Il cibo tra terapia e moda
1. In sintesi
Continua a cambiare la tavola degli italiani: meno carne rossa, grassi e carboidrati. Frutta e verdura diventano centrali nella dieta, mentre si abbandonano progressivamente pasta e pane. Il grande caldo spinge il fatturato della Distribuzione Moderna, soprattutto grazie al contributo di bevande, prodotti freschi e surgelati, mentre nel carrello degli italiani si riaffacciano maggiori quantita'. L'elemento emergente e' dato dal miglioramento qualitativo della spesa delle famiglie. Il 2017 segna sotto questo punto di vista un vero e proprio punto di svolta: si riducono le vendite dei prodotti in promozione e il mix di acquisti si sposta verso prodotti a maggiore valore aggiunto. In linea con le tendenze piu' recenti, il carrello degli italiani si riempie di salute e benessere, mentre continua il boom dell'etnico e si consolida la riscoperta del piatto pronto, grazie al miglioramento del mercato del lavoro che porta a restringere i tempi dedicati alla preparazione, anche in modalita' "food delivery". E' in atto un profondo cambiamento nell'alimentazione come valore e identita': medici e naturopati guidano le scelte di consumo piu' della pubblicita' e il cibo, guidato dai superfood e dagli ingredienti tipici della dieta sirt, diventa sinonimo di prevenzione e terapia. D'altra parte, l'alimentazione tende a seguire sempre piu' la moda e si trasforma nella nuova frontiera del fashion, un modo per esprimere la propria identita' e raccontare se stessi.
2. Cambia la tavola degli italiani
Negli ultimi anni il nostro rapporto con il cibo e' significativamente cambiato. Certamente la diffusione delle tendenze salutiste e l'attenzione all'ambiente, la consapevolezza del legame tra l'alimentazione e il rischio di patologie esiziali, la scoperta di sapori nuovi e il riadattamento di materie prime antiche, l'ingresso delle tecnologie nei processi di produzione e la "globalizzazione" delle culture alimentari sono tutti elementi che hanno contribuito al ripensamento delle scelte alimentari degli italiani. In questo senso, confrontare l'evoluzione della dieta alimentare di oggi rispetto a quella degli ultimi decenni permette di comprendere la direzione di questo mutamento e offre numerosi spunti per descrivere piu' complessivamente i grandi trend sociali e culturali del nostro Paese. Innanzitutto, in termini di apporto calorico, i consumi attuali pro capite valgono poco meno di 3.600 chilocalorie giornaliere, circa il doppio del reale fabbisogno suggerito dai nutrizionisti, un valore che risulta il piu' elevato d'Europa alle spalle degli Stati Uniti: un livello simile a quello registrato negli anni novanta ma gia' in riduzione rispetto ai massimi toccati nei primi anni duemila (-1,3%).
Complice la preferenza per l'acquisto di cibi elaborati o pronti, si riducono le quantita' assunte: 2,7 chilogrammi al giorno a persona, in flessione di circa 350 grammi rispetto a venti anni fa.
Ancora piu' significativo e' l'andamento delle quantita' relative ad alcune sostanze nutritive: i grassi, ad esempio, sono in via di ridimensionamento, a suggerire la crescente preferenza per una dieta equilibrata e bilanciata. Secondo le informazioni della FAO, mangiamo circa 150 grammi di grassi al giorno, il 2% in meno in confronto al 2010 ma pur sempre il 13% in piu' in confronto agli anni ottanta. Piu' stabile il consumo di proteine, che hanno parimenti ceduto terreno seppur in misura meno pronunciata: il progressivo allontanamento dalla carne e' stato infatti compensato da un maggiore ricorso a tavola dei legumi, anch'essi ricchi di proteine.
A tal proposito, giova rimarcare che il cambiamento piu' radicale si rintraccia proprio nei consumi di carne: secondo le ultime statistiche disponibili, per la prima volta dal dopoguerra i consumi di carni bianche hanno raggiunto in quantita' quelli di carni rosse. Alcuni dati fotografano la portata del fenomeno: le quantita' consumate di carni bovine hanno ceduto il 30% rispetto agli anni Ottanta, mentre quelle di pollo sono cresciute, beneficiando di un tipico effetto di sostituzione. Oggi si mangiano circa 50 grammi al giorno di carni bianche e altrettanti di carni rosse: trenta anni fa si mangiavano circa
20 grammi al giorno di carni rosse in piu', l'equivalente di 7 chilogrammi in piu' all'anno.
Un altro elemento fondamentale e' quello che riguarda la centralita' che nell'alimentazione ha assunto il consumo di frutta e verdura (+10% in confronto agli anni Sessanta). Alcune indagini qualitative hanno inoltre documentato la diffusione di nuove modalita' di consumo di frutta e verdura: insieme alla penetrazione degli stili vegetariani e vegani, giova sottolineare che e' rapidamente cambiato il loro valore nell'alimentazione e nella dieta degli italiani. La frutta, ad esempio, e' passata dall'essere il dessert, il piatto di chiusura del pasto all'ingrediente ideale per lo spuntino di meta' mattina o la merenda del pomeriggio, mentre la verdura e' stata oggetto di una evoluzione che l'ha portata ad essere un piatto unico per pranzo o cena in luogo del semplice contorno, dell'accompagnamento alla portata principale. La diffusione di stili alimentari piu' salutari e' abbastanza trasversale: l'assunzione di bevande alcoliche, altro prodotto segnaletico, e' oggi scesa a meno della meta' rispetto agli anni Settanta. Un discorso a parte lo merita il piatto piu' tipico della nostra cucina, la pasta, dato che molte diete che attualmente vanno per la maggiore sconsigliano l'assunzione di una eccessiva dose di carboidrati. Secondo le stime della Coldiretti, ogni italiano consuma 24 kg di pasta all'anno (quasi 70 grammi al giorno), una quantita' tre volte superiore a quella di uno statunitense, di un greco o di un francese, cinque volte superiore a quella di un tedesco o di uno spagnolo e venti volte superiore
a quella di un giapponese. Nel corso del tempo il consumo del primo piatto si e' fatto via via meno frequente, sostituito dal riso, alimento a elevata digeribilita' di cui gli italiani apprezzano la versatilita' (primo piatto o piatto unico, caldo o freddo, da tavola o take away).
Un discorso simile vale per l'altra presenza irrinunciabile sulle tavole degli italiani: il pane. Secondo la Coldiretti, i consumi di pane si sono praticamente dimezzati negli ultimi dieci anni ed hanno oggi raggiunto il minimo storico con appena 85 grammi a testa al giorno per persona rispetto a 1,1 chili che gli storici raccontano essere la razione quotidiana media ai tempi dell'Unita' d'Italia, nel 1861. Conteggiando insieme pane, pasta e i prodotti a base di cereali, si stima una riduzione delle quantita' superiore al 15% negli ultimi quarant'anni.
3. In ripresa i consumi alimentari.
Avviato a cavallo tra il 2013 ed il 2014, il recupero dei consumi alimentari e' proseguito anche nel 2017. Il miglioramento della congiuntura delle famiglie ha certamente inciso positivamente sull'andamento della domanda interna: la progressione
del reddito disponibile ha finalmente sostenuto la domanda alimentare, dopo aver contribuito a dare nuovo vigore alla componente dei beni durevoli.
Se l'analisi dei consumi Istat restituisce per il 2016 un aumento a valori reali pari allo 0,7%, le informazioni disponibili per il 2017 suggeriscono un ulteriore progresso. Dal punto di vista delle vendite, la prima meta' del 2017 si e' infatti chiusa con un andamento di segno positivo: considerando il totale del mercato Italia, comprensivo dei punti vendita della Gdo e degli esercizi specializzati del commercio tradizionale (panetterie, macellerie, pescherie, fruttivendoli), il miglioramento dei fondamentali ha determinato una espansione delle vendite a valore in una misura prossima al 2,4%.
Questo risultato sul primo semestre e' figlio di un complesso di fattori, in parte strutturali e in parte estemporanei, ed e' certamente destinato a ridimensionarsi nel bilancio a fine anno. Al progresso del potere d'acquisto si e' affiancato il sostegno offerto dall'anomalia del clima: prima il freddo e le gelate invernali hanno colpito duramente le produzioni a pieno campo
delle Regioni del Mezzogiorno (Puglia e Campania su tutte) e causato una impennata dei prezzi dei generi ortofrutticoli (con un impatto esacerbato anche dal confronto con la mitezza del precedente inverno 2016), quindi le elevate temperature primaverili e estive hanno favorito un aumento del consumo di prodotti freschi e di bevande.
Le statistiche relative al primo semestre dell'anno fotografano la portata di questo sostegno alle vendite: complice un pronunciato effetto prezzo, la crescita rispetto ad un anno fa e' infatti pari all'8% a valore per gli ortaggi ed al 6,5% per la frutta. Circoscrivendo l'analisi al perimetro della distribuzione commerciale, la crescita della spesa alimentare ha contribuito a sostenere il fatturato dei punti vendita (+1,7%) e a compensare l'arretramento delle vendite di prodotti non alimentari (-2,7%).
Piu' in dettaglio, per quel che riguarda i reparti del Largo Consumo Confezionato, la progressione dei fatturati e' coerente con un aumento significativo delle quantita'. Lo spaccato merceologico mette in evidenza come la ripresa dei volumi abbia interessato tutti i raggruppamenti di prodotto: crescono in misura importante i volumi dei prodotti freschi, al traino
dello spostamento delle preferenze dei consumatori verso le confezioni a peso imposto, nel desiderio di contenere gli sprechi (si legge in questi termini il boom delle carni, dei salumi e dei formaggi, cui giova il maggiore ricorso alle vaschette, piu' pratiche all'acquisto e al consumo).
L'anticipo del grande caldo nella tarda primavera, insieme alla praticita' ed alla lotta allo spreco, sono anche alla base della crescita delle vendite di surgelati (+5% a volume), e tra questi soprattutto di quelli a base di frutta e verdura: ortaggi e frutta sono infatti la componente piu' deperibile della spesa e il ciclo del freddo sembra offrire una risposta efficace ed economica per minimizzare le eccedenze. Il recupero delle quantita' e' apprezzabile anche tra i prodotti confezionati (+0,7%), un indicatore particolarmente attendibile dal momento che esso raggruppa tutti i prodotti a piu' alta frequenza di acquisto, con un contributo determinante esercitato da pane e pasta senza glutine, sughi pronti e piatti etnici. Infine, per quel che concerne il formato distributivo, il fenomeno che si rintraccia riguarda l'andamento divergente tra il commercio tradizionale e la Distribuzione Moderna: il complesso degli esercizi del commercio al dettaglio (panetterie, macellerie, fruttivendoli, pescherie) sperimenta un calo del fatturato e delle quantita' vendute. Una performance poco lusinghiera se si tiene conto che e' stata conseguita in un contesto in cui tutti i fondamentali (recupero dei redditi e incremento
dell'occupazione) hanno puntato nella direzione di un sostegno agli acquisti.
La distribuzione commerciale, d'altra parte, in ragione di una offerta piu' ampia e profonda, oltre che della sua capacita' di innovare, continua a raccogliere le preferenze dei consumatori. Contrariamente al recente passato, il recupero e' trasversale ai diversi formati: prosegue la crescita del fatturato del discount (+3,7% a valore, +3,5% in volume) e degli specialisti drug (+4,3% e +5,8%), capaci di intercettare le preferenze di quella fetta di consumatori che resta interessata al risparmio e allo stesso tempo a un'ampia scelta assortimentale. Tengono supermercati e superstore, ma soprattutto si assiste alla riscoperta dell'ipermercato, oggetto di un incremento superiore al punto percentuale sia in termini di giro d'affari che di quantita' vendute.
4. Il dettaglio dei reparti.
L'alimentare confezionato
Con un giro d'affari vicino a 11 miliardi nel primo semestre del 2017, l'alimentare confezionato e' protagonista di una performance positiva che beneficia di un aumento dei volumi di vendita rispetto ai primi sei mesi del 2016 in una misura prossima al punto percentuale. L'aggregato in esame può essere a buon diritto considerato come la proiezione piu' fedele degli stili e delle tendenze alimentari che si sono andati consolidando nelle fasi piu' recenti: va interpretato in questi termini, ad esempio, lo spostamento delle preferenze dei consumatori verso le specialita' etniche (+8% in quantita' e +7% in valore), in particolare per la cucina cinese e messicana. Lusinghiera anche la performance dei prodotti dietetici: l'avanzamento dei fatturati e dei volumi e' rispettivamente pari al 6,9% e al 7,4% e, coerentemente con l'interesse degli italiani per il benessere, crescono in buona misura frutta secca e legumi con variazioni di segno positivo rispetto alla prima meta' dello scorso anno (+8%). Continua in questo contesto il boom di acquisti di semi (sesamo, lino, girasole), frutta e vegetali secchi e disidratati, particolarmente apprezzati nelle diete per le loro proprieta' benefiche. Ricchi di enzimi, vitamine, minerali e fibre, ad essi e' riconosciuto un importante ruolo preventivo contro tumori e patologie cardiovascolari. I consuntivi relativi al primo semestre dell'anno documentano una preferenza per noci, mandorle, nocciole e per la frutta disidratata che in quantita' crescono a ritmi compresi tra il 16% ed il 28%. Incremento particolarmente accentuato (circa il 5% in quantita') per i condimenti per la pasta, che garantiscono maggiore efficienza nei tempi di preparazione domestica: tale fenomeno sembrano documentare il recupero del filone del pronto che va di pari passo con il miglioramento del mercato del lavoro. Si conferma d'altra parte il ritorno a una forma di consumo di tipo edonistico, quello del fuori pasto: nel carrello delle famiglie si riaffacciano snack al mais e al formaggio (+5,8%) e patatine (+5,6%) una forma di consumo di impulso che negli anni della recessione aveva ceduto il passo ad un approccio piu' morigerato ed essenziale. A conferma di una dieta sempre meno cerealo-centrica, diminuiscono infine le quantita' relative ad alcune merceologie tipiche della dieta mediterranea, come la pasta, mentre crescono a ritmi sostenuti quelle integrali, a base di farro e senza glutine, cosi' come risultano particolarmente positivi i risultati dei sostitutivi del pane: gallette, cracker e taralli riscuotono crescenti consensi tra i responsabili della spesa.
Il freddo
Le vendite di prodotti gelati e surgelati sperimentano nei primi sei mesi del 2017 un recupero delle quantita' pari a 5 punti percentuali, grazie soprattutto all'anticipo della stagione piu' calda: il giro d'affari complessivo e' stato pari a 1,6 miliardi di euro nel periodo gennaio-giugno 2017. In questo contesto positivo, alcuni ambiti di spesa hanno mostrano una maggiore vitalita': tra questi spiccano le vendite di gelati (+12% per le confezioni multipack e +8% per le vaschette), favorite da temperature mediamente piu' elevate rispetto allo stesso periodo del 2016. Aumentano le vendite delle referenze surgelate, un tipo di preparazione che i consumatori hanno imparato ad apprezzare ed a considerare equivalente ai prodotti freschi: particolarmente lusinghieri, sia in termini di volume che di fatturato, i risultati messi a segno nel primo semestre dell'anno da pane e prodotti panificati (+25,6% in quantita') e dalla pizzeria (+7,1%). La crescente attenzione alla salute continua a guidare anche le scelte tra i banchi surgelati: si tratta di un fenomeno trasversale, che ha beneficiato dell'introduzione nelle corsie nei punti vendita delle linee piu' performanti dell'intero assortimento, soprattutto nei formati a minore contenuto di servizio. Si spiega anche in questi termini l'incremento dei volumi venduti di surgelati senza glutine che mettono a segno un incremento delle quantita' di circa il 30% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Seguono gli ortaggi surgelati: patate, piselli, spinaci, ma anche verdure grigliate miste crescono a ritmi compresi tra il 6% ed il 12%.
Il fresco confezionato
Pur perdendo il ruolo di traino sull'intero assortimento che aveva esercitato lo scorso anno, il reparto del fresco confezionato sperimenta un progresso rispetto ai ritmi registrati nel primo semestre del 2016: il fatturato e' cresciuto del 3,8%, mentre le quantita' si fermano poco sopra il punto percentuale. Diverse sono le ragioni alla base di questa tendenza, a partire da una ricomposizione dell'offerta distributiva (si continua ad assistere ad un effetto sostituzione tra i banchi serviti del freschissimo e quelli a peso imposto senza personale dedicato), cui si somma uno spostamento dei comportamenti dei consumatori verso l'acquisto di prodotti in confezione, in grado di garantire allo stesso tempo maggiore praticita', minore deperibilita' ed un significativo contenimento degli sprechi. Non meno rilevante e' stata l'attenzione riservata dalle private label alle merceologie confezionate fresche, un cambiamento di strategia commerciale che si e' concretizzato in un ampliamento delle superfici e delle quote assortimentali. Il tenore delle variazioni che si colgono scorrendo il dettaglio delle voci in esame e' esemplificativo dell'evoluzione della dieta degli italiani. Tenuto conto del valore del giro d'affari, a marcare le performance migliori risultano nello specifico salumi e formaggi, che nei primi sei mesi del 2017 hanno complessivamente movimentato circa il 50% dell'intero fatturato del reparto. Nonostante la diffusa riduzione dei consumi di carne, gli affettati in vaschetta confermano la loro capacita' di soddisfare le esigenze di un consumatore sempre piu' informato, consapevole ed interessato al contenuto di servizio. Non e' un caso che a far registrare il progresso piu' ampio siano i salumi piu' magri come arrosti e bresaola. Medesima evidenza per tutti i formaggi a fette, gia' pronti all'uso nelle preparazioni domestiche. Nell'ambito dei latticini e' opportuno menzionare come siano stati oggetto di un marcato incremento i sostitutivi del latte vaccino, come quello ad alta digeribilita' e quelli vegetali (soia), cosi' come yogurt greco e funzionali. Due andamenti, differenziati per segno, contribuiscono a delineare il quadro del reparto: cresce la pasta fresca e ripiena, a suggerire che e' in atto un ripensamento della dieta di base in chiave gourmet, mentre perdono terreno estratti e frullati a favore di succhi freschi.
Le bevande
L'andamento delle bevande segna un cambio di passo importante nella prima meta' del 2017: contrariamente agli anni precedenti, si evince un apprezzabile recupero che va ricondotto sia all'anomalia climatica della prima meta' del 2017 sia all'orientamento della spesa degli italiani verso forme di consumo piu' voluttuarie ed edonistiche. Osservando l'andamento delle vendite, la crescita supera il 4% sia in termini di fatturato che di volumi. Ciò premesso, l'esame del dettaglio merceologico restituisce evidenze positive per tutte le categorie ad eccezione dei liquori: a progredire sono soprattutto i consumi di acqua (+9,5% a volume), in particolare nei formati di medie dimensioni di 1-1,5 litri. Medesimo percorso anche per le birre con un incremento dell'8% in quantita', concentrato nello specifico di alcune nicchie di mercato che hanno fatto la loro comparsa negli scaffali della Distribuzione Moderna (birre bionde, rosse e trappiste, forti di un incremento in quantita' superiore al 25%). Migliorano nel contempo anche le vendite delle referenze a maggiore valore unitario come champagne e spumanti in virtu' di un ormai consolidato fenomeno di passaggio degli acquisti dagli esercizi specializzati quali cantine ed enoteche alla grande distribuzione.
La cura degli animali
Il mercato di prodotti e accessori per gli animali, che complessivamente vale oltre 600 milioni di euro in un semestre e oltre un miliardo all'anno, continua a registrare performance di mercato positivi: il giro d'affari e' dato in aumento di due punti e mezzo percentuali, in misura prevalente in ragione di un aumento delle quantita' vendute, in parte compensato da una flessione del costo della spesa sostenuto alla cassa dai consumatori. Performance apprezzabili in quantita' soprattutto per la categoria del pet care relativa agli animali diversi dai tradizionali animali da compagnia (+16% in quantita').
I prodotti per la cura della casa
Le merceologie destinate alla pulizia degli ambienti domestici si caratterizzano per un andamento positivo dei volumi venduti, ma tale avanzamento e' piu' che compensato da una riduzione del costo della spesa alla cassa che ha quindi determinato una variazione negativa del fatturato (-0,7% rispetto al primo semestre del 2016). La discesa dei prezzi, che per portata e dimensioni rappresenta la piu' accentuata dell'intero assortimento, e' determinata dall'ampliamento del ricorso alla politica commerciale dell'offerta e della promozione da parte degli operatori e dalla crescente concorrenza esercitata dagli esercizi specializzati (i cosiddetti "specialisti drug"), che al contrario continuano a mettere a segno risultati di tutto rilievo. Per quel che concerne l'andamento dei volumi di vendita (ponderati per l'incidenza di ciascuna categoria sul fatturato totale), il recupero in atto e' compreso tra il 6,2% riferito ai detergenti per la pulizia dei pavimenti e lo 0,2% degli articoli usa e getta (stoviglie di plastica, tovaglioli di carta).
I prodotti per la cura della persona
Archiviata una prolungata fase di flessione, l'area merceologica dell'igiene personale ritorna in territorio positivo in termini di giro d'affari (+0,2% la variazione in confronto al primo semestre 2016), sostenuto da un recupero delle quantita'
nell'ordine del punto percentuale. Scorrendo il dettaglio merceologico, emergono andamenti differenziati per segno ed intensita': marcano i risultati piu' interessanti alcune merceologie quali prodotti per il corpo (+9,2% in quantita'), seguiti da quelli per il viso (4,7%) e l'igiene personale (3,1%), in linea con l'ormai consolidato passaggio di testimone da profumerie e farmacie in favore dei punti vendita della grande distribuzione.
5. Le molte italie del cibo
La spesa alimentare, al pari di molte altre aree del consumo, sperimenta marcate differenze da Nord a Sud, scendendo lungo l'asse dello stivale. L'assunzione di cibo e' infatti influenzata da una pluralita' di variabili: abitudini, gusti e preferenze per l'autoproduzione e l'autoconsumo tendono a spiegare larga parte degli scostamenti che sono rinvenibili nelle statistiche sulla spesa. Una prima dimensione di analisi, che racchiude e sintetizza numerosi aspetti culturali, ha a che vedere con l'appartenenza geografica: misurato in termini relativi come incidenza sul totale, il budget destinato a cibo e bevande nelle Regioni del Sud risulta piu' elevato rispetto a quelle del Centro e del Nord Italia. Nel Mezzogiorno, dove il costo della vita e' tipicamente piu' contenuto, si spendono in media 461 euro al mese per soddisfare il fabbisogno alimentare di una famiglia, 8
euro in meno rispetto a coloro che risiedono nelle Regioni del Nord-Ovest.
Piu' nel dettaglio, la Valle d'Aosta si conferma la Regione con il livello di spesa piu' elevato (548 euro/mese), seguita da Piemonte (522 euro) e Campania (498 euro). All'opposto, la Regione dove si spende meno in alimentazione e' la Calabria (385 euro), a seguire Abruzzo (396 euro) e Lazio (400 euro).
Diversa e' anche la composizione della tavola alle diverse latitudini, se si considera che ciascuna area geografica ha le sue peculiarita' in termini di abitudini di acquisto: al Nord, ad esempio, si comprano piu' latte e formaggi, al Centro e' massima la quota di frutta e verdura (23,8%), al Sud e nelle Isole e' piu' elevata quella dei prodotti ittici (poco meno del 10%). Insieme ai gusti e all'area geografica di appartenenza, il regime di spesa alimentare e' influenzato dal numero di componenti del nucleo familiare. In termini di spesa pro capite, un "single" mediamente si trova a spendere molto di piu' rispetto
a una famiglia piu' numerosa, circa 291 euro al mese, contro i 225 euro di una coppia, i 180 euro di una famiglia composta da tre elementi e i 147 euro di una da quattro. In termini tecnici, si assiste al fenomeno delle "economie di scala": al crescere del numero dei componenti della famiglia, il costo della spesa pro capite tende a ridursi. Superato un certo numero di individui, individuabile nella soglia delle quattro persone, i rendimenti diventano decrescenti, fino a situazioni di famiglie cosi' numerose da avere un risparmio quasi nullo se si aggiunge un ulteriore componente al nucleo familiare. La ragione di questo fenomeno va cercata nell'adozione di una ampia gamma di strategie di risparmio, a partire dall'acquisto di confezioni di maggiori dimensioni a costi piu' contenuti. In proporzione, il risparmio marginale piu' elevato si verifica nel passaggio fra il single e la coppia: si tratta di un minore esborso mensile pari a 66 euro a testa, mentre fra la coppia e la famiglia con tre componenti si attesta a 45 euro.
Anche la nazionalita', infine, gioca un ruolo importante nella valorizzazione dei consumi alimentari: nell'anno del dibattito sullo "ius soli" in Italia, vale la pena sottolineare come l'incidenza della spesa alimentare sul totale e' superiore nel caso delle famiglie straniere rispetto a quella delle famiglie italiane (21% contro 17%).
Inevitabilmente, a condizionare la composizione della spesa alimentare e' anche la situazione economica delle famiglie, cioe' la disponibilita' reddituale del nucleo familiare. Un esercizio sui dati dell'ultima indagine dell'Istat sulla spesa per consumi delle famiglie consente di offrire una misura del fenomeno: il 10% di famiglie con la spesa alimentare piu' bassa destina all'alimentazione 295 euro al mese, mentre il 10% di famiglie a maggiore capacita' di acquisto spende circa il doppio (circa 600 euro al mese). La composizione della spesa e' chiaramente differente: gli alto spendenti tendono a incarnare stili piu' coerenti con le tendenze "emergenti", consumando piu' pesce e piu' frutta, meno carne, pasta e pane, latte e latticini.
L'analisi in serie storica dei consumi delle famiglie alto spendenti consente altresi' di avere una quantificazione del fenomeno in atto, a partire dalla spesa in ortaggi e legumi, la cui incidenza sul totale e' cresciuta di quasi 4 punti percentuali negli ultimi dieci anni (dal 9% al 13%). Un andamento bilanciato dal ridimensionamento di altre componenti della spesa: l'incidenza sulla spesa delle carni e' scesa in dieci anni di due punti percentuali (dal 21,6% al 19,8%), quella dei dolci di ben quattro punti percentuali (dall'11 al 7%) e quella degli oli e grassi di quasi un punto percentuale (dal 4,2% al 3,4%).
6. Bio, integrale, pronto e di lusso: ecco il cibo che piace agli italiani
Una spesa piu' varia, ricca e multietnica, con un occhio alla comodita' e alla praticita' della preparazione e uno alla salute, anche a scapito del portafoglio: nel corso della prima meta' del 2017 gli acquisti delle famiglie manifestano chiari segnali di consolidamento intorno ai valori e agli attributi che hanno qualificato le tendenze emergenti negli anni recenti. Il miglioramento della salute dei bilanci familiari e la piu' ampia partecipazione al mercato del lavoro, insieme a una maggiore attenzione alla qualita' dei prodotti e alle caratteristiche degli ingredienti, si rispecchiano nelle preferenze di spesa che gli italiani esplicitano al momento dell'acquisto. Raggruppando infatti tutte le referenze presenti in assortimento in "carrelli della spesa", ovvero in linee merceologiche omogenee per caratteristiche funzionali, e' possibile effettuare una valutazione dei fenomeni.
Il primo elemento che merita attenzione ha a che vedere con l'arretramento del carrello degli "ingredienti di base", giunto nel 2017 al sesto anno consecutivo di flessione: si tratta di tutti i prodotti fondamentali della dieta mediterranea tradizionale (pasta secca, passata di pomodoro, latte, olio di oliva, riso, legumi) che tendono a conciliarsi con difficolta' ai tempi della preparazione del cibo, al piacere di sperimentare alimenti nuovi, alla necessita' di variare con piu' frequenza la dieta e di aderire a stili alimentari diversi dal passato. A crescere in misura piu' accentuata e' il carrello del "lusso" (+8% in volume nel primo semestre dell'anno), ovvero quello che include i prodotti a maggiore valore unitario (filetti di pesce, funghi, caffe' in capsule, vini doc e spumanti): una tendenza coerente sia con la presenza di vincoli di bilancio meno stringenti per le famiglie, sia con la crescente rilevanza dell'alimentazione come nuova frontiera del lusso (le preferenze si orientano piu' frequentemente verso i prodotti "made in Italy" e quelli a marchio certificato Dop, Doc e Igp). Insieme ai prodotti con un piu' elevato contenuto qualitativo, mostrano un consolidamento anche il carrello dell'etnico e quello del pronto, in crescita nei primi sei mesi dell'anno in una misura pari al 6,9%. Da una parte, il contributo degli immigrati e il piu' ampio fenomeno di globalizzazione dei consumi ha determinato una contaminazione con culture culinarie straniere: tra gli altri, si e' registrato un aumento del consumo di sushi, cous cous, kebab, bistecca algerina e jamon iberico (secondo l'agenzia National Restaurant Association, nel 2017 crescera' sensibilmente il consumo di alimenti provenienti dal continente africano). Dall'altra, recuperano posizioni nelle preferenze dei consumatori i piatti a maggiore contenuto di servizio (zuppe, risotti, preparati e condimenti), merceologie in grado di rispondere all'esigenza di abbreviare i tempi della preparazione dei pasti tra le mura domestiche (tipicamente i piatti pronti sono oggetto di performance positive nelle fasi di miglioramento del mercato del lavoro).
Si conferma d'altra parte il successo del filone del benessere (+5%), che insieme a quello del servizio, spiega circa la meta'
dell'aumento dei volumi registrato nella prima meta' del 2017. In particolare, per la componente del benessere i maggiori incrementi si sono registrati nelle vendite dei prodotti senza glutine, mentre per quanto riguarda il segmento del servizio sono stati i tramezzini e le zuppe pronte a determinarne l'aumento piu' consistente.
Il gradimento dei consumatori per queste merceologie si coglie a chiare lettere dall'analisi dei top e bottom performer delle vendite totalizzate nei primi sei mesi dell'anno presso i punti vendita della Distribuzione Moderna. L'esame dei micro dati consente infatti di cogliere un apprezzabile effetto sostituzione, uno spostamento verso le varianti piu' salutari dei prodotti della tradizione: cede terreno, ad esempio, il consumo di latte fresco in favore di quello ad alta digeribilita', cosi' come quello delle uova da galline allevate in batteria a favore di quelle a terra. Il pasto piu' colpito dai trend emergenti e' certamente la colazione: in poco piu' di quattro anni i prodotti classici della prima colazione (latte, biscotti e merendine) hanno subito un ridimensionamento del fatturato del 10% a favore di bevande vegetali ed alta digeribilita', yogurt magro e greco, fette biscottate e biscotti arricchiti di vitamine. Rientra in questa tendenza anche l'affermazione del biologico e del consumo di prodotti di origine locale, per il quale gli italiani nutrono una vera e propria passione (con una incidenza pari rispettivamente al 40% e al 70% dei consumatori, siamo i primi in Europa per preferenza di acquisto). In termini di valore di mercato, il giro d'affari messo a segno dal biologico nel corso dei primi mesi dell'anno si e' portato in prossimita'
del miliardo e mezzo di euro, con una crescita a doppia cifra (+16%).
Medesimo discorso vale per alcune specifiche categorie di referenze, come i prodotti integrali (+4,8%) o ancora quelli che abbiamo definito come i "prodotti con" (con omega 3 e con fibre) e soprattutto come i "prodotti senza": senza lattosio (+3%), senza glutine (+16,8%), olio di palma e zuccheri aggiunti.
7. Piu' valore nel carrello degli italiani.
Archiviate le paure e le "reazioni scomposte" della recessione, i consumatori italiani hanno continuato ad affinare i comportamenti di spesa e le priorita' di acquisto alla ricerca di un sempre migliore equilibrio tra qualita' dei prodotti e sostenibilita' per i bilanci domestici, inaugurando una nuova fase di consumo.
L'elemento che meglio descrive il cambiamento in atto e' certamente l'interruzione del fenomeno del downgrading della spesa: tale indicatore misura la distanza tra l'andamento dei prezzi di listino e la variazione del reale costo della spesa sostenuta dalla famiglie, quantificando in questo modo lo sforzo compiuto dalla famiglie per neutralizzare l'impatto dell'aumento dei prezzi sui bilanci familiari e far quadrare i conti. Il downgrading e' dunque una sintesi della magnitudo di quel complesso di strategie orientate al risparmio messe in campo dalle famiglie: lo spostamento degli acquisti verso prodotti a prezzo piu' basso, il maggiore ricorso alle promozioni ed ai canali distributivi a minore contenuto di servizio, la lotta allo spreco alimentare e la riduzione delle quantita' acquistate. Posto in altri termini, esso rappresenta la misura del depauperamento o, viceversa, del miglioramento qualitativo del carrello della spesa. Una lettura storica del downgrading e' cosi' un modo per raccontare l'evoluzione della situazione economica delle famiglie italiane, una prospettiva diretta perche' legata al vissuto quotidiano delle persone. Volendo ricostruire il fenomeno su un arco temporale sufficientemente ampio, e' scontato ricordare che gli ultimi dieci anni sono stati segnati dal perdurare della lunga recessione, che ha impattato sul comportamento dei consumatori, rendendoli piu' prudenti e razionali. Dall'avvio della crisi le famiglie italiane hanno escogitato una serie di espedienti per conseguire il migliore equilibrio tra gusto della tavola e sostenibilita' della spesa. La prima risposta, per il periodo che arriva fino al 2011, e' stata la piu' semplice e immediata, in qualche misura anche la piu' conservativa: continuare a frequentare i medesimi punti vendita, acquistando gli stessi prodotti di sempre ma affidandosi alle offerte ed alle promozioni. Al piu' iniziando a scoprire, piu' per necessita' che per scelta consapevole, i prodotti a marchio del distributore, in grado di garantire un elevato livello di qualita' ma a un prezzo piu' contenuto. ”
Nel biennio 2012-2013, coerentemente con la fase piu' acuta della crisi (a quell'epoca lo stato di salute dell'economia era molto peggiorato: la disoccupazione era cresciuta, determinando una forte caduta del reddito disponibile), l'intensita' del downgrading ha toccato il suo massimo, al punto che il cambiamento delle abitudini e delle preferenze ha contribuito a far risparmiare agli italiani una misura pari al 2% della spesa.
In quegli anni la ricerca del risparmio si e' fatta piu' drammatica: insieme ad una attenzione spasmodica per gli sconti, i consumatori hanno iniziato a ridurre significativamente le quantita' acquistate anche mediante una lotta senza quartiere allo spreco alimentare e, da ultimo, molti italiani hanno scelto sistematicamente il discount. E' stato quello il momento della rinuncia, una scelta estrema che ha rappresentato una vera e propria rivoluzione per un Paese che del cibo e della buona tavola ha sempre fatto un elemento di identita' culturale e valoriale. La prima attenuazione di questi fenomeni ha avuto luogo nel 2014, anno che segna l'avvio di una transizione verso un paradigma nuovo: il rasserenamento delle condizioni economiche di base ha restituito fiducia a un consumatore ormai disincantato. Quelle che erano le cicatrici lasciate dalla recessione hanno finito per diventare i nuovi tratti distintivi del consumo: nel 2014 per la prima volta da diversi anni si ridimensiona la caduta dei volumi, mentre i piu' costosi prodotti della marca industriale riescono a mettere a segno un primo significativo recupero e i prodotti a marchio del distributore avviano un processo di riqualificazione.
Nel 2015 e nel 2016 la situazione continua a migliorare: tornano a crescere le quantita' acquistate e si assiste al consolidamento di alcune delle tendenze. In una fase in cui la rete commerciale e' oggetto di razionalizzazione e le superfici deputate alla vendita si stabilizzano, il vincitore indiscusso e' il discount, che ancora oggi continua a esercitare un forte richiamo sui consumatori grazie a una offerta tutta incardinata su un livello medio dei prezzi piu' favorevole. Questo processo evolutivo giunge alla svolta nel 2017, quando per la prima volta l'indicatore del downgrading evidenzia i primi timidi segnali di inversione di rotta: il depauperamento diviene (piccolo) incremento del valore del carrello. Insieme al contenimento dell'inflazione di listino giova il progresso del potere d'acquisto e anche la consapevolezza dell'importanza di una sana e equilibrata alimentazione: un approccio alla spesa finalmente piu' sereno e meno apprensivo, che contempla
anche qualche sporadico strappo alla regola per il soddisfacimento del palato. Le statistiche sulle promozioni confermano questa lettura sulla centralita' della qualita' nella fase di acquisto: rispetto al 2016, la pressione promozionale, misurata come quota delle vendite che originano da specifiche politiche commerciali sul totale dell'assortimento, e' scesa di circa mezzo punto percentuale, passando dal 31% al 30,6%.
L'attenzione dei consumatori italiani nei confronti della qualita' dei prodotti emerge anche nel confronto internazionale. Il nostro Paese può vantare un primato invidiabile, dal momento che gli italiani sono i primi in Europa per la ricerca di prodotti di qualita': il 70% dichiara di essere disponibile a sostenere un costo addizionale per acquistare un prodotto con maggiore contenuto qualitativo, una propensione che risulta del 20% piu' elevata in confronto ai francesi. Del resto, in Italia il buon cibo e' quasi una religione, oltre che il principale elemento di identita' nazionale: secondo una indagine del Censis, piu' del 90% delle persone ritiene di avere una conoscenza approfondita della materia alimentazione, di parlarne con piacere e di provare emozioni nel cucinare e mangiare. A prescindere dall'eta' e dal sesso, sembra inoltre assodato che ad orientare le scelte dei consumatori sia proprio la "reputazione" di un prodotto in termini di qualita' percepita: per 3 italiani su
10 si tratta di una variabile piu' importante del prezzo e per ulteriori 5 su 10 assume il medesimo valore all'atto di acquisto. Nelle fasi piu' recenti la qualita' e' diventata sinonimo di sicurezza, oltre che di proprieta' organolettiche e di gusto: il 56,4% dei consumatori legge in modo quasi maniacale le etichette dei cibi, il 71,4% e' sensibile a questo tema, il 40% si informa sul cibo perché teme le frodi, il 24% lo fa perché vuole essere certo di acquistare prodotti piu' controllati.
8. Il cibo diventa terapia
"Fa' che il cibo sia la tua medicina e che la medicina sia il tuo cibo": con queste parole circa 2.500 anni fa Ippocrate, padre della medicina moderna, suggellava il rapporto indissolubile fra salute e alimentazione. Oggi il benessere e' certamente uno dei fattori che guidano il cambiamento degli stili di vita: la scelta del cibo da consumare tende a seguire una nuova gerarchia, che non guarda piu' esclusivamente al gusto o alla convenienza come avveniva in un recente passato. Secondo un'indagine Gfk, piu' di un italiano su due indica la salute ai primi tre posti fra i criteri che impattano sulla scelta di acquisto di un alimento, prima del risparmio e delle proprieta' organolettiche.
Facendo un confronto internazionale, in Francia, Gran Bretagna e Germania il 60-65% della popolazione si propone un cambio di rotta nella dieta alimentare, mentre in Italia la stessa percentuale e' pari al 75%. Una ricerca dell'Universita' di Siena mostra come i giovani seguano questa stessa linea: 8 su 10 vorrebbero seguire un regime alimentare piu' sano, nonostante il 64% degli intervistati ritenga gia' di seguire una dieta salutare. Giovani, adulti, italiani e stranieri: il comune denominatore e' la ricerca di un grado ancora piu' elevato di salubrita' nel proprio regime alimentare. Anche nelle intenzioni, gli italiani non si smentiscono: secondo una ricerca Nielsen, il 40% si propone di mangiare piu' frutta e verdura nei prossimi 12 mesi, mentre un italiano su tre ha in proposito di ridurre i consumi di dolciumi, alimenti zuccherati e cibi ricchi di grassi saturi. C'e' poi chi punta anche alla quantita', impegnandosi a ridurre le porzioni consumate. Insomma la volonta' di cambiare i propri stili alimentari e' un vero "trending topic".
Sempre piu' salutisti e attenti al cibo che consumano, gli italiani hanno scoperto i cosiddetti "cibi terapeutici" che includono superfood, alimenti tipici della dieta sirt (ricca di sirtuine, regolatori metabolici che controllano la capacita' di bruciare i grassi e restare in buona salute), ma anche prodotti piu' tradizionali e noti al grande pubblico come yogurt greco, salmone, fagioli che attualmente valgono quasi 4,5 miliardi e crescono del 5% all'anno, il doppio del mercato. Che si tratti di bacche, cereali, radici o alghe provenienti da diverse parti del mondo, i supercibi sono entrati stabilmente nella quotidianita': l'interesse dei consumatori su proprieta' e ricette di questi prodotti e' molto cresciuto nel corso degli ultimi anni, come dimostra la frequenza delle ricerche su Google.
Ricchi di vitamine, minerali e antiossidanti, per la meta' degli italiani i superfood hanno proprieta' mediche o paramediche e sono utili per prevenire diverse malattie: per un intervistato su tre la loro assunzione e' addirittura alternativa alla medicina tradizionale e questo ci colloca tra i primi in Europa, davanti a Germania e Regno Unito.
Quelli ritenuti piu' salutari e gustosi al palato sono la polvere di maca (il 100% ritiene che abbia proprieta' salutistiche), i semi di chia (75%), le bacche di acai (69%) e di goji (68%). La loro crescente popolarita' si desume anche dal numero di ricerche su Google, specchio dell'interesse degli italiani a ricercare proprieta', caratteristiche nutrizionali, ricette per un miglior consumo.
Non meno importante e' il giro d'affari veicolato da questi alimenti nell'ambito dei punti vendita della Grande Distribuzione: nel complesso si tratta di quasi 3 miliardi di euro, con un incremento negli ultimi dodici mesi pari al 6,7%. Tra questi avocado, zenzero e quinoa, i supercibi piu' tradizionali, hanno totalizzato rispettivamente 8, 24 e 32 milioni di euro di vendite nell'ultimo anno. Inoltre, secondo una indagine Nielsen, l'Italia e' il primo Paese in Europa per il consumo di bacche di goji (16% degli intervistati contro il 6% in Germania, Gran Bretagna e Spagna). Piu' che il gusto, ad essere determinante e' il contributo in termini di benessere: sette italiani su dieci (68%) sono convinti che questa bacca possa essere utilizzata a scopo curativo (multivitaminico naturale, sostegno al sistema immunitario, regolazione della glicemia). Medesimo discorso per la curcuma, spezia giudicata benefica dal 62% degli italiani, e per il mirtillo (27%). Per alcuni di questi prodotti sembra però iniziata la parabola discendente. Si sono infatti arrestate le vendite di aglio nero (-37%), kamut (-24%), soia (-3%) a riprova della progressiva fluidita' delle scelte di consumo.
E' anche cresciuta l'attenzione per le componenti nutrizionali ed alimentari dei prodotti acquistati. Nella percezione degli italiani, le fibre sono al primo posto fra le sostanze ritenute piu' sane, tanto che l'81% le colloca ai primi tre posti di questa speciale classifica. Seguono le proteine vegetali, considerate una valida e piu' salutare alternativa alle proteine animali, oltre che dispensatrici di un apporto nutrizionale imprescindibile nei regimi alimentari vegetariani e vegani. Fra la teoria e la pratica, però, c'e' un fattore determinante da tenere in considerazione: l'informazione, che in materia di alimentazione non e' mai abbastanza. Ben il 77% degli italiani ritiene infatti fondamentale l'informazione e solo il 40% dichiara di avere tutte le conoscenze per operare scelte consapevoli. Cosi' come per le notizie d'attualita', anche le informazioni sul cibo possono essere false o manipolate. Secondo un'analisi Coldiretti, il 66% degli italiani si dice preoccupato dalle fake news o "bufale" che riguardano gli alimenti. Ed e' cosi' che piu' di un italiano su tre si affida al medico per risolvere i propri dubbi sull'alimentazione, una scelta coerente con il ruolo terapeutico dell'alimentazione vista come una vera e propria cura. Seguono gli operatori di medicina alternativa, specializzati nei trattamenti terapeutici a base di sostanze naturali e non farmacologiche. Al terzo posto, troviamo una fonte piu' "tradizionale": i consigli di amici e parenti, sui quali gli italiani dimostrano di fare affidamento (25%).
9. Bar, pizzerie e ristoranti: il cibo è in compagnia (per chi puo')
Sara' la moda di recensire i ristoranti come veri critici gastronomici, oppure la voglia di mangiare bene anche quando si ha poco tempo per preparare o ancora il gusto di trascorrere un momento piacevole in compagnia degli amici: qualunque sia la motivazione, gli italiani si confermano assidui frequentatori di pizzerie e ristoranti. Non vi hanno rinunciato nelle fasi piu' acute della lunga recessione (tra il 2007 ed il 2013 i consumi fuori casa hanno ceduto in quantita' appena il 2%, a fronte di un -12% per quelli domestici), figuriamoci oggi che la situazione si sta gradualmente riportando sui binari della normalita'.
Del resto, il culto del mangiare fuori casa e' un tratto tipicamente italiano: secondo dati Infocamere, le imprese attive nei servizi di ristorazione sono complessivamente 325 mila, una ogni 180 persone. Volendo guardare oltre i confini nazionali, tale consistenza colloca il nostro Paese in prima posizione in Europa, insieme alla Spagna, davanti a Francia (un esercizio pubblico per la somministrazione di cibi e bevande ogni 300 persone) e Germania (uno ogni 450 residenti). In Italia si spendono complessivamente quasi 80 miliardi l'anno per mangiare fuori, poco piu' di 100 euro al mese per persona, seppure con una qualche forma di differenziazione territoriale: al Sud una combinazione di elementi specifici, da una tradizionale culinaria piu' consolidata ad una offerta piu' competitiva, si traduce in una spesa pro capite significativamente piu' bassa (meno di 1.000 euro pro capite in un anno) in confronto alle Regioni settentrionali (oltre 2 mila). Se poi si tiene conto che a mangiare fuori casa sono tre italiani su quattro, lo scontrino medio sale a circa 150 al mese, poco meno di 40 euro a settimana.
Insieme alle grandezze in gioco, uno degli aspetti piu' interessanti ha a che vedere con i comportamenti degli italiani: l'analisi per frequenza di consumo (consumatori seriali, abituali e saltuari) restituisce una predilezione per il pranzo. Segue nelle preferenze la colazione: cappuccino e brioche rappresentano un vero e proprio "must" per iniziare la giornata con il piede giusto, un rituale irrinunciabile per 13,5 milioni di italiani che frequentano le caffetterie quasi tutti i giorni. Degno di menzione e' certamente il cambiamento del significato e del portato valoriale della cena al ristorante: ritrovarsi con gli amici davanti ad un buon piatto ed un buon bicchiere di vino non e' (solo) un momento di svago, uno sfizio da concedersi per spezzare la routine quotidiana o una occasione di convivialita' e soddisfazione edonistica, come avveniva in passato. E' soprattutto l'occasione per sperimentare ed innovare, assaporare piatti piu' raffinati da replicare nella cucina di casa. Ai ristoranti si chiede quel "quid" in piu' che può fare la differenza: una cena fuori non si riduce al semplice atto di mangiare una pietanza, ma deve essere soprattutto una esperienza, dove e' la qualita' del cibo riveste un ruolo di primo piano. E' il motivo per cui a tavola gli italiani non restano sempre fedeli alla tradizione: e' vero che i piatti piu' gettonati per una cena fuori casa si confermano la pizza, scelta dal 77% degli intervistati, seguita dalle pietanze della cucina mediterranea (65%) e dalle prelibatezze delle trattorie con cucina casalinga (55%). Cresce la cucina etnica, con una frequenza pari al 33%, oggetto di preferenza soprattutto nelle Regioni del Nord Italia (Piemonte, Liguria e Lombardia), mentre al Sud vanno per la maggiore hamburgherie, locali di street food e da "apericena". In merito al budget, invece, la spesa media si aggira intorno ai 21 euro: nel dettaglio, per una pizza si spendono 16 euro, per la cucina mediterranea sono necessari almeno 30 euro, per la trattoria si scende a 20 euro ed infine per l'etnico lo scontrino medio si attesta intorno ai 23 euro.
Un driver importante delle scelte e' ancora una volta il salutismo: gli italiani al ristorante vogliono piu' frutta e verdura e maggiori informazioni sulle proprieta' nutrizionali dei piatti. Le evidenze dell'indagine documentano l'emergere di nuove esigenze e, nello stesso tempo, criticita' nell'offerta: il 71% degli intervistati preferisce ristoranti con una piu' ampia scelta di frutta e verdura e per il 68% la proposta di verdure cotte e crude e' giudicata del tutto insufficiente.
10. In Italia si spreca ancora troppo cibo.
Il tema dello spreco alimentare ha assunto una crescente rilevanza. Anche l'attenzione dell'opinione pubblica e' fatta progressivamente piu' pressante, al punto da farne parte integrante del dibattito in materia di sostenibilita' dei modelli di produzione e consumo. Nel settembre 2015 l'obiettivo di dimezzare lo spreco alimentare entro il 2030 e' stato formalmente adottato dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nell'ambito della cosiddetta Agenda 2030: un obiettivo condiviso sia dalla Commissione Europea, attraverso il recente pacchetto sull'Economia Circolare, sia dal Dipartimento dell'Agricoltura (Usda) e dall'Agenzia di Protezione Ambientale (Epa) degli Stati Uniti. Nel nostro Paese, la Carta di Milano, un documento proposto in occasione dell'Expo 2015 sancisce il diritto all'alimentazione quale diritto fondamentale dell'uomo e ha posto le premesse per l'approvazione di una legge per il contrasto allo spreco alimentare: tra le altre cose, essa definisce per la prima volta nell'ordinamento italiano i termini di "eccedenza" e "spreco" alimentari, fa maggiore chiarezza tra il termine minimo di conservazione e la data di scadenza, identifica e promuove gli interventi per la prevenzione degli sprechi e mira a semplificare le procedure per la donazione delle eccedenze da parte di grossisti e distributori.
Le dimensioni del fenomeno dello spreco nel mondo sono assolutamente allarmanti: secondo la Fao, 1,3 miliardi di tonnellate di cibo destinato al consumo umano non raggiungono la tavola, per un valore economico pari a circa mille miliardi di dollari l'anno che sale a circa 2.600 miliardi di dollari se si conteggiano i costi indiretti. L'agenzia delle Nazioni Unite ha inoltre quantificato l'impatto ambientale che origina dalla produzione del cibo sprecato: si tratta di 250 miliardi di litri d'acqua, 3,3 miliardi di tonnellate di CO2 emesse in atmosfera, oltre all'utilizzo intensivo di un terzo del suolo agricolo disponibile sul pianeta. In Europa ogni anno vengono gettati nell'immondizia circa 180 kg a testa di rifiuti organici rinvenienti dall'alimentazione, di cui oltre il 40% tra le mura di casa, che si traducono in oltre 140 miliardi di euro di costi che potrebbero essere evitati. Un recente rapporto della Commissione Europea ha contribuito a fare luce sulla portata del fenomeno nel nostro Paese, riprendendo i due concetti previsti dal provvedimento approvato nell'estate 2016 dal Parlamento. Da una parte l'eccedenza: considerato che il consumo medio giornaliero pro capite e' pari a circa 3.500 chilocalorie (ed e' circa doppio rispetto al fabbisogno energetico consigliato dai nutrizionisti), in Italia viene prodotto una surplus di 6 milioni di tonnellate di prodotti agroalimentari, circa 100 kg a testa.
Dall'altra lo spreco vero e proprio, che e' una quota parte dell'eccedenza (il complemento, seppure di entita' marginale, e' ciò che viene recuperato): nel nostro Paese finiscono nella spazzatura 5,5 milioni di tonnellate di cibo, equivalenti al 16% dei consumi complessivi. Il 45% e' attribuibile alle famiglie ed il 55% agli operatori economici della filiera (produttori, trasformatori, industria e distribuzione commerciale).
Secondo i dati dell'Osservatorio Waste Watcher, il valore economico dello spreco alimentare in Italia ammonta a 16 miliardi di euro, un punto percentuale di Pil. Si tratta di un fenomeno cosi' radicato e diffuso da colpire tutti i prodotti, non solo quelli piu' deperibili: secondo uno studio realizzato nei mesi scorsi per Barilla, si arriva a buttare il 12% della pasta, il piatto piu' tipico della nostra cucina. Le motivazioni, secondo l'Osservatorio Waste Watcher, hanno a che vedere principalmente con una pianificazione non corretta della spesa rispetto alle reali esigenze familiari (48%) e con modalita' di conservazione dei cibi non adeguate (25%).
In Italia il 2% butta cibo nella pattumiera quasi ogni giorno, il 14% fino a due volte la settimana, il 30% meno di una volta alla settimana, mentre la meta' degli italiani giura di farlo solo in rarissime occasioni.
Ulteriori indicazioni di interesse, infine, possono essere desunte dalle banche dati sulla produzione dei rifiuti in Italia (fonte Ispra): la frazione organica rappresenta il 20% circa della produzione complessiva di rifiuti ed il 42% di quelli differenziati. L'escursione territoriale e' tuttavia molto accentuata: complice la diversa efficacia dei sistemi di raccolta differenziata, l'incidenza sul totale dei rifiuti prodotti e' pari nelle Regioni del Nord al 25%, 10 punti percentuali in piu' in confronto al Sud (122 kg per persona contro 70).
Italiani.coop - 04-04-2018