I GRANDI PERSONAGGI STORICI
Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtu' e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i piu' stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona.
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Massimino il Trace
Gaio Giulio Vero Massimino (Tracia, 173 circa - Aquileia romana, 10 maggio 238), meglio noto come Massimino il Trace,e' stato imperatore romano dal 235, avendo ucciso Alessandro Severo e la madre Giulia Mamea.
Fu il primo barbaro a raggiungere la porpora imperiale, grazie al solo consenso delle legioni. Fu anche il primo imperatore a non aver mai messo piede a Roma, in quanto trascorse i suoi tre anni di regno impegnato in vittoriose campagne militari. Egli fu anche il primo imperatore-soldato del III secolo, caratterizzato da decadenza e soprusi. Mori' presso Aquileia in seguito a una sedizione; fu un imperatore "barbaro", ma sicuramente migliore degli ultimi Severi che lo avevano preceduto. Massimino fu anche uno degli uomini piu' alti della storia umana, misurando circa 240 cm.
Massimino nacque in un villaggio della Tracia in prossimita' del confine con la Mesia inferiore. Secondo la Historia Augusta, il padre era un goto, la madre un'alana. Erodiano descrive Massimino come un pastore trace di origini semi-barbare, che intraprese la carriera militare al tempo di Settimio Severo, arruolandosi in un'unita' ausiliaria (un reparto di cavalleria) in virtu' della propria forza fisica. Che sia stato un pastore durante gli anni della fanciullezza e' confermato anche nella Historia Augusta, secondo cui Massimino (mettendosi a capo dei propri compagni), affronto' in piu' di un'occasione i briganti, difendendo i genitori e le greggi.
Dalle fonti storiche si ricava che l'aspetto dell'imperatore fosse spaventoso, dotato di una forza sovrumana, e di un'altezza fuori del comune: un dito sopra gli otto piedi romani (due metri e quaranta):
" Era infatti imponente nella corporatura per la grande prestanza, famoso per il suo valore tra tutti i suoi commilitoni, bello e virile, fiero nel suo comportamento, duro, superbo, notevole ed allo stesso tempo giusto."
(Historia Augusta - I due Massimini, 2.2.)
" [...] era in grado di trascinare un carro a quattro ruote a forza di braccia, muovere da solo un carro carico di gente, buttar giu' i denti di un cavallo con un pugno, spezzargli i garretti con un suo calcio, frantumare pietre di tufo, spaccare alcune piante in due, tanto da essere chiamato da alcuni Milone di Crotone, da altri Ercole da altri ancora il gigante Anteo."
(Historia Augusta - I due Massimini, 6.9.)
e ancora,
" Risulta che spesso bevesse in un solo giorno un'anfora capitolina di vino, che mangiasse fino a quaranta libbre di carne, o anche sessanta [...] egli non assaggio' mai i legumi e quasi mai bevande fredde se non quando ne aveva necessita'. A volte raccoglieva le gocce del suo sudore, mettendole in calici o in un contenitore, tanto da mostrare due o tre sestarii."
(Historia Augusta - I due Massimini, 4.1-3.)
Sembra che abbia nascosto le proprie umili origini semi-barbare (contrapposte a quelle nobili della maggior parte degli imperatori precedenti) perche' "non apparisse che l'imperatore fosse nato da genitori, entrambi di stirpe barbarica". La sua scalata sociale sarebbe iniziata grazie alla carriera militare che gli consenti', infine, l'accesso nei ranghi dell'ordine equestre.
L'occasione per l'arruolamento gli si presento' al tempo dell'imperatore Settimio Severo, quando:
" Nel giorno natale del figlio minore [dell'imperatore], Geta, Severo aveva indetto dei giochi militari, mettendo in palio come premi degli oggetti d'argento, tra cui bracciali, collane e ornamenti. Massimino, giovane e semibarbaro, all'epoca ancora inesperto della lingua latina, rivolse in pubblico all'imperatore - parlando in lingua tracia - la richiesta di poter combattere con uomini di grado militare elevato. Severo, colpito dalla grandezza del suo fisico, lo fece combattere con i piu' forti tra i vivandieri, non volendo andare contro la disciplina militare. Massimino ne batte' sedici, guadagnando altrettanti premi minori riservati a quelli che non appartenevano all'esercito, e cosi' fu arruolato."
(Historia Augusta - I due Massimini, 2.4-7.)
Sempre secondo la Historia Augusta due giorni dopo l'aneddoto appena narrato, avendo Severo udito degli schiamazzi nel campo, e accortosi che si trattava di Massimino, ordino' al tribuno di punirlo ed insegnargli la disciplina romana. Ma Massimino, accortosi che l'imperatore aveva parlato di lui, si accosto' a Severo, che era a cavallo. Allora Severo che intendeva provarne la resistenza e la forza, dapprima lo sfido' a seguirlo a piedi, lanciando il cavallo al galoppo, e poi a combattere con numerosi soldati, tra i piu' forti e valorosi.
" Allora Massimino come al solito abbatte' sette dei piu' forti, uno dopo l'altro, e ricevette da Severo, oltre ai premi in argento, un bracciale d'oro e venne arruolato tra le guardie del corpo dell'imperatore. Fu cosi' che divenne una persona importante, famosa tra i soldati, benvoluto dai tribuni e guardato con rispetto dai commilitoni."
(Historia Augusta - I due Massimini, 3.4-6.)
Entrato cosi' a far parte dell'esercito romano, inizialmente come cavaliere per la sua altezza, ebbe nel corso degli anni successivi l'appoggio di Severo nel ricoprire i vari gradi della carriera militare (prima come praefectus alae, poi praefectus civitatium Moesiae et Treballiae), distinguendosi tra tutti sia per l'altezza e l'imponenza, sia per la grandezza degli occhi e il candore della pelle. Ricopri', quindi, sotto Caracalla il ruolo di centurione. All'avvento di Macrino abbandono' l'esercito romano momentaneamente (evidentemente dopo aver raggiunto il numero necessario di anni di servizio militare), a causa dell'odio che nutriva nei confronti di chi aveva ucciso il suo imperatore. Per un certo periodo, dopo aver acquistato dei possedimenti nel villaggio della Tracia dove era nato, esercito' il commercio con i vicini goti, essendo da loro benvoluto e apprezzato, e con gli alani che si erano stabiliti lungo le sponde del Danubio.
Nel 218, non appena apprese che Macrino era stato ucciso, si reco' dal nuovo imperatore Eliogabalo, allo scopo di vedersi riconfermata la considerazione gia' manifestata nei suoi confronti da Settimio Severo, nonno dell'imperatore. Ma Eliogabalo, ne deluse le aspettative rendendolo oggetto di scherno, tanto da scoraggiarne il ritorno alla vita militare: "Dicono, o Massimino, che tu abbia lottato vittoriosamente con 16, 20 e 30 soldati. Potresti farcela per trenta volte con una donna?». Gli amici dell'imperatore, al contrario, fecero di tutto per trattenerlo (evidentemente come evocatus) proprio perche' la sua fama era cosi' grande, da suscitare discredito la rinuncia a un uomo che era considerato al pari degli eroi greci come Ercole, Achille, Ettore o Aiace. Pertanto, negli anni successivi Massimino ricopri' il ruolo di tribuno angusticlavio, evitando tuttavia di incontrare o ossequiare Eliogabalo, che detestava.
Quando apprese dell'assassinio di Eliogabalo e della salita al potere di Alessandro Severo, si reco' a Roma per conoscere il nuovo imperatore. Quest'ultimo lo accolse con grande gioia e manifestazioni di affetto, nominandolo tribuno laticlavio della legio IV Flavia Felix (di stanza a Singidunum) con queste parole:
" Non ti ho affidato, o Massimino mio carissimo e affezionato, il comando di soldati veterani, perche' ho temuto che tu non potessi ormai piu' correggere i loro vizi, che si erano formati sotto il comando di altri. Hai ora sotto il tuo comando delle reclute. Fai in modo che apprendano la vita militare secondo i tuoi insegnamenti, il tuo valore, il tuo impegno, in modo che tu possa procurarmi molti Massimini, tanto importanti allo Stato."
(Historia Augusta - I due Massimini, 5.6-7.)
A conferma della nomina da parte di Alessandro Severo vi sarebbe, un'iscrizione rinvenuta nel castrum di Brigetio, secondo la quale un certo Gaio Giulio Massimino, forse il futuro imperatore, era a quel tempo custos armorum della legio I Adiutrix. Massimino assolse al proprio incarico con grande coscienziosita' e zelo, addestrando i legionari affidatigli in manovre sul campo, ispezionando le loro armi, il loro abbigliamento militare, dando esempio di coraggio, assumendo l'aspetto piu' di un padre che di un comandante. A dei tribuni poi, che gli chiedevano come mai si affaticasse tanto, rispose:
" Ma io piu' faro' carriera e piu' mi daro' da fare."
(Historia Augusta - I due Massimini, 6.5.)
Dal fatto che avesse lo stesso nome di Gaio Giulio Massimino, governatore della Dacia nel 208, si suppone che abbia prestato servizio sotto di lui ricevendone come ricompensa la cittadinanza romana. A ogni modo, a partire dal IV secolo le fonti iniziano a soprannominarlo "il Trace".
All'epoca di Caracalla, risalirebbe il matrimonio con una certa Cecilia Paolina, da cui ebbe almeno un figlio, Gaio Giulio Vero Massimo, nato nel 217.
A Massimino fu affidato il comando delle legioni renane, quando Alessandro Severo stabili' di accamparsi in Gallia (a Mogontiacum). La scelta del giovane princeps risulto' fatale e determinante per gli eventi successivi:
" [...] Alessandro fu ucciso da alcuni soldati, inviati repentinamente, come sostengono alcuni, dallo stesso Massimino, o secondo altri da ufficiali delle truppe barbare, mentre cercava rifugio presso la madre, dopo che Massimino era stato gia' proclamato Imperator. Secondo alcuni i motivi sarebbero da ricercarsi nel fatto che la madre Giulia Mamea, avesse indotto il figlio ad abbandonare la guerra intrapresa [contro gli alemanni], per tornare in Oriente, generando malcontento tra le truppe, sfociato poi in aperta sedizione; secondo altri Alessandro si stava apprestando a sciogliere le legioni in Gallia, come aveva gia' fatto in Oriente."
(Historia Augusta - I due Massimini, 7.4-6.)
" Molti dicono che a ucciderlo furono le reclute inviate da Massimino, che erano state affidate a quest'ultimo per essere addestrate. Molti ancora sostengono altre versioni.E' certo che furono comunque dei soldati, i quali non gli risparmiarono neppure gli insulti, chiamandolo "bambino», e rinfacciando alla madre di essere avara ed avida di potere."
(Historia Augusta - Alessandro Severo, 59.7-8.)
" [...] cresceva l'odio contro Alessandro, il quale, incerto nel trovare soluzioni ai problemi che gli si presentavano, preferi' dare pieno sfogo all'avidita' ammassando ricchezze con la complicita' della madre."
(Zosimo, Storia nuova, I, 12.2.)
Secondo la versione di Erodiano, la rivolta dei soldati che porto' alla morte di Alessandro Severo fu dovuta principalmente al fatto che molti dei soldati di origine pannonica e mesica, assai devoti a Massimino, ritenevano che Alessandro dipendesse troppo dal potere della madre e si stesse comportando con codardia nel condurre la guerra contro gli alemanni. A rinfocolare gli animi contribuiva il ricordo dei recenti disastri in Oriente, causati a loro giudizio dalle esitazioni dell'imperatore. Pertanto, stabilirono di uccidere Alessandro e di elevare alla porpora imperiale Massimino, al quale sembra gettarono sulle spalle il mantello di porpora (prima ancora di assassinare Alessandro), mentre passava in rassegna un reparto per un'ispezione. Inizialmente Massimino rifiuto' ma poi decise di accettare a patto che l'acclamazione fosse seguita dall'immediata uccisione di Alessandro, prima che questi avesse il tempo di organizzare le legioni poste sotto il suo diretto comando. E cosi' dopo aver promesso di raddoppiare il loro stipendium di soldato, nuovi donativa e di cancellare tutte le punizioni, marcio' con decisione contro l'accampamento di Alessandro (che si trovava a Mogontiacum). Quest'ultimo venuto a conoscenza della situzione promise a sua volta ai soldati qualunque cosa desiderassero. Poco dopo, pero', Alessandro, abbandonato dai suoi, fu assassinato nella propria tenda, assieme alla madre Giulia Mamea, da un tribuno e da alcuni centurioni mandati ad ucciderlo da Massimino (fine di febbraio/inizi di marzo 235). Secondo invece la versione di Zosimo, la morte di Alessandro avvenne a Roma:
" Quando Alessandro venne a sapere della rivolta, mentre si trovava nelle province del Reno, torno' rapidamente a Roma, promise ai soldati e allo stesso Massimiano il perdono, nel caso rinunciassero all'impresa. E poiche' non fu in grado di convincerli, abbandono' ogni speranza e si uccise. Anche la madre, Mamea, giunta dal pretorio con i due prefetti per porre fine alla rivolta, si uccise insieme a loro."
(Zosimo, Storia nuova, I, 13.2.)
Massimino fu acclamato Imperator (secondo invece la versione della Historia Augusta), solo dopo l'uccisione di Alessandro. Era un caso senza precedenti visto che si verificava per un militare, non ancora senatore, oltretutto senza alcun decreto del senato. Gli fu anche dato come collega nell'Impero, il figlio Gaio Giulio Vero Massimo. La scelta dei legionari venne successivamente condivisa anche dalla guardia pretoriana e ratificata dal Senato romano, che pero' mal tollerava un imperatore di origine barbara.
Fu il primo soldato a divenire imperatore romano, pochi decenni dopo che Settimio Severo avesse stabilito la possibilita' di avanzamento tra i ranghi degli ufficiali per i sottufficiali e soldati di rilievo, e che suo figlio Caracalla avesse concesso la cittadinanza romana a quasi tutti i nati liberi nel territorio dell'Impero.
Il periodo di governo di Massimino fu reso difficile dai problemi principali che concorsero a causare l'anarchia militare o crisi del III secolo: pressione delle popolazioni barbare dall'esterno, guerre civili all'interno, collasso economico.
Massimino si rendeva conto dell'opposizione che incontrava presso l'aristocrazia senatoriale. Per tale motivo rimosse i consiglieri piu' vicini ad Alessandro Severo facenti parte del seguito di quest'ultimo, inviandoli a Roma, o mettendoli a morte, ove ritenesse stessero organizzando un complotto ai suoi danni, mantenendo comunque nei posti di potere, molti degli uomini designati dal precedente imperatore. Secondo Erodiano, essendo cosciente delle proprie umili origini, Massimino non voleva che vi fossero intorno a lui persone dell'aristocrazia romana, preferendo circondarsi dei soli militari. La Historia Augusta aggiunge:
" [Massimino] non voleva avere vicino a se' alcun nobile, governando come avrebbe fatto uno Spartaco o un Atenione. [...] Cerco' di sospendere le leggi emanante da Alessandro Severo. E nel sospettare amici e collaboratori divenne sempre piu' crudele."
(Historia Augusta - Vita dei due Massimini, 9.6-8.)
L'opposizione senatoriale tento' in due occasioni di sbarazzarsi di Massimino. Il primo tentativo si ebbe quando l'imperatore, a dimostrazione delle proprie capacita' militari, decise di intraprendere una campagna militare oltre il Reno. In tale circostanza, il nobile consolare Magno corruppe alcuni soldati e centurioni, posti a guardia del ponte in costruzione sul fiume, affinche' ne provocassero il crollo dopo il passaggio dell'imperatore, lasciandolo isolato sull'altra sponda in balia dei germani, e quindi di acclamare imperatore al suo posto Magno stesso. Massimino, venuto a conoscenza del complotto, mise a morte tutti coloro che ritenne coinvolti nella congiura senza sottoporli a un regolare processo e confiscandone il patrimonio: si ebbero 4.000 vittime. La celerita' della repressione senza che fosse preceduta da indagini volte a far luce sulla vicenda, induce Erodiano ad avanzare il sospetto che la violenta reazione repressiva fosse il frutto di un falso pretesto ideato da Massimino per liberarsi di scomodi oppositori.
A quello di Magno (vero o presunto che fosse) fece seguito il tentativo di usurpazione di un certo Quartino, detto Tito (ex-console ed amico di Alessandro Severo), il quale fu acclamato imperatore contro la propria volonta' dalle unita' di arcieri osroeni, fedeli ad Alessandro Severo. Tuttavia, un ex-comandante di questa unita', Macedonio, ritenendo di guadagnarsi il favore di Massimino, invio' a quest'ultimo la testa di Quartino dopo averlo assassinato durante il sonno con l'aiuto di alcuni fedelissimi. L'imperatore, pur comprendendo il pericolo scampato, fece uccidere Macedonio.
L'ascesa al potere di Massimino corrispose a un periodo (che trae origine dal tempo di Marco Aurelio), caratterizzato dall'intensificazione della pressione dei barbari lungo le frontiere settentrionali e dei persiani sassanidi in Oriente. Questa duplice minaccia stava poco a poco diffondendo la sensazione che l'Impero fosse irrimediabilmente accerchiato dai nemici e in procinto di collassare. Ad accrescere i timori contribuiva la consapevolezza dell'inefficacia degli strumenti della diplomazia tradizionale, usati fin dai tempi di Augusto e consistenti innanzitutto in un'accorta politica di dissuasione basata su un solido e credibile deterrente militare idoneo sia sul piano difensivo che su quello offensivo. Altro pilastro tradizionale della politica estera romana era stato il ricorso al cosiddetto principio del divide et impera, attraverso la fomentazione e strumentalizzazione a proprio vantaggio dei dissidi interni sia alle diverse tribu' barbariche ostili, sia tra le svariate componenti etnico-tribali e tra le correnti politiche interne all'impero partico prima e a quello persiano poi, il tutto allo scopo di mantenere i nemici o potenziali tali gli uni contro gli altri, evitando a Roma il ricorso diretto alle armi.
Si rendeva necessario ricorrere immediatamente alla forza, schierando eserciti tatticamente superiori e capaci di intercettare il piu' rapidamente possibile ogni possibile via di invasione dei barbari; la strategia era pero' resa difficoltosa dal dover presidiare immensi tratti di frontiera con contingenti militari per lo piu' scarsi. Molti degli imperatori che vennero via via proclamati dalle legioni nell'arco di venticinque anni non riuscirono neppure a metter piede a Roma, ne' tanto meno, durante i loro brevissimi regni, a intraprendere riforme interne, poiche' permanentemente occupati a difendere il trono imperiale dagli altri pretendenti e il territorio dai nemici esterni. Tuttavia in Massimino l'impero seppe trovare un abile capo militare capace di guidarlo in una difesa energica dei confini.
" C'è da ricordare che Massimino, appena divenuto imperatore, intraprese ogni tipo di campagna militare, conducendole con grande forza e sfruttando le sue capacita' belliche, volendo che gli altri lo stimassero e volendo superare in fama Alessandro Severo, che lui aveva ucciso."
(Historia Augusta - Vita dei due Massimini, 10.3.)
A tale scopo tra il 235 e il 236 l'imperatore condusse la sua prima campagna contro la federazione germanica degli alemanni, utilizzando come "quartier generale" Mogontiacum e oltrepassando i confini imperiali nella zona del Taunus presso Saalburg-Zugmantel.
" Questa grande armata era stata assemblata inizialmente da Alessandro Severo, poi aumentata e addestrata da Massimino. Le truppe, poi, che avevano un maggior impatto contro la tattica dei germani erano sia i lanciarii, sia gli arcieri per la loro "sorpresa", oltre ai raids delle truppe leggere romane, che poi si ritiravano con rapidita'."
(Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VII, 2.2.)
Massimino riteneva che fosse una priorita' dell'Impero la guerra "antigermanica", continuo' a combattere gli alemanni, riuscendo non solo a respingere le loro incursioni lungo il limes germanico-retico, ma anche a penetrare profondamente in Germania per circa 300-400 miglia romane (450-600 chilometri) e a battere sul loro terreno gli alemanni, nella regione del Württemberg e Baden.
Campagne archeologiche di scavo, condotte dal 2008 al 2011, hanno rivelato tracce di uno scontro militare tra l'armata romana (composta anche dalla legio IV Flavia Felix) ed i germani presso l'Harzhorn, nell'area boschiva di Kalefeld (in Bassa Sassonia), databile al 235.
" [Massimino] passo' in Germania con tutto l'esercito e le truppe di mauri, osroeni e parti, nonche' tutte le altre che Alessandro aveva condotto con se' per la campagna militare. E il motivo principale per cui portava con se' le truppe ausiliarie orientali era che nessuno valeva di piu' nel combattimento contro i germani, degli arcieri armati alla leggera. Alessandro aveva inoltre un apparato bellico mirabile, a cui si dice Massimino aggiunse molti nuovi accorgimenti. Entrato nella Germania transrenana per trenta o quaranta miglia del territorio barbarico, incendio' villaggi, razzio' bestiame, saccheggio', uccise molti dei barbari, genero' notevole bottino ai suoi soldati, prese numerosi prigionieri, e se i germani non si fossero ritirati nelle paludi e nelle selve, avrebbe sottomesso a Roma tutta la Germania."
(Historia Augusta - I due Massimini, 11.7-9 e 12.1.)
" Massimino, una volta raggiunti i confini dei territori nemici, avanzo' in profondita', non incontrando alcuna resistenza, poiche' i germani si erano ritirati di fronte allo stesso. Devasto' i loro territori, in particolare i campi di grano maturo, dando fuoco a villaggi, e permettendo al suo esercito di compiere razzie."
(Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VII, 2.3.)
Sembra che le foreste e le paludi della Germania Magna, bloccarono i Romani, costringendo Massimino a non inoltrarsi troppo all'interno del territorio nemico, al contrario obbligandolo a far ritorno in territorio romano. Prima pero', lo stesso Imperatore si rese protagonista di alcune battaglie, quando affronto' il nemico con grande coraggio, lanciandosi nella mischia ed uccidendone numerosi.
" [Massimino] si rese direttamente protagonista di molte azioni, come quando, addentratosi in una palude, si trovo' circondato dai germani se i suoi non fossero venuti a liberarlo quando era rimasto impantananto con il suo cavallo. Era convinto, con la solita spavalderia dei barbari, che l'imperatore dovesse essere in prima linea. Condusse cosi' una specie di combattimento navale nella palude, dove uccise un gran numero di nemici.»
(Historia Augusta - I due Massimini, 12.2-4.)
A questa campagna apparterrebbero alcune vestigia archeologiche, che testimoniano le devastazioni compiute anche lungo il limes del Norico Per questi motivi ricevette dal Senato l'appellativo di "Germanicus maximus", mentre sulle monete appare la dicitura "Victoria".
" [Massimino] dispose che fossero dipinti dei quadri raffiguranti le fasi in cui era stata condotta la guerra stessa, e che venissero esposti davanti alla Curia, perche' fosse la pittura a raccontare le sue res gestae. Ma dopo la sua morte il Senato, ne dispose la loro rimozione e distruzione.»
(Historia Augusta - I due Massimini, 12.10-11.)
Elevo' il figlio Gaio Giulio Vero Massimo al rango di cesare e princeps iuventutis, mentre la moglie defunta, Cecilia Paolina, fu divinizzata.
Divenne, quindi, console agli inizi del 236, insieme a Marco Pupieno Africano. Poi, avendo reso sicure le frontiere della Germania lungo l'l'alto Danubio, Massimino si reco' in Pannonia a Sirmium per l'inverno (del 235/236) e condusse nuove campagne contro i sarmati iazigi della piana del Tibisco, che avevano provato ad attraversare il Danubio dopo circa un cinquantennio di pace lungo le loro frontiere, ed i vicini quadi (come sembra testimonino alcune iscrizioni). Egli aveva un sogno: quello di emulare il grande Marco Aurelio e conquistare la libera Germania Magna. Il suo quartier generale, posto a Sirmium, era al centro del fronte pannonico inferiore e dacico. Cosi' infatti riporta la Historia Augusta:
" Portate a termine le campagne in Germania [contro gli alemanni], Massimino si reco' a Sirmio, per preparare una spedizione contro i sarmati, e programmando di sottomettere a Roma le regioni settentrionali fino all'Oceano.»
(Historia Augusta - I due Massimini, 13.3.)
Numerose appaiono, infine, le iscrizioni lungo il tratto di limes pannonicus a testimonianza delle campagne militari nell'area sarmatica. In numero inferiore sono invece le iscrizioni lungo il tratto di limes dacicus.
Grazie ai successi ottenuti sul Danubio, l'imperatore pote' ottenere i titoli di Dacicus (fine del 236-inizi del 237) e Sarmaticus (nel 237).
Contemporaneamente nel corso del 236, fu respinta un'incursione di carpi e goti, culminata con una battaglia vittoriosa per i romani di fronte ad Histropolis.
Impegnato nelle guerre sulle frontiere, Massimino non ando' mai a Roma per rafforzare il proprio potere: invece di cercare il sostegno del Senato romano, decise di fondare il proprio potere sull'esercito; raddoppio' la paga dei soldati e cio', in coerenza con le continue guerre, richiese un aumento delle tasse. Gli esattori ricorsero a metodi violenti e sequestri illegali, che gli alienarono ancora di piu' la classe dirigente, portando alcune famiglie al disastro economico.
" Dopo che Massimino ebbe ridotto la maggior parte delle famiglie piu' facoltose alla poverta', egli comincio' a ritenere che cio' fosse insignificante o poco importante, e non sufficiente a soddisfare i suoi desideri. Cosi' si rivolse al tesoro pubblico e comincio' ad espropriare denaro cittadino, che era stato raccolto per essere distribuito al popolo romano attraverso i congiaria (distribuzioni alimentari e in denaro), oltre a fondi messi da parte per rappresentazioni teatrali e spettacoli."
(Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VII, 3.5.)
I costi crescenti delle guerre condotte prima lungo il limes renano e poi danubiano, costrinsero Massimino a confiscare nuovi beni anche ai provinciali, come le offerte nei templi, le statue degli dèi, gli ornamenti in pubblici edifici, e a fonderli in nuove monete al fine di "mantenere" la fedelta' dei suoi soldati (con stipendia e donativa). Cio' porto' ad un'aperta rivolta, anche da parte di provinciali e della stessa plebe locale. I cittadini arrivarono a farsi uccidere, piuttosto che permettere che i propri templi venissero profanati. Gli stessi soldati di Massimino, cominciarono a mostrare dissenso, poiche' sapevano che i loro familiari rischiavano di essere uccisi dai loro stessi commilitoni, in caso di opposizione al nuovo regime imperiale. Nessuno ebbe, pero', il coraggio di ribellarsi apertamente fino alla fine del suo terzo anno di regno (marzo del 238).
Frattanto lungo il fronte orientale, negli anni 237-238 le citta' della provincia romana di Mesopotamia, Nisibi e Carrhae, furono assediate e occupate dai sasanidi. Non a caso anche Erodiano suggerisce che i sasanidi rimasero tranquilli per tre o quattro anni dopo le campagne di Alessandro Severo del 232, il cui esito finale fu assai incerto per le due parti.
All'inizio del 238 (attorno a marzo), nella provincia d'Africa, una estorsione di un funzionario del fisco (il procurator Augusti del distretto di Cartagine), che per mostrarsi zelante a Massimino, attraverso una sentenza comprata in una corte corrotta contro proprietari terrieri locali, accese una rivolta generale nell'intera provincia. I proprietari terrieri armarono i loro "clienti" e contadini, oltre ad alcuni militari, e, prima uccisero il funzionario corrotto, poi presero Tisdrus (l'odierna El Djem) e proclamarono imperatore il governatore della provincia africana, Gordiano I (all'epoca ottantenne). Quest'ultimo, se inizialmente non voleva la porpora imperiale, tanto da essere stato minacciato con le armi nel caso non avesse accettato, in seguito accetto' il titolo di Augusto insieme al figlio, Gordiano II, nella citta' di Tisdrus. Poi decise di inviare alcuni ambasciatori a Roma per trovare consensi (tra cui il futuro imperatore Valeriano), e dispose di occupare la stessa Cartagine.
Poco dopo il prefetto del pretorio di Massimino, Vitaliano, veniva ucciso a Roma da alcuni sicari inviati a Roma da Gordiano; molti amici di Massimino furono messi a morte (tra procuratori e magistrati), compresi molti innocenti, come pure il praefectus urbi Sabino, ucciso dalla folla in una sommossa. Il Senato di Roma riconobbe, quindi, i due nuovi imperatori come Augusti (addirittura promettendo al nipote tredicenne Gordiano la pretura, il consolato e il titolo di Cesare), dichiarando Massimino hostis (nemico dello stato), chiedendo infine l'aiuto di tutte le province, affinche' combattessero per la comune salvezza e liberta', ricevendone la quasi totale adesione, con la messa a morte di numerosi funzionari, amici, generali e militari fedeli a Massimino. Le onorificenze militari di quest'ultimo vennero, inoltre, revocate, il suo nome e quello di suo figlio furono cancellati dalle iscrizioni e dai papiri, le sue statue abbattute e i dipinti celebranti le sue vittorie sui germani, che adornavano la Curia, furono staccati e bruciati. Massimino, venuto a sapere di questi eventi, preferi' riflettere per un paio di giorni con i suoi consiglieri, piuttosto che reagire in modo irrazionale. Poi decise di marciare verso l'Italia con l'intero suo esercito e alcuni contingenti di mauri, galli e alleati germani appena sottomessi, dopo aver fatto alle truppe un nuovo donativum.[133] E prima di partire pronuncio' questo discorso alle truppe schierate:
" Sono sicuro che cio' che vi sto dicendo sara' per Voi [soldati] incredibile e inaspettato. Secondo me ha dell'incredibile, come pure appare ridicolo. Qualcuno sta levando le armi proprio contro di Voi e il vostro coraggio. Ma non i germani, che avete sconfitto in molte occasioni, neppure i sarmati, che regolarmente hanno chiesto la pace. I persiani dopo la loro recente invasione della Mesopotamia, sono ora calmi e contenti dei loro possedimenti. Il fatto che stiano in queste condizioni,e' dovuto alla vostra reputazione per il coraggio con cui combattete, oltre all'esperienza del mio comando, quando fui comandante delle legioni che si trovano lungo il fiume [Eufrate]. Non sono quindi loro, ma i Cartaginesi che sono impazziti. Essi hanno persuaso o forzato un uomo debole e vecchio, chee' uscito di senno per la vecchiaia, a diventare imperatore, quasi fosse un gioco in una processione. Ma che sorta di armata hanno messo insieme, quando i littori sono sufficienti a mala pena a servire il loro governatore? Quale sorta di armi utilizzano, non avendo nulla o forse solo le lance utilizzate negli scontri tra gladiatori e bestie? La loro sola esperienza di combattimentoe' nei cori o nelle battute spiritose o nelle danze. [...] Queste sono le persone contro cui noi dobbiamo combattere una guerra, se "guerra"e' la parola corretta per definire cio'. Sono convinto che dovremo marciare verso l'Italia, fino a quando ciascuno di loro non si presenti a noi con un ramo d'ulivo e ci porti i propri figli, chiedendo il perdono e inginocchiandosi ai nostri piedi. Gli altri invece scapperanno, perche' sono dei poveri codardi. Io allora distribuiro' a tutti Voi le loro proprieta', e voi potrete prenderle e rallegrarvi senza alcuna riserva."
(Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VII, 8.4-8.)
Dopo questo discorso alle truppe, Massimino si mise in marcia per l'Italia, portando con se' anche numerose macchine d'assedio, che pero' rallentarono non poco la marcia. Cio' lo convinse ad inviare, come avanguardia, le legioni pannoniche, affinche' cominciassero ad occupare le prime postazioni in Italia, mentre la grande armata stava sopraggiungendo. Le unita' pannoniche, non solo negli anni si erano dimostrate a lui estremamente fedeli, ma per prime si erano dichiarate favorevoli alla sua elezione ad Imperatore. Frattanto a Roma il Senato si esprimeva in questi termini, secondo la Historia Augusta:
" Il Senato ed il Popolo romano, grazie ai principi Gordiani, avendo deciso di liberarsi da quella belva ferocissima [di Massimino], augurano ai proconsoli, governatori, legati, generali tribuni, magistrati, singole citta', municipi, fortezze, villaggi, castelli quella prosperita' che ora stanno cominciando a godere. Grazie al favore degli dei, abbiamo avuto quale imperatore il proconsolare Gordiano, uomo integerrimo e senatore di grandi principi morali, a cui abbiamo conferito il titolo di Augusto, non solo a lui ma anche al figlio, nobile e giovane Gordiano, a ulteriore protezione della Repubblica. Ora a voi sta dare il vostro assenso alla lotta per la salvezza della Repubblica, per impedire ogni scelleratezza e difenderla da quella belva e dai suoi amici, ovunque essi siano. Noi abbiamo dichiarato Massimino e suo figlio nemici pubblici (hostis)."
(Historia Augusta - I due Massimini, 15.6-9.)
La rivolta in Africa fu il risultato di un episodio non programmato. Il comandante di una parte della Mauretania, chiamata Numidia, il senatore Capelliano, fedele a Massimino, sbaraglio' prima le milizie di Gordiano II che mori' nel corso della battaglia di Cartagine, poi indusse il padre, Gordiano I, a togliersi la vita impiccandosi, ponendo cosi' fine alla loro rivolta. Allora Capelliano, risultato vincitore in nome di Massimino, mise a morte tutti coloro che avevano appoggiato Gordiano in Africa, distrusse citta', saccheggio' templi, distribui' ai suoi soldati i dona votiva, fece quindi strage tra la plebe cittadina e la nobilitas delle citta'. Si preparava, infine, ad assumere il potere imperiale, nel caso in cui Massimino fosse morto.
Intanto Massimino, preso da una terribile collera contro il suo stesso figlio, il quale, a suo tempo, si era rifiutato di recarsi a Roma, lasciando cosi' ai senatori mano libera nella capitale, decise di marciare con le sue legioni pannoniche sulla "citta' eterna", dopo aver distribuito un nuovo e ricco donativum ai suoi soldati.
Temendo ora la naturale reazione di Massimino, che si stava preparando per una marcia contro Roma, ora che i due Gordiani erano morti, i senatori decisero di continuare la resistenza eleggendo co-imperatori ed Augusti due di loro, Pupieno (che era stato praefectus Urbi) e Balbino (tardo aprile, inizi di maggio 238). Tuttavia una fazione a Roma preferi' il nipote di Gordiano I, Gordiano III, tanto che ci furono duri combattimenti nelle strade di Roma: Balbino e Pupieno accettarono, allora, di proclamare il giovane Gordiano Cesare.
I tre avversari di Massimino potevano contare su milizie formate da coscritti e da gruppi di giovani, mentre l'imperatore aveva a propria disposizione un grande esercito che veniva da anni di guerre. Massimino, avendo ormai capito, che l'odio che il Senato di Roma aveva nei suoi confronti "non avrebbe avuto piu' fine», decise di marciare rapidamente su Roma per spazzare via i suoi oppositori. Giunto in prossimita' di Emona, pensava di trovarvi un esercito pronto a combatterlo, e invece, scopri' che tutti gli abitanti della regione si erano ritirati in citta', portando via tutto cio' che poteva fornire vettovagliamento per il nemico. Cio' genero' i primi malcontenti tra i suoi soldati, inizialmente contenuti in silenzio, poi sfociati in contestazioni verso il loro comandante. Molti affermano che Massimino trovo' invece Emona, vuota e priva di ogni genere alimentare, poiche' ogni cosa era stata distrutta preventivamente dagli abitanti, che poi avevano abbandonato la citta'. Massimino se ne rallegro', credendo che l'intera popolazione fosse fuggita al suo arrivo. Dopo aver soggiornato una notte, si rimise in marcia e passo' le Alpi, senza incontrare alcuna opposizione.
Quando l'esercito di Massimino giunse in vista di Aquileia, posta all'incrocio di importanti vie di comunicazione e deposito dei viveri e dell'equipaggiamento necessari ai soldati, la citta' chiuse le porte all'imperatore, guidata da due senatori incaricati dal Senato, Rutilio Pudente Crispino e Tullio Menofilo, i quali disposero molti uomini armati lungo l'intero percorso delle mura, che nel frattempo erano state rinforzate. Massimino prese allora la decisione a lui fatale: invece di scendere rapidamente sulla capitale con un contingente, mise personalmente sotto assedio la citta' di Aquileia, permettendo ai suoi avversari di organizzarsi: Pupieno, a cui era stata affidata la conduzione della guerra raggiunse Ravenna, da cui diresse la difesa della citta' assediata. Balbino era preposto alla difesa di Roma, dove fronteggio' una rivolta cittadina.
Sebbene il rapporto di forze fosse ancora a vantaggio di Massimino, il difficile e prolungato assedio che si protraeva senza risultato, malgrado ci fosse stato un segnale di cedimento, poi rientrato, da parte della popolazione della citta' ad arrendersi, la penuria di viveri e la rigida disciplina imposta dall'imperatore (portando anche all'assassinio di alcuini generali delle legioni pannoniche), causarono l'ostilita' delle truppe verso l'imperatore. Si aggiunga il fatto che il Senato di Roma aveva inviato, ex-pretori ed ex-questori, in tutte le citta' dell'area intorno ad Aquileia, per predisporre ovunque misure di sicurezza atte a difendere ogni cosa da possibili attacchi di Massimino, tanto che quest'ultimo si trovo' nella posizione critica di essere egli stesso assediato, con l'intero mondo romano ostile.
I soldati della Legio II Parthica (solitamente di stanza nei castra Albana), presi dal timore, verso mezzogiorno, durante un momento di pausa del combattimento, strapparono le sue immagini dalle insegne militari, per segnalarne la deposizione, poi lo assassinarono nel suo accampamento, assieme al figlio Massimo, mentre i due erano coricati sotto la tenda (10 maggio 238). Poi infilate le loro teste in cima a delle picche, ne fecero mostra agli Aquileiensi.
" [...] lo stesso Massimino, quando si trovo' abbandonato e vide il figlio ucciso sotto i suoi occhi, si diede la morte con la propria mano, affinche' non gli toccasse in sorte una morte indegna di un uomo."
(Historia Augusta - I due Massimini, 32.5.)
Secondo, invece la versione Zosimo, una volta che Massimino si accorse di essere in grave pericolo per la sua vita:
" [...] Massimino, condusse il proprio figlio come supplice, davanti ai soldati, pensando che la sua giovane eta' sarebbe stata sufficiente a cambiare il loro odio in compassione. Ma i soldati assassinarono con grande ferocia sia il ragazzo, sia subito dopo Massimino. Uno di loro si fece avanti e gli stacco' la testa [di Massimino] e la porto' a Roma, come evidente segno di vittoria."
(Zosimo, Storia nuova, I, 15.1-2.)
A Roma allora vennero subito abbattute le sue statue ed i suoi busti, mentre il suo prefetto del pretorio fu assassinato assieme ad altri suoi amici. Poi le teste dei due ex-sovrani, padre e figlio, furono inviate nell'Urbe, mentre i loro corpi furono mutilati e dati in pasto ai cani. Il Senato elesse imperatore il tredicenne Gordiano III e ordino' la damnatio memoriae per Massimino.
" Questa fu la fine dei Massimini, degna della crudelta' del padre, ma ingiusta nei confronti della bonta' del figlio. La loro morte suscito' grande gioia tra i provinciali, e profondo dolore tra i barbari."
(Historia Augusta - I due Massimini, 24.1.)
Eugenio Caruso - 12 aprile 2018