Un discorso importante: un incipit Le amicizie con gli onesti, con i sinceri, con chi ha esperienza sono vantaggiose. Sono dannose le amicizie con gli adulatori, con gli accomodanti, con le sirene.
Ritengo che in questo momento il parlare sia necessario e che quindi un discorso importante sia da fare. Non so spiegare il motivo di questa volontà ma la crisi è significativa. Certamente una volta la presenza dei partiti popolari e ideologici consentiva un maggiore se pur teso equilibrio del discorso politico. Oggi invece la crisi di valori sembra impoverire il nostro percorso valoriale. Queste sono le considerazioni che mi sento di fare oggi. Mi ripetevo senza tema di smentita. E non pensavo certamente che queste semplici e molto lineari osservazioni potessero incuriosire gli amici. Ero stanco perché la giornata era stata faticosa e mi sentivo pieno di tristezza perché non ero riuscito neanche questa volta a convincere qualcuno della bontà delle mie idee. Ma erano pur sempre le mie idee e io ne andavo fiero. Ora era tempo di rincasare e di aprire finalmente la rivista dove lavoravo da tanti anni. Erano pagine che mi piacevano perché avevo collaborato a farle minuto dopo minuto in ufficio. Era stato un innamoramento adolescenziale. Mi ero come invaghito, pur con rigore e senza tentennamenti, di questo discorso. Ed ora ero tornato a casa a riflettere davanti ad una tazza di tè. Ed alcuni piccolo assaggi di biscotti. Erano le quattro del pomeriggio. La mia casa non era molto grande ed era costituita da tre grandi locali. Una piccola cucina con un bel balcone affacciato sui giardini interni delle case della via. Un grande salone con arredi antichi e bei tappeti e una camera da letto con una bella scrivania ed un'ampia libreria con i testi dell’Università e con i libri più amati: dalla biografia dell’Abert a Manzoni. C’ero io rappresentato, la mia storia. Dovevo ammetterlo la mia casa, il mio appartamento si direbbe oggi, mi piaceva. Era il mio nido. Aperto e raccolto. Anche quando organizzavo degli aperitivi leggeri con tanta Fanta e bibite leggermente alcoliche per gli amici mi sentivo bene ad abitarci. Mi rilassavo. Il lavoro non mi pesava. Ero stato fortunato. La mia casa, la via con i negozi: la pasticceria, il bar. Il mio piccolo mondo che mi rassicurava. Il tè del pomeriggio. Il rito del tè. Tutti i giorni, quando ero ragazzo non c’era. Poi in famiglia, mia madre mi aveva insegnato ad apprezzarlo. Ed ora anche io pur vivendo da solo lo apprezzavo. Rigorosamente con un poco di latte fresco. Alla maniera inglese. Già gli inglesi. Il mio nonno materno era nato lì. Ed io sentivo un poco di attrazione per quel paese. Mi ripresi, stavo divagando. Tornavo alla mia amata rivista, al mio ampio divano modernissimo, comprato a rate. Come il mio paese. A prezzi di saldo. Al migliore offerente. Ma non volevo occuparmi della società ma solo di me stesso. Il sano egoismo. Che poi è la molla, con l’amore, che ci fa prendere il bus la mattina per andare in ufficio. Non ero stato un egoista durante la mia infanzia ma crescendo mi ero resoconto che la casa deve poggiare su delle fondamenta forti. E per fare questo occorre pazienza, metodo e un sano materialismo. La vita civile. C’era la rivista adesso. E le riviste. Quella dove lavoravo io e le altre che compravo in edicola. Mi interessavano molto. Ho sempre pensato che sia bello leggere. Divertendosi ed impegnandosi. La rivista ha le immagini e quindi ci si distrae mai come davanti al televisore. Lì veramente siamo nel virtuale. E poi chi darà da mangiare a questo esimio signore se passiamo il tempo a vedere spettacoli non sempre istruttivi e di cultura. Chiusi improvvisamente la rivista. Non volevo più leggere. Presi il tè, lavai la tazza con pazienza e l’asciugati. Misi il tutto nella bella credenza. Si stava bene e si chiedevano spiegazioni sul perché le cose fossero così difficili. Non lo sapevo. Ma capivo che domandarsi il perché delle cose era necessario e buono. Soprattutto per capire il presente e per cercare di modificarlo. Capire il proprio tempo ed agire. Non vedevo altre possibilità in me e negli altri. Era tutto sommato interessante cercare di capire le ragioni storiche degli avvenimenti. Il presente, la storia, il tempo come ricerca e indagine sullo spirito. Lo spirito. Cosa noi siamo. Non è tutto sprecato il tempo passato a studiare gli altri. E capire, in questo modo, noi stessi. Dobbiamo cercare di affrontare le difficoltà con senso delle istituzioni, mi dicevo, tra me e me. Le istituzioni politiche ed economiche. La realtà è economia oggi. Studiare l’economia e la storia economica era necessario per andare a capire la crisi. Le crisi. I problemi, le ragioni del dubbio. Ecco che si riprendeva a ragionare. Insieme. Credo sia ora utile fermarsi e parlare di quello che abbiamo detto. La buona politica si può costruire. E l’economia solidale di mercato. Una solidarietà che costituisce un esempio di sviluppo sostenibile come si dice oggi. A livello internazionale e culturale e politico europeo. Il tema della politica lo aveva sempre interessato non era un caso se per tanto tempo il suo impegno si era rivolto alla politica. Una politica nuova, si diceva, un programma per il cambiamento istituzionale, una evoluzione senza rivoluzione come dicevano nel passato, ma quanti sbagli. Gli errori che abbiamo commesso ci hanno fatto capire che si deve migliorare. Per noi e per il futuro. Un cercare la propria strada come momento di verità, certo se avessi capito prima cosa occorreva fare, le ore cadono infatti in una esistenza povera. Per molti e spesso è così, anche per gli uomini di talento. Non si deve comporre e comporre tanto. Ma con riflessione e meditazione. Gli insegnamenti che ci provengono da altre culture, l’ecumenismo, era una strada, per esempio. La cultura, la lettura. Un impegno di sacrificio e di piacere. Come per tante persone, per me non tanto, quanti errori e sbagli. Oggi sono di nuovo in grado di capire e sono tanto tanto tanto contento. La riflessione per comprendere il passato mi aveva sempre interessato, perché? Dalla storia dal passato si possono capire i problemi esistenziali del presente, del proprio presente. Già, la scrittura, era il solo modo per capire, e io mi interessavo a questi aspetti. Era facile una volta comunicare, parlare con l’altro, con il prossimo, era divertente. Quanta gaiezza. Tutto era semplice. Era la vita, l’esistenza semplice di un cuore semplice. Ora le cose cambiavano però; occorreva maturare. La maturità non si insegna a scuola, nonostante ci sia un esame dal nome maturità. Le cose devono accadere e vanno vissute. Una volta si faceva così, si partiva per un lungo viaggio. Un viaggio senza meta ma con amici e cose e paesaggi e luoghi e non luoghi. Sempre. Sarà così. Oggi la maturità dicevamo. L’età adulta. Cosa vuole dire. Non so. Sapevo tutto ma errare è fragilità. Fragilità. .......... 30 maggio 2018 |
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