L'economia globale traina la ripresa italiana

Iniziato alla insegna delle incertezze politiche dopo il referendum inglese sulla Brexit e la vittoria elettorale di Trump negli Stati Uniti, il 2017 ha evidenziato, invece, una vivace ripresa internazionale. Alla base del quadro migliore delle attese vi sono anche le politiche monetarie, risultate piu' espansive proprio con lo obiettivo di evitare che le difficolta' della politica contagiassero i mercati finanziari e la economia reale. Il punto fondamentale del 2017 e' quindi rappresentato dalla ondata di liquidita' che ha continuato a riversarsi sui mercati, favorendo la tenuta della domanda mondiale.

Nel complesso, a inizio 2017 si e' determinata una combinazione particolarmente favorevole alla crescita della area euro: recupero del commercio mondiale, euro debole, bassi prezzi del petrolio, tassi di interesse a zero e borse in crescita. Ne e' seguita una fase di rafforzamento del ciclo che ha interessato tutte le economie della eurozona.
Anche la Italia ha beneficiato del contesto internazionale favorevole e nel 2017 ha messo a segno la migliore variazione del Pil dal 2010. La domanda interna e' stata sostenuta dallo aumento della propensione al consumo delle famiglie ma anche dalla crescita delle esportazioni e, finalmente, da una parziale ripresa degli investimenti, sostenuti dagli incentivi fiscali di Industria 4.0.
La ripresa recente non basta per cancellare le profonde ferite provocate dalla crisi. Tutti gli indicatori di disagio sociale confermano che in Europa siamo ancora in una fase di profonda difficolta' per ampie fasce della popolazione.
Le difficolta' della classi medie sono alla base di cambiamenti, anche radicali, nelle scelte elettorali. Le esperienze dei Paesi anglosassoni, con il referendum sulla Brexit e la vittoria elettorale di Trump, si sono caratterizzate per forti discontinuita' nello scenario politico. Per ora nellan eurozona il quadro appare meno instabile, ma il grado di fiducia dei cittadini verso i governi nazionali e' molto basso.
Uno dei temi sui quali la opinione pubblica sta evidenziando una particolare sensibilita' e' quello degli arrivi di rifugiati. Alle popolazioni in fuga dalla miseria, si aggiungono quanti tentano di sfuggire agli orrori delle guerre. Sebbene di recente in calo, tale migrazione di massa ha un forte impatto sulla opinione pubblica, imponendosi al centro della agenda politica in molti Paesi.

Il 2017 e' stato un anno certamente positivo per la economia mondiale. La congiuntura internazionale ha difatti mostrato un andamento decisamente migliore rispetto alle attese di inizio anno, e questo ha portato a rivedere al rialzo le stime di crescita.
Secondo il Fondo monetario internazionale, il Pil globale nel 2017 dovrebbe essere amentato del 3,6%, un ritmo superiore a quello osservato nel corso degli ultimi anni. Ragione di sorpresa non e' stato pero' tanto il ritmo di crescita raggiunto in assoluto, che comunque e' ancora decisamente inferiore rispetto ai tassi raggiunti nel corso di altre fasi di ripresa della economia mondiale. Cio' che ha sorpreso e' stato piuttosto il miglioramento congiunturale emerso nel corso dello anno, in decisa controtendenza con quelle che erano le attese prevalenti allo inizio del 2017. Gli scenari prevalenti a inizio anno guardavano con preoccupazione soprattutto agli elementi di incertezza legati al quadro geopolitico internazionale. Soprattutto dopo il referendum sulla Brexit e la vittoria elettorale di Trump, erano in molti a ritenere che si fosse avviata una fase in cui la incertezza sul quadro politico e sulle politiche economiche, che avrebbe influenzato sfavorevolmente le decisioni degli investitori, condizionando quindi le aspettative delle imprese.
Rispetto a questo quadro si e' registrata innanzitutto la pronta reazione delle banche centrali (la Fed ha posticipato i rialzi dei tassi di interesse, la Bce ha esteso il programma di acquisto dei titoli del debito pubblico) e questo ha permesso di rasserenare i mercati azionari, spingere al ribasso i tassi di interesse e per questa via offrire sostegno alla domanda internazionale.
Una volta rientrati i timori di decelerazione della economia, i mercati azionari hanno beneficiato di un potente mix: crescita attesa vivace e tassi di interesse bassi. A questo si sono aggiunte le promesse del nuovo Presidente Usa di ridurre la tassazione sui profitti delle imprese, un tema evidentemente caro agli investitori di borsa.
Il risultato e' che si e' passati in poco tempo da un quadro di possibile frenata della economia a uno scenario di crescita, assecondata dal rally delle borse. Uno scenario che, secondo alcuni commentatori, sta alimentando una esuberanza dei mercati forse eccessiva, con rischi di brusche correzioni in un futuro anche prossimo.
E' anche grazie al miglioramento delle condizioni finanziarie globali che dalla fine del 2016 iniziano a manifestarsi segnali di recupero degli indicatori congiunturali, rafforzatisi progressivamente nel corso dei mesi. Il miglioramento dello scenario macroeconomico e' stato peraltro condiviso dalle maggiori aree della economia mondiale.
La elevata liquidita' presente sui mercati si e' scaricata difatti sulle attivita' finanziarie a maggiore rischio. I flussi di capitali sono tornati a dirigersi verso i Paesi emergenti, le cui condizioni finanziarie sono migliorate, e questo ne ha stimolato la ripresa della domanda. Anche grazie a politiche fiscali di segno espansivo adottate in Cina, la crescita delle economie emergenti ha a sua volta favorito il recupero del commercio internazionale.
Se la notizia positiva del 2017 e' che la ripresa mondiale continua, resta di altro canto la delusione di ritmi di crescita che non riescono a riportarsi sui valori del passato, in particolare per le economia avanzate. Lo abbassamento del trend di crescita della produttivita' e gli andamenti demografici sfavorevoli stanno suggerendo una revisione al ribasso delle prospettive di crescita di lungo termine. Si fa dunque largo la tesi della stagnazione secolare che prefigura una crescita economica relativamente contenuta anche nelle fasi cicliche positive. La ripresa economica allora appare destinata a manifestarsi pienamente soltanto nei Paesi emergenti, dove i livelli assoluti della produttivita' sono bassi, e possono quindi aumentare di molto grazie alla introduzione di standard tecnologici e organizzativi piu' avanzati, e in linea con la crescita dello stock di capitale, sia fisico che umano, data la demografia piu' favorevole.
Il guadagno di posizioni da parte di queste economie nello scacchiere globale, la loro capacità di conquistare nuove quote di mercato e attrarre flussi di investimenti provenienti dalle economie avanzate e' uno dei tratti peculiari degli ultimi venti anni, ed e' motivo di tensione nei rapporti anche commerciali con i Paesi avanzati.
Negli ultimi trenta anni la globalizzazione degli scambi ha favorito un processo di convergenza dei livelli del prodotto pro capite a seguito del quale le economie emergenti hanno ridotto il ritardo rispetto alle economie avanzate: se nel 1980 il livello medio del reddito pro capite dei Paesi emergenti era pari al 15% di quello delle economie avanzate, oggigiorno tale rapporto sfiora il 25%.
Il recupero non e' evidentemente condiviso da tutti i Paesi via di sviluppo: il Pil pro capite nella area della Africa sub-sahariana e' ancora pari allo 8% di quello delle economie avanzate. In aggiunta, in questa area la speranza di vita alla nascita e' ancorain molto bassa, intorno ai 50 anni, trenta anni in meno rispetto ai Paesi europei.
Pesano molto le dinamiche demografiche. Negli ultimi venti anni la popolazione nei Paesi Ue e' rimasta sostanzialmente stabile (dai 480 milioni della meta' degli anni 90 ai 510 milioni attuali). In Africa nello stesso periodo e' cresciuta a un tasso medio del 2,5%, passando da 720 milioni a quasi un miliardo e 200 milioni di persone.
La presenza di ampie aree, soprattutto nel continente africano, in cui sono ancora negate le condizioni minime per la sopravvivenza, e' una delle grandi contraddizioni dei nostri tempi.
La entita' dei divari di reddito e' ancora enorme, e sarebbero sufficienti risorse relativamente modeste per alleviare le condizioni di vita delle popolazioni in maggiore sofferenza. Peraltro, le difficolta' ad attivare circuiti economici minimi, in grado di consentire la sussistenza alle popolazioni, e' spesso legata anche al contesto politico di quei Paesi, e alle difficolta' a fare pervenire effettivamente gli aiuti alle popolazioni maggiormente bisognose.
Le condizioni di poverta' dei Paesi africani hanno connotazioni paradossali soprattutto nei casi in cui queste economie sono in possesso di risorse naturali, il cui sfruttamento genera ritorni economici che non vengono distribuiti alle popolazioni locali.
Alle condizioni di deprivazione materiale che affliggono queste popolazioni, si aggiungono anche i casi di conflitti, che inducono le popolazioni a fuggire dai rischi della guerra. E non e', quindi, un caso che diversi di questi Paesi costituiscono le aree di provenienza di una quota importante degli imponenti flussi migratori diretti verso la Europa negli ultimi anni. La accelerazione degli arrivi e' stata impressionante, soprattutto dopo la crisi dei regimi del Nord Africa, che sino a pochi anni fa avevano impedito il transito agli immigrati diretti verso la Europa.
A cio' si e' aggiunta la guerra civile in Siria e la fuga verso l'Occidente di sei milioni di profughi siriani. Gli arrivi sulle nostre coste di una ingente quantita' di persone disponibili ad affrontare gravi disagi che ne mettono a rischio la incolumita' consente di percepire quanto gravi siano le condizioni nei Paesi di provenienza.
I dati sulle richieste di asilo sono eloquenti. I Paesi di provenienza degli immigranti diretti verso i Paesi Ue sono soprattutto Siria, Afghanistan e Iraq.
Circa gli arrivi, l'Italia e' una meta privilegiata solamente per lo approdo iniziale. Data la nostra posizione geografica, rappresentiamo il naturale punto di arrivo per le popolazioni in fuga dal Nord Africa. La nostra e' pero' solamente una destinazione intermedia. Le mete finali ambite dagli immigrati sono difatti soprattutto quelle dei Paesi del Nord Europa, che presentano opportunita' di lavoro. Naturalmente il Paese preferito e' la Germania, che non a caso assorbe da sola quasi il 60% degli arrivi di immigrati in Europa.
La accelerazione degli arrivi dal 2015 ha avuto un forte impatto sulla opinione pubblica. Le politiche volte a gestire i rifugiati e le persone in fuga dalla poverta' e dalle guerre sono divenute centrali nei programmi politici, e decisive rispetto agli orientamenti dello elettorato.
Peraltro, in Europa la gestione dei rifugiati si sta rivelando problematica, anche per le difficolta' di coordinamento da parte dei Paesi membri. Le autorita' italiane hanno lamentato a piu' riprese di non avere ottenuto un supporto adeguato che gestisca gli arrivi. Anche su questo terreno il dibattito ha rivelato la tendenza a privilegiare gli interessi nazionali piuttosto che ad adottare strategie cooperative. E anche dinanzi a una tragedia di proporzioni eccezionali sono emersi i limiti di coordinamento tra i Paesi della Unione.
Le politiche di gestione dei flussi sono oggetto di ripensamento. E' recente il cambiamento della strategia italiana, che ha prodotto una drastica riduzione degli arrivi, privilegiando un coordinamento con le autorita' libiche. Il tema dello arrivo di nuovi flussi di immigrati si intreccia a sua volta con altre questioni e, soprattutto, con le difficolta' economiche che gravano su molte famiglie anche nelle economie occidentali. Il timore per molti e' di vedere ridotti i servizi assistenziali e i sussidi, dovendo dividere risorse gia' molto limitate con i nuovi arrivati. Si determina di fatto una competizione rispetto all'accesso all'assistenza. Inoltre, i ceti meno abbienti sono anche quelli che avvertono la concorrenza dei nuovi arrivati sul mercato del lavoro. Si tratta peraltro delle stesse figure, operai e impiegati non specializzati, che hanno gia' subito le pesanti conseguenze della delocalizzazione produttiva e della deindustrializzazione degli ultimi anni.
Difatti, se l'apporto demografico degli immigrati determina un potenziale impatto positivo in termini di crescita economica, meno scontati appaiono gli effetti positivi per tutti i tipi di lavoratori. L'effetto netto puo' difatti rivelarsi sfavorevole per i salari dei lavoratori meno qualificati, che svolgono le stesse mansioni dei nuovi arrivati.
Infine, un altro tema entrato prepotentemente nel dibattito politico europeo e' quello degli attentati terroristici di matrice islamica, che hanno evidentemente avuto un impatto sulla opinione pubblica, e ridotto il consenso verso le politiche di gestione dei flussi migratori.
Questi temi stanno modificando le preferenze degli elettori europei, anche se sinora in maniera non determinante. Il risultato della Le Pen alle elezioni francesi e' stato deludente, ma le elezioni tedesche hanno evidenziato un aumento dei consensi per il partito di estrema destra, Alternative fur Deutschland. E' chiaro che nelle nostre societa' iniziano a insinuarsi sentimenti negativi, ispirati dalla paura, dalla diffidenza e a volte dal razzismo, e questo rende ancora piu' complesse le politiche per la integrazione.

Della ripresa mondiale hanno beneficiato anche le economie dell'area euro. Al contesto internazionale positivo si aggiungono gli effetti delle politiche economiche interne. Un primo aspetto importante e' rappresentato dalla politica monetaria espansiva della Bce, caratterizzatasi per acquisti di titoli, allo interno del programma del cosiddetto Quantitative easing, e per un prolungato periodo di tassi d’interesse prossimi a zero.
Solo recentemente e' stata decisa una riduzione delle quantita' degli acquisiti di titoli a partire da gennaio 2018, ma e' stato ribadito l'intento di mantenere i tassi d'interesse invariati per un lasso temporale esteso. La politica monetaria ha concorso a orientare positivamente i mercati finanziari: l'aumento della domanda ha consentito anche ai Paesi caratterizzati da un merito di credito inferiore di emettere obbligazioni a tassi di interesse bassi; le borse europee hanno messo a segno ampi recuperi. L'effetto sui mercati e' di fatto andato oltre lo impatto meccanico della maggiore domanda di titoli e si e' tradotto in un miglioramento generalizzato del clima di fiducia.
Anche dal lato delle politiche fiscali inizia a materializzarsi una impostazione orientata in una direzione piu' favorevole alla crescita. Negli ultimi due anni ha prevalso un approccio graduale, in base al quale i programmi di convergenza verso il pareggio hanno subito un rallentamento; una impostazione decisamente diversa rispetto a quella prevalente sino al 2012- 2013.
Anche per il 2018, sulla base delle indicazioni dei programmi dei principali Paesi si ha conferma della tendenza ad assecondare una fiscal stance appropriata al contesto economico, che tenga cioe' conto del potenziale conflitto tra crescita e sostenibilita' dei conti pubblici, puntando a non deprimere la prima senza compromettere la seconda. Significativo che la Germania, che si trova in una posizione favorevole caratterizzata da una crescita vivace e un bilancio stabilmente in avanzo, abbia programmato una politica di segno espansivo per il prossimo anno, mentre Francia e Spagna hanno programmato di non rispettare puntualmente i target europei nel prossimo triennio.
Il mix di una domanda internazionale piu' favorevole, tassi di interesse a zero, politiche di bilancio neutrali definisce quindi il contesto allo interno del quale si e' prodotto nel 2017 il rafforzamento del ciclo della area euro. Dal punto di vista delle componenti della domanda che hanno sostenuto la crescita, quella che ha beneficiato direttamente della ripresa internazionale sono evidentemente le esportazioni. Gli effetti su export legati alla accelerazione del commercio mondiale nei primi mesi del 2017 sono stati anche amplificati dalla debolezza del cambio dello euro.
Un secondo fattore di traino della crescita europea e' stato il rafforzamento del mercato immobiliare, tradizionalmente uno dei comparti della economia piu' sensibili allo andamento dei tassi diinteresse. In diversi Paesi della eurozona il recupero del mercato immobiliare e' in atto da alcuni anni, e i prezzi delle case hanno ripreso ad aumentare.
Piu' recentemente anche gli investimenti in macchinari hanno iniziato a mostrare segnali di rinvigorimento, seguendo l'aumento della produzione e il miglioramento del clima di fiducia delle imprese. Un elemento di freno alla crescita del 2017 e' stato rappresentato dal rallentamento dei redditi delle famiglie. Sul potere d'acquisto dei consumatori ha pesato l'aumento dell'inflazione. Il recupero dei prezzi del petrolio rispetto ai minimi del 2016 ha frenato la crescita dei redditi reali. D'altra parte, nonostante la ripresa dell'economia abbia influenzato positivamente la crescita dell'occupazione, le dinamiche salariali sono ancora modeste, a causa della pressione sul mercato del lavoro esercitata dalla disoccupazione ancora elevata in diverse economie dell'area.
Le prospettive per i consumi sono comunque orientate positivamente; il clima di fiducia dei consumatori nel corso dell'ultima parte dell'anno si e' caratterizzato per un andamento relativamente vivace. Nel complesso quindi l'area euro vede il proprio tasso di crescita portarsi nel 2017, per la prima volta in questo decennio, al di sopra del 2%, una soglia che dovrebbe essere superata anche il prossimo anno. La fase di miglioramento della congiuntura e' stata condivisa da tutte le economie dell'area anche se i differenziali di crescita fra i diversi Paesi sono rimasti relativamente ampi come del resto era accaduto anche nel corso degli anni passati. Di fatto, quindi, sebbene la fase ciclica favorevole sia stata condivisa dalle diverse economie dell'area euro, le divergenze nelle condizioni economiche si stanno ancora ampliando. Le divergenze delle condizioni delle economie dell'area euro riflettono il fatto che mentre alcune sono in una fase avanzata della ripresa, in altre il ciclo e' piu' giovane. In alcuni Paesi la ripresa ha avuto inizio dal 2010, mentre per altri, fra cui l'Italia, si e' verificata una seconda fase recessiva fra il 2011 e il 2013. Per il primo gruppo di Paesi l'economia e' in ripresa da circa otto anni, per il secondo gruppo, colpito da due fasi recessive consecutive, l'inversione ciclica ha avuto inizio invece da soli tre anni.
Le divergenze cumulate in termini di crescita del Pil hanno avuto anche riflessi sull'andamento dell'occupazione e questo comporta anche che vi siano tutta ampie differenze nei livelli dei tassi di disoccupazione. Peraltro, i cinque Paesi periferici, quelli colpiti dalla seconda fase di recessione del 2010-2011, si stanno caratterizzando per performance estremamente diverse. Dapprima e' ripartita l'Irlanda, poi la Spagna ha avviato una fase di crescita a ritmi sostenuti, e piu' di recente il Portogallo sembra ritrovare la via di uscita dalla crisi.
Per queste ragioni, le differenze nelle condizioni economiche tra Paesi dell'area euro sono aumentate. Facendo riferimento all'aggregato dei Paesi dell'eurozona di prima generazione, i cosiddetti euro-11, quelli caratterizzati da un Pil pro capite superiore alla media sono Olanda e Austria, con un divario positivo del 20% rispetto alla media, mentre quelli sui livelli inferiori sono Portogallo e Grecia, che presentano uno scarto rispettivamente del -36% e del -28%. L'Italia, nel 2007 presentava un livello del Pil pro capite vicino alla media dell'area euro, ma ha poi visto rapidamente peggiorare la propria posizione relativa cumulando un divario del 10%. Peraltro, il nostro gap appare destinato ad aumentare, visto che anche la fase di ripresa attuale sta evidenziando ritmi di crescita meno vivaci in Italia rispetto alle altre economie.
Allo stato attuale, quindi, escludendo il caso drammatico della Grecia, la posizione italiana sembra distinguersi in negativo. Le profonde divergenze nelle condizioni economiche dei Paesi dell'area sono un risultato che purtroppo va in una direzione opposta rispetto a quella che ci si attendeva al momento dell'adesione all'euro e tale circostanza apre molti interrogativi di fondo circa gli attuali meccanismi europei e la necessita' di un loro possibile ripensamento.

L'area euro e' entrata da tre anni in una fase di ripresa. Il recupero della congiuntura non e' stato pero' condiviso con la stessa intensita' da tutte le economie dell'area. In molti Paesi le conseguenze della lunga fase di crisi degli anni scorsi sulle condizioni economiche delle famiglie europee sono ancora evidenti. Fra gli indicatori piu' significativi che fotografano questo stato di disagio vi sono certamente quelli sull'incidenza della poverta' e del rischio di esclusione sociale. Secondo le definizioni ufficiali, sono a rischio di poverta' le persone con un reddito familiare inferiore al 60% del reddito familiare medio. Secondo le statistiche Eurostat, la quota di famiglie a rischio di poverta' o di esclusione sociale nell'area euro oscilla fra il 16% dell'Olanda e il 36% della Grecia. Per confronto si consideri che nel 2007 tale percentuale in Grecia era pari al 28%. I Paesi che hanno registrato il maggiore aumento della quota di famiglie che versano in tale condizione sono la Spagna (dal 23% al 29%), l'Italia (dal 26% al 29%) e il Portogallo (dal 25% al 27%). Parimenti, il concetto di deprivazione materiale si riferisce a persone che non hanno risorse economiche sufficienti per provvedere ad almeno quattro delle spese familiari di base (affitti e bollette, riscaldamento, spese impreviste, mangiare carne o pesce una volta ogni due giorni, una settimana di vacanze, un'auto, una lavatrice, una TV a colori, un telefono). Secondo le statistiche Eurostat, la quota di famiglie in condizioni di deprivazione materiale nell'area euro oscilla fra il 2% della Finlandia e il 22% della Grecia. L'Italia e' al 12%.
Nel 2007 per l'intera area euro la quota di famiglie che versava in tali condizioni era pari al 5,5%, valore da cui era cresciuta sino al 2012, raggiungendo un picco del 7,7%, da cui ha poi registrato una flessione, sino al 6,7% nel 2016. Fra i fattori che determinano i maggiori rischi di caduta in una condizione di disagio, al primo posto si colloca certamente la bassa intensita' di lavoro. L'aumento dei disoccupati non e' uniforme nei diversi Paesi; le statistiche sulla disoccupazione evidenziano difatti un'enorme varianza fra le diverse economie. D'altra parte, le statistiche ufficiali sulla disoccupazione soprattutto nelle fasi di crisi non descrivono in maniera esauriente il grado di sottoutilizzo del capitale umano di cui dispone un sistema economico. Quando mancano opportunita' concrete di lavoro si affermano difatti comportamenti dettati dallo scoraggiamento dei lavoratori, che possono interrompere l'attivita' di ricerca di un impiego ritenendola inutile. Il disagio sociale non si diffonde soltanto attraverso la riduzione del numero degli occupati. Tendono anche a peggiorare le caratteristiche degli impieghi disponibili. Ad esempio, nel corso degli ultimi anni e' aumentata molto la quota di lavoratori che hanno un impiego part-time pur essendo disponibili ad un impiego a tempo pieno. E' il fenomeno del cosiddetto part-time involontario che ha evidentemente conseguenze negative sui redditi familiari.
Un altro tema e' poi quello della precarieta' dei rapporti di lavoro. Le famiglie i cui redditi dipendono da lavori di tipo saltuario sono a maggiore rischio di cadere in una situazione di disagio economico. La presenza di forme contrattuali flessibili va considerata come uno strumento che facilita l'ingresso nel mercato del lavoro rendendo meno oneroso l'inserimento di chi non ha esperienze lavorative. L'obiettivo e' quello di consentire di avviare un percorso di carriera, per poi favorire l'accesso a forme contrattuali piu' stabili. Non sempre pero' questo si verifica. Vi sono casi in cui i lavoratori tendono a persistere nella condizione piu' precaria, passando da un contratto flessibile a un altro ma senza riuscire a passare a un lavoro garantito.
Infine, un peso determinante e' giocato dai bassi salari. In condizioni di scarse opportunita' occupazionali i lavoratori devono anche accettare impieghi peggio retribuiti. Un trend che si sta consolidando a livello internazionale e' rappresentato proprio dalla tendenza all'apertura dei divari salariali, a favore di lavoratori in possesso di skills elevati, mentre vi sono diversi gruppi di lavoratori, sia fra gli operai che fra gli impiegati, che si ritrovano spiazzati a causa della delocalizzazione produttiva verso Paesi emergenti, oppure a seguito dell'automazione dei processi produttivi che ne ha reso improvvisamente obsolete le competenze.
La diffusione del disagio sociale e' anche legata alla crisi delle finanze pubbliche di alcuni Paesi, e alla riduzione delle risorse a disposizione dei governi per gli interventi in campo sociale. La discesa di ampi strati della popolazione al di sotto della soglia di poverta' mette in discussione le basi stesse delle civilta' europee. Proprio il fatto di essere strutturate in base a una presenza significativa dello Stato nell'economia giustifica, rispetto ai modelli anglosassoni, l'idea che vi sia un insieme di garanzie minime, anche in termini di reddito oltre che di prestazioni (sanitarie, scolastiche, pensionistiche, ecc.), che concorrono a giustificare i maggiori livelli della pressione fiscale. Ma quando la garanzia di queste prestazioni viene messa in discussione, allora sono le basi stesse dello stato sociale a risultarne delegittimate. Anche per queste ragioni, un tratto tipico del momento corrente e' certamente l'imprevedibilita' degli esiti elettorali, in ragione della vulnerabilita' degli elettorati, lontani dalle istituzioni europee e sfiduciati nei confronti dei governi nazionali. Si tratta di un aspetto che, d'altro canto, non ha caratterizzato soltanto le economie della zona euro. Anzi, i principali punti di rottura degli equilibri politici internazionali si sono inaspettatamente rivelati i Paesi anglosassoni. Dapprima con l'esito del referendum sulla Brexit, e poi con la vittoria di Trump alle elezioni Usa.
Dal punto di vista dell'impatto sull'opinione pubblica internazionale, il nuovo Presidente americano e' stato certamente la figura di maggior spicco nel panorama politico dell'ultimo anno. Nonostante il crollo dei consensi registrato dai sondaggi negli Stati Uniti, in Europa l'attenzione verso il nuovo Presidente americano e' stata importante. Guardando alle ricerche effettuate su Google in Italia, si osserva come il temine Trump superi largamente nel corso dell'ultimo anno tutti gli altri politici internazionali. Peraltro, secondo alcune indagini il Paese dove Trump raccoglie i maggiori consensi e' proprio l'Italia.
Come spiegare questa elevata instabilita' degli scenari politici? E' probabile che dietro i cambiamenti nelle preferenze degli elettori vi sia un piu' generale senso di insoddisfazione legato al peggioramento delle performance dell'economia. I partiti tradizionali tendono a riproporre schemi interpretativi della societa' nei quali i cittadini fanno fatica a riconoscersi, venendo attratti da movimenti nuovi, almeno in apparenza, o da proposte a effetto, che hanno oggi maggiore facilita' di divulgazione grazie all'affermazione dei social network.
Ed e' in questo senso il fallimento della risposta europea alle questioni economiche e sociali a spiegare la crescita dell'antieuropeismo, percepito come fallimento del progetto europeo. Da questo punto di vista gli elettorati sono sempre piu' divisi riguardo all'atteggiamento nei confronti delle istituzioni. In ogni caso, secondo l'indagine Eurobarometro, i cittadini europei, italiani compresi, ripongono piu' fiducia nella UE che nei governi nazionali, ma in entrambi i casi la percentuale di persone che dichiarano di avere fiducia nelle istituzioni e' inferiore al 50%.
Resta anche da ricordare come, in un clima che in generale risulta favorevole alle proposte anti-sistema, anche i movimenti indipendentisti locali trovino nuovi spazi. Il recente tentativo di secessione da parte della Catalogna, e' probabilmente un segnale di spinte che acquisiranno consensi crescenti negli anni a venire anche in altri Paesi.
Le tensioni catalane sono particolarmente significative se si considera da un canto che la Catalogna e' una delle Regioni piu' ricche della Spagna, e dall'altro se si tiene conto del fatto che nel corso degli ultimi tre anni l'economia spagnola e' stata caratterizzata da una fase di ripresa dell'economia a ritmi particolarmente sostenuti.
Dopo la profonda crisi alle nostre spalle, occorrera' una fase di crescita a ritmi sostenuti per diversi anni prima di normalizzare il contesto sociale e allentare le tensioni politiche.

Anche se a ritmi ancora contenuti, l'economia italiana sta recuperando. Il miglioramento della congiuntura e' legato al contesto internazionale relativamente favorevole: la domanda internazionale ha mostrato un rafforzamento, i tassi d'interesse sono ai minimi, i prezzi delle materie prime sono su livelli bassissimi, l'export e' stato sostenuto nei primi mesi dell'anno dall'euro debole.
Il quadro internazionale ha sortito effetti positivi soprattutto sulle esportazioni. Il rafforzamento della domanda estera e' un fatto positivo per un'economia che ha difficolta' a rilanciare la domanda interna, ma allo stesso modo non bisogna dimenticare come le esportazioni siano una delle componenti della domanda caratterizzate dalla maggiore variabilita'. Nulla assicura difatti che il recente rafforzamento della domanda estera si protragga nel tempo. Manteniamo in altri termini un'elevata dipendenza dal ciclo internazionale, mentre ancora l'economia non pare nelle condizioni di realizzare un percorso di sviluppo indipendente dal ciclo dei nostri partner, come ad esempio e' sembrato verificarsi negli ultimi anni nel caso della Spagna.
Inoltre, va anche ricordato che un ciclo sostenuto soprattutto dalle esportazioni tende a generare un impulso alla crescita disomogeneo, tanto dal punto di vista settoriale che da quello territoriale. La crescita delle esportazioni impatta principalmente sulle imprese medio-grandi dei settori manifatturieri. Gli effetti indotti sulle imprese piu' piccole e di altri settori produttivi si verificano solamente in un secondo momento e con intensita' inferiore. Inoltre, la distribuzione territoriale delle aziende esportatrici e' molto disomogenea in Italia: e' soprattutto nelle Regioni del Nord che difatti si concentrano le aziende con la maggiore propensione all'esportazione. Questo spiega anche perche' una ripresa trainata dall'export possa essere sufficiente solamente se di intensita' tale da indurre incrementi dell'occupazione e effetti indotti sugli altri settori.
Se invece la crescita si mantiene, come e' il caso dell'economia italiana, su ritmi inferiori al 2%, i settori piu' legati alla domanda interna stentano a avvertire gli effetti positivi derivanti dal miglioramento della congiuntura.
Un altro elemento rilevante nell'andamento recente degli scambi con l'estero dell'Italia e' rappresentato dalla stabilizzazione delle quotazioni del greggio su valori, vicini ai 50-60 dollari al barile, decisamente inferiori rispetto a quelli prevalenti sino al 2014, quando si viaggiava su prezzi al di sopra dei 100 dollari. La discesa dei prezzi del greggio riduce il costo della bolletta energetica per l'Italia, e di questo hanno beneficiato le nostre importazioni, che per il comparto petrolifero hanno registrato una diminuzione pari a ben 8 miliardi di euro rispetto al 2014.
Un'altra voce delle partite correnti dell'Italia in miglioramento e' quella della bilancia del turismo, ovvero le risorse che l'Italia riceve dal mondo per il tramite dei milioni di cittadini stranieri che ogni anno visitano il Bel Paese. Per avere una dimensione del fenomeno si consideri che le entrate derivanti dagli arrivi degli stranieri in Italia valgono 37 miliardi ogni anno.
Gli arrivi di turisti stranieri in questi anni sono aumentati. Si tratta di una tendenza in atto in tutto il Mondo, e che riflette in parte l'ingresso sui mercati globali di nuovi potenziali clienti rappresentati dalle classi piu' abbienti dei Paesi emergenti. Un aspetto determinante negli ultimi due-tre anni e' rappresentato dal cambiamento delle destinazioni da parte dei turisti stranieri, che hanno abbandonato alcune mete del Nord Africa, come la Tunisia o l'Egitto, a seguito dei timori di attentati terroristici. Fra i fattori che spiegano la crescita dell'industria turistica vi e' anche la riduzione dei prezzi. Decisivo e' stato l’avvento delle compagnie aeree low cost. In secondo luogo l'offerta turistica sta diventando piu' conveniente per i consumatori grazie alla diffusione di strutture, come i bed and breakfast e le case vacanza, che consentono di ridurre i costi di alloggio. La diffusione di queste sistemazioni e' sostenuta dal ruolo assunto da parte di alcuni intermediari online, come Booking o Airbnb, che hanno consentito a piccoli produttori di affacciarsi sul mercato globale.
Gli elementi positivi legati al contesto internazionale sono stati il volano della ripresa. Gli effetti sull'economia italiana sono stati positivi, anche se abbiamo mantenuto un differenziale di crescita sfavorevole rispetto agli altri Paesi dell'area euro. Questo e' dipeso anche dal fatto che vi sono alcuni elementi che hanno agito da freno al recupero della nostra domanda interna, fra cui i limiti all'espansione del credito e i vincoli che condizionano la nostra politica fiscale.
Le difficolta' del nostro sistema bancario hanno depotenziato l'effetto dei bassi tassi d'interesse, sulla nostra domanda interna. Il freno alla ripresa che deriva dalle difficolta' delle banche e' evidente soprattutto sulle tendenze dei mercati immobiliari, che nelle altre economie europee stanno realizzando una ripresa vivace. In Italia solo recentemente sono emersi alcuni spunti di miglioramento, che hanno interessato soprattutto le erogazioni di mutui alle famiglie, tradottesi in primi segnali di recupero delle compravendite di immobili, ma che ancora non sono riuscite a innescare una ripresa dei prezzi delle case.
Altro elemento di incertezza resta il quadro di finanza pubblica. Gli obiettivi europei indicano che nei prossimi anni dovremo convergere verso il pareggio di bilancio; inoltre, i criteri definiti in termini di riduzione del rapporto fra debito pubblico e Pil necessitano di una risalita del nostro avanzo primario che dovrebbe portarsi in prossimità del 4% del Pil rispetto al 2% circa raggiunto nel corso degli ultimi anni. Gia' durante gli scorsi anni la politica economica italiana ha dovuto confrontarsi con un difficile trade-off: pilotare il saldo di bilancio verso il pareggio, come indicato dagli obiettivi di finanza pubblica europei, al costo di frenare ulteriormente la gia' anemica dinamica dei consumi, oppure rinunciare agli obiettivi, per evitare di ostacolare l'uscita dalla crisi.
Di fatto, la strategia seguita negli ultimi anni dai vari governi che si sono succeduti è stata quella di indicare obiettivi molto ambiziosi, programmando una discesa del deficit sino al pareggio, salvo utilizzare gli spazi di flessibilita' concessi dalle regole di finanza pubblica europee per allentare di anno in anno la stretta fiscale.
Le deviazioni dei saldi dagli obiettivi di ciascun anno sono state oggetto di contrattazione basandosi sui diversi margini di flessibilita' presenti nella normativa europea. Nel complesso, abbiamo ridimensionato il deficit rispetto al livello del 3% del Pil portandolo poco al di sopra del 2%. Per il 2017 il target indicato nell'ultimo Documento di economia e finanza (Def) è costituito da un deficit pari al 2,1% del Pil, un obiettivo certamente meno ambizioso dello 0,8% indicato nel Def della primavera del 2015. Per il 2018 e' atteso un ulteriore gradino al ribasso, all'1,6%, che anche in questo caso rivede in senso peggiorativo gli obiettivi dichiarati negli anni precedenti.
Su questi temi il dibattito e' ancora acceso. Non mancano quanti sostengono che il governo avrebbe dovuto essere piu' drastico, soprattutto sul versante dei tagli alla spesa pubblica. I principali rischi di un ritardo nel consolidamento dei conti pubblici sono relativi all'elevato livello del nostro debito pubblico e alle incertezze relativamente a cosa accadra' quando la Bce iniziera' a ridurre gli acquisti di titoli di Stato. Secondo altri invece si e' tagliato troppo e sulle voci di spesa sbagliate, e soprattutto sugli investimenti pubblici, alla cui caduta e' da ricondurre il deterioramento della dotazione infrastrutturale del Paese.
La caduta degli investimenti pubblici si e' sovrapposta al crollo degli investimenti privati, portando durante gli anni passati a una contrazione dello stock di capitale dell'economia italiana. Il basso flusso di investimenti e' anche ragione di perplessita' sulle prospettive future dell'economia, soprattutto alla luce delle opportunita' concesse dalle nuove tecnologie. In assenza di un flusso adeguato di nuovi investimenti, la dotazione di capitale fisico del Paese si deteriora, per obsolescenza fisica e tecnologica, determinando un gap rispetto ai concorrenti che tende ad allargarsi con il passare del tempo. L'ampliamento progressivo di tale gap si traduce in un arretramento progressivo dell'intero sistema economico, in particolare in quei settori dove il grado di innovazione e' maggiore, e dove quindi negli altri Paesi i processi produttivi si stanno trasformando piu' rapidamente. Quando il gap in termini di crescita della produttivita' si amplia, le imprese divengono meno competitive e vengono messe progressivamente fuori mercato. Nel corso degli ultimi due anni e' pero' emersa una maggiore consapevolezza dell'esigenza di sostenere il cambiamento tecnologico.
Sono state quindi adottate misure, prevalentemente di carattere fiscale, che hanno gia' sostenuto gli investimenti delle imprese nel 2016, e dovrebbero consentire una buona dinamica anche quest'anno e il prossimo. Si tratta soprattutto delle misure per Industria 4.0, che dovrebbero sostenere e incentivare investimenti in beni ad alta tecnologia e investimenti in ricerca e sviluppo.
Il risultato, positivo, sortito dalle misure del governo, e' stato che gli investimenti in macchinari hanno avviato una fase di ripresa. Naturalmente e' troppo presto perche' si possano osservare risultati tangibili in termini di crescita della produttivita' e aumento della competitivita' delle imprese. Un giudizio sull'efficacia degli strumenti adottati potra' quindi essere proposto solamente fra qualche anno.

La ripresa del 2017 è stata guidata soprattutto dal rafforzamento della congiuntura economica internazionale. Anche per l'economia italiana, come per le altre maggiori economie dell'area euro, il rafforzamento del ciclo ha rappresentato una sorpresa, tanto che le previsioni nel corso dell'anno hanno registrato, per una volta, una revisione al rialzo. Le stime piu' recenti convergono nell'indicare una variazione del Pil dell’area euro intorno all'1,5 per cento.
Il miglioramento non ha interessato tutte le componenti della domanda in eguale misura. Inoltre, le caratteristiche della fase ciclica si stanno modificando, e le tendenze del prossimo anno potrebbero evidenziare una evoluzione che non rispecchia completamente quella del 2017.
Un primo aspetto e' rappresentato dal fatto che abbiamo beneficiato del miglioramento della domanda globale soprattutto attraverso il canale delle esportazioni, cui ha contribuito anche la fase di indebolimento del cambio dell'euro. Dalla meta' dell'anno l'euro ha pero' invertito la tendenza, e iniziato a recuperare posizioni; e' possibile quindi che nel 2018 le spinte legate all'export verso le economie extra-euro tendano a ridimensionarsi. D'altra parte, a fronte di una riduzione dell'impulso delle esportazioni alla crescita, iniziano a materializzarsi le premesse per un'evoluzione più favorevole della nostra domanda interna.
Un primo punto da menzionare e' rappresentato dal graduale rafforzamento delle prospettive per gli investimenti: il miglioramento delle condizioni di accesso al credito e il recupero del clima di fiducia delle imprese sono i principali segnali inducono a ritenere possibile una ripresa del processo di accumulazione. A cio' si aggiungono gli incentivi fiscali di Industria 4.0, che dovrebbero fornire ulteriore spinta alle decisioni di investimento. In secondo luogo, anche il ciclo delle costruzioni sta iniziando una prima inversione di tendenza, grazie soprattutto alla ripresa delle erogazioni di mutui alle famiglie da parte del nostro sistema bancario. Le compravendite di immobili sono in ripresa da oltre due anni e il clima di fiducia delle imprese si posiziona su livelli elevati, indicando che l'aumento delle compravendite sta almeno consentendo di smaltire l'arretrato di case invendute presenti sul mercato. Cio' nonostante, i livelli produttivi restano ancora sui minimi, per la presenza di un'abbondante offerta sul mercato; fuori dal residenziale il quadro resta molto debole, data anche la stagnazione delle opere pubbliche.
Uno dei punti maggiormente controversi della ripresa del 2017 è stato rappresentato dall'andamento dei consumi delle famiglie. L'aspetto più rilevante e' che l'anno è stato caratterizzato da una sostanziale stagnazione del potere d'acquisto dei consumatori. Tale andamento e' certamente legato alla perdurante stagnazione salariale, a fronte della quale, dopo un lungo periodo di inflazione vicina a zero, il 2017 si e' caratterizzato per un rialzo della dinamica dei prezzi. La crescita delle retribuzioni si e' portata quindi su valori sostanzialmente nulli in termini reali. Inoltre, la crescita dell'occupazione, pur di segno ancora positivo, ha decelerato rispetto al 2016, quando la domanda di lavoro era stata trainata dagli sgravi contributivi. In un contesto di frenata del reddito reale dei consumatori, la tenuta del trend dei consumi, con una variazione superiore all'1%, ha comportato una contrazione significativa del saggio di risparmio. Le famiglie di fatto stanno mantenendo la spesa su livelli relativamente elevati se rapportati all'evoluzione del reddito, e vi e' anche il rischio che in futuro debbano iniziare a aumentare il proprio tasso di risparmio.
La crescita della spesa delle famiglie e' dovuta anche al fatto che negli anni scorsi lo stock di durevoli in loro possesso si era fortemente deteriorato. Non a caso gli incrementi più accentuati sono stati registrati dagli acquisti di autovetture. Un fattore di sostegno agli acquisiti e' rappresentato inoltre dalla ripresa del credito al consumo. Un altro elemento di incertezza sulle prospettive della spesa delle famiglie riguarda quindi quali saranno le loro scelte una volta ricondotta la domanda di durevoli sui livelli desiderati, sufficienti per consentire un adeguato ricambio dello stock esistente. E' possibile che allora si aprano degli spazi per ampliare anche in misura piu' significativa le altre voci di spesa oppure che, piu' semplicemente, si avvii una fase di recupero del saggio risparmio.
Un altro tratto peculiare della fase attuale e' rappresentato dall'andamento dell'inflazione. Al di la' delle oscillazioni di breve periodo, la tendenza di fondo, in Italia come in altri Paesi, resta guidata da dinamiche estremamente contenute.
L'aumento dell’inflazione del 2017 e' dipeso prevalentemente dalle tendenze dei prezzi delle materie prime energetiche, oltre a alcune oscillazioni dei prezzi dei prodotti freschi alimentari, legate per lo piu' a fattori di natura climatica. Si tratta, in altri termini, di dinamiche indipendenti dalle condizioni di fondo dell'economia, legate prevalentemente a fattori esterni al sistema e, soprattutto, di natura estemporanea. La dinamica di fondo dei prezzi, calcolata sulla base degli indicatori di core inflation (al netto della componente del fresco alimentare e dei prodotti energetici) si mantiene in Italia vicina all'1'%, un ritmo molto contenuto, e inferiore a quello osservato nella media dell'area euro. Il confronto dell'inflazione italiana con quella tedesca e' particolarmente interessante: difatti, pur con qualche oscillazione, e' oramai da alcuni anni che l'Italia presenza un differenziale d'inflazione negativo nei confronti della Germania.
Tale differenziale rappresenta un elemento importante del quadro economico attuale. Esso riflette il nostro divario di crescita nei confronti della Germania, e le diverse condizioni dei mercati del lavoro, che si traducono in una minore dinamica dei salari, e in politiche di prezzo piu' prudenti da parte delle imprese italiane. E', in altri termini, una espressione di come i prezzi relativi tendono a reagire alle differenti pressioni dal lato della domanda aggregata, innescando un meccanismo di aggiustamento nei livelli della competitivita' delle imprese. I dati degli ultimi anni sono significativi, in quanto mostrano un differenziale nel tasso di crescita del costo del lavoro di circa il 2% all'anno. Sulla base delle tendenze in corso, e' probabile che tale differenziale si protragga tanto quest'anno quanto il prossimo. L'effetto di tale processo potrebbe essere quello di migliorare la nostra competitivita' di prezzo nei confronti dell'economia tedesca: un abbassamento dei livelli relativi di prezzi e salari migliora difatti la capacita' di esportare. Ma, d'altra parte, un effetto tipico di questo tipo di aggiustamento e' anche quello di procrastinare la fase di relativa debolezza dei redditi delle famiglie e dei nostri consumi.
Un altro degli aspetti significativi della fase ciclica attuale e' rappresentato dal fatto che nelle prime fasi il miglioramento e' stato concentrato, confinato ad alcuni settore e a particolari gruppi di imprese piu' votate all'export. Solo negli ultimi mesi iniziano a emergere segnali di maggiore diffusione della ripresa. Uno dei tratti peculiari di una ripresa legata all'export e' costituito dal fatto che in prima battuta ne beneficiano soprattutto i settori esportatori, quelli cioe' dell'industria manifatturiera. Inoltre, come abbiamo ricordato, all'interno dei consumi delle famiglie, una voce particolarmente dinamica e' rappresentata dagli acquisti di auto.
D'altra parte l'altra componente della domanda che ha avviato una fase di ripresa, quella degli investimenti in macchinari, e' attiva anch'essa. Ne deriva in definitiva che le caratteristiche dell'attuale fase ciclica hanno comportato una divaricazione settoriale, che ha premiato soprattutto l'industria e quei comparti dei servizi che sono attivati a loro volta dal ciclo industriale. Della ripresa hanno invece beneficiato meno i settori dei servizi privati, meno legati al ciclo industriale e piu' direttamente dipendenti dall'andamento dei consumi delle famiglie. Fra questi fa eccezione la filiera del turismo, interessata invece da una crescita relativamente vivace.
Una delle conseguenze di una fase di ripresa legata maggiormente all'industria e' anche che essa tende a essere distribuita in maniera non uniforme fra imprese grandi e di piccola dimensione. Difatti, le imprese esportatrici sono soprattutto imprese grandi. Naturalmente, anche se l'attività di export diretto e' soprattutto una prerogativa delle grandi imprese, e' anche vero che vi sono molte Pmi che tendono a realizzare un export di secondo livello, ovvero producendo intermedi acquistati dagli esportatori. Resta comunque il fatto che nella fase storica attuale la presenza sui mercati internazionali tende a richiedere una dimensione minima relativamente elevata.
Alle differenze legate ai settori di appartenenza e alla dimensione di impresa si accostano poi anche quelle di natura territoriale. In effetti, una ripresa export-led concentrata nell'industria non può che coinvolgere in misura maggiore proprio le Regioni del Nord, caratterizzate da una maggiore base industriale, e solo marginalmente le Regioni del Mezzogiorno, caratterizzate da una minore propensione all'export e da una bassa incidenza dell’industria sul Pil. Su questo punto in realtà va segnalato come nel 2016 l'Istat abbia rilevato alcuni spunti di crescita delle Regioni del Sud, legate soprattutto a una accelerazione dell'industria; questo e' un punto da guardare con attenzione, visto che il Mezzogiorno era stato sino al 2015 l'anello piu' debole della ripresa italiana.

Italiani.coop - 05-03-2018


LOGO


www.impresaoggi.com