Transizione verso la pensione e conclusione dell'attivitą lavorativaL’Istat ha presentato i principali risultati del questionario proposto con un modulo ad hoc “Transizione verso la pensione e conclusione dell’attività lavorativa”, consegnato nel secondo trimestre del 2006 ad un campione standard. Nella Strategia Europea per l’occupazione, il tema dei lavoratori “anziani” trova ormai da diversi anni un posto di rilievo, inserendosi nel dibattito sul progressivo invecchiamento della popolazione e sulle conseguenze di questo sui sistemi previdenziali. La fase di transizione verso la pensione Nel secondo trimestre 2006 gli occupati di 50-69 anni sono 5 milioni 119 mila: il 48,0% risiede al Nord, il 21,1% al Centro e il 30,9% nel Mezzogiorno. Il tasso di occupazione maschile è pari al 48,3% e quello femminile al 25,5%, con una maggiore differenza di genere nel Mezzogiorno (49,3% contro 20,9%). In questa fascia di età il peso della componente maschile tra gli occupati si accentua (64,0%); i lavoratori dipendenti sono il 66,3%, contro il 33,7% della componente autonoma (Tabella 1). In questo contesto, l’obiettivo del questionario è duplice: da un lato cogliere i principali aspetti della fase di transizione verso la pensione (eventuale riduzione dell’orario, età programmata di fine lavoro, prolungamenti volontari e incentivati della carriera, fattori in grado di influenzare la scelta di posticipare la conclusione dell’attività lavorativa); dall’altro raccogliere informazioni sulla durata della carriera e sulla modalità di conclusione dell’attività lavorativa (età di ritiro, motivi che influenzano la decisione di abbandonare il lavoro, eventuale fruizione di incentivi). L’attenzione è stata rivolta alle persone di età compresa tra 50 e 69 anni. In particolare, l’analisi della fase di transizione si concentra esclusivamente sulle persone occupate, mentre quella sulla conclusione dell’attività lavorativa tiene conto soltanto delle persone che hanno concluso l’attività lavorativa e percepiscono una pensione. E’ da sottolineare che i risultati prodotti si basano sulle risposte fornite dai soggetti intervistati e non su fonti amministrative. Hanno risposto ai quesiti del modulo circa 32 mila persone, poco meno del 22 per cento del totale del campione che ha partecipato all’indagine. Tabella 1. Occupati (50-69 anni) per sesso e ripartizione geografica. II trimestre 2006 Valori % Tasso di Italia totale 5.119 100,0 36,5 Nord 2.457 48,0 6,9 Centro 1.080 21,1 38,8 Mezzogiorno 1.582 30,9 34,6 Tra gli occupati alle dipendenze il 6,9% è rappresentato da dirigenti, il 52,1% da quadri e impiegati e il 40,9% da operai. Per quanto riguarda invece l’occupazione indipendente la figura principale è quella dei lavoratori in proprio (62,8%), cui fanno seguito liberi professionisti (17,4%) e imprenditori (7,5%). Meno del 3% degli occupati tra 50 e 69 anni (circa 140 mila unità) ha ridotto l’orario di lavoro in vista della pensione (2), e solo una quota di poco superiore conta di farlo entro qualche anno (Tabella 2). Nonostante l’esistenza di raccomandazioni in ambito comunitario, oltre il 90% degli occupati non ha diminuito l’orario in vista del pensionamento e non pensa di farlo in futuro. La quota di coloro che riducono l’orario di lavoro aumenta con il crescere dell’età anagrafica: dall’1,2% tra 50 e 54 anni si passa al 9,9% tra 65 e 69 anni. Una parte marginale di quelli che hanno ridotto l’orario ha beneficiato di una qualche agevolazione, generalmente connessa a una riduzione salariale proporzionalmente inferiore alla diminuzione delle ore lavorate, oppure all’eliminazione di ore di straordinario non retribuito; queste agevolazioni sono, normalmente, contenute negli accordi intergrativi impresa-sindacato.
Tabella 2. Occupati (50-69 anni) che hanno ridotto o meno l’orario di lavoro in vista della pensione per sesso, posizione nella professione e ripartizione geografica (composizione percentuale). II trimestre 2006 Femmine 0,1 2,5 2,6 Dipendenti 0,2 1,4 1,6 Indipendenti 0,3 4,9 5,2 Nord 0,4 3,4 3,8 Centro 0,3 1,9 2,2 Mezzogiorno 0,1 1,7 1,8
NO Femmine 3,0 94,4 97,4 Dipendenti 2,2 96,2 98,4 Indipendenti 6,2 88,6 94,8 Nord 4,3 91,9 96,2 Centro 3,6 94,2 97,8 Mezzogiorno 2,4 95,8 98,2 Nel Nord si registra la più alta percentuale di persone che hanno ridotto l’orario di lavoro (3,8%), nel Mezzogiorno, dove peraltro l'accesso al mondo delle imprese avviene in etrà più avanzata che al Nord, quella più bassa (1,8%). Una maggiore propensione alla riduzione dell’orario in vista del pensionamento si rileva inoltre tra i lavoratori indipendenti, sia nel caso che usufruiscano di agevolazioni sia senza. Tabella 3. Età programmata della conclusione dell’attività lavorativa per sesso, posizione nella professione, classe di età e ripartizione geografica (composizione percentuale). II trimestre 2006 Totale 19,2 39,9 40,9 Maschi 18,6 19,5 61,9 Dipendenti 23,6 43,0 36,4 Indipendenti 7,9 31,9 60,2 50-54 anni 20,1 40,2 39,7 55-59 anni 17,8 39,5 42,7 Nord 23,0 39,9 37,1 Centro 18,1 45,0 36,9 Mezzogiorno 14,0 36,4 49,6 Tra gli uomini è maggiore la quota di coloro che prevedono di chiudere la carriera a 65 anni e più, mentre tra le donne prevalgono i ritiri tra 60 e 64 anni. Prevedono di uscire dal mercato del lavoro prima dei 65 anni soprattutto gli occupati alle dipendenze, mentre quasi due lavoratori indipendenti su tre pensano di proseguire il lavoro almeno fino a 65 anni. Non emergono particolari differenze a livello di classi di età quinquennali: tra i 50-54enni è di poco superiore la quota di ritiri programmati prima dei 60 anni (20,1%), mentre tra i 55-59enni è maggiore invece il numero di coloro che programmano di chiudere la carriera a 65 anni e più (42,7%). L’età prevista per il ritiro si innalza sensibilmente nel Mezzogiorno, dove la metà degli occupati tra 50 e 59 anni prevede di terminare l’attività a 65 anni e più. Il 7,9% degli occupati tra 50 e 69 anni (405 mila unità) al momento dell’intervista stava volontariamente prolungando l’attività lavorativa nonostante avesse già maturato il diritto a percepire una pensione di anzianità o vecchiaia ( Tabella 4). Tabella 4. Occupati (50-69 anni) che prolungano o meno l’attività lavorativa (composizione percentuale). II trimestre 2006 Non prolungano 82,8% I potenziali pensionati che prolungano l’attività sono per circa due terzi uomini, nella maggior parte con un lavoro alle dipendenze. In particolare è tra i dirigenti e i quadri che si rileva la percentuale più elevata (il 13,9% prolunga l’attività); tra gli impiegati la quota è pari al 9%, mentre tra gli operai si attesta al 6%. Negli occupati indipendenti la quota più elevata è tra gli imprenditori (8,1%), quella minima tra i lavoratori in proprio (5,9). La tendenza a prolungare l’attività lavorativa, in proporzione, è più diffusa nelle regioni del Centro e del Mezzogiorno. Tabella 5. Occupati (50-69 anni) che hanno ricevuto un incentivo monetario per prolungare l’attività lavorativa per motivo (composizione percentuale). II trimestre 2006 Guadagnare di più 62,5% Non è trascurabile, infine, la quota di prolungamenti volontari attribuibile a motivi diversi dai due precedenti. In questa categoria emergono in particolare due motivazioni: da un lato il desiderio di proseguire un’attività ritenuta soddisfacente sul piano professionale (10,4%), dall’altro la necessità di continuare a tenersi impegnati sia mentalmente che fisicamente (4,4%). Il numero di persone che hanno ricevuto un incentivo economico per prolungare l’attività è dunque esiguo, ma il 32,2% degli occupati che non lo hanno ricevuto sarebbe favorevole a prolungare l’attività lavorativa qualora ne potesse usufruire (Tabella 6). Tanto tra gli uomini, quanto ancor più tra le donne, la maggiore sensibilità verso questo tipo di incentivo è espressa dai lavoratori del Centro e del Mezzogiorno. Il 16,4% degli occupati potrebbe ritardare la scelta di andare in pensione se avesse la possibilità di usufruire di una maggiore flessibilità oraria. Tra i principali strumenti di flessibilità oraria possono essere considerati gli orari di ingresso e di uscita dal posto di lavoro non rigidi, la possibilità di adottare un orario a tempo parziale, il recupero compensativo di ore di lavoro prestate in eccesso, la gestione di una banca delle ore. La quota di occupati favorevoli è più elevata nell’area centro-settentrionale, dove il peso maggiore dell’occupazione femminile fa emergere in modo più marcato le esigenze di conciliazione tra tempi di vita e di lavoro. Tabella 6. Occupati (50-69 anni) favorevoli a ritardare la scelta di andare in pensione per tipo di incentivo (per 100 occupati che non hanno ricevuto un incentivo monetario). II trimestre 2006 Incentivo economico 32,2% Minore rilevanza, al fine del prolungamento dell’attività lavorativa, assumono tanto una migliore tutela della salute e della sicurezza sul posto di lavoro (12,5% di casi favorevoli), con quote maggiori nell’industria in senso stretto (14,3%), quanto maggiori possibilità di aggiornamento professionale (8,7%). L’esigenza sia di un migliore ambiente lavorativo che di una più frequente riqualificazione professionale proviene soprattutto dagli occupati residenti nel Centro e nel Mezzogiorno. La conclusione dell’attività lavorativa Nel secondo trimestre del 2006 le persone di 50-69 anni non occupate che hanno dichiarato di percepire una pensione erano 4 milioni 386 mila (il 49,3% delle persone della stessa fascia di età non occupate). Per meglio focalizzare l’attenzione sulla fase conclusiva del periodo di attività lavorativa, in tale aggregato non sono considerati, coerentemente con quanto deciso a livello europeo, coloro che pur avendo un’età compresa tra 50 e 69 anni hanno concluso l’attività lavorativa prima dei 50 anni di età e percepiscono una pensione da 8 anni e più (Tabella 7). Tabella 7. Criterio di individuazione dell’aggregato per l’analisi della conclusione dell’attività lavorativa Non occupati 8.890.000 Hanno concluso l’attività lavorativa e percepiscono pensione, con l’esclusione di coloro che hanno concluso l’attività prima dei 50 anni di età e percepiscono la pensione da 8 anni e più. 4.386.000
4.504.000 Uno degli obiettivi più importanti della Strategia Europea per l’occupazione è quello di prolungare la permanenza al lavoro. Riveste dunque particolare interesse la conoscenza dei motivi che determinano il ritiro dall’attività lavorativa. Il ritiro obbligatorio e la mancanza di interesse a prolungare l’attività lavorativa emergono come le motivazioni più rilevanti sia per gli uomini che per le donne (Tabella 8), evidenziando da un lato la propensione di gran parte dei lavoratori a non abbandonare precocemente la carriera lavorativa, dall’altro la necessità di rendere più attraente l’ultima parte di questa. Tabella 8. Ritirati dal lavoro (50-69 anni) che percepiscono una pensione, per motivo del ritiro. (composizione percentuale). II trimestre 2006 Ritiro obbligatorio 46,8% Sono più gli uomini a terminare la carriera per ritiro obbligatorio (48,5% contro 43,5% tra le donne), mentre la quota delle donne è superiore negli abbandoni per mancanza di interesse (38% contro 33,9% tra gli uomini). La componente femminile registra anche una quota maggiore di ritiri dovuti a responsabilità di cura di familiari e a problemi di salute (rispettivamente 4,8% e 6%, contro 1,1% e 3,9% tra gli uomini). Tra i ritirati di 50-69 anni che percepiscono una pensione da lavoro emerge una durata media delle carriere lavorative di circa 35 anni, 36,7 anni per gli uomini e 32,2 per le donne. Tra gli uomini il 50,2% ha una durata media di carriera tra 36 e 40 anni, il 30,6% tra 31 e 35, il 10,7% oltre 40 anni, il 7,1% tra 21 e 30 anni e l’1,4% fino a 20 anni. Diversa la situazione tra le donne, dove vi è una maggiore presenza rispetto agli uomini di pensionate con carriere lavorative più brevi. Tra le donne il 30,3% ha una durata della carriera lavorativa compresa tra 36 e 40 anni, il 30,1% tra 31 e 35 anni, il 22,7% tra 21 e 30 anni, l’11,6% fino a 20 anni e il 5,3 oltre 40 anni. Dalle informazioni desunte si osserva che il numero medio degli anni di lavoro non si discosta sostanzialmente da quello relativo alla media degli anni di contributi versati. Tale corrispondenza tra anni di lavoro e di contribuzione è da attribuire all’età della popolazione considerata e alla massiccia presenza nell’aggregato di carriere lavorative regolari. GLOSSARIO RAPPORTO ISTAT DEL 5 NOVEMBRE 2007 (1) Da tale prospettiva, tappe fondamentali possono senza dubbio essere considerate il Consiglio europeo di Stoccolma e quello di Laeken, svoltisi entrambi nel 2001, nonché il Consiglio di Barcellona dell’anno successivo. Commento di Impresa Oggi Interessante quest’indagine condotta dall’ISTAT che contraddice quanto da anni politici e sindacati vanno sostenendo e cioè che i lavoratori sono “ferocemente “ contrari al prolungamento dell’età pensionabile. |
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