Italia: vizi e virtù. Alla vigilia dell'autunno caldo
In copertina: Annibale Carracci "il vizio e la virtù"
Italia: vizi e virtù Eugenio Caruso Impresa Oggi Ed.
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8. Alla vigilia dell'autunno caldo
I risultati del 19 maggio 1968 dànno ragione alla Dc che vede ridimensionati i partiti di destra (Pli 5,8%, monarchici 1,4%, Msi 4,8%), accresciuti i propri voti (39,1%) e sconfitti i socialisti unificati (14,5% rispetto a un ipotetico 16,5%, somma delle percentuali prima della riunificazione); Pci e Psiup raggiungono un buon 31,4%. Ora la Dc ha un Pli indebolito, alla sua destra, e non deve temere un forte partito socialista, alla sua sinistra, e, pertanto, può trattare da una posizione di forza. Dopo le elezioni, il partito socialista unificato non ritiene opportuna la ricostituzione immediata del centro-sinistra, cosicché, nella Dc tranquillizzata dai risultati elettorali si aprono le ostilità per la sostituzione di Moro alla presidenza del consiglio. Nel crogiolo delle trattative, degli accordi e delle lotte più o meno palesi, nascono l'intesa De Martino-Rumor, con l'obiettivo di aprire al primo la leadership nel Psu e al secondo la presidenza del consiglio e un accordo tra dorotei e fanfaniani, che dovrebbe portare Fanfani alla presidenza della repubblica.
Si approssima, intanto, una fase politica convulsa e violenta, innescata dal maggio francese: l’esplosione della furia studentesca a Parigi. In Italia non ci fu una fiammata violenta come quella francese «ma ci fu una lenta combustione. I ”rivoluzionari” del Movimento studentesco, che a Milano avevano trovato un leader in Mario Capanna, si esercitarono per anni nel punzecchiare un potere debole e sfuggente come gelatina» (Montanelli, 2000). Nell’autunno 1969 la protesta studentesca si salda con le rivendicazioni dei lavoratori per rinnovi contrattuali che riguardano 5 milioni di dipendenti. Nelle Università regna l’anarchia e l’indisciplina, nelle fabbriche si nobilita il sabotaggio. I Comitati unitari di base (Cub) scavalcano i sindacati e diffondono il verbo pseudo-maoista «… i salari devono essere uguali, perché gli stomaci sono uguali»; peccato che i maestri di quella folle teoria non abbiano visto che cosa è la Cina. Queste spinte estremistiche intossicheranno la vita politica italiana per anni, finchè, nel 1980, la marcia dei quarantamila quadri della Fiat non porrà uno stop alle intimidazioni nelle fabbrice e all’arroganza dei sindacati.
Il monocolore "balneare" del secondo Leone (24/6/68-12/12/68), nasce con il compito di estromettere Moro. Le trattative tra Dc e Psu portano al primo ministero Rumor (Dc, Psu, Pri; 12/12/68-10/8/69). De Martino è vice-presidente, Nenni ottiene il ministero degli esteri, Mancini i lavori pubblici, Tanassi l'industria, cosicché tutti i più importanti capicorrente socialisti sono nel governo. Fanfani è presidente del Senato. Rumor ritiene di aver costituito una coalizione a prova di correnti. Ha sottostimato però la possibilità di collegamento tra Moro, in cerca di rivincite e la sinistra, ostile al patto tra dorotei e fanfaniani. Al consiglio nazionale della Dc, del gennaio 1969, il comportamento critico di Moro indebolisce i dorotei, che riescono, in ogni modo, a far eleggere segretario, Flaminio Piccoli; ne esce l'immagine di una Dc debole e divisa, proprio mentre sta avviandosi la stagione cosiddetta dell’autunno caldo.
A Roma, nel giugno '69, al Congresso della Dc, come ricorda Giorgio Galli, Moro «Parte all'attacco con una decisione che dimostra soltanto quando non si tratta di governare», accusa i dorotei di utilizzare il partito e lo stato solo per tenere in piedi gli equilibri di potere. Tra i due schieramenti, quello di sinistra, guidato da Moro e la maggioranza di Rumor, Piccoli, Colombo e Andreotti, i fanfaniani diventano l'ago della bilancia e consentono la rielezione di Piccoli, con l'intesa che il prossimo segretario possa essere il fanfaniano Arnaldo Forlani e Fanfani presidente della repubblica (Galli, 1993).
Nel maggio del '69 nel partito socialista unificato si forma una maggioranza attorno alla linea Mancini-De Martino, critica nei confronti del centro sinistra e Ferri si dimette da segretario. Nel luglio, si assiste all'ennesima scissione dei socialisti; i socialdemocratici e alcuni dirigenti del vecchio Psi, escono dal partito per dissensi contro la nuova leadership e fondano il partito socialista unitario (Psu), che, il 6 febbraio 1971, prende il vecchio nome di Psdi con Ferri segretario, mentre il partito di Mancini-De Martino riprende il nome di Psi, richiudendosi il circolo perverso delle unificazioni e delle scissioni. I socialisti escono dal governo e viene costituito il secondo gabinetto Rumor (10/8/69-27/3/70), un ministero "di transizione" (monocolore Dc e voti esterni di Psi e Psu). Siamo alla vigilia dell'autunno caldo, stagione che sarà molto calda anche nella Dc, ove si assisterà per mesi a scontri di bande, accordi e imboscate, che condurranno all'estinzione del correntone doroteo. L'oggetto politico degli scontri nella Dc sono relativi a possibili aperture al Pci: i dorotei sono contrari, Moro è favorevole, Fanfani possibilista, Andreotti è pronto a cogliere ogni occasione.
Nel settembre '69, De Mita e Forlani, che rappresentano la generazione nuova della Dc, stringono il patto di San Ginesio, allo scopo di insediare un gruppo dirigente nuovo, di limitare il potere dei cosiddetti cavalli di razza della Dc (in particolare Moro e Fanfani) e di ostacolare i tentativi di alleanze politiche con il Pci. I dorotei, Bisaglia, Rumor, lo stesso segretario Piccoli, aderiscono all'iniziativa, sciolgono la storica corrente Iniziativa democratica e portano, il 6 novembre 1969, Forlani alla segreteria, allo scopo di rassicurare l'elettorato moderato. Vicesegretario è nominato De Mita, al quale viene affidato il ruolo di avviare un nuovo "patto costituzionale" tra Pci e Dc, al fine, sia di non esasperare i contrasti con Moro e Fanfani, sia di ammorbidire l'opposizione e consentire alla Dc di governare con maggiori spazi di manovra. Si tenta un “virtuale” spostamento a sinistra del partito attraverso un passaggio di potere di tipo generazionale sommato a un attivismo di stampo fanfaniano, mirato a una stabilizzazione del sistema politico.
8.1 Si apre la stagione dello stragismo
Il 12 dicembre 1969, una bomba uccide sedici persone e ne ferisce cento nella Banca dell'agricoltura a Milano: inizia la stagione delle stragi, che alcuni chiameranno stragi di stato, perché esse si rivelano utili per tenere viva la strategia della tensione (impiegata con successo dai colonnelli in Grecia) e mostrare la necessità del principio di contrapposizione tra sinistra e governo. La polizia e il ministro degli interni annunciano che i responsabili della strage sono da ricercare tra gli anarchici: il ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli muore, precipitando, dal quarto piano della questura di Milano, il ballerino romano Pietro Valpreda trascorre tre anni in carcere, in attesa di giudizio, per essere prosciolto da ogni accusa solo nel 1985 . Ci vorranno anni perché la rete di menzogne intessuta dai servizi si sfaldi ed emergano le responsabilità di un gruppo neo-fascista del Veneto, che fa capo a Franco Freda e Giovanni Ventura, che ha un rapporto stretto con Guido Giannettini, colonnello del Sid (servizio informazioni della difesa) e sostenitore del Msi. Il processo si trascinerà interminabilmente - le istituzioni cercheranno di insabbiare le indagini, ai magistrati verrà impedito l'accesso agli schedari del Sid, sulle attività di Giannettini - fino alla condanna all'ergastolo di Freda, Ventura, Giannettini e Pozzan, a due e quattro anni, rispettivamente del generale Maletti e del capitano La Bruna, nel 1981 a Catanzaro, e alla loro successiva assoluzione presso la corte d’assise di Bari. Successivamente il magistrato Guido Salvini ha indicato in Delfo Zorzi (già membro di spicco di Ordine Nuovo in Veneto, ora ricco imprenditore che opera in Giappone con cittadinanza giapponese), in Carlo Maria Maggi, all'epoca capo di Ordine Nuovo nel Triveneto (in carcere) e in Giancarlo Rognoni, leader dell'organizzazione di estrema destra La Fenice, i maggiori responsabili.
Nel giugno 2005, al termine dell'ultimo processo su piazza Fontana, riaperto negli anni '90 a Milano per trovare i complici di Franco Freda e Giovanni Ventura, la Corte di Cassazione conferma la responsabilità di Freda e Ventura in ordine alla strage . Secondo la Cassazione, così come per le corti d'appello, anche "la cellula veneziana di Maggi e Zorzi" nel 1969 organizzava attentati, ma "non è dimostrata la loro partecipazione alla strage del 12 dicembre".
Anche se successiva in ordine di tempo, giova parlare anche della strage di Brescia e di quella dell’Italicus che vede indagati esponenti degli stessi ambienti dell’estrema destra e dei servizi.
Il 28 maggio 1974 nella centrale piazza Della Loggia di Brescia, una bomba nascosta in un cestino portarifiuti viene fatta esplodere mentre è in corso una manifestazione contro il terrorismo neofascista indetta dai sindacati e dal Comitato Antifascista. L'attentato provoca la morte di otto persone e il ferimento di altre novantaquattro. La prima istruttoria della magistratura porta alla condanna nel 1979 di alcuni esponenti dell'estrema destra bresciana. Uno di essi, Ermanno Buzzi, in carcere in attesa d'appello, viene strangolato da Pierluigi Concutelli e Mario Tuti. Nel giudizio di secondo grado, nel 1982, le condanne del giudizio di primo grado sono commutate in assoluzioni, le quali vengono confermate nel 1985 dalla Corte di Cassazione. Un’altra istruttoria viene avviata presso la Procura di Brescia. Il 19 maggio 2005 la Corte di Cassazione conferma la richiesta di arresto per Delfo Zorzi per il coinvolgimento nella strage di Piazza della Loggia. Il 15 maggio 2008 sono stati rinviati a giudizio i sei imputati principali: Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Maurizio Tramonte, Pino Rauti, Francesco Delfino, Giovanni Maifredi. I rinviati a giudizio Zorzi, Maggi e Tramonte erano all'epoca militanti di spicco di Ordine Nuovo, gruppo neofascista fondato nel 1956 da Pino Rauti e più volte oggetto di indagini, pur senza successive risultanze processuali, in merito all'organizzazione ed al compimento di attentati e stragi.
Ordine Nuovo fu sciolto nel 1973 per disposizione del ministro dell'Interno Paolo Emilio Taviani con l'accusa di ricostituzione del Partito Fascista. Gli altri rinviati a giudizio sono l'ex generale dei carabinieri Francesco Delfino, all'epoca responsabile - con il grado di capitano - del Nucleo investigativo dei Carabinieri di Brescia, e Giovanni Maifredi, ai tempi collaboratore del ministro degli Interni Paolo Emilio Taviani. Gli oscuri intralci di provenienza istituzionale manifestatisi durante le indagini verranno definiti dal giudice istruttore ulteriore "riprova, se mai ve ne fosse bisogno, dell'esistenza e costante operatività di una rete di protezione pronta a scattare in qualunque momento e in qualunque luogo".
Il 4 agosto 1974 una bomba ad alto potenziale esplode nella vettura 5 dell'espresso “Italicus” Roma-Monaco di Baviera via Brennero. Nell'attentato muoiono 12 persone e altre 48 restano ferite. La strage avrebbe avuto conseguenze più gravi se l'ordigno fosse esploso all'interno della galleria di San Benedetto Val di Sambro, come avverrà dieci anni dopo nella Strage del Rapido 904. Aldo Moro si sarebbe dovuto trovare a bordo del treno, quella sera ma lo perse poiché venne raggiunto da alcuni funzionari del Ministero e fatto scendere all'ultimo momento per firmare documenti importanti. L'attentato venne rivendicato dall'organizzazione “Ordine Nero” attraverso un volantino che dichiarava.
«Giancarlo Esposti è stato vendicato. Abbiamo voluto dimostrare alla nazione che siamo in grado di mettere le bombe dove vogliamo, in qualsiasi ora, in qualsiasi luogo, dove e come ci pare. Vi diamo appuntamento per l'autunno; seppelliremo la democrazia sotto una montagna di morti.». I colpevoli della strage non sono mai stati individuati, ma la Commissione Parlamentare sulla Loggia P2 ha dichiarato in merito: « Tanto doverosamente premesso ed anticipando le conclusioni dell'analisi che ci si appresta a svolgere, si può affermare che gli accertamenti compiuti dai giudici bolognesi, così come sono stati base per una sentenza assolutoria per non sufficientemente provate responsabilità personali degli imputati, costituiscono altresì base quanto mai solida, quando vengano integrati con ulteriori elementi in possesso della Commissione, per affermare: che la strage dell'Italicus è ascrivibile a una organizzazione terroristica di ispirazione neofascista o neonazista operante in Toscana; che la Loggia P2 svolse opera di istigazione agli attentati e di finanziamento nei confronti dei gruppi della destra extraparlamentare toscana; che la Loggia P2 è quindi gravemente coinvolta nella strage dell'Italicus e può ritenersene anzi addirittura responsabile in termini non giudiziari ma storico-politici, quale essenziale retroterra economico, organizzativo e morale.»
Mentre l'Italia si contorceva tra stragi, rivendicazioni, logge segrete e servizi deviati, i giovani statunitensi organizzavano la più grande manifestazione musicale dedicata all'amore e alla pace.
IL FESTIVAL DI WOODSTOCK DEL
1969
Il Festival di Woodstock fu un evento tanto importante, da diventare un aggettivo: utilizzato per rendere l’idea di una grande manifestazione, soprattutto se a carattere musicale e se popolata da un pubblico numeroso, perlopiù giovanile (e, anche, trasgressivo). È Woodstock, il più grande raduno della storia del rock, andato in scena nella piccola cittadina rurale di Bethel, situata nello stato di New York, in una distesa di prato aperto (per la precisione, si tenne nel caseificio di proprietà di Max Yasgur, poco fuori il White Lake).
Il festival ebbe luogo dal 15 al 17 agosto del 1969, con un’appendice finale “debordata” al 18 agosto (per la verità non prevista), e può ben essere considerato il punto culminante, il vero apice, della diffusione della cultura hippy. Un happening mondiale organizzato allo scopo di riunire gli amanti della musica rock e del movimento della controcultura sessantottina, in tre giorni di “Peace And Music”. Vi presero parte alcune delle migliori espressioni musicali del tempo, vere e proprie leggende della musica, ancora oggi idolatrate in tutto il mondo: da Jimi Hendrix a Janis Joplin passando per Santana, David Crosby e Richie Havens.
Conosciuto anche come “An Aquarian Exposition”, Woodstock nacque grazie all’intuizione di quattro giovani organizzatori: John Roberts, Joel Rosenman, Artie Kornfeld e Mike Lang. Il più vecchio dei quattro, aveva appena ventisette anni. Il gruppo diede vita a un evento storico di una portata ben più grande rispetto a quella che, almeno all’inizio dei lavori, avevano intenzione di mettere in piedi.
Ad ogni modo, a dare l’abbrivo al festival fu un semplice annuncio pubblicato sul New York Times, il quale diceva pressapoco così: “Giovani con capitale illimitato sono alla ricerca di interessanti opportunità di investimento e business, legali”. I soldi, in pratica, erano quelli di Roberts, il quale li aveva ereditati dal ramo farmaceutico. Con lui, nella missione, era impiegato il suo migliore amico, Rosenman. Ma a far scoccare la scintilla furono i due nuovi arrivati, Kornfeld e Lang.
La prima proposta di business era legata all’idea di dare vita ad uno studio di registrazione di grande portata, all’avanguardia, punto di riferimento per i rocker, in una località, New York, già famosa per accogliere alcuni dei musicisti più in voga del momento. Subito dopo però, Kornfeld e Lang pensarono che dare vita a un concerto rock che potesse ospitare fino a cinquantamila persone, avrebbe fatto da trampolino di lancio sia per un successivo studio di registrazione e sia dal punto di vista finanziario.
Gli inizi non sono entusiasmanti. I quattro individuano un luogo utile per lavorare all’allestimento dell’evento e lo trovano in un parco industriale nella vicina Wallkill, sempre nello stato di New York. Stampano biglietti da 7, 13 e 18 dollari ciascuno, rispettivamente per una, due o tre giornate di concerto. Vengono venduti in alcuni negozi selezionati o, anche, per corrispondenza. Tuttavia, la cittadinanza di Wallkill non sembra vedere di buon occhio la cosa: la gente del luogo, semplice e perlopiù operaia e contadina, non vuole “un mucchio di drogati” nella propria località e così, dopo molte dispute legali, la cittadina riesce a far approvare una legge esattamente il 2 luglio del 1969, nella quale viene vietato il concerto tanto a Walkill che nelle immediate vicinanze.
In pratica, a un mese e mezzo dal Festival, tutto è in alto mare: senza località, il rischio di far saltare tutto all’aria è concreto. Intanto, a seguito dell’ordinanza cittadina, molti musicisti cominciano a declinare l’invito e anche i rivenditori dei biglietti non hanno più intenzione di sostenere un evento così in bilico.
A tirare in ballo Max Yasgur fu il proprietario del Motel El Monaco, Elliot Tiber, titolare di una tenuta di circa quindici acri. Quest’ultimo infatti, contattato dagli organizzatori, pur avendo accettato di dare asilo agli ospiti, ben presto si rese conto che non avrebbe mai potuto accogliere, con i propri mezzi, l’enorme mole di gente prevista. A metà luglio infatti, con il festival in alto mare e nonostante l’annuncio di spostamento della località, erano già stati venduti oltre centocinquantamila biglietti. Per tale ragione allora, Tiber suggerì di interpellare Max Yasgur, proprietario di un caseificio di 600 acri a ridosso di uno stagno il quale a propria volta, successivamente, sarebbe stato reso famoso proprio dagli hippy intervenuti alla tre giorni di concerto (il bagno completamente svestiti divenne infatti uno dei momenti leggendari di Woodstock).
La nuova location si prestava bene ma l’intera organizzazione era molto, molto in ritardo: tutti i contratti di locazione (e non solo) dovevano essere ancora redatti, stesso dicasi per quanto riguarda la costruzione e l’allestimento del palco, i padiglioni, un parco giochi per i bambini e molto altro ancora, bagni compresi. Infine, cosa ancora più grave, non si riuscì mai a mettere in piedi le biglietterie e le cancellate di recinzione: cosa che trasformò il festival di Bethel in una enorme kermesse gratuita. Da ogni dove, prima e immediatamente dopo il concerto, fioccarono le accuse di aver dato vita ad un evento disorganizzato e pericoloso.
Ciononostante, fu proprio il titolare del caseificio, Max Yasgur, a dare la definizione più giusta del festival di Woodstock, parlando di come mezzo milione di persone, in una situazione che avrebbe permesso risse e saccheggi, avessero creato realmente una comunità motivata dagli ideali di pace e amore: “Se ci ispirassimo a loro potremmo superare quelle avversità che sono i problemi attuali dell’America – dichiarò Yasgur – nella speranza di un futuro più luminoso e pacifico“.
Woodstock divenne Woodstock già nei giorni precedenti all’inizio vero e proprio del festival. I quattro organizzatori intesero che non avrebbero mai potuto nulla contro l’enorme quantità di gente in arrivo da ogni parte degli States. Già mercoledì 13 agosto, due giorni prima dell’inizio della rassegna musicale, circa 50.000 persone campeggiavano nell’area adiacente il palco. La zona infatti, non era recintata e non lo fu mai, in realtà. Le stime salirono ben presto a duecentomila persone, ma alla fine ve ne presero parte circa cinquecentomila (anche se stime mai confermata parlano di un milione di partecipanti).
La dichiarazione ufficiale di una tre giorni di musica gratuita fu proprio ad opera degli organizzatori ed ebbe un effetto devastante sull’intera cittadina di Bethel (e suoi suoi immediati dintorni). Frotte di giovani si misero in marcia, le automobili vennero abbandonate per strada e ben presto si campeggiò un po’ ovunque, a totale danno dell’ordine pubblico. Per favorire gli spostamenti degli artisti dagli alberghi al palcoscenico, vennero noleggiati degli elicotteri, utilizzati come vere e proprie navette.
Nonostante tutti i problemi degli organizzatori (non solo non si alzarono mai i cancelli a recinzione dell’area delimitata al concerto, ma non si riuscì neanche a provvedere per i servizi igienici), il Festival di Woodstock cominciò quasi in orario. Venerdì 15 agosto, intorno alle 17, Richie Havens salì sul palco e cominciò ufficialmente la rassegna più importante della storia della musica rock.
Il grande cantante e chitarrista afroamericano aprì con il brano “High flyin’ bird”, per poi suonare un paio di cover dei Beatles – ufficialmente già sciolti all’epoca e assenti a causa del rifiuto degli organizzatori di voler includere anche la Plastic Ono Band, secondo le pretese di John Lennon – e per intonare, infine, una delle canzoni improvvisate più note di sempre: “Freedom”.
L’esecuzione durò diversi minuti e divenne una sorta di inno di Woodstock, il quale in quelle ore di venerdì cominciava a diventare anche per i cittadini della contea ciò che sarebbe stato per tutti: un raduno di giovani desiderosi di cambiare il modo di vivere, la cultura dominante, la società circostante, e di farlo a ritmo di musica, senza rinunciare ad esperienze al limite, come l’uso di droghe a scopo totalmente pacifico.
La prima giornata venne dedicata ufficialmente al folk: vero nume ispiratore del movimento giovanile di quegli anni. Assente giustificato Bob Dylan (alle prese con problemi di famiglia piuttosto gravi), dopo Havens suonarono Country Joe (che sarebbe ritornato sul palco domenica, con i suoi “The Fish”), gli Sweetwater, Bert Sommer, Tim Hardin, Ravi Shankar, Melanie, The Incredible String Band e i due grandi musicisti folk americani di quel periodo: il leggendario Arlo Guthrie e la madrina Joan Baez. Quest’ultima, al sesto mese di gravidanza durante la sua performance, successivamente avrebbe dichiarato che suo marito, David Harris, proprio mentre lei suonava a Woodstock, veniva arrestato dall’esercito statunitense in quanto obiettore di coscienza.
Fu Quill, poco dopo mezzogiorno, ad aprire le danze della seconda giornata, la quale durò praticamente fino alle nove della domenica. Sul palco si alternarono artisti strepitosi come Carlos Santana (leggendaria l’esecuzione di una delle versioni più spettacolari di sempre del celebre brano “Soul Sacrifice”, senza dimenticare “Evil ways” ed altre canzoni altrettanto importanti) Janis Joplin, i Grateful Dead (che presero “la scossa” sul palco) e gli Who. Questi ultimi salirono sul palcoscenico intorno alle quattro del mattino, molto probabilmente perché non riuscirono subito ad accordarsi economicamente con gli organizzatori.
La loro performance fu importante, con la consueta distruzione della chitarra da parte di Pete Townshend e conseguente lancio dello strumento tra il pubblico presente. Suonarono brani storici come “My Generation”, “I’m free” e “I can’t explain”, oltre ad un’altra dozzina altrettanto importanti. Keef Hartley, i Creedence (altra band leggendaria), i Mountain, i Canned Heat e gli psichedelici Jefferson Airplane completarono la giornata di sabato, che di fatto si concluse intorno alle nove del mattino di domenica. Canzoni come “Somebody to love”, “Volunteers” e “White Rabbit”, a forte connotazione politica e anche acida, firmate proprio dai Jefferson, caratterizzarono definitivamente il festival di Woodstock.
Durate questa ultima giornata, la gran parte della gente abbandonò l’accampamento. Woodstock era agli sgoccioli e quando l’ultimo artista in scaletta suonò la sua strabiliante musica, esattamente alle ore nove del lunedì successivo, ad ascoltarlo erano “solo” in duecentomila. Peccato, perché l’artista in questione è considerato il chitarrista rock più grande di sempre e la sua performance (durata oltre due ore) fu la più importante dell’intera rassegna e, forse, della sua stessa carriera.
Jimi Hendrix passò alla storia per il brano The Star-Spangled Banner: una reinterpretazione “molto personale” dell’inno degli Stati Uniti, da interpretare come un vero e proprio inno di protesta nei confronti dell’esercito americano, in quel tempo impegnato nella contestatissima guerra nel Vietnam (una delle motivazioni principali dello stesso festival di Woodstock). Hendrix e la sua Fender Stratocaster destrorsa rovesciata passarono letteralmente alla storia: il chitarrista di Seattle simulò le bombe con le sei corde della sua chitarra, facendole vibrare con il suo grosso anello dorato inserito nell’indice della mano sinistra, evocando anche le urla e il suono dei missili aerei, e intersecando tutto all’interno del contestato inno nazionale statunitense.
Fu un delirio, naturalmente. E ancora oggi, il video della sua esibizione (e le infinite registrazioni “pirata”) rappresentano uno punto di riferimento per i musicisti di tutto il mondo. Fantastiche anche le esecuzioni di canzoni ormai “classiche” della storia del rock: da “Hey Joe” a Purple Haze”, passando per “Foxy Lady”, “Fire” e “Voodoo Chile”.
L’ultima giornata non fu solo Hendrix. Sul palco si alternarono artisti importanti come il bluesman bianco Johnny Winter, i Blood Sweet and Tears, The Band, Sha-Na-Na, The Grease Band e Paul Butterfly. Una menzione a parte la merita anche l’allora giovanissimo Joe Cocker, il quale aprì ufficialmente il festival alle due del pomeriggio, oltre alla chitarra impazzita di Alvin Lee, front-man dei leggendari Ten Years After (straordinario il suo “I’m going home” eseguito alla velocità della luce).
Tuttavia, a riscuotere un grande successo fu soprattutto il quartetto vocale e strumentale di David Crosby, Stephen Stills, Graham Nash e Neil Young. Questi ultimi iniziarono intorno alle tre del mattino e diedero vita a due esibizioni distinte: una vocale ed una (successiva) strumentale. Magnifiche le esecuzioni di brani come “Helplessy hoping”, “Blackbird”, “Marrakesh Express”, “Bluebird” e “Wooden Ships”.
Da segnalare, infine, un’altra nota di colore: alla fine dell’esibizione di Joe Cocker, su Bethel si abbatté un fortissimo temporale che arrestò il concerto per diverse ore, prima della ripresa di Country Joe and The Fish, intorno alle 18. Durante quelle ore di pioggia, le centinaia di migliaia di persone assiepate diedero vita ad una vera e propria danza della pioggia, intonando un coro improvvisato che diceva solamente le seguenti parole “No rain, no rain, no rain”.
Gli organizzatori di Woodstock si ritrovarono letteralmente travolti dalla rassegna e dal successo incredibile della tre giorni di musica. Più che altro, non ebbero il tempo di rendersi conto di ciò che erano stati in grado di organizzare. Questo perché immediatamente dovettero fare i conti con il loro debito accumulato, il quale ammontava a circa un milione di dollari. Successivamente, dovettero provvedere alle settanta cause giudiziarie presentate contro di loro: altra grana non da poco.
A dare conforto al gruppo però, furono i diritti ricavati dal film originale del Festival di Woodstock, il quale risultò un grande successo e diede la possibilità ai quattro organizzatori di coprire una larga fetta del debito accumulato. Il titolo del film cui si fa riferimento è “Woodstock – Tre giorni di pace, amore e musica”, per la regia di Michael Wadleigh, datato 1970. Successivamente, nel 2009, anche il regista Ang Lee provò a raccontare la grande esperienza del 1969, con il suo “Motel Woodstock”, il quale però non riscosse un grande successo né di pubblico e né di critica.
Considerazioni conclusive
- L'affluenza di gente a Bethel, soprattutto ragazzi, fu massiccia e immediata. Il traffico bloccò a lungo alcune autostrade dello stato di New York.
- Il sito del festival non era stato attrezzato per tante persone: le strutture sanitarie erano insufficienti, il sistema di pronto soccorso in parte impotente; molti partecipanti si trovarono in difficoltà a causa del clima, per la mancanza di igiene e di cibo.
- I media avrebbero rilevato particolarmente i disagi dei partecipanti e delle città vicine, pur relativi per un evento così grande e imprevisto. L'unico cronista presente nel primo giorno e mezzo del festival, Barnard Collier del New York Times, avrebbe raccontato che i redattori a New York lo incitavano a sottolineare i blocchi stradali, le sistemazioni improvvisate, l'uso di droghe fra i ragazzi e la presunta aggressività di alcuni di loro. Si voleva dimostrare che il festival era un incontro tra disadattati e anarchici.
- Collier ha ricordato: "Ogni redattore, fino al redattore capo James Reston, insisteva perché il tono del reportage indicasse una catastrofe sociale in corso. Era difficile persuaderli che la mancanza di incidenti seri e l'affascinante cooperazione, premura e correttezza di così tante persone era il punto significativo. Ho dovuto rifiutarmi di scrivere quella storia se non avesse potuto riflettere in larga parte la mia convinzione di testimone oculare, che "pace e amore" era la cosa davvero importante, non le opinioni preconcette dei giornalisti di Manhattan. Dopo molte telefonate acrimoniose, gli editors acconsentirono a pubblicare la storia come la intendevo, e benché aneddoti di ingorghi stradali e piccole illegalità fossero raccontati quasi all'inizio degli articoli, i miei pezzi erano permeati dall'atmosfera autentica di quella assemblea. Dopo che la descrizione della prima giornata comparve sulla prima pagina del New York Times, molti riconobbero che "caso sorprendente e bello stesse avvenendo".
- Benché l'atmosfera del festival fosse straordinariamente serena, si ha notizia di due decessi a Woodstock: uno probabilmente causato da un'overdose di eroina, l'altro per la morte accidentale di un partecipante che dormiva nel sacco a pelo in un campo di fieno limitrofo, venendo investito da un trattore.
- Sembra anche che si siano verificate due nascite (in un'auto ferma nel traffico e in un elicottero) e quattro aborti spontanei.
- Fece scalpore la comparsa di Abbie Hoffman sul palco: il leader hippy strappò il microfono a Pete Townshend durante l'esibizione degli Who, non appena finirono di suonare Pinball Wizard. Hoffman gridò: «Penso che questo sia un mucchio di merda! Mentre John Sinclair marcisce in prigione!»; Townshend, che apparentemente non si era accorto dell'uomo che arrivava lentamente in scena, gli urlò di andarsene e lo colpì con la chitarra, facendolo cadere. Poiché il pubblico approvava gridando, tornò al microfono e commentò sarcasticamente: «Vi capisco!». Dopo la canzone seguente, Do You Think It's Alright?, si fece serio: «La prossima fottuta persona che cammina su questo palco verrà uccisa, d'accordo? Potete ridere, sono serio!».
- John Sinclair era un poeta e attivista politico, condannato da poco a nove anni di prigione nel Michigan per avere offerto due spinelli a una poliziotta in borghese. Sarebbe stato scarcerato presto, dopo una grande mobilitazione di artisti (John Lennon gli dedicò la ballata John Sinclair) e movimenti. Dopo il festival Townshend avrebbe spiegato che sosteneva la causa della sua liberazione, ma che avrebbe picchiato Hoffman per l'intrusione, indipendentemente dal suo messaggio.
- Hoffman avrebbe negato l'aggressività che era sprigionata nell'episodio (nel suo ultimo libro, Ho deriso il potere, nega che Townshend l'abbia colpito con la sua chitarra e relega l'episodio a mera leggenda metropolitana), ma diverse registrazioni sembrano confermarla. Fu una delle poche note violente in una manifestazione generalmente, coscientemente pacifica.
- Max Yasgur, che aveva offerto il suo terreno, parlò con stupore di come mezzo milione di persone, in una situazione che avrebbe permesso risse e saccheggi, avessero creato realmente una comunità motivata dagli ideali di pace e amore. "Se ci ispirassimo a loro" - disse - "potremmo superare quelle avversità che sono i problemi attuali dell'America, nella speranza di un futuro più luminoso e pacifico...".
Eugenio Caruso 12 agosto-2018
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