Italia: vizi e virtù. Inizio della fine della prima repubblica


In copertina: Annibale Carracci "il vizio e la virtù"

Italia: vizi e virtù
Eugenio Caruso
Impresa Oggi Ed.

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25. Il risveglio del paese (1991 - 1993)

Il regime, targato caf dai media, sarebbe sopravvissuto ancora per anni, se non fossero accaduti alcuni fatti, che hanno consentito al Paese di risvegliarsi dal suo torpore.
Uno, gli italiani si accorgono di poter utilizzare lo strumento referendario, non per votare contro la caccia, ma per ripristinare uno stato a sovranità popolare e per riappropriarsi della propria cittadinanza politica e sferrano il primo colpo al regime partitocratico. Il 9 giugno 1991, si svolge il referendum, promosso da Segni, per ridurre ad una sola le preferenze nelle elezioni per la Camera. Si tratta di ammettere una sola preferenza sulle schede elettorali per la Camera, così da impedire le cordate tra candidati (tu mi dai un certo numero di tuoi elettori sicuri e io ricambio con un certo numero dei miei).
Craxi consiglia «Tutti al mare»; non sa ancora che quel referendum rappresenta l'inizio della sua fine. In realtà non è solo Craxi contrario al referendum ma quasi tutto l'establishment politico, che punta sul non raggiungimento del quorum. Vota il 62,5 % degli aventi diritto e il 95,6% si pronuncia per la preferenza unica. Osserva Montanelli, «Probabilmente una gran parte dell'elettorato non aveva compreso il significato del voto Aveva capito una sola cosa, che i capi dei partiti tradizionali di governo, gli Andreotti, i Forlani, i Craxi, i Gava, la preferenza unica non la potevano soffrire. Poiché non piaceva a loro doveva essere una cosa buona e meritava un sì entusiastico» (Montanelli, 1993).
Due, la Lega Nord crea la prima vera forte opposizione all’establishment politico, dalla fine della guerra. Ai fendenti di Bossi tutti i partiti e gran parte dei media rispondono accusando la Lega di rozzezza e provincialismo e lanciando scomuniche e anatemi in nome dell’unità d’Italia e della sua gloriosa storia, appelli che suonano falsi, retorici e opportunistici.
Tre, il crollo del blocco sovietico toglie alla lotta politica l'alibi dello scontro ideologico, che aveva pietrificato ogni spinta al rinnovamento.
Questa nuova condizione politica libera, dai lacci che l'avevano condizionata, la magistratura, che avvia il più vasto processo giudiziario che l'Italia ricordi e apre il vaso di Pandora della corruzione strutturale esistente nel Paese.
Come già visto, alla fine degli anni '90, l'insofferenza nei riguardi dei politici trova una valvola di sfogo nel comportamento di Cossiga. Il presidente della repubblica, sentendosi tradito dal suo partito, in occasione della scoperta di Gladio, esce dalle righe dei suoi compiti istituzionali per assumere quelli del tribuno della plebe, e, gioia e delizia dei media, inizia a "picconare" quelle istituzioni delle quali, per decenni, è stato uno dei massimi rappresentanti. Egli dà luogo a una lunga e durissima contestazione con il Csm, critica apertamente la costituzione, si autodenuncia per Gladio. Osserva Michael Braun, «Francesco Cossiga era in quel momento il simbolo del diffuso desiderio di un uomo forte. Un uomo forte alla testa di uno stato debole...» (Braun, 1995).
Il 26 giugno '91, Cossiga invia un messaggio alle camere: le ottantadue cartelle più dirompenti della storia della repubblica. Cossiga parla di elezione diretta del capo dello stato, di sistema uninominale, di referendum propositivi, e di riforme costituzionali. È il certificato della morte costituzionale della prima repubblica; Andreotti si rifiuta di controfirmare il messaggio. I maggiorenti di tutti i partiti pensano che Cossiga sia uscito di senno (Vespa, 1998). Dopo il messaggio, i rapporti con la Dc precipitano; il 23 gennaio '92, Cossiga notifica il divorzio ufficiale dal partito.
In questo periodo si apre un ferrato dibattito tra i politologi; la disputa è se debba prevalere una democrazia elettorale o una referendaria. La discussione nasce dal fatto che, in Italia, i cambiamenti o le indicazioni più significative non sono venuti dai risultati elettorali ma da quelli referendari. Il problema ha attinenza con il livello di informazione dei cittadini. I sostenitori della validità della prima e della negatività della seconda si basano sul fatto che il cittadino, essendo poco o male informato, non è in grado di decidere e quindi non può che delegare il potere decisionale. È probabile, d'altra parte, che in uno stato moderno il cittadino non potrà essere sovrano, ma dovrà poter disporre di strumenti che gli consentano di influire sulla sovranità mediante comportamenti collettivi, come i referendum o i movimenti.
25.1 Inizio della fine della prima repubblica
L'inizio della fine della prima repubblica viene fatto risalire al 17 febbraio 1992, quando il presidente del Pio Albergo Trivulzio (un antico e glorioso Istituto per anziani), il socialista Mario Chiesa (battezzato per chi era informato dei suoi affari "ingegnere 10%") è colto in flagrante mentre ritira una mazzetta da un piccolo imprenditore. Craxi lo definisce un «mariolo» e la vicenda sembra finire lì, nella realtà quell'episodio si rivelerà uno snodo per l'avvio del processo alla classe politica italiana., l’incipit di quella che sarà chiamata tangentopoli.
Il regime denuncia qualche scricchiolio che non lascia presagire però la repentinità e la violenza della fine; i dubbi della politica sono. Chi, tra Craxi e Andreotti, sarà presidente della repubblica e chi del consiglio? Francesco Cossiga, tra una costernazione e una picconata, destreggiandosi tra i paletti di una politica, che rifiuta atteggiamenti poco rituali, scioglie il Parlamento e indice nuove elezioni.
La campagna elettorale si avvia su un percorso di anomala tranquillità: Craxi s'impegna ad una stretta alleanza con la Dc, proponendosi come presidente del consiglio, ma, di fatto, viene concordato un impegno preventivo per una coalizione a quattro, anche se a guidarla potrebbe non essere Craxi (Galli, 1993). L'unico pericolo potrebbe venire dalla Lega, ma i partiti di governo pensano di avere i mezzi per creare condizioni di controllo e di smembramento, come già fatto con la Liga veneta. Questo quadro rassicurante offerto dalle forze politiche, viene turbato, il 12 marzo, dall'omicidio di Salvo Lima, uomo di punta della corrente di Andreotti, «eletto nel Parlamento europeo, dopo essersi defilato da quello italiano, anche per le costanti accuse di collusione con la mafia» (Galli, 1993). Ancora una volta la Dc cerca di sfruttare a suo beneficio quest'episodio, il ministro dell'interno Scotti, manda, infatti, comunicazioni ai prefetti circa possibili tentativi golpisti, creando un allarmismo allo scopo di avvantaggiare i partiti di governo. Il 2 aprile, Chiesa ottiene gli arresti domiciliari, ma le sue confessioni stanno per mettere in moto un effetto a catena. I magistrati inquirenti stanno sciogliendo il bandolo di un sistema generalizzato ed efficiente per la “tassazione“ illegale e, per certi versi, spregevole di ogni transazione e concessione in cui sia coinvolto un ente pubblico.
Le elezioni del 5 aprile 1992 vedono la sorprendente affermazione della Lega Nord, che diventa, con l'8,7% dei voti il quarto partito, la Dc scendere, per la prima volta, poco sotto il 30%, il Pds ottenere un magro 16,1%, mentre ai compagni di Rifondazione va un inatteso 5,6%, lo Psi arretrare al 13,6%, una buona affermazione di Rete, verdi e repubblicani, ma anche una frammentazione del voto, che favorisce ancora, sia pure per pochi seggi, la coalizione quadripartita uscente (Dc, Psi, Psdi, Pli); a destra Fini, forte di un buon rapporto con Cossiga, festeggia la sostituzione di Rauti alla guida del partito con l'elezione di cinquanta parlamentari (5,4%).
I primi contraccolpi di tangentopoli non sono subito devastanti, le elezioni politiche dànno qualche segno del crollo imminente, ma nulla lo lascia presagire.
La Dc è però disorientata, Forlani annuncia le dimissioni, che vengono congelate; confermato Spadolini, presidente del Senato, alla Camera, viene nominato Scalfaro. Cossiga, ha uno dei suoi abituali scatti umorali, annuncia le dimissioni anticipate da presidente della repubblica, poiché ritiene l'elezione di Scalfaro un tentativo di salvare il sistema dei partiti, oramai squalificato agli occhi dell'opinione pubblica. Gli atteggiamenti umorali di Cossiga appaiono a molti da analisi psichiatrica, ma Paolo Guzzanti, che ha avuto modo di conoscere molto bene Cossiga, dà di lui questo giudizio «Vedendo come riusciva a passare da uno stato di collera a quello di calma serafica, senza il minimo sforzo, mi resi conto che quest'uomo, che una sorte curiosa ha destinato alla suprema magistratura, è anche, e forse prima di tutto, un grande attore». Comunque, al termine del suo mandato, l'aneddotica sugli insulti e i sarcasmi verso vari uomini politici è ampia. De Mita, «bugiardo, gradasso, il solito boss di provincia», Mancino, «se sta al mare fa un gran bene al Paese», Pomicino, «un analfabeta», Zola, «un analfabeta di ritorno», Gava, «un personaggio su cui non infierire», Orlando, «un povero ragazzo, uno sbandato», Occhetto, «uno zombie con i baffi», Rodotà, «un arrampicatore sociale», Violante, «un piccolo Viscinski», La Malfa, «figlio impudente d'un galantuomo», Martelli, «un ragazzino» (Montanelli, 1993).
Considerando le varie esternazioni, la difesa ad oltranza di Gladio, le liti con il Csm, le ipotesi che si possono fare su Cossiga sono due: o l'Italia ha avuto un presidente della repubblica ciclotimico, oppure i suoi insulti erano l'urlo liberatorio per una vita passata tra mediocri, incapaci, indifferenti, parassiti, ladri, assurti a reggere le sorti del Paese. Secondo il mio parere Cossiga capta quell’atteggiamento di ribellione verso i partiti che è nell’aria e si toglie per tempo dall’occhio del ciclone.


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Eugenio Caruso - 23 gennaio 2019



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