In copertina: Annibale Carracci "il vizio e la virtù"
Italia: vizi e virtù
Eugenio Caruso
Impresa Oggi Ed.
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7. Un sinistro rumore di sciabole
Gli avversari della politica riformista sono sempre più aggressivi e ottengono che, nel giugno 1964, Moro rassegni le dimissioni . Nel mese di luglio è un grande fermento di incontri tra uomini politici e militari, di ipotesi di governo di centro-destra oppure di centro-sinistra, di minacce di elezioni anticipate.
Nel luglio del '64, a casa del democristiano Tommaso Morlino, avviene una riunione, per discutere su come risolvere la crisi del primo governo Moro, alla quale partecipano, con alcuni esponenti della Dc, tra i quali Moro e Zaccagnini, anche il generale De Lorenzo e il capo della polizia Angelo Vicari. Fu in occasione di quella riunione che Nenni affermò, con una certa drammaticità, che si avvertiva in giro un «sinistro rumore di sciabole».
La Dc ribadisce che una continuazione della collaborazione con i socialisti può aversi solo con l'assicurazione della possibilità di mantenere in vita un'efficace economia di mercato. Lo Psi schiacciato tra le ipotesi di governi di centro-destra e il rischio delle elezioni anticipate, che lo penalizzerebbero, è costretto ad accettare un governo di centro-sinistra, senza garanzie di riforme.
Il secondo gabinetto Moro (22/7/64-23/2/66), impallinato dagli stessi democristiani grazie allo scrutinio segreto , e il terzo Moro (23/2/66-24/6/68) sono stati tramandati alla storia come i governi dell'immobilismo e dell'operosa passività. Moro, infatti, risolve il problema di una maggioranza di cui non si può fidare, rinunciando a portare in aula qualunque provvedimento di rilievo.
La storia della transizione tra i governi Moro 1° e Moro 2° avviene in uno scenario estremamente sinistro. Nenni scriverà nelle sue memorie che la destra era intenzionata a creare un clima di tensione analogo a quello del 1960. Segni convoca Merzagora, presidente del Senato, per un incarico esplorativo; l'obiettivo è quello di approdare a un governo tecnico di emergenza che evidenzi il fallimento dell'esperimento di centro-sinistra. Segni, inoltre, riceve al Quirinale, con grande risalto, il generale De Lorenzo, comandante dei carabinieri, dopo essere stato per sette anni a capo del Sifar.
Il progetto di un governo tecnico e l'incontro di Segni con De Lorenzo ricompongono i dissidi tra i partiti e i socialisti accettano di dare l'appoggio al governo Moro, senza alcuna contropartita. Per il momento il partito delle riforme economiche e strutturali è sconfitto. Anni dopo, una commissione parlamentare d'inchiesta riassumerà così i fatti: «Nella primavera-estate del 1964, il generale De Lorenzo, al di fuori di ordini o direttive o semplici sollecitazioni provenienti dall'autorità politica, ideò e promosse l'elaborazione di piani straordinari da parte delle tre divisioni dell'arma. Tutto ciò nella previsione che l'impossibilità di costituire un governo di centro sinistra avrebbe portato ad un brusco mutamento dell'indirizzo politico, tale da creare gravi tensioni fino a determinare una situazione di emergenza». È il cosiddetto piano "Solo" che prende il nome dall'ipotesi di utilizzare "solo" l'arma dei carabinieri; esso prevede una serie di iniziative, come: occupazione della Rai e delle centrali telefoniche, fermo di alcuni esponenti della vita politica e sindacale del Paese, allo scopo di consentire la costituzione di un governo "stabile".
Democristiani e socialisti non si fidano gli uni degli altri e, per controllarsi, non trovano migliore soluzione che correre all'occupazione delle "poltrone" delle imprese di stato. Al IX congresso della Dc (Roma - settembre '64), dorotei e morotei, con il 48 % dei voti, perdono la maggioranza assoluta, anche se riescono a far confermare Rumor alla segreteria; i fanfaniani, ottengono il 21%, la destra l'11% e le sinistre (Base e Forze Nuove) il 20%. Il cartello degli "amici di Moro e Fanfani" non c'è più e il partito è in balia del potere d'interdizione delle correnti.
Questo potere negativo si evidenzia durante le elezioni del presidente della repubblica perché Segni ammalato non è più in grado di rimanere al Quirinale. Le gelosie personali e la rissosità tra le correnti fanno sì che le candidature di Leone (candidato ufficiale) e di Fanfani (della dissidenza di sinistra), si elidano a vicenda e, il 29 dicembre 1964, viene eletto Presidente il socialdemocratico Giuseppe Saragat.
Il 21 agosto 1964, muore a Jalta Palmiro Togliatti; gli succede Luigi Longo che conserva la struttura del partito sulla base della disciplina interna e del "centralismo democratico", criteri che manterrano per anni il Pci in uno stato di paralisi, eufemisticamente definita «dell'immobilismo dignitoso». Longo deve fare subito i conti con il terremoto che ha sconquassato la “casa madre”; infatti il 16 ottobre 1964 la Pravda pubblica, in poche righe, la notizia che Chrušcëv si era dimesso “per motivi di salute”. Prendeva l’avvio la lunga stagione della restaurazione di Leonid Breznev. Il popolo comunista non verrà “turbato” né da questo evento, né dall’ennesimo atto di brutalità sovietica, la repressione della primavera di Praga e del tentativo di Alexander Dubcek, nel 1968, di dare al comunismo un volto umano .
Il 30 ottobre 1966, Psi e Psdi si fondono nel nuovo Partito socialsta unificato (Psu), Nenni è presidente, Tanassi e De Martino sono i segretari.
Il X Congresso della Dc, tenuto a Milano, nel novembre 1967, sembra del tutto sordo alle tensioni e ai fermenti che salgono dal Paese (nello stesso mese viene occupata e sgomberata dalla polizia l'università Cattolica di Milano ); i problemi che vengono agitati al congresso sono: come rintuzzare la concorrenza dei socialisti e come esprimere una leadership in grado di contrastare l'arroganza delle baronie correntizie. "Impegno democratico", schieramento di dorotei, morotei, fanfaniani e centristi, ottiene il 64,2% dei voti, ma i dorotei incassano una sconfitta, che fanno pagare al segretario organizzativo, Antonio Bisaglia. Moro è ancora una volta il trionfatore del congresso.
Moro può portare il partito alle nuove elezioni politiche in una posizione di forza agli occhi dell'elettorato moderato, grazie alla ripresa economica del periodo '66-'69 e alla posizione di "fermezza" tenuta nei confronti dei socialisti. Questi, di converso si presentano indeboliti dalle faide interne.
Commenta Indro Montanelli « … in quegli anni il Palazzo riuscì a realizzare la staticità della fibrillazione, un susseguirsi di crisi e tempeste in un bicchier d’acqua che non mutavano in nulla , pur con un carosello di governi e di nomi .....» (Montanelli, 2000).
7.1 L'uomo atterra sulla Luna.
Mentre l'Italia è bloccata tra politiche oscure e oscuri disegni, sulla Terra avvenne un avvenimento di portata storica. La missione Apollo 11 portò l'uomo sulla Luna: gli statunitensi Neil Armstrong e Buzz Aldrin, il 20 luglio 1969 alle 20:18 UTC.
Armstrong fu il primo a mettere piede sul suolo lunare, sei ore più tardi dell'allunaggio, il 21 luglio alle ore 02:56 UTC. Armstrong trascorse due ore e mezza al di fuori della navicella, Aldrin poco meno. Insieme raccolsero 21,5 kg di materiale lunare che riportarono a Terra. Un terzo membro della missione, Michael Collins, rimase in orbita lunare, pilotando il modulo di Comando che riportò gli astronauti a casa. La missione terminò il 24 luglio, con l'ammaraggio nell'Oceano Pacifico.
Lanciata da un razzo Saturn V dal Kennedy Space Center, il 16 luglio, Apollo 11 fu la quinta missione con equipaggio del programma Apollo della NASA. La navicella spaziale Apollo era costituita da tre parti: un Modulo di Comando (CM) che ospitava i tre astronauti ed era l'unica parte che rientrava a Terra, un modulo di servizio (SM), che forniva il modulo di comando di propulsione, energia elettrica, ossigeno e acqua, e un Modulo Lunare (LM) per l'atterraggio sulla Luna.
Apollo 11 concluse la corsa allo spazio intrapresa dagli Stati Uniti e dall'Unione Sovietica, realizzando l'obiettivo nazionale proposto nel 1961 dal presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy in un discorso davanti al Congresso degli Stati Uniti in cui affermò che: "questo paese deve impegnarsi a realizzare l'obiettivo, prima che finisca questo decennio, di far atterrare un uomo sulla Luna e farlo tornare sano e salvo sulla Terra".
Tra la fine degli anni 1950 e l'inizio degli anni 1960, gli Stati Uniti d'America erano impegnati nella cosiddetta "guerra fredda", una rivalità geopolitica con l'Unione Sovietica. Il 4 ottobre 1957, quest'ultima lanciò lo Sputnik 1, il primo satellite artificiale. Questo sorprendente successo scatenò paure e immaginazioni in tutto il mondo. Non solo servì a dimostrare che l'Unione Sovietica possedeva la capacità di colpire con armi nucleari su distanze intercontinentali, ma anche di poter sfidare le aspettative statunitense riguardo alla superiorità militare, economica e tecnologica. Questo fece scaturire la crisi dello Sputnik e innescò quella che verrà conosciuta come "corsa allo spazio". Il presidente Dwight Eisenhower reagì a queste notizie creando la National Aeronautics and Space Administration (NASA) e dando impulso all'inizio del Programma Mercury, che aveva come obiettivo di portare un uomo nell'orbita terrestre. Tuttavia il 12 aprile 1961 gli statunitensi vennero nuovamente anticipati quando il cosmonauta sovietico Yuri Gagarin divenne la prima persona nello spazio e il primo ad orbitare intorno alla Terra. Fu un altro colpo all'orgoglio statunitense. Quasi un mese dopo, il 5 maggio 1961, Alan Shepard divenne il primo americano nello spazio, completando un volo suborbitale di 15 minuti. Dopo essere stato recuperato nell'Oceano Atlantico, ricevette una telefonata di congratulazioni dal successore di Eisenhower, John F. Kennedy.
Kennedy si preoccupava di ciò che i cittadini di altre nazioni pensassero degli Stati Uniti e credeva che non fosse solo nell'interesse nazionale di essere superiore agli altri, ma che la percezione del potere statunitense fosse almeno altrettanto importante della attualità. Era quindi considerato intollerabile che l'Unione Sovietica fosse più avanzata nel campo dell'esplorazione spaziale e che fosse determinata a battere gli Stati Uniti in una sfida che massimizzasse le sue possibilità di vittoria. Poiché l'Unione Sovietica poteva vantare i migliori missili, agli Stati Uniti si presentava una sfida che andava al di là della capacità nella produzione di sistemi balistici della generazione esistente per uguagliare i sovietici, ma che doveva presentare un traguardo più spettacolare, anche se non giustificato da motivi strettamente militari. Dopo essersi consultato con i suoi esperti e consulenti, Kennedy scelse un progetto del genere. Il 25 maggio 1961, si rivolse al Congresso degli Stati Uniti su "Urgenti necessità nazionali" e dichiarò: «Credo che questa nazione si debba impegnare a conquistare l'obiettivo, prima della fine del decennio, di far atterrare un uomo sulla Luna e di farlo ritornare sulla Terra. Nessun progetto spaziale di questo periodo sarà più impressionante per il genere umano, o più importante per l'esplorazione spaziale; e nessuno sarà così difficile e dispendioso da compiere. Proponiamo di accelerare lo sviluppo del veicolo lunare appropriato. Proponiamo di sviluppare alternativamente dei booster con carburante solido e liquido, molto pù grandi di quelli attualmente in sviluppo, finché non sarà certo quale sarà il migliore. Proponiamo fondi aggiuntivi per lo sviluppo di altri motori e per esplorazioni senza equipaggio che sono particolarmente importanti per uno scopo che questa nazione non trascurerà mai: la sopravvivenza dell'uomo che per primo farà questo audace volo.»
Lo sforzo di far atterrare un uomo sulla Luna aveva già un nome: Programma Apollo. Una decisione iniziale e cruciale fu l'adozione del Lunar orbit rendezvous, in base al quale una navicella spaziale dedicata sarebbe atterrata sulla superficie lunare. Come ho già detto, la navicella Apollo sarebbe stata quindi composta da tre parti: un modulo di comando (CM) con una cabina pressurizzata per i tre astronauti che era anche l'unica parte che tornava sulla Terra; un modulo di servizio (SM), che fungeva da supporto per il modulo di comando con fornitura di propulsione, energia elettrica, ossigeno e acqua; e un modulo lunare (LM) che a sua volta era diviso in due stadi: uno per la discesa e l'atterraggio sulla Luna e uno stadio di risalita per riportare gli astronauti nell'orbita lunare. La scelta di questo profilo di missione significò che era possibile lanciare il veicolo spaziale tramite il razzo Saturn V, un vettore che era in quel momento in fase di sviluppo. Le tecnologie e le tecniche richieste per Apollo vennero sviluppate nel corso del Programma Gemini. Il Programma Apollo subì una brusca frenata a seguito dell'incendio che incorse all'Apollo 1, avvenuto il 27 gennaio 1967, in cui morirono i tre astronauti e per via delle successive indagini. Nell'ottobre del 1968, la missione Apollo 7 testò il modulo di comando in orbita terrestre e nel dicembre Apollo 8 lo portò in orbita lunare. Nel marzo 1969, Apollo 9 eseguì i test del modulo lunare in orbita terrestre, e successivamente, nel maggio 1969, l'Apollo 10 condusse una "prova generale", testando il modulo lunare in orbita lunare. Nel luglio 1969, tutto era pronto per l'Apollo 11 e per compiere l'ultimo passo quello che avrebbe portato l'uomo sulla Luna. Quel giorno pochi, forse, compresero che gli Usa avevano vinto la cosiddetta guerra fredda.
7.2 La rivoluzione cecoslovacca.
Il processo di destalinizzazione in Cecoslovacchia era iniziato sotto Antonín Novotný tra la fine degli anni cinquanta e i primi anni sessanta, ma andava progredendo più lentamente rispetto ad altri stati del blocco orientale. Seguendo l'esempio di Nikita Chrušcëv, Novotný proclamò il completamento del socialismo e la nuova costituzione, adottando il nome di Repubblica Socialista Cecoslovacca. Il ritmo del cambiamento, tuttavia, era lento. La riabilitazione delle vittime di epoca stalinista, come quelli condannati nei processi Slansky, fu iniziata fin dal 1963 ma non portò a risultati concreti fino al 1967. Nello stesso tempo si facevano sentire le strette regole volute dal regime, l'Unione degli scrittori cecoslovacchi cautamente cominciò a esternare il malcontento nell'aria e nella gazzetta del sindacato, Literární noviny, alcuni membri proposero che la letteratura avrebbe dovuto essere indipendente dalla dottrina del Partito.
Nei primi anni sessanta, la Cecoslovacchia subì una recessione economica. Il modello sovietico di industrializzazione fu applicato in modo inefficace. La Cecoslovacchia era già molto industrializzata prima della seconda guerra mondiale e il modello sovietico teneva soprattutto conto delle economie meno sviluppate. Novotný tentò così una ristrutturazione dell'economia e fece una maggiore domanda di riforme politiche.
Nel giugno del 1967, un piccolo gruppo di scrittori cechi simpatizzarono con i socialisti radicali: esso era formato in particolare da Ludvík Vaculík, Milan Kundera, Jan Procházka, Antonín Jaroslav Liehm, Pavel Kohout e Ivan Klíma. Alcuni mesi più tardi, in una riunione di partito, fu deciso di intraprendere azioni amministrative contro gli scrittori che apertamente esprimevano sostegno alla riforma. Dal momento che solo una piccola parte del sindacato aveva queste idee riformiste, i membri restanti furono reclutati per disciplinare i loro colleghi. Il controllo della Literární noviny e di diverse altre case editrici fu trasferita al ministero della cultura, anche membri della parte che più tardi divenne riformatrice, tra cui Dubcek, avallarono queste mosse.
Nel frattempo, il presidente Antonín Novotný stava perdendo sostegno. Il Primo Segretario del Partito Comunista Slovacco, Alexander Dubcek e l'economista Ota Šik lo sfidarono in una riunione del Comitato Centrale. Novotný invitò il premier sovietico Leonid Il'ic Brežnev a Praga per dicembre alla ricerca di sostegno, ma Breznev fu sorpreso dalla portata dell'opposizione a Novotný e quindi avallò la sua rimozione a capo della Cecoslovacchia. Dubcek sostituì dunque Novotný come Primo Segretario, il 5 gennaio 1968. Il 22 marzo 1968 Novotný si dimise dalla presidenza e fu sostituito da Ludvík Svoboda che in seguito dette il consenso per le riforme. Inoltre l'8 aprile 1968 Oldrich Cerník diventò Primo Ministro al posto di Jozef Lenárt.
Fin dalla metà degli anni sessanta in tutto il paese si erano percepiti segni di crescente malcontento verso il regime. Le istanze dei riformisti, il cui leader era Alexander Dubcek, avevano trovato voce in alcuni elementi all'interno dello stesso Partito Comunista Cecoslovacco. Le riforme politiche di Dubcek, che egli stesso chiamò felicemente "Socialismo dal volto umano", in realtà non si proponevano di rovesciare completamente il vecchio regime e allontanarsi dall'Unione Sovietica: il progetto era di mantenere il sistema economico collettivista affiancandovi una maggiore libertà politica, di stampa e di espressione. Tutte queste riforme furono sostenute dalla grande maggioranza del paese, compresi gli operai. Ciò nonostante queste riforme furono viste dalla dirigenza sovietica come una grave minaccia all'egemonia dell'URSS sui paesi del blocco orientale, e, in ultima analisi, come una minaccia alla sicurezza stessa dell'Unione Sovietica. Per comprendere i motivi di questo allarme bisogna tener presente la collocazione geografica della Cecoslovacchia, esattamente al centro dello schieramento del Patto di Varsavia: una sua eventuale defezione non poteva essere tollerata in periodo di Guerra Fredda.
A differenza di quanto era avvenuto in altri paesi dell'Europa centrale, la presa di potere dei comunisti in Cecoslovacchia nel 1948 era stata accompagnata da una genuina partecipazione popolare, e non era stata funestata, come altrove, da brutali repressioni. Le riforme sociali del dopoguerra erano avvenute pacificamente, mentre, ad esempio, in Ungheria si erano avute vere e proprie sommosse. Ciononostante, la dirigenza, guidata da Gottwald prima, da Zapotocky e Novotný poi, aveva mantenuto un regime totalitario fortemente repressivo che si era espresso in maniera brutale durante le purghe staliniane e che non si era aperto alle riforme dopo la morte del leader sovietico. La stessa minoranza slovacca rimaneva sotto rappresentata nelle istituzioni, che accusavano sempre una distanza ideologica rilevante rispetto alle altre repubbliche popolari che avevano compiuto la destalinizzazione, Ungheria e Polonia in primis.
La politica sovietica di appoggiare o imporre negli stati satellite governi di provata fedeltà, usando se necessario anche la forza, divenne nota come Dottrina Brežnev, dal nome del leader sovietico Leonid Brežnev, che fu il primo a teorizzarla pubblicamente, sebbene di fatto fosse già stata applicata fin dai tempi di Stalin. Questa dottrina fu la base della politica estera sovietica fino a quando, nei tardi anni ottanta, sotto Michail Gorbacëv, fu sostituita dalla cosiddetta Dottrina Sinatra.
La dirigenza sovietica dapprima usò tutti i mezzi diplomatici possibili per fermare o limitare le riforme portate avanti dal governo cecoslovacco, poi, vista l'inutilità di questi tentativi, optò per l'azione militare.
La stagione delle riforme ebbe bruscamente termine nella notte fra il 20 e il 21 agosto 1968, quando una forza stimata fra i 200.000 e i 600.000 soldati e fra 5.000 e 7.000 veicoli corazzati invase il paese. Le unità principali che effettuarono l'invasione erano le formazioni corazzate e meccanizzate del Gruppo di forze sovietiche in Germania che penetrarono in Cecoslovacchia dalla Sassonia. Il grosso dell'esercito cecoslovacco, forte di 11 o 12 divisioni, obbedendo ad ordini segreti del Patto di Varsavia, era stato schierato alla frontiera con l'allora Germania Ovest, per agevolare l'invasione e impedire l'arrivo di aiuti dall'occidente.
L'invasione coincise con la celebrazione del congresso del Partito Comunista Cecoslovacco, che avrebbe dovuto sancire definitivamente le riforme e sconfiggere l'ala stalinista. I comunisti cecoslovacchi, guidati da Alexander Dubcek, furono costretti dal precipitare degli eventi a riunirsi clandestinamente in una fabbrica, ed effettivamente approvarono tutto il programma riformatore, ma quanto stava accadendo nel paese rese le loro deliberazioni completamente inutili. Successivamente questo congresso del partito comunista cecoslovacco venne sconfessato e formalmente cancellato dalla nuova dirigenza imposta da Mosca a governare il paese.
I paesi democratici dovettero limitarsi a proteste verbali, poiché era chiaro che il pericolo di confronto nucleare al tempo della Guerra Fredda suggerì ai paesi occidentali di non ingaggiare una sfida militare nell'Europa centrale che avrebbe aperto a scenari di guerra atomica.
Dopo l'occupazione si verificò un'ondata di emigrazione, stimata in 70.000 persone nell'immediato e di 300.000 in totale, che interessò soprattutto cittadini di elevata qualifica professionale. Gli emigranti riuscirono in gran parte ad integrarsi senza problemi nei paesi occidentali in cui si rifugiarono.
La fine della Primavera di Praga aggravò la delusione di molti militanti di sinistra occidentali nei confronti delle teorie leniniste, e fu uno dei motivi della nascita delle idee eurocomuniste in seno ai partiti comunisti occidentali. L'esito finale di questa evoluzione fu la dissoluzione di molti dei partiti marxisti venti anni dopo, con la caduta del Muro di Berlino.
Eugenio Caruso 21 luglio-2018