Italia: vizi e virtù. Il compromesso storico (1977-1980).


In copertina: Annibale Carracci "il vizio e la virtù"

Italia: vizi e virtù
Eugenio Caruso
Impresa Oggi Ed.

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15. Il compromesso storico (1977 - 1980)
Enrico Berlinguer, l'erede di Togliatti, uomo «d'immacolata onestà e sempre alle prese con una coscienza esigente, solitario, di abitudini spartane, più turbato che allettato dalla prospettiva del potere» (Montanelli, 1994), nel '73, sviluppando una serie di riflessioni sulla caduta in Cile del governo Allende, perviene alla conclusione che una politica di sinistra può essere realizzata solo con un'alleanza di tutte le forze popolari e propone pertanto la formula del compromesso storico, della convergenza tra la cultura cattolica e quella comunista. Inoltre avvia la battaglia sulla questione morale e archivia la teoria leninista sulla distruzione del capitalismo.
«Il fulcro del compromesso storico è il tentativo di fondere la morale comunista (anticapitalista) con quella cattolica (antimaterialista) con il superamento del consumismo, dell'egoismo individualista, insomma, il sacrificio di sé che sta alla base del cristianesimo» (Guerri, 1997). Berlinguer predica l'austerità, poiché, «Una società più austera può essere una società più giusta, meno diseguale, realmente più libera, più democratica, più umana». Avvertendo, inoltre, che la mitizzazione del paradiso comunista condanna il Pci all'isolamento, rompe con la politica imperialista dell'Urss; il 15 giugno '76, in un'intervista al Corriere della sera, accetta, per l'Italia, la protezione della Nato. Francesco Cossiga, cugino di Berlinguer, dirà di lui, parecchi anni dopo; Enrico discendente di una famiglia aristocratica della Sardegna, sceglie il comunismo come scelta ideologica e culturale, non per necessità, come può esserlo stato per l'operaio della Breda. Nonostante questa scelta di campo Berlinguer resta e resterà sempre un marxista leninista; nemmeno le storture e le deviazioni dei paesi socialisti intaccheranno la sua fede. Diverso sarà, negli anni novanta, l'atteggiamento di D'Alema che affermerà: sono stato comunista, ma il comunismo si è rivelato una dottrina sbagliata, occorre quindi convertire il partito verso una socialdemocrazia europea. La proposta di Berlinguer è tardiva e inefficace se si pensa che i socialdemocratici tedeschi hanno abiurato il marxismo nel 1959, al Congresso di Bad Godesberg, trent’anni prima della caduta del muro di Berlino.
La Dc respinge, in linea di principio, il compromesso storico, ma lo asseconda, di fatto, non sapendo come uscire da una crisi morale devastante, ed essendo impotente davanti alle difficoltà economiche e all'inflazione a due cifre. Come già visto, nel luglio '75, i democristiani hanno eletto segretario Zaccagnini, rafforzando la posizione di Moro e di quell'area democristiana favorevole al Pci. I socialisti si avvedono del pericolo di scavalcamento e il segretario, Francesco De Martino, protesta per il «palese disprezzo che la Dc usa nei confronti del suo partito, mentre non manca di fare riverenze al partito comunista al quale sostanzialmente chiede la benevolenza e un sostanziale appoggio politico».
15.1 Il voto premia Berlinguer
Il progetto politico di Berlinguer premia il Pci che, alle elezioni del 20 giugno 1976, arriva al 34,4% dei voti, raccogliendo i frutti delle spinte libertarie (nate con il referendum sul divorzio del '74), del voto ai diciottenni, della sconfitta americana in Vietnam, delle esigenze di rigore morale. In questo periodo la politica del Pci sembra sensibile alle istanze dei giovani; è una scelta che paga, se perfino un'organizzazione come Lotta continua decide di votare Pci. Presto, però, gli interessi "elettorali" del Pci e gli atteggiamenti fortemente individualistici dei "gruppettari" entrano in rotta di collisione, tanto che, il 17 febbraio 1977, si arriva alla "cacciata di Lama, segretario dell Cgil" dall'ateneo romano. La deriva violenta, con attentati a cose e persone, tra il '77 e il '79, preannuncia un ciclo di politica moderata e la sconfitta della sinistra.
Nonostante il successo del Pci, del giugno '76, "l'armata rossa" non sfonda, restando sotto il 50% dei voti; il binomio Fanfani-Cefis (Baget Bozzo, 1974) è riuscito a controllare la stampa "borghese", il cui atteggiamento è esemplificato da Indro Montanelli, che, dalle pagine del Giornale nuovo, incoraggia i suoi lettori a «turarsi il naso, ma votare Dc». La Dc, con l'accoppiata Moro - Zaccagnini, ottiene un'ottimo 38,9%; il 73,1% degli italiani hanno votato Dc o Pci. I socialisti, con un modesto 9,6%, sono penalizzati dalla loro politica evanescente e incerta nelle scelte.


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Eugenio Caruso - 1 ottobre 2018



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