Italia: vizi e virtł. Il governo Amato (1992-1993)


In copertina: Annibale Carracci "il vizio e la virtł"

Italia: vizi e virtł
Eugenio Caruso
Impresa Oggi Ed.

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26. Il governo Amato (1992 -1993)

Nel  giugno 1992, nasce il governo Amato, che restaura il quadripartito (28/6/92-28/4/93) , ma che si caratterizza per una serie di novità: il numero dei ministri scende da 32 a 24, vengono esclusi gli uomini più compromessi, come Prandini, Cirino Pomicino, De Michelis e la Dc impone ai suoi ministri l'incompatibilità con il mandato parlamentare. Il governo Amato parte anche con la benedizione di Mediobanca, che, attraverso il sottosegretario alla presidenza del consiglio, Antonio Maccanico, ottiene alcune assicurazioni sulla privatizzazione delle aziende pubbliche (Galli, 1996). Tra i tecnici, Piero Barucci al tesoro e Giuseppe Guarino alle partecipazioni statali entrano subito in disaccordo sul cavallo di battaglia del programma di Amato, le privatizzazioni. Barucci le vuole davvero, Guarino dà la sua approvazione, purché non si facciano.
Scalfaro, che aveva duramente contestato le interferenze di Cossiga con l'attività politica, "unico suo merito politico per la nomina a presidente" scopre l'altra faccia della sua personalità. Nell'arco del settennato cerca di fungere da super primo ministro e questo suo comportamento viene alla luce, subito, proprio con Amato con il quale stila l'elenco dei ministri.
La mafia, forse non trovando più, come nel passato, garanti della sua impunità, manda un altro sanguinoso messaggio allo stato: il 19 luglio 1992, un'auto bomba fa saltare in aria a Palermo il giudice Paolo Borsellino e cinque uomini della sua scorta. Il governo risponde inviando settemila uomini dell'esercito nelle zone controllate dalla mafia, i capi mafiosi in carcere vengono trasferiti in località isolate, sono eliminati i benefici carcerari, viene sostituito il procuratore generale di Palermo, Pietro Giammanco, con Giancarlo Caselli, distintosi nella lotta alle brigate rosse.
Il governo Amato avvia una politica di risanamento economico, almeno per tamponare la voragine lasciata dal governo Andreotti, del quale scrive Vittorio Sbardella, un uomo della sua corrente « ... non lascia niente. Solo rottami, un Paese sull'orlo della bancarotta». Amato è aiutato dall'accordo tra Confindustria e sindacato, che manda in pensione il meccanismo, una volta intoccabile, della scala mobile. Viene attuata una manovra che colpisce, tra l'altro, case e depositi bancari, viene istituita una patrimoniale per le imprese, viene fissata una minimum tax per i lavoratori autonomi, viene avviato il processo di privatizzazione delle aziende dello stato. I provvedimenti del governo Amato sono accompagnati da una decisione ignobile, un prelievo obbligatorio dello 0,6 per mille su tutti i depositi bancari, una rapina che non ha precedenti nella storia del Paese. Le agenzie di rating declassano l'Italia, il presidente Scalfaro, che inizia a distinguersi per un comportamento di rara arroganza, afferma che «l'Italia non accetta pagelle». Un'altra iniziativa del governo Amato, che si rivelerà completamente errata, sarà quella di affidare il controllo delle banche di stato a fondazioni da crearsi ad-hoc. Le fondazioni saranno il paravento dietro al quale si scateneranno lotte per il controllo delle banche stesse o, meglio, per il mantenimento dello status quo, nella migliore tradizione del cambiare perché nulla cambi.
Il 3 luglio, si manifesta sui mercati internazionali una dura speculazione sulla lira, moneta che è sensibilmente sopravvalutata; nonostante ciò, il governatore della Banca d'Italia, Carlo Azeglio Ciampi, oppone una resistenza che dissangua l'istituto centrale, bruciando riserve per 50mila miliardi e facendo la fortuna di molti bene informati.
Il 17 settembre 1992, la lira deve essere svalutata del 7% e successivamente uscire dal sistema monetario europeo; la lira, una volta uscita dal serpente monetario perderà fino al 30% del suo valore.  Era stato lo stesso Ciampi, alla fine del 1990, a volere l'ingresso della lira nella banda di oscillazione stretta dello Sme (dal 6,5% al 2,5%). Quella scelta, nel giro di due anni, ha provocato danni a non finire; la lira deve essere difesa dalla speculazione al ribasso giorno per giorno, la sopravvalutazione ostacola le esportazioni, gli alti tassi indeboliscono il sistema produttivo e costano migliaia di miliardi allo stato, costretto a pagare interessi sempre più alti sul debito pubblico. Ancora una volta i fautori della stabilità forzata dei tassi di cambio tra le monete sono stati sconfitti da una regola più forte, quella del mercato. Scriveva Paolo Baffi, «...ogni qual volta la parità di cambio è stata eretta a feticcio o imposta senza adeguato riguardo alle sottostanti condizioni dell'economia, le conseguenze sono state nefaste», in altre parole non è possibile coniugare stabilità dei tassi e deriva degli altri parametri economici, come debito, disavanzo pubblico, inflazione. Il sistema politico italiano aveva, puerilmente, creduto che la soluzione dei problemi economici sarebbe venuta dalla politica monetaria e non da una politica di sacrifici e di regole. Giova ricordare che Ciampi, l'uomo dai colossali errori, verrà celebrato da stanmpas e istituzioni come un grande uomo politico .
Il Parlamento approva una nuova legge elettorale per le amministrazioni comunali, vanificando il referendum richiesto da Segni; la nuova legge consente ai cittadini di eleggere direttamente i loro sindaci, con un'elezione a doppio turno.
Il 5 novembre 1992, il ministro del tesoro Barucci illustra il piano di privatizzazioni del governo Amato, piano che prevede, entro tre-quattro anni, l'uscita dello stato da gran parte delle imprese sotto il suo controllo (Enel, Ina, banche, aziende dell'Iri e dell'Eni, ecc). Si annuncia una rivoluzione nell'economia del Paese e l'estinzione di una generazione di boiardi, che hanno costituito il centro di potere più forte nella storia industriale del Paese.
Sulla spinta delle istanze di decentramento amministrativo, viene nominata una commissione bicamerale per le riforme istituzionali, la cui presidenza viene affidata a Ciriaco De Mita.
Il consiglio nazionale della Dc, il 12 ottobre, nomina segretario Mino Martinazzoli, che si impegna ad avviare un processo di rinnovamento del partito pur essendo consapevole di «essere stato eletto per disperazione», che il suo partito « è un cimitero», e che la sua missione dovrà essere quella di «trasformare la paura in coraggio». Alla presidenza viene portata Rosa Russo Jervolino, perché la Dc, alla ricerca del tempo perduto, vuole recuperare la componente femminile del suo elettorato. Per lo stesso motivo Rosy Bindi viene lanciata nell'empireo della dirigenza Dc. Mario Segni lascia il partito e fonda il movimento "Popolari per la riforma", seguendo l'esempio dell'altro eretico democristiano, Leoluca Orlando, fondatore della Rete.
Prosegue intanto il lavoro della magistratura; nel dicembre 1992, il segretario dello Psi riceve un avviso di garanzia, che il ministro dell'interno, Mancino, definisce «un attacco al sistema». Nel marzo 1993, viene arrestato l'ex funzionario del Pci, Primo Greganti, che dopo aver ammesso di aver intascato tangenti, ma non a favore del Pci/Pds, si chiude in un silenzio che nessuna minaccia scalfisce. Nel 1995, Nordio Giuliano Peruzzi, consulente delle cooperative, ammetterà «Greganti era notoriamente il cassiere del Pci-Pds incaricato di raccogliere i finanziamenti illeciti provenienti dalle fonti più svariate. Essenzialmente fondi neri costituiti dalle cooperative o mazzette provenienti dagli imprenditori….. Pagato Greganti, tutti sapevano che il consenso del Pci era un fatto acquisito e pertanto sia gli appalti nazionali sia le esportazioni verso l'Est avevano il beneplacito di questa forza politica» (Vespa, 1999).
Craxi viene interrogato in tribunale e la lista dei suoi capi di imputazione ha raggiunto il numero di 170, anche Andreotti, Forlani e Goria vengono informati che sono state aperte inchieste a loro carico, alti magistrati sono sospesi o arrestati, ambasciatori vengono accusati di malversazioni nell'impiego degli aiuti al terzo mondo, viene arrestato un ex presidente dell'Iri, si scopre che un funzionario del ministero della sanità, Poggiolini, con la connivenza del ministro Francesco De Lorenzo, aveva accumulato una fortuna di centinaia di miliardi grazie al controllo delle autorizzazioni alla vendita dei farmaci.
Claudio Martelli tenta di spodestare Craxi dalla segreteria, per cercare di rilanciare lo Psi e l'alleanza col Pds, se non che, l'arresto di Silvano Larini, faccendiere dello Psi, consente ai magistrati di scoprire che il famoso "conto protezione", il cui numero era stato individuato in occasione delle indagini sulla P2, appartiene allo Psi e che anche Martelli ne era al corrente, cosicché anche le ambizioni politiche del delfino di Craxi muoiono sul nascere. All'assemblea nazionale del febbraio 1993, nel tentativo di salvare il salvabile, lo Psi nomina segretario il sindacalista della Uil, Giorgio Benvenuto; poco dopo Benvenuto viene sostituito da un altro sindacalista, Ottaviano Del Turco, che aveva guidato la componente socialista della Cgil.
Craxi per sfuggire alla giustizia italiana si rifugerà, in volontario esilio, nella sua villa di Hammamet, protetto dal governo tunisino con il quale ha stabilito un legame "affettivo"; prima della morte, in un incontro con Francesco Cossiga, affermerà che i soldi, presi durante gli anni d'oro dello Psi, erano stati utilizzati per scopi di partito e per sovvenzionare movimenti di liberazione nazionale sotto regimi comunisti o fascisti. Lo stesso Gerardo D'Ambrosio sosterrà come non si potesse dimostrare, attraverso gli atti processuali, alcun arricchimento personale dell'onorevole Craxi. L'esistenza o no del "tesoro di Craxi" resta un altro dei misteri della vita politica italiana.
Ma le inchieste giudiziarie, nel 1993, sconvolgono anche i partiti minori. La Malfa lascia la segreteria dopo l'avviso di garanzia di febbraio (ha luogo una reggenza di Giorgio Bogi); si dimettono il segretario dello Psdi, Vizzini, sostituito da Enrico Ferri, e del Pli, Altissimo, cui succede, temporaneamente, Raffaele Costa.
Nel mese di marzo '93, il ministro della giustizia, Giovanni Conso, per salvare il salvabile, presenta un decreto che depenalizza il finanziamento illecito ai partiti, Scalfaro, che era stato informato nei minimi dettagli del contenuto del provvedimento (Vespa, 1998), sotto la pressione dell'opinione pubblica non firma e il decreto viene ritirato. Amato si ritrova da solo a reggere un provvedimento che era stato pesato fin nelle virgole, dai ministri e dal presidente della repubblica. Scalfaro esula dai suoi compiti istituzionali perché il capo dello stato può rifiutarsi di firmare un decreto approvato dal consiglio dei ministri solo in caso di evidente violazione costituzionale; con le sue interferenze nella nomina dei ministri e con questo atto appare chiaro che Scalfaro vuole assumere, di fatto, la guida politica del Paese.
In aprile Giovanni Agnelli ammette la possibilità di illeciti anche da parte della Fiat e Cesare Romiti si presenta a Di Pietro. Da più parti si alzano, però, moniti perché queste inchieste potrebbero danneggiare l'economia, alcuni teorizzano la corruzione come necessità per lo sviluppo di un Paese come l'Italia, lo stesso ministro Conso mette in guardia perché l'avventura non finisca «in un cimitero di fabbriche ferme e di gente affamata».
Il 18 aprile '93, gli italiani sono chiamati a pronunciarsi su otto referendum promossi da Segni: sulla riforma elettorale del Senato, sulla non punibilità penale dell'uso della droga, contro il finanziamento pubblico dei partiti, sull'abolizione dei ministeri dell'agricoltura, del turismo e delle partecipazioni statali, contro l'interferenza dei partiti nelle casse di risparmio, sull'estromissione delle Usl dai controlli ambientali. L'affluenza alle urne è strepitosa e il sistema dei partiti è sommerso da una valanga di sì, che significano altrettanti no a tutta la classe politica.
Quando qualche giorno dopo Amato è costretto a dimettersi per l'affare del decreto Conso, Segni è convinto di andare lui a palazzo Chigi; non sa che Martinazzoli sta dicendo in giro «Non gli affiderei nemmeno l'amministrazione di un condominio».



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Eugenio Caruso - 4 febbraio 2019



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