Italia: vizi e virtù. La politica degli opposti estremismi


In copertina: Annibale Carracci "il vizio e la virtù"

Italia: vizi e virtù
Eugenio Caruso
Impresa Oggi Ed.

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11. La politica degli opposti estremismi

I democristiani, a scapito della destra, mantengono il 38,7 % di quattro anni prima e possono essere soddisfatti del risultato; nel '72 era stata bloccata l'ondata di destra, il 20 giugno '76 viene bloccata l'ondata di sinistra, la quale raggiunge complessivamente il 46,7 % dei voti.
I democristiani vengono premiati dalla campagna elettorale basata sul pericolo del sorpasso delle sinistre e sulla tesi della battaglia agli "opposti estremismi", tesi favorita dall'uccisione, pochi giorni prima delle elezioni, di un comunista, da parte di neofascisti al seguito di Saccucci, e del magistrato Coco e di due poliziotti di scorta, da parte delle brigate rosse. La Dc riesce a "tenere", ma l'elettorato manda un segnale eloquente: quasi tutti i capi storici (Rumor, Piccoli, Bisaglia, Andreotti, Emilio Colombo, Forlani, Gaspari, Donat Cattin, Vittorino Colombo, Granelli) vengono fortemente ridimensionati nel numero delle preferenze, mentre, a Milano, emergono Massimo De Carolis, leader della maggioranza silenziosa, e Andrea Borruso, dirigente di Comunione e liberazione. La situazione politica vede comunque contrapposti due schieramenti di uguale forza e, alla Dc, appare evidente la necessità di operare una svolta che le consenta comunque di mantenere il proprio potere.
Nella prima metà degli anni settanta, si assiste a un periodo, sia pur breve, di successi della destra; nel '69 Almirante, diventato segretario dell'Msi, abbandona la strategia dell'inserimento a ogni costo, perseguita da Michelini, e gioca la carta della destra moderna e autonoma. Spinge il movimento ad abbandonare le nostalgie del ventennio e tenta di trasformarlo in partito d'ordine; accoglie il filosofo ex-marxista Armando Plebe e alcuni notabili, e si candida a rappresentare l'unica vera opposizione al comunismo. Come già visto, alle elezioni del '72, presentandosi con il simbolo Msi-Destra nazionale, tocca quasi il 9% dei voti, aggregando «ampie fasce di un elettorato impaurito dalla conflittualità sociale del Nord e frustrato per non aver beneficiato della modernizzazione al Sud» (Valiani, 1995); ma la stagione delle violenze, delle ambiguità, delle connivenze, che vede implicati esponenti missini, manda all'aria la politica almirantiana e conduce l'Msi alla sconfitta delle elezioni del '76.
12 Lo stato parallelo
Un capitolo a parte merita un'analisi degli episodi che hanno caratterizzato i tentativi di destabilizzazione più o meno seri, che hanno caratterizzato la storia dell'Italia repubblicana.
La riforma urbanistica proposta, nel 1962, da Sullo e il clima infuocato, che ne era derivato, l'ostilità del presidente Segni al centro sinistra e le ipotesi di crisi di governabilità erano stati terreno fertile, nel giugno-luglio '64, per il piano "Solo" il progetto di "profilassi anti-sovversiva", preparato dal comandante generale dei carabinieri, Giovanni De Lorenzo, che poteva contare su una moderna brigata meccanizzata, una specie di esercito personale e sulle 160.000 schedature approntate quando De Lorenzo era stato a capo del Sifar.
Dalle memorie di Cossiga risulta che De Lorenzo era molto legato a Moro e al Pci; quando fu nominato capo di stato maggiore dell'esercito, il generale Aloja fece pubblicare, infatti, un pamphlet dal titolo Mani rosse sulle forze armate (Cossiga, 2000). Risulta strano che questo personaggio difeso dalla sinistra, si candidi poi nell'Msi. Così come appare strano che anche il capo del Sid, Vito Miceli, considerato fedelissimo di Aldo Moro, chiuda la propria carriera come deputato del Movimento sociale italiano. Quando, nel 1967, emergono i fatti del giugno-luglio '64, che coinvolgono il Sifar, Francesco Cossiga, sottosegretario alla difesa (essendo ministro il socialdemocratico Tremelloni), riceve dal governo l'incarico di condurre un'inchiesta sul piano "Solo" e di riformare i servizi segreti. Secondo la testimonianza di Cossiga il piano non fu un tentativo di colpo di stato, ma soltanto un programma di difesa anti sommossa che prevedeva l'intervento dei carabinieri (nel presupposto che non ci si potesse fidare di prefetture e polizia) e l'arresto di personalità dell'opposizione. Il Sifar viene sciolto e al suo posto creato il Sid (Servizio informazioni difesa). In quell'occasione Cossiga viene a conoscenza dell'organizzazione Stay Behind e diventa un "esperto dei servizi".
Questo importante personaggio politico, per sua stessa ammissione può vantare una lunga serie di "contatti", che, presumibilmente, hanno contribuito a creargli un alòne di mistero: l'amicizia con Colby e Montgomery ex-capi della Cia, con Baldovino e Fabiola del Belgio, con Juan Carlos di Spagna, con Lech Walesa, con Mario Soares, con Helmut Kohl, con Enrico Cuccia, il rapporto particolare con il presidente Jimmy Carter, i contatti con l'ambasciata russa e con l'intelligence inglese, i buoni rapporti con l'Olp, con Gheddafi, con il partito nazionale basco (Cossiga, 2000).
La minaccia di colpo di stato torna in occasione della contestazione giovanile; il capo della polizia Vicari, deponendo a Catanzaro al processo per la strage di piazza Fontana, affermerà, infatti, che, nell'estate '69, era stato minacciato un colpo di stato. Nella notte tra il 7 e l'8 dicembre del '70, un battaglione di guardie forestali e un gruppo di ex paracadutisti guidati da Sandro Saccucci, sotto il comando del principe Junio Valerio Borghese , appoggiato dalla loggia massonica segreta P2, occupano, per poche ore, il ministero degli interni, con un'operazione battezzata "Tora-Tora". Avrebbero dovuto essere occupati i ministeri dell'interno e della difesa, la Rai, le sedi dei grandi servizi pubblici; erano stati predisposti luoghi dove concentrare i "prigionieri politici" e perfino navi nel porto di Civitavecchia, per trasportare su alcune isole i suddetti prigionieri, come dichiarerà l'ex capitano dei servizi, Antonio Labruna. Il golpe non ci sarà; un misterioso contrordine rimanda tutti a casa. Gran parte delle interpretazioni sul fallito golpe parlano di tentativo maldestro, ma il magistrato Salvini è di tutt'altro parere «Quello del principe Borghese non fu un tentativo da operetta, come qualcuno vorrebbe far credere. Fu qualcosa di abbastanza serio. Negli atti si parla, da parte di testimoni degni di fede, di aree di concentramento un po' in tutta Italia, di un meccanismo scattato con larghezza di mezzi, di reali possibilità di occupare le centrali di comunicazione, le prefetture, le sedi dei partiti di sinistra. Poi ci fu il famoso contrordine che bloccò migliaia di persone già pronte in tutta Italia. Mi creda non c'era solo la forestale. Quel che non si riesce ancora a sapere è chi diede il contrordine» (Zavoli, 1999). Nel 1974, dopo molti rinvii, quattro generali, e tra questi Vito Miceli, il capo dei servizi segreti, sono accusati di complicità nel tentativo di colpo di stato, ma, nel processo che ne segue vengono tutti assolti. Probabilmente il golpe Borghese fu un avvertimento indirizzato alla classe politica, orchestrato dai "soliti ignoti", nel contesto della strategia della tensione.
All'inizio del compromesso storico, nell'ottobre del '73, un medico ligure, Giampaolo Porta Casucci, consegna alla polizia un piano per la conquista del potere da parte di un'organizzazione segreta, la "Rosa dei venti".
La storia più o meno palese del nostro Paese s'intreccia, indissolubilmente, con una corrente sotterranea e occulta, che in alcune occasioni emerge in superficie, con un carico di sangue e di misteri. Molti hanno tentato di scandagliare questo fiume sotterraneo, ma, ancora oggi, poche sono le certezze acquisite. Tra i vari lavori, merita interesse quello di Giuseppe De Lutiis, che ha studiato l'attività di Gladio, organizzazione, che è un po' come la madre di tutte le associazioni militari segrete.
Nei primi anni cinquanta, i governi democristiani cercano di far passare in Parlamento leggi che offrano al governo poteri straordinari in caso di guerra o di calamità, ma nessuna giunge al termine dell'iter parlamentare. Fallita la strada della legalità viene percorsa quindi quella del sommerso. Nell'autunno del 1956, con Antonio Segni, presidente del consiglio, Gaetano Martino agli esteri e Taviani alla difesa, vero responsabile dell'iniziativa, viene stipulato, tra Sifar, Cia e Intelligence service, l'accordo segreto Stay behind, che prevede la costituzione di una struttura segreta anti-invasione, chiamata, prima, Stella alpina e, poi, Gladio, costituita da ex-partigiani non comunisti addestrati a compiere azioni di sabotaggio atti a rallentare un'eventuale invasione proveniente dall'Est e a contrastare la presenza della cosiddetta quinta colonna comunista in Italia. In un verbale di una riunione tra ufficiali italiani e statunitensi, del dicembre '58, si ribadisce che compiti di Stella alpina sono, in tempo di pace, controllo e neutralizzazione delle attività comuniste, in caso di conflitto o di insurrezione interna, azioni di antiguerriglia e antisabotaggio, in caso di invasione del Paese, lotta partigiana e servizio informazioni. Secondo la lista resa pubblica da Andreotti nel 1990, in un arco di circa quarant'anni, il numero dei "gladiatori" sarebbe stato complessivamente di circa 622 unità, numero ridicolo per i compiti affidati a Gladio. La Commissione stragi arriverà a stabilire due ipotesi: o esisteva un livello rimasto occulto, oppure ciascun gladiatore poteva attivare una propria struttura operativa; anche questa domanda è rimasta senza risposta.
Secondo Giovanni Pellegrino, presidente della commissione stragi dal 1994, «Mentre gli ex partigiani bianchi tendevano a istituzionalizzarsi confluendo nelle strutture di Stay-behind, gli ex partigiani rossi tendevano a riorganizzarsi in una struttura interna al Pci, la cosiddetta Gladio rossa, in cui continuava ad agire una sorta di inerzia rivoluzionaria» (Fasanella, 2000). Sempre secondo Pellegrino, con il tempo, le due organizzazioni paramilitari assumono una struttura sempre più di carattere difensivo e sarà merito di Dc e Pci avere imbrigliato all'interno delle rispettive organizzazione di partito forze altrimenti centrifughe. D'altra parte, il brigatista Alberto Franceschini racconterà che, ancora negli anni '70, le brigate rosse si rifornivano di armi attingendo ai depositi ancora custoditi da ex partigiani rossi (Fasanella, 2000).
L'inizio degli anni '60 sono caratterizzati dalla presenza sullo scenario internazionale di tre grandi personalità: Giovanni XXIII, Kennedy e Chrušcëv, queste presenze fanno presagire un allentamento della guerra fredda e quindi una possibile convivenza tra comunismo e capitalismo. La nuova situazione crea preoccupazione negli ambienti favorevoli al permanere di uno stato di guerra non guerreggiata; in questi ambienti la distensione viene interpretata come il cavallo di Troia del comunismo per sconfiggere l'occidente. In Italia potrebbero addirittura stabilirsi accordi con le sinistre; cosicché, gradualmente, si crea una convergenza di interessi tra le organizzazioni neofasciste e gli apparati segreti, contrari al processo di distensione.
Infatti, parallelamente alle organizzazioni segrete citate sopra, dall'inizio degli anni cinquanta, erano nate diverse formazioni eversive di destra. Ordine nuovo viene fondato, nell'ambito dell'Msi, da Pino Rauti, nel 1950, e raggiunge la punta massima di diecimila aderenti. Negli anni '60, le iniziative paramilitari sono spesso appoggiate dall'ambiente militare; afferma De Lutiis «negli anni '65-'66 si era creata una circolarità tra il settore delle forze armate che gravitava attorno al generale Aloja (capo di stato maggiore dell'esercito), e ambienti neofascisti, nel comune progetto di introdurre i postulati della guerra non ortodossa, nelle forze armate». Il punto di svolta viene indicato da Giovanni Pellegrino nel convegno organizzato, a Roma, nel maggio del '65, dall'Istituto Pollio, diretta emanazione dello stato maggiore delle forze armate, con a capo il generale Aloja. La guerra rivoluzionaria, questo era il titolo del convegno, assumeva il principio che la guerra mossa dall'Est non era più di tipo convenzionale, ma più subdola e pericolosa poiché prevedeva la penetrazione nei gangli vitali della società: televisione, cultura, università e che a questo attacco si poteva rispondere solo con azioni controrivoluzionarie. Secondo Pellegrino «Proprio nel momento in cui si affermava la politica della distensione, e di conseguenza la nostra frontiera interna ed esterna diveniva meno aspra, quelle forze, a disagio nel nuovo clima, rilanciavano la loro strategia offensiva. Secondo me, quel convegno è effettivamente il punto di partenza della futura strategia della tensione» (Fasanella 2000, Pellegrino, 2000).
Nel 1960, Stefano Delle Chiaie, con un gruppo di appartenenti a Ordine nuovo, fonda Avanguardia nazionale: l'organizzazione si caratterizza per una struttura di facciata, che conduce politica attiva e una struttura occulta o clandestina, costituita da commandos terroristici. I dirigenti del movimento, nel '63, vengono denunciati per ricostituzione del partito fascista e l'organizzazione viene sciolta. I suoi adepti continuano a essere presenti «nelle occasioni più rilevanti di incontro tra destra eversiva e apparati militari» e prendono parte al golpe Borghese della notte del 7 dicembre 1970 (De Lutiis, 1996).
Nel 1962 Carlo Fumagalli fonda il Mar (Movimento di azione rivoluzionaria), con l'appoggio di «persone molto su, contro il nascente centrosinistra», come lui stesso dichiarerà dieci anni dopo. Il giudice bresciano Arcai, che istruirà il processo contro il Mar, ricostruisce, infatti, una piramide occulta dietro Fumagalli, i comandanti della divisione Pastrengo di Milano, Edgardo Sogno, Randolfo Pacciardi e Paolo Emilio Taviani, presumibilmente, il capo del "partito americano" in Italia. Il Fronte nazionale viene fondato nel 1968 da Franco Freda e Cesare Ferri e sciolto il 21 novembre 2000. Anch'esso consta di due livelli, uno palese e uno occulto; il piano di questo secondo livello è quello di fomentare disordini, con una serie "di azioni criminose minori", al fine di provocare l'intervento delle forze armate in funzione stabilizzatrice.
La Rosa dei venti è un'organizzazione segreta, interna alle forze armate, parallela all'organizzazione informativa I, nata anch'essa con l'obiettivo di proteggere le istituzioni dall'avanzata dei comunisti; vi partecipano alti ufficiali, con una gerarchia interna non necessariamente organica alla gerarchia ufficiale e, probabilmente, servizi deviati della Nato. Se la struttura fosse coinvolta in un tentativo insurrezionale non potrà essere chiarito dal giudice Giovanni Tamburino, perché la Cassazione solleverà il tribunale di Padova dalle indagini per farle confluire a Roma. Sostiene lo storico Paul Ginsborg che la scelta non sembra casuale dato che la magistratura romana si dimostra «meno tenace di Tamburino nel proseguire le indagini» (Ginsborg, 1989). In un secondo momento inoltre, il pubblico ministero Claudio Vitalone invocherà il segreto di stato e sulla questione cadrà il silenzio. Arnaldo Forlani a La Spezia (nel novembre 1972) dirà pubblicamente che vi erano prove che la vicenda fosse «il tentativo forse più pericoloso che la destra reazionaria abbia tentato e portato avanti dalla Liberazione ad oggi».
Nel '74, a seguito dello scioglimento di Ordine nuovo e di Avanguardia nazionale, alcuni membri di queste organizzazioni fondano la cellula eversiva, Ordine nero; nella sentenza della Corte d'Assise di Bologna si leggerà «rimane dimostrato che in Ordine nero convennero elementi dei più vari raggruppamenti della destra e che tra Ordine nero, da un lato, e Ordine nuovo, Avanguardia nazionale, Sam, Mar e altre formazioni, dall'altro, vi era compresenza di soggetti e cointeressenza di obiettivi: nell'immediato, la destabilizzazione del Paese attraverso la pratica indiscriminata del terrore; a lungo termine, anche il colpo di stato». Affermerà Vinciguerra, di Ordine Nuovo, «L'obiettivo era destabilizzare l'ordine pubblico per stabilizzare l'ordine politico».
Secondo Giovanni Pellegrino possono essere individuati tre diversi obiettivi che si ponevano i vari protagonisti della strategia della tensione. La manovalanza, che metteva materialmente le bombe, operava con l'obiettivo di provocare un colpo di stato. Gli istigatori si rendevano conto che un buon risultato poteva essere quello di spostare a destra l'asse della politica italiana. Il livello internazionale si poneva l'obiettivo di mantenere l'Italia in una condizione perenne di instabilità.
Dopo il fallito golpe Borghese, i burattinai della strategia stragista capiscono che l'Italia non è la Grecia. «Da quel momento gli apparati iniziano a mettere in atto un'operazione di sganciamento nei confronti della manovalanza. … Alcuni terroristi sono protetti di fronte alle indagini della magistratura. … Elementi di qualche peso culturale vengono sistemati a Parigi. Altri, più votati all'azione, sono inviati in Spagna e poi in Sud America. Ad altri ancora, invece, viene in qualche modo consentito di agire in Italia, ma allo scopo di bruciarli e di metterli, di conseguenza, fuori gioco. Gli attentati di Peteano (dove perdono la vita tre carabinieri), e la strage di Brescia, possono essere letti in questa chiave». L'attentato al treno Italicus è un episodio che la commissione stragi non è stata in grado di collegare agli episodi precedenti; sembrerebbe un caso a sé rimasto, comunque, insoluto.
Dal '69 al '74 gli apparati di sicurezza depistano sistematicamente l'azione della magistratura, per impedire che i giudici possano scoprire, sia l'esistenza di Gladio, sia le connivenze tra le organizzazioni clandestine, la destra fascista e l'ambiente politico. Secondo il magistrato Libero Mancuso «Gerarchie occulte, catene di comando non istituzionali, ordini di tacere e mentire alla magistratura consentivano trame occulte e ostacoli definitivi all'accertamento delle responsabilità penali e politiche di tutti coloro che parteciparono a quell'intreccio di illegalità costituzionali …» (Fasanella, 2000).
L'ultima nata delle organizzazioni di estrema destra è Forza nuova, che, fondata nel 1997, ha cooptato un gran numero di adepti di altre organizzazioni oramai disciolte e rappresenta il più importante punto di riferimento dell'estremismo di destra. Forza nuova si distingue dai gruppi neofascisti del passato per l'enorme disponibilità di denaro dei suoi leader; Roberto Fiore e Massimo Morsello, durante la latitanza in Gran Bretagna dall'inizio degli anni ottanta, hanno messo in piedi, infatti, un giro d'affari miliardario nei settori turistico e immobiliare.
Il magistrato Grazia Pradella, che ha dovuto ricostruire l'ordito della strage di piazza Fontana, ammetterà « … di emblematico nella strage di piazza Fontana c'è la discrasia tra magistratura e forze dell'ordine, da una parte, e servizi, dall'altra …. Credo che qualsiasi persona con un minimo di conoscenza storica debba ammettere che, dietro, ci fosse una ben precisa volontà politica» (Zavoli, 1999).
Secondo il giudice Rosario Priore, al quale è stata affidata l'inchiesta di Ustica , negli anni sessanta-settanta l'Italia doveva assolutamente restare all'interno dell'alleanza e degli interessi occidentali. Il Paese non poteva consentirsi giri di valzer con i comunisti e con alcuni paesi arabi, giri che alcuni politici democristiani amavano effettuare e che turbavano gli equilibri voluti dalla Nato.
Guido Salvini, un altro magistrato cui si devono altre inchieste sullo stragismo, ha affermato «Quel che è avvenuto (negli anni sessanta, N.d.A.) è il frutto di una grande operazione nata dall'acutizzarsi delle tensioni internazionali di quegli anni, quando era netta la sensazione che lo scontro con il blocco orientale fosse arrivato al suo culmine e che il nostro Paese fosse uno dei punti chiave della battaglia per il predominio dell'intera Europa». Secondo Salvini nel Veneto erano andati consolidandosi contatti tra servizi deviati della Nato e Ordine Nuovo; egli afferma «Voglio essere chiaro: gli emissari della struttura di sicurezza americana aiutano la struttura ordinovista a preparare quanto serve per gli attentati. L'aiutano nella prospettiva di una serie di azioni dimostrative volte a incutere malessere e paura nella pubblica opinione e a mantenere il Paese sul binario gradito all'alleanza atlantica, un binario politico che possiamo definire di centro». A un certo punto, l'operazione sfugge di mano alla struttura americana e il programma di attentati dimostrativi diventa un programma di stragi; i motivi e i responsabili di questo cambiamento di strategia non sono tuttora noti. Resta comunque la correità del cosiddetto "partito americano", una forza trasversale ad alcuni partiti, che riconosce, comunque, la preminenza degli interessi politici e strategici dell'alleanza atlantica rispetto agli interessi del Paese. Gli attentati sarebbero quindi finalizzati a dare ossigeno a questo partito; a convincere in particolare la Dc a rispondere al terrorismo con lo stato di emergenza e a costituire governi senza la presenza dei socialisti. Secondo la Pradella, invece, sarebbe estremamente semplicistico affermare che la strategia della tensione sia opera di servizi stranieri, ma che è opportuno occuparsi dei servizi italiani, innanzi tutto (Zavoli, 1999).
Secondo il senatore repubblicano Libero Gualtieri, già presidente della commissione stragi, la strategia della tensione nasce come strumento per il contenimento del comunismo in Italia, a opera dei servizi americani e italiani, lo stragismo si sviluppa, invece, da parte di strutture deviate dei servizi americani e italiani. Secondo Gualtieri, se è stata fatta luce sulle stragi del '69 - '74, non sono ancora chiari gli obiettivi che sono dietro la strage di Bologna dell'ottanta. Conferma il senatore diessino Giovanni Pellegrino, successore di Gualtieri alla commissione stragi, che le inchieste hanno fatto luce sul contesto eversivo che abbraccia il periodo '69 - '74. Secondo Pellegrino i piani eversivi della fase successiva sono affidati a Gelli e al suo "piano di rinascita nazionale ". È stata superata l'idea del colpo di stato, la strategia punta alla costituzione di una seconda Repubblica sul modello gollista. Inoltre, il rumore di sciabole degli anni sessanta e settanta, diventa, secondo Pellegrino, tintinnio di zecchini, negli anni ottanta (Zavoli, 1999).
Quello che emerge dagli atti di tutti i processi sulle stragi è il coinvolgimento di strutture adibite alla difesa nazionale nell'occultamento di prove, nel depistaggio, nell'aiuto alla fuga di testimoni, nelle protezioni di personaggi inquisiti. Afferma il magistrato veneziano Carlo Mastelloni «Le indagini venivano spesso contrastate, persino bloccate: con informazioni non di carattere oggettivo, deturpate, travisate. Poi, il sorgere di impedimenti quali il segreto di stato, le intimidazioni, gli spostamenti di competenza territoriale, le avocazioni inusitate a Roma o a Milano». Grazia Pradella, che ebbe l'opportunità di visionare fascicoli dell'Ufficio affari riservati del Viminale (in particolare l'archivio Russomanno), trovati incidentalmente in un cortile della via Appia, ammetterà: «Quel che mi ha colpito leggendo quei fogli e quelle veline, è una serie di vistose mancanze. Mancano, tra l'altro, episodi che hanno fortemente segnato la storia della repubblica, come le stragi di piazza Fontana, di piazza della Loggia, della questura di Milano e l'omicidio Calabresi. Il sospetto di occultamento è legittimo».
Dichiarerà, a Zavoli, l'ordinovista Vincenzo Vinciguerra, che, già nel 1984 aveva parlato dell'esistenza di strutture illegali parallele, trovandosi davanti un muro di incredulità, «La responsabilità dell'ufficio affari riservati e quella dei servizi segreti militari, nella formazione di gruppi terroristici attraverso cui coltivare la sovversione dello stato, oggi appaiono una realtà sempre più concreta. Io dico che lo stato ha svolto un doppio ruolo: da un lato ha fomentato la sovversione contro se stesso, dall'altro ha utilizzato i corpi territoriali per la repressione. Ma la mano destra non sapeva quello che faceva la sinistra» (Zavoli, 1999). In questo scenario, la strage di piazza Fontana diventa qualcosa di più di un attentato terroristico. Dice sempre Vincenzo Vinciguerra, uno dei testimoni più autorevoli di questa storia: "La strage del dicembre '69 doveva essere il detonatore che avrebbe consentito a determinate autorità politiche e militari la proclamazione dello Stato d'emergenza". Il piano non riuscì: l'allora presidente del Consiglio Mariano Rumor, contrariamente a quanto i neofascisti e i loro alleati si attendevano, dopo la strage di piazza Fontana non proclamò lo "stato d'emergenza", atto essenziale per l'instaurazione di un regime autoritario. E si decise di fargliela pagare.
L'occasione fu offerta, il 17 maggio del 1973, con l’attentato alla questura di Milano. Ed ecco quanto ha raccontato il pentito Digilio a proposito dei giorni precedenti l'attentato alla questura: "...Il capitano Carret si mostrò preoccupatissimo, e disse che poteva finire male. Aggiunse che se fosse stata effettivamente colpita una così alta personalità dello Stato, le indagini sarebbero state molto approfondite con il rischio di mettere allo scoperto l'intera struttura e di venire a sapere tutto quello che era avvenuto, anche in passato, compresi gli attentati e il progetto di golpe degli anni 1969-1979".
I dati ufficiali affermano che tra il primo gennaio '69 e il 31 dicembre '87, si sono verificati in Italia 14.591 atti di violenza caratterizzati da matrice politica, atti che hanno lasciato sul terreno 491 morti e 1181 feriti; cifre da guerra che non hanno eguali in nessun Paese europeo. Secondo Giovanni Pellegrino, la linea di confine tra le due grandi ideologie uscite vincenti dalla seconda guerra mondiale, tagliava trasversalmente il nostro Paese. Cossiga ha rivelato, recentemente, che i verbali delle riunioni interne del Pci arrivavano al Viminale quasi in tempo reale e che i comunisti, a loro volta, avevano spie all'interno del ministero; i dirigenti di Dc e Pci sapevano tutto del partito avversario, ne conoscevano i punti di forza e di debolezza, sapevano entrambi che dovevano prendere atto della necessità della convivenza, ma con il dito sul grilletto pronti a sparare.
L'Italia, inoltre, era anche terra di frontiera tra il Nord e il Sud e gli alleati ostacolavano con ogni mezzo l'attivismo degli italiani sul fronte arabo. È accertato che i servizi segreti italiani giocano un ruolo importante nel colpo di stato con il quale Ben Alì defenestra il vecchio Burghiba, è plausibile il sostegno italiano al colpo di stato che in Libia porta al potere Gheddafi, è noto che il Mossad, il servizio segreto israeliano, è sempre stato molto vicino ai nostri servizi (Fasanella, 2000). Questa situazione non poteva non portare a uno scontro sotterraneo tra interessi militari, politici ed economici, dove la posta in gioco era alta e i soldati pronti a combattere su ogni fronte si trovavano facilmente a prezzi scontati.
Il 1974 può essere considerato un anno di transizione da una strategia della tensione a un'altra, la manovalanza neofascista neutralizzata viene sostituita dalla manovalanza del terrorismo rosso, che in alcuni casi si presenta con caratteristiche di contiguità con il terrorismo nero. Il 1974 è l'anno dello scandalo Watergate, l'asse Nixon-Kissinger s'indebolisce, i regimi fascisti di Grecia e Portogallo crollano, Andreotti, come ministro della difesa, spiega ai servizi che devono rendersi garanti della difesa della costituzione; non è più ragionevole, né ipotizzare colpi di stato, né appoggiarsi agli ambienti dell'estrema destra.

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Eugenio Caruso - 12 settembre 2018



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