunto però che l’importanza acquisita in quel periodo da altri centri quali Mathura, sullo Yamuna vicino al luogo dove sarebbe sorta Delhi, e Baghram, nei pressi dell’attuale Kabul afghana, testimonierebbero come la corte si spostasse da una regione all’altra per esercitare un controllo più peculiare del territorio. Al quale fu dedicato comunque un sistema capillare che si esercitava attraverso una serie di amministrazioni locali guidate da governatori provinciali (i satrapi), ufficiali distrettuali (i meridareks), e governatori militari (gli strategoi) nominati personalmente da Kanishka.
Il quadro che ne esce è quello di un subcontinente indiano quale da lungo tempo non si era visto e che per moltissimo tempo non si vedrà più. L’impero retto da Kanishka appariva come uno Stato forte e con le frontiere aperte, che intratteneva intensi scambi materiali e intellettuali con la Cina, con la Persia, addirittura con l’impero romano. La fioritura del regno kushana era indissolubilmente legata alla conquista dell’India e si fondava in primo luogo sulla gestione del commercio orientale a lungo raggio. Se infatti i kushana tenevano sotto controllo le comunicazioni terrestri e gli sbocchi della “Via della seta” nel bacino occidentale del Tarim, con la conquista dell’India essi giunsero a controllare anche le rotte marittime.
Tutto ciò si tradusse in una prospera società urbana, basata sugli affari dei mercanti e delle corporazioni, capaci di attirare l’enorme flusso di denaro romano, il quale fin dall’inizio dell’impero serviva a finanziare il costoso commercio con l’India. Non stupisce dunque scoprire che ambasciatori kushana assistettero alle celebrazioni che si tennero a Roma per commemorare la vittoria di Traiano contro i daci.
Riflesso dell’opulenza che Kanishka seppe creare, fu l’imponente produzione aurea, una delle più impressionanti nella storia delle monete antiche. Grazie a essa, non solo siamo in grado di monitorare lo stato di salute economico del regno, ma anche di valutare gli elementi culturali che lo permearono sotto la spinta di questo sovrano. Nell'analisi delle monete infatti, troviamo conferma della decisione fortemente simbolica con cui all’inizio del suo regno Kanishka soppresse il consueto uso del greco e del medio-indiano, sostituendo le due lingue con il battriano scritto in caratteri greci.
Kanishka si preoccupò, al pari dei predecessori, di ribadire la centralità della propria origine centroasiatica, filtrata dalla cultura iranica acquisita nel corso della lunga permanenza in Battriana. Ne risultò un intricato intreccio etnico e linguistico in cui sia i conquistatori che i conquistati ne furono sensibilmente arricchiti. I primi compivano un notevolissimo progresso materiale e spirituale, mentre i secondi assimilavano dai vincitori elementi nuovi, quali l’ampliamento della concezione geografica e il maggior dinamismo conseguente alle relazioni più intense con il mondo esterno. Si assistette insomma all’avviamento di un processo di apertura verso nuovi orizzonti tra cui l’abbattimento degli antichi tabù del brahmanesimo, tra i quali figurava la proibizione di navigare o quella di avere contatti con gli stranieri, che sembrarono ormai caduti e dimenticati.
I kushana rappresentarono la perfetta sintesi dell’asse culturale greco-battriano-indiano, attraverso il quale, pur mantenendo la propria cultura d’origine, tanto iranica quanto nomadE, essi finirono per costituire il lungo braccio della grecità in Asia, dimostrandosi aperti tanto alle influenze dell’Oriente greco-romano quanto a quelle del subcontinente indiano. Come se non bastasse, a partire dal i secolo d.C. si registrò in Battriana una massiccia presenza del buddhismo, al cui insegnamento Kanishka aderì entusiasticamente: anche in considerazione del fatto che nel sistema delle caste dell’induismo fino a quel momento dominante, i kushana, in quanto elemento allogeno, avrebbero continuato a mantenere una posizione piuttosto bassa.
La capacità di assimilazione di questo tratto squisitamente indiano fu tale da far dubitare successivamente che i kushana, ancorché stranieri venuti con la forza delle armi, rappresentassero piuttosto una nuova manifestazione della millenaria civiltà indiana. A ogni modo, l’impegno che Kanishka profuse nei confronti della promozione e della diffusione della dottrina del Gothama lo rese uno dei grandi sovrani della religione buddhista. Sotto il suo regno il buddhismo visse una specie di età dell’oro in cui si rafforzò la sua penetrazione nel nord-ovest dell’India e si assistette alla sua “conquista” dell’Asia centrale, proprio sulla scia dei successi militari ottenuti da Kanishka.
Con il patrocinio di Kanishka, nell'ambito del buddhismo, si assistette allo sviluppo della scuola Mahayana, il “Grande Veicolo”, così chiamato perché ritenuto abbastanza grande da condurre tutti gli uomini al Nirvana. Questa variante era del tutto difforme dall’Hinayana, il “Piccolo Veicolo”, una scuola più restrittiva che prevalse nell’India meridionale, nello Sri Lanka e in Birmania. Il cambiamento risiedeva nell’atteggiamento verso i laici, ossia di tutti coloro che per raggiungere il Nirvana non si erano votati alla vita monastica. Sebbene i buddhisti avessero cercato in precedenza di scendere a compromessi con quanti non fossero disposti a compiere una scelta tanto radicale, essi rimanevano aggrappati a un comportamento e a una pratica totalizzante. Con il Mayhana ciò cambiò drasticamente: i laici furono attirati con la promessa della salvezza, trasformando un ordine monastico in una vasta chiesa capace di incidere capillarmente nella vita quotidiana.
Sotto la spinta di Kanishka, il buddhismo imboccava così la strada di una progressiva e irreversibile trasformazione. Non era più il puro e umanissimo messaggio di Gothama Buddha, né la calda e semplice fede del re-monaco Ashoka, ma una vera religione che non disdegnava più, come un tempo, le manifestazioni più esteriori del culto. La figura stessa del Buddha, progressivamente divinizzata, andò ad aggiungersi al numeroso pantheon delle divinità indù, avviando un processo sincretico che la privò di gran parte delle originarie connotazioni che erano state alla base dell’avversione nutrita nei suoi confronti dall’elemento indiano dell’impero (spesso in contrapposizione con lo strapotere manifestato della casta sacerdotale buddhista).
Mentre questa trasformazione aveva luogo in India, contemporaneamente le conquiste di Kanishka proiettavano attraverso la Via della seta il buddhismo in Cina, dove, opportunamente adattato al nuovo ambiente sociale e culturale, avrebbe riscosso un notevole successo, per poi effettuare il balzo verso la Mongolia, la Corea e il Giappone.
Che un monaco o un missionario potessero recarsi da Pataliputra attraverso il Gandhara fino a Kashgar contando sulla protezione di un singolo governo, fu un fattore determinante che contribuì alla diffusione di una religione che contava di fare proseliti, tanto più se poteva avvalersi dei vantaggi e della ricchezza ottenuti da un incremento del traffico commerciale a livello internazionale. Vale la pena ricordare a tal proposito che monete kushan sono state rinvenute in Etiopia e addirittura in Scandinavia, mentre a Pompei una statuetta indiana ascrivibile al periodo di Kanishka è stata scovata sotto un’abbondante coltre di lava solidificata.
Gli straordinari impulsi culturali si consolidarono in una nuova forma espressiva, originando la cosiddetta arte di Gandhara, un inedito linguaggio che si manifestò soprattutto attraverso gli edifici di culto e le rappresentazioni figurative. Queste, soprattutto statue-stele, rimandano un’impressione di solidità e di immobilità completamente estranea agli esempi greci e indiani dello stesso periodo: si trattò dunque dell’elaborazione di un’arte ufficiale, spesso qualificata come dinastica, che pur mutuando molti dei suoi elementi tecnici dai greci (ad esempio i panneggi), mantenne tuttavia una frontalità, una immobilità e una potenza del tutto iraniche.
L’arte del Gandhara si manifestò attraverso ciò che può essere considerato il suo marchio di fabbrica, ovvero lo stupa, una sorta di gigantesco tumulo nato originariamente come ricettacolo delle reliquie corporee del Buddha, spartite, secondo la tradizione, tra gli otto principati più importanti della confederazione che all’epoca della sua morte dominava il nord dell’India. La diffusione di questo monumento, praticamente registrata dal mar Caspio al versante giapponese del Pacifico, la dice lunga sulla capacità di influenza che l’impero di Kanishka seppe imprimere.
Kanishka, fu grande non solo per le sue conquiste territoriali, quanto per aver assicurato prosperità, libertà religiosa e sicurezza nelle comunicazioni. Le notizie in merito alla sua morte appaiono lacunose quanto quelle della sua intera esistenza.. In ogni caso, scontò il destino comune a tanti altri grandi imperatori, incapaci di assicurarsi una dinastia duratura. I suoi discendenti arrancarono fino al III secolo d.C., quando, probabilmente subendo l’effetto debilitante del pacifismo buddhista, non seppero contrastare la spietatezza dei persiani sasanidi che, ripreso il potere in Iran, si avventarono a riconquistare i territori orientali del loro antico impero.
Eugenio Caruso
- 9 dicembre 2017