Un po' di fisica
La più grande scoperta del secolo scorso probabilmente è che la luce ha una velocità finita e il tempo non scorre ovunque alla medesima velocità. Concetti di base della meccanica quantistica La meccanica quantistica si è differenziata dalla fisica classica sviluppata fin dai primi lavori di Galileo e di Isaac Newton in primo luogo ridefinendo il concetto di misura. La novità rispetto alle precedenti teorie riguarda l'impossibilità di conoscere lo stato di una particella senza perturbarlo in maniera irreparabile. Al contrario della meccanica classica dove è sempre possibile concepire uno spettatore passivo in grado di conoscere ogni dettaglio di un dato sistema, secondo la meccanica quantistica è perfino privo di senso assegnare un valore a una qualsiasi proprietà di un dato sistema senza che questa sia stata attivamente misurata da un osservatore. Le leggi quantistiche stabiliscono che il processo di misura non è descrivibile come la semplice evoluzione temporale del sistema, dell'osservatore e degli apparati sperimentali considerati assieme. Questo ha come conseguenza il fatto che in generale una volta misurata e determinata con precisione una quantità di un sistema non si può in alcun modo determinare quale fosse il suo valore prima della misurazione. Per esempio secondo la meccanica classica la conoscenza della posizione e della velocità di una particella in un dato istante permette di determinare con certezza la sua traiettoria passata e futura. In meccanica quantistica viceversa, la conoscenza della velocità di una particella a un dato istante non è in generale sufficiente a stabilire quale fosse il suo valore nel passato. Inoltre acquisire la stessa conoscenza della velocità della particella distrugge ogni altra informazione sulla posizione, rendendo anche impossibile il calcolo della traiettoria futura. La fisica classica fino al XIX secolo era divisa in due corpi di leggi: quelle di Newton, che descrivono i moti e la dinamica dei corpi meccanici, e quelle di Maxwell, che descrivono l'andamento e i vincoli a cui sono soggetti i campi elettromagnetici come la luce e le onde radio. A lungo si era dibattuto sulla natura della luce e alcune evidenze sperimentali, come l'esperimento di Young, portavano a pensare che la luce dovesse essere considerata come un'onda. Alcuni tentativi furono fatti per cercare di risolvere delle incoerenze presenti nelle due formulazioni. In questo modo fu proposta una natura corpuscolare della luce. Nella natura corpuscolare, avanzata da Einstein e Max Planck, la luce era considerata come composta da fotoni che trasportano quantità discrete dell'energia totale dell'onda elettromagnetica. In modo analogo de Broglie scoprì che anche l'elettrone ha comportamenti ondulatori, come la diffrazione osservata nei cristalli di nichel con l'esperimento Davisson/Germer del 1926. Sulla base di questi risultati, Bohr comprese che la natura della materia e della radiazione non doveva essere ripensata solo in termini esclusivi o di un'onda o di una particella, ma sia l'elettrone che il fotone sono al tempo stesso sia un corpuscolo sia un'onda. Il concetto, formulato dal fisico danese nel 1928 e noto come principio di complementarità, si basa sul fatto che la descrizione completa dei fenomeni che avvengono a scale atomiche richiede proprietà che appartengono sia alle onde che alle particelle. Il principio, enunciato da Niels Bohr al Congresso internazionale dei fisici del 1927 (tenutosi a Como in occasione del centenario della morte di Alessandro Volta), afferma che il duplice aspetto di alcune rappresentazioni fisiche dei fenomeni a livello atomico e subatomico non può essere osservato contemporaneamente durante lo stesso esperimento, rendendo in qualche modo meno stridenti con la concezione fisica classica, e anche logica, i dualismi quantistici e in particolare quello fra natura corpuscolare e ondulatoria (dualismo onda-particella). Per conoscere la posizione dell'elettrone questo deve essere illuminato da un fotone, che tuttavia tanto meglio risolve la posizione tanto di più perturba la velocità. Nella meccanica classica è possibile conoscere con precisione arbitraria e limitata solo dagli apparati sperimentali la posizione e la velocità di una particella, che ad ogni istante determinano un punto nella traiettoria percorsa. Inoltre, quando si misura la posizione della particella, non si modifica in alcun modo la sua velocità. Inoltre due misure immediatamente successive della posizione permettono di determinare approssimativamente la velocità della particella. Heisenberg nel 1927 mostrò che questa misura classica non è possibile nella meccanica quantistica: alcune coppie di quantità fisiche, come velocità e posizione, non possono essere misurate nello stesso momento entrambe con precisione arbitraria. Tanto migliore è la precisione della misura di una delle due grandezze, tanto peggiora la precisione nella misura dell'altra. Heisenberg osservò che per conoscere la posizione di un elettrone, questo dovrà essere illuminato da un fotone. Più corta sarà la lunghezza d'onda del fotone, maggiore sarà la precisione con cui la posizione dell'elettrone è misurata. Le comuni onde marine non sono affette, nella loro propagazione, dalla presenza di piccoli oggetti. Al contrario, oggetti grandi almeno quanto la lunghezza d'onda disturbano e spezzano i fronti dell'onda, disturbi che permettono da soli di individuare la presenza dell'ostacolo che le ha generate. In ambito quantistico, tuttavia, a basse lunghezze d'onda il fotone trasporterà un'energia sempre maggiore, che assorbita dall'elettrone ne perturba sempre di più la sua velocità, rendendo impossibile stabilire in contemporanea quale sia il suo valore. Al contrario, un fotone ad alta lunghezza d'onda perturberà poco la velocità dell'elettrone ma sarà in grado di determinare con poca precisione la sua posizione. Corrado Caruso 10-10-2018 |
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