Nel canto XII il percorso col quale Dante e Virgilio scendono dal VI al VII Cerchio è impervio, in quanto la discesa è simile alla frana che ha percosso il letto dell'Adige. Sull'estremità superiore di questa rovina c'è il Minotauro, che appena vede i due poeti si morde dalla rabbia. Virgilio gli grida che nessuno di loro è Teseo, l'eroe che uccise il mostro sulla Terra, e Dante non è qui su indicazione di Arianna ma per vedere le pene dei dannati. Il Minotauro si allontana saltellando, come un toro che ha ricevuto un colpo mortale, e i due poeti ne approfittano per allontanarsi e calarsi giù per la roccia scosciesa.
Virgilio intuisce che Dante si sta chiedendo quale sia l'origine della ruina dove stava a guardia il Minotauro e spiega che la prima volta in cui è passato di lì (poco dopo la sua morte, quindi prima della nascita di Cristo) essa non c'era ancora. Però poco tempo prima che Cristo risorto traesse dal Limbo le anime dei patriarchi biblici, tutta la valle infernale tremò scossa da un terremoto fortissimo e fu questo a causare il crollo. Virgilio invita quindi Dante a guardare davanti a sé, dove c'è il fiume di sangue bollente in cui sono immersi i violenti.
Dante obbedisce e vede un'ampia fossa a forma di semicerchio, in cui scorre un fiume di sangue bollente (il Flegetonte), e tra la parete del cerchio e il fiume corrono dei centauri, armati di arco e frecce. I mostri si arrestano quando vedono arrivare i due poeti e tre di loro si staccano dalla schiera. Uno di loro chiede da lontano quale sia il peccato dei viaggiatori e li minaccia con l'arco. Virgilio risponde che spiegherà tutto al loro capo, Chirone, e poi dice a Dante che il centauro che ha parlato è Nesso, morto a causa di Deianira, mentre quello al centro è Chirone, che allevò Achille, e l'altro è Folo. Intorno al fiume ce ne sono migliaia, col compito di colpire con le frecce i dannati che fuoriescono troppo dal sangue bollente.
Il Minotauro. Minosse, re di Creta, non era ben visto dalla popolazione cretese in quanto il suo vero padre era Zeus. Il re pregò Poseidone, il dio del mare, di inviargli un toro come simbolo dell'apprezzamento degli dei verso di lui in qualità di sovrano, promettendo di sacrificarlo in onore del dio. Poseidone acconsentì e gli donò un bellissimo e possente toro bianco di gran valore. Vista la bellezza dell'animale, però, Minosse decise di tenerlo per le sue mandrie e ne sacrificò un altro. Poseidone allora, per punirlo, fece innamorare Pasifae, moglie di Minosse, del toro stesso. Ella riuscì a soddisfare il proprio desiderio carnale nascondendosi dentro una giovenca di legno costruita dall'artista di corte Dedalo. Dall'unione nacque il Minotauro, termine che unisce, appunto, il prefisso minos ovvero "re" con il suffisso taurus ovvero "toro". Il Minotauro aveva il corpo umanoide e bipede, ma aveva zoccoli, pelliccia bovina, coda e testa di toro. Era di carattere selvaggio e feroce, perché la sua mente era completamente dominata dall'istinto animale. Minosse, per impedirgli di nuocere, fece rinchiudere il Minotauro nel Labirinto di Cnosso, costruito da Dedalo. Quando Androgeo, figlio di Minosse, morì ucciso dagli ateniesi infuriati perché aveva vinto troppo ai loro giochi, disonorandoli, Minosse decise, per vendicarsi della città di Atene, sottomessa allora a Creta, che questa dovesse inviare ogni anno sette fanciulli e sette fanciulle da offrire in pasto al Minotauro, che si cibava di carne umana. Mi piace ricordare che compare spesso il connubio tra donna e animale, sia nella mitologia, che nella letteratura latina, anche tra i grandi come Ovidio e Apuleio.
Il Minotauro virgiliano
(Dedalo) ...e ’l tuo gran tempio eresse,
Ne le cui porte era da l’un de’ lati
D’Andrògëo la morte, e quella pena
Che di Cècrope i figli a dar costrinse
Sette lor corpi a l’empio mostro ogn’anno:
Miserabil tributo! e v’era l’urna,
Onde a sorte eran tratti. Eravi Creta
Da l’altro lato, alto dal mar levata,
Ch’avea del tauro istorïata intorno
E di Pasífe il bestïale amore,
E la bestia di lor nata biforme,
Di sì nefando ardor memoria infame.
Eravi l’intricato laberinto:
Eravi il filo, onde gl’intrighi suoi
E le sue cieche vie Dedalo stesso,
Per pietà ch’ebbe a la regina, aperse.
Il centauro Chirone a differenza degli altri centauri, che come i satiri erano ignoranti e dediti alla violenza, si distingueva per la grande bontà d'animo, per la saggezza, per la conoscenza delle scienze, in particolare quella medica. Fu pertanto considerato il capostipite di quella scienza in quanto maestro di colui che la mitologia greca considerava il dio della medicina Asclepio. Chirone è anche considerato precursore della scienza erboristica, in quanto lo storico tedesco Giustino Febrònio (pseudonimo di Johann Nikolaus von Hontheim) racconta che egli aveva, nel territorio di Collepardo, il suo "Orto del Centauro". Secondo alcuni autori antichi, egli fu anche astrologo; sulla medesima scia, Isaac Newton lo considera un "astronomo pratico" e, attraverso un'audace interpretazione di un passo degli Stromateis di Clemente Alessandrino, lo individua come uno dei primi a delineare le costellazioni in Grecia.
Il centauro Nesso viveva sulle rive del fiume Eveno e usava traghettare i viaggiatori sull'altra sponda. Un giorno Eracle si trovò a passare il fiume assieme alla sua moglie Deianira. Nesso si rifiutò di traghettare i due nello stesso momento, cosicché Eracle guadò il fiume da solo. Quando Nesso si trovò ad avere in groppa la sola Deianira, tentò di rapirla dandosi alla fuga, ma fu ucciso da una freccia di Eracle. Nell'agonia, Nesso rivelò a Deianira che se ella avesse raccolto il suo sangue e ne avesse intriso una veste avrebbe potuto contare sull'amore eterno di Eracle: infatti ogni volta che Eracle avesse mostrato interesse verso un'altra donna sarebbe bastato che l'uomo indossasse quella veste per ritornare devoto a Deianira; l'imprudente donna seguì il consiglio. A distanza di anni, dopo la vittoriosa spedizione contro Ecalia, il vincitore Eracle che portava con sé la bella Iole, figlia del defunto re di Ecalia, si fermò a qualche distanza da Trachis e inviò Lica, un suo compagno, alla moglie Deianira per prendere una veste bianca per sacrificare. Lica raccontò tutto a Deianira, e questa, temendo la bellezza di Iole, consegnò a Lica la tunica di Nesso. Appena Eracle la indossò fu colto da terribili dolori, in quanto il sangue del centauro era contaminato dal veleno della freccia che lo aveva ucciso, intinta anni prima nel sangue dell'Idra di Lerna. Eracle, impazzito dal dolore, uccise Lica. Deianira, per il rimorso, si impiccò.
Il centauro Folo Viveva in una caverna nei pressi della città di Elis in Arcadia e un giorno ebbe ospite Eracle a cui offri della carne arrostita.
Quando l'ospite chiese del vino, sulle prime rispose che la giara apparteneva alla comunità dei centauri, poi finì con il farsi convincere e una volta aperta ne fuoriuscì l'odore che si sparse attorno. Era vino molto forte ed il suo aroma finì per essere annusato anche dagli altri centauri che vivevano vicino e che, arrabbiandosi, si avvicinarono alla sua caverna armati di sassi ed abeti sradicati.
Ingaggiando battaglia, Eracle riuscì a respingerli e molti di loro caddero uccisi e Folo (che comunque era un centauro ed era stato la causa della battaglia) soccorse e seppellì i caduti fino a quando si ferì con una freccia avvelenata e morì a sua volta.
I centauri virgiliani sono posti a guardia dell'Averno con fiere e mostri.
Nel mezzo erge le braccia annose al cielo
Un olmo opaco e grande, ove si dice
Che s’annidano i Sogni, e ch’ogni fronda
V’ha la sua vana imago e ’l suo fantasma.
Molte, oltre a ciò, vi son di varie fere
Mostruose apparenze. In su le porte
I biformi Centauri, e le biformi
Due Scille: Brïarèo di cento doppi;
La Chimera di tre, che con tre bocche
Il fuoco avventa: il gran Serpe di Lerna
Con sette teste; e con tre corpi umani
Èrilo e Gerióne; e con Medusa
Le Górgoni sorelle; e l’empie Arpie,
Che son vergini insieme, augelli e cagne.
I due poeti si avvicinano ai centauri e Chirone minaccia di colpirli con una freccia, indicando ai compagni che Dante è ancora vivo. Virgilio spiega che il suo compito è mostrare al discepolo l'Inferno, poiché questo è il volere divino e Dante non è un ladrone, né lui stesso un malfattore. Virgilio chiede poi a Chirone di incaricare uno dei compagni di portare in groppa Dante e fargli attraversare il Flegetonte, dal momento che Dante ha un corpo fisico. Chirone si volta alla sua destra e incarica Nesso di guidare i due poeti fino al guado.
Nesso obbedisce e scorta Dante e Virgilio lungo il Flegetonte, dove i dannati immersi nel sangue levano alte grida. Il centauro indica a Dante spiriti immersi sino alle ciglia e spiega che sono tiranni, tra i quali indica un Alessadro, Dionisio di Siracusa, Ezzelino da Romano, Òbizzo d'Este. Più avanti Dante vede dei dannati immersi sino alla gola nel bulicame, tra cui Nesso indica Guido di Montfort che uccise a Viterbo Enrico, cugino del re d'Inghilterra. Altri dannati emergono fino al petto e tra questi Dante riconosce più di uno, altri ancora sono immersi sino ai piedi.
Dopo che ha fatto salire sulla sua groppa Dante e ha iniziato ad attraversare il Flegetonte, Nesso spiega che il livello del fiume si abbassa progressivamente, sino a ricongiungersi al punto opposto dove invece è più profondo e dove sono puniti altri tiranni. Nel punto di maggior profondità sono immersi Attila, Pirro, Sesto Pompeo, Riniero da Corneto e Rinieri dei Pazzi. Dopo essere giunto sull'altra sponda, il centauro torna da dove è venuto.
La violenza è il tema dominante dell'episodio e ciò è evidente fin dall'inizio, con la comparsa del Minotauro. Il mostro, per metà uomo e per metà toro, è simbolo della violenza che è il peccato di chi, pur dotato di ragione umana, si è abbandonato a istinti bestiali e ha arrecato danno al prossimo, nella persona fisica o nei beni. Il Minotauro, che probabilmente è custode di tutto il VII Cerchio e non solo del primo girone dove sono puniti assassini e predoni, tenta di ostacolare il passaggio dei due poeti come altre figure demoniache già viste in precedenza, ma è sgridato da Virgilio che gli ricorda la morte inflittagli da Teseo nel mondo. Il maestro spiega inoltre a Dante che la causa del crollo rovinoso dove i due devono scendere è il terremoto che scosse tutta la Terra il giorno della morte di Cristo, mentre non c'era ancora quando lui passò di lì la prima volta, evocato dalla maga Eritone (il fatto avvenne poco dopo la morte di Virgilio, quindi ben prima della nascita di Gesu). Lo stesso terremoto causò anche il crollo dei ponti che congiungono la V alla VI Bolgia dell'VIII Cerchio, e forse della ruina descritta nel II Cerchio.
I veri custodi del primo girone sono in realtà i centauri, altre creature del mito classico che, al pari del Minotauro, condividono natura umana e bestiale. Se nell'antichità erano considerati esseri saggi e sapienti (Chirone fu ad esempio il precettore di Achille), nel Medioevo erano invece spesso demonizzati per la loro immagine di cacciatori armati di arco e frecce, che li accostava a certe immagini di cacciatori diabolici di cui ci sono vari esempi nell'iconografia cristiana. La loro funzione è di impedire ai dannati, immersi nel fiume di sangue, di emergere più di quanto abbia stabilito la giustizia divina, compito che essi assolvono saettando gli spiriti che cercano di trasgredire. A differenza del Minotauro e di altri diavoli dell'Inferno dantesco, i centauri sono molto collaborativi con Dante e uno di loro, Nesso, lo porta in groppa per consentirgli di guadare il fiume di sangue.
Il Canto presenta una nutrita serie di esempi di violenti contro il prossimo, tra cui spiccano soprattutto i tiranni. È implicita una critica di Dante contro quei regimi politici che sfociavano nell'oppressione al popolo, presente anche in altri passi del poema, e che qui individua esempi tratti da varie epoche storiche: i tiranni del tempo di Dante sono comunque più numerosi, così come gli esempi di ladroni e assassini (tra questi spicca l'uccisore di Enrico, nipote del re d'Inghilterra, fatto che avvenne a Viterbo nel 1271; Dante dichiara inoltre che il tiranno Òbizzo d'Este fu assassinato dal figlio Azzo VIII, affermazione coraggiosa visto che l'uomo sarebbe morto soltanto nel 1308 ed era quindi ancor vivo quando la Divina Commedia cominciò a circolare).
Il Flegetonte è uno dei quattro fiumi infernali (gli altri sono l'Acheronte e lo Stige, già visti, e il quarto sarà il Cocito), formato da sangue bollente in cui i violenti sono immersi in misura diversa a seconda del peccato commesso: i tiranni fino agli occhi, gli assassini fino al collo, i predoni e i ladroni da strada fino al petto, altri ancora fino ai piedi (questo è il punto in cui il sangue è più basso, dove Nesso può effettuare il guado). Il fiume non è esplicitamente nominato in questo Canto, ma sarà illustrato a Dante da Virgilio nel Canto XIV (115 ss.), nel corso della sua digressione sull'origine dei fiumi infernali.
Testo
Era lo loco ov’a scender la riva
venimmo, alpestro e, per quel che v’er’anco,
tal, ch’ogne vista ne sarebbe schiva. 3
Qual è quella ruina che nel fianco
di qua da Trento l’Adice percosse,
o per tremoto o per sostegno manco, 6
che da cima del monte, onde si mosse,
al piano è sì la roccia discoscesa,
ch’alcuna via darebbe a chi sù fosse: 9
cotal di quel burrato era la scesa;
e ’n su la punta de la rotta lacca
l’infamia di Creti era distesa 12
che fu concetta ne la falsa vacca;
e quando vide noi, sé stesso morse,
sì come quei cui l’ira dentro fiacca. 15
Il luogo dove giungemmo per scendere al Cerchio successivo era impervio, e, anche per ciò che vi era (il Minotauro), tale che nessuno vorrebbe vederlo.
Come quella frana che colpì il letto dell'Adige a sud di Trento, per un terremoto o per mancanza di sostegno, tale che dalla cima del monte da cui si mosse fino alla pianura la roccia è sì dirupata, ma darebbe accesso a qualcuno che scendesse dall'alto: così era la discesa di quel burrone infernale; e proprio all'inizio del dirupo era distesa la vergogna di Creta, che fu concepita nella finta vacca; e quando (il Minotauro) ci vide, si morse come colui che è sopraffatto dall'ira.
Lo savio mio inver’ lui gridò: «Forse
tu credi che qui sia ’l duca d’Atene,
che sù nel mondo la morte ti porse? 18
Pàrtiti, bestia: ché questi non vene
ammaestrato da la tua sorella,
ma vassi per veder le vostre pene». 21
Qual è quel toro che si slaccia in quella
c’ha ricevuto già ’l colpo mortale,
che gir non sa, ma qua e là saltella, 24
vid’io lo Minotauro far cotale;
e quello accorto gridò: «Corri al varco:
mentre ch’e’ ’nfuria, è buon che tu ti cale». 27
Il mio maestro gridò verso di lui: «Forse credi che qui ci sia il duca d'Atene (Teseo), che nel mondo ti procurò la morte? Vattene via, bestia: infatti costui non viene seguendo le istruzioni di tua sorella (Arianna), ma va a vedere le vostre pene». Come il toro che si libera dai lacci nel momento in cui ha ricevuto il colpo mortale, e non riesce a camminare ma barcolla qua e là, così vidi che faceva il Minotauro; e il saggio Virgilio gridò: «Corri al passaggio: è bene che tu scenda, mentre il mostro è in preda alla furia».
Così prendemmo via giù per lo scarco
di quelle pietre, che spesso moviensi
sotto i miei piedi per lo novo carco. 30
Io gia pensando; e quei disse: «Tu pensi
forse a questa ruina ch’è guardata
da quell’ira bestial ch’i’ ora spensi. 33
Or vo’ che sappi che l’altra fiata
ch’i’ discesi qua giù nel basso inferno,
questa roccia non era ancor cascata. 36
Così ci incamminammo giù per il dirupo di quelle pietre, che spesso si muovevano sotto i miei piedi per il peso cui non erano abituate. Io andavo pensando, e Virgilio disse: «Tu pensi forse a questa frana, che è sorvegliata da quel mostro adirato che or ora ho ammansito. Ora voglio che tu sappia che l'altra volta in cui discesi quaggiù nel basso Inferno, quella roccia non era ancora crollata.
Ma certo poco pria, se ben discerno,
che venisse colui che la gran preda
levò a Dite del cerchio superno, 39
da tutte parti l’alta valle feda
tremò sì, ch’i’ pensai che l’universo
sentisse amor, per lo qual è chi creda 42
più volte il mondo in caòsso converso;
e in quel punto questa vecchia roccia,
qui e altrove, tal fece riverso. 45
Ma ficca li occhi a valle, ché s’approccia
la riviera del sangue in la qual bolle
qual che per violenza in altrui noccia». 48
Certo però poco prima, se capisco bene, che venisse Colui (Cristo risorto) che trasse dal I Cerchio gli spiriti dei patriarchi, la profonda valle fetida (l'Inferno) tremò da ogni parte, così che pensai che l'Universo sentisse amore, per il quale alcuni credono che il mondo più volte si sia convertito in caos; e in quell'istante questa vecchia roccia, qui e altrove, crollò. Ma spingi lo sguardo a valle, poiché si avvicina il fiume di sangue (Flegetonte) nel quale bolle chi nuoce agli altri per violenza».
Oh cieca cupidigia e ira folle,
che sì ci sproni ne la vita corta,
e ne l’etterna poi sì mal c’immolle! 51
Io vidi un’ampia fossa in arco torta,
come quella che tutto ’l piano abbraccia,
secondo ch’avea detto la mia scorta; 54
e tra ’l piè de la ripa ed essa, in traccia
corrien centauri, armati di saette,
come solien nel mondo andare a caccia. 57
Veggendoci calar, ciascun ristette,
e de la schiera tre si dipartiro
con archi e asticciuole prima elette; 60
e l’un gridò da lungi: «A qual martiro
venite voi che scendete la costa?
Ditel costinci; se non, l’arco tiro». 63
Oh cupidigia cieca e ira folle, che ci spingi così tanto nella nostra breve vita e poi in quella eterna ci immergi così atrocemente! Io vidi un ampio fossato a forma semicircolare, poiché circonda tutta la zona piana, proprio come mi aveva detto la mia guida; e tra la base della roccia e il fossato correvano in fila dei centauri, armati di arco e frecce, proprio come erano soliti nel mondo andare a caccia. Vedendoci scendere, ciascuno di loro si fermò e dalla schiera ne uscirono tre, con gli archi e le frecce che prima avevano scelto; e uno gridò da lontano: «A quale pena venite voi che scendete la china? Ditecelo da lì, altrimenti scaglio una freccia».
Lo mio maestro disse: «La risposta
farem noi a Chirón costà di presso:
mal fu la voglia tua sempre sì tosta». 66
Poi mi tentò, e disse: «Quelli è Nesso,
che morì per la bella Deianira
e fé di sé la vendetta elli stesso. 69
E quel di mezzo, ch’al petto si mira,
è il gran Chirón, il qual nodrì Achille;
quell’altro è Folo, che fu sì pien d’ira. 72
Dintorno al fosso vanno a mille a mille,
saettando qual anima si svelle
del sangue più che sua colpa sortille». 75
Noi ci appressammo a quelle fiere isnelle:
Chirón prese uno strale, e con la cocca
fece la barba in dietro a le mascelle. 78
Quando s’ebbe scoperta la gran bocca,
disse a’ compagni: «Siete voi accorti
che quel di retro move ciò ch’el tocca? 81
Il mio maestro gli disse: «Daremo la risposta a Chirone, quando saremo vicini a lui: il tuo desiderio fu sempre così impulsivo e a tuo danno». Poi Virgilio mi prese per un braccio e disse: «Quello è Nesso, che morì per la bella Deianira e si vendicò da se stesso. E quello al centro, che si guarda il petto, è il grande Chirone, che fu precettore di Achille; l'altro è Folo, che fu così pieno d'ira. Intorno al fiume vanno a migliaia, colpendo con frecce ogni anima che esca dal sangue più di quanto la sua colpa le ha assegnato». Noi ci avvicinammo a quelle agili belve: Chirone prese una freccia e con la cocca spinse la barba indietro sulle mascelle. Dopo essersi scoperto la grande bocca, disse ai compagni: «Vi siete accorti che quello dietro (Dante) muove quello che tocca?
Così non soglion far li piè d’i morti».
E ’l mio buon duca, che già li er’al petto,
dove le due nature son consorti, 84
rispuose: «Ben è vivo, e sì soletto
mostrar li mi convien la valle buia;
necessità ’l ci ’nduce, e non diletto. 87
Tal si partì da cantare alleluia
che mi commise quest’officio novo:
non è ladron, né io anima fuia. 90
Ma per quella virtù per cu’ io movo
li passi miei per sì selvaggia strada,
danne un de’ tuoi, a cui noi siamo a provo, 93
e che ne mostri là dove si guada
e che porti costui in su la groppa,
ché non è spirto che per l’aere vada». 96
Chirón si volse in su la destra poppa,
e disse a Nesso: «Torna, e sì li guida,
e fa cansar s’altra schiera v’intoppa». 99
Or ci movemmo con la scorta fida
lungo la proda del bollor vermiglio,
dove i bolliti facieno alte strida. 102
I piedi dei morti, di solito, non fanno così». E il mio buon maestro, che era già vicino al suo petto dove le due nature (umana e equina) sono unite, rispose: «Certo, Dante è vivo e io devo mostrare solo a lui la valle oscura; la necessità lo spinge qui, non il piacere. Una persona (Beatrice) che lasciò il suo scanno in Paradiso mi affidò questo nuovo compito: lui non è un ladrone, né io un malfattore. Ma per quella potenza per cui io muovo i miei passi per un cammino così arduo, dacci uno dei tuoi centauri a cui possiamo stare vicini, perché ci mostri il punto in cui si guada il fiume e perché porti Dante sulla groppa, visto che lui non è uno spirito che può volare a mezz'aria».
Chirone si voltò alla sua destra e disse a Nesso: «Torna indietro, e guidali, e fa' spostare quelli che vi ostacolano». Allora ci muovemmo seguendo quella guida fidata, lungo l'argine del fiume di sangue dove i dannati emettevano alte grida.
Io vidi gente sotto infino al ciglio;
e ’l gran centauro disse: «E’ son tiranni
che dier nel sangue e ne l’aver di piglio. 105
Quivi si piangon li spietati danni;
quivi è Alessandro, e Dionisio fero,
che fé Cicilia aver dolorosi anni. 108
E quella fronte c’ha ’l pel così nero,
è Azzolino; e quell’altro ch’è biondo,
è Opizzo da Esti, il qual per vero 111
fu spento dal figliastro sù nel mondo».
Allor mi volsi al poeta, e quei disse:
«Questi ti sia or primo, e io secondo». 114
Poco più oltre il centauro s’affisse
sovr’una gente che ’nfino a la gola
parea che di quel bulicame uscisse. 117
Mostrocci un’ombra da l’un canto sola,
dicendo: «Colui fesse in grembo a Dio
lo cor che ’n su Tamisi ancor si cola». 120
Poi vidi gente che di fuor del rio
tenean la testa e ancor tutto ’l casso;
e di costoro assai riconobb’io. 123
Così a più a più si facea basso
quel sangue, sì che cocea pur li piedi;
e quindi fu del fosso il nostro passo. 126
«Sì come tu da questa parte vedi
lo bulicame che sempre si scema»,
disse ’l centauro, «voglio che tu credi 129
che da quest’altra a più a più giù prema
lo fondo suo, infin ch’el si raggiunge
ove la tirannia convien che gema. 132
La divina giustizia di qua punge
quell’Attila che fu flagello in terra
e Pirro e Sesto; e in etterno munge 135
le lagrime, che col bollor diserra,
a Rinier da Corneto, a Rinier Pazzo,
che fecero a le strade tanta guerra».
Poi si rivolse, e ripassossi ’l guazzo. 139
Io vidi anime immerse fino alle ciglia; e il gran centauro disse: «Sono tiranni, che offesero gli altri nella persona e negli averi. Qui ci si pente dei danni inferti spietatamente; qui c'è Alessandro, e il feroce Dionisio che diede anni dolorosi alla Sicilia. E quel dannato che ha capelli così neri è Ezzelino (da Romano); l'altro che invece è biondo è Òbizzo d'Este, il quale veramente fu ucciso dal figliastro nel mondo terreno». Allora mi rivolsi al poeta, e lui disse: «Questi sia la tua prima guida, io sarò la seconda». Poco dopo il centauro si fermò presso dei dannati che sembravano uscire dal bulicame (sangue bollente) fino alla gola. Ci mostrò un'ombra isolata da un lato, dicendo: «Quello (Guido di Montfort) trafisse in chiesa il cuore che ancora oggi si venera sul Tamigi (Enrico, nipote del re d'Inghilterra)». Poi vidi dannati che tenevano fuori dal fiume la testa e tutto il petto; e di questi ne riconobbi alquanti. In quel punto il sangue diventava sempre più basso, così che cuoceva solo i piedi dei dannati; e noi guadammo il fiume da quella parte. Il centauro disse: «Così come tu vedi, da questa parte, che il bulicame (liquido bollente) man mano si abbassa, voglio che tu creda che che dall'altra parte il fiume abbassa progressivamente il fondale, finché raggiunge il punto dove i tiranni gemono. La divina giustizia da quel lato punisce Attila, che fu flagello sulla Terra, e Pirro e Sesto (Pompeo); e in eterno spreme fuori le lacrime, schiuse dal bollore, di Rinieri da Corneto, di Rinieri dei Pazzi, che fecero tanta guerra alle strade (come ladroni)». Poi si voltò e ripassò il pantano (fiume).
OVIDIO LE METAMORFOSI CANTO VIII - IL MINOTAURO
Non appena sbarcò dalla nave, toccando il suolo dei Cureti,
Minosse sciolse i voti fatti a Giove con l'offerta
di cento tori e decorò la reggia appendendo i trofei di guerra.
Ma l'obbrobrio della sua stirpe cresceva: un mostro inaudito,
biforme, a denunciare l'immondo adulterio di sua madre (Parsifae).
Minosse decide di allontanare quel disonore da casa e
di rinchiuderlo nei ciechi recessi di un edificio insondabile.
Dedalo, famosissimo per il suo talento di costruttore,
esegue l'opera, rendendo incerti i punti di riferimento
e ingannando l'occhio con la tortuosità dei diversi passaggi.
Come nelle campagne di Frigia il Meandro si diverte a scorrere,
fluendo e rifluendo col suo imprevedibile corso,
e aggirando sé stesso scorge l'acqua che ancora deve raggiungerlo,
o, rivolto qui verso la sorgente, più in là verso il mare aperto,
tormenta indeciso il suo flusso; così Dedalo dissemina
95
d'inganni quel labirinto di strade, al punto che persino lui,
tanto è l'intrico di quella dimora, stenta a trovarne l'uscita.
Qui fu rinchiuso il mostro mezzo uomo e mezzo toro,
che dopo essersi nutrito due volte di giovani ateniesi,
scelti ogni nove anni a sorte, la terza volta fu ucciso da Teseo
con l'aiuto della figlia di Minosse: riavvolgendo il suo filo,
lui guadagnò l'uscita che nessuno prima aveva ritrovato;
poi rapì la fanciulla e fece vela alla volta di Dia,
dove senza pietà abbandonò la sua compagna
lungo la spiaggia. In quella desolazione a lei che piangeva
venne in aiuto Libero col suo abbraccio e, per immortalarla
in una costellazione, le tolse dalla fronte il suo diadema
e lo scagliò nel cielo. Vola quello leggero nell'aria
e mentre vola, le gemme si mutano in fulgidi fuochi,
che mantenendo l'aspetto di un diadema, vanno a fermarsi
a mezza strada tra l'Uomo in ginocchio e il Portatore di serpente.
Video HD https://www.youtube.com/watch?v=fr4P8rDEYEo
Gassman https://www.youtube.com/watch?v=5G0_AxGXkpE
Eugenio Caruso - 27 maggio 2019
Impresa Oggi