Platone: il Lachete, dialogo sul coraggioDopo aver commentato di PLATONE il Timeo, il Simposio, lo Ione, il Critone, l'Apologia di Socrate, il Fedone, l'Eutifrone, il Carmide, mi dedico ora al Lachete. Il Lachete, che fa parte della quinta tetralogia con Carmide, Teage e Liside, è un dialogo di Platone incentrato sul tema della virtù. È un dialogo definitorio (che cerca di definire cosa sia, nella sua interezza o in parte) e aporetico, cioè in cui non si arriva a nessuna conclusione definitiva. È inoltre un tipico dialogo apologetico, in cui cioè Platone tende a rappresentare Socrate come pieno di virtù per combattere gli opuscoli che giravano dopo la sua morte. Da ciò nascerà una teoria per giustificare la sua aporeticità: esso sarebbe stato scritto (come gli altri dialoghi aporetici) solo per esaltare le virtù di Socrate. LISIMACO(1) Avete visto quell'uomo combattere in armi, Nicia (2) e Lachete: (3) il motivo per cui Melesia (4) ed io vi abbiamo esortato ad assistere a ciò, non ve lo abbiamo detto allora, ma ve lo diremo adesso. Con voi crediamo di dover parlare liberamente.Vi sono alcuni che si prendono gioco di queste cose e nel caso in cui uno chiedesse loro un consiglio, non gli direbbero quello che pensano, ma tenendo conto di colui che chiede loro il consiglio, dicono cose contrarie alla loro opinione. Quanto a noi, invece, poiché vi ritenevamo capaci di conoscere e, una volta conosciuto, di riferire con semplicità ciò che pensate, vi abbiamo chiamato per avere un consiglio su ciò di cui vogliamo parlare. L'argomento a cui ho fatto tutte queste premesse è il seguente. Questi sono i nostri figli: questo è il figlio di costui e porta il nome del nonno, Tucidide, questo, invece, è mio figlio - anche lui porta il nome del nonno, di mio padre cioè; infatti si chiama Aristide - a noi, dunque, è sembrato giusto prenderci cura di costoro, per quanto ci era possibile, e di non comportarci come i più, che, quando i figli sono divenuti adolescenti, lasciano che essi facciano ciò che vogliono, ma cominciare fin da ora ad occuparci di loro, per quanto ne siamo in grado. Poiché sappiamo che anche voi avete dei figli, abbiamo ritenuto che voi, se non altri, vi sareste preoccupati di come avrebbero potuto diventare ottimi, se vi foste curati di loro; se, poi, non aveste riflettuto abbastanza su ciò, vi avremmo ricordato che non bisogna trascurarlo e vi avremmo invitato ad aver cura dei vostri figli insieme a noi. In base a che cosa ci sia sembrato giusto così, Nicia e Lachete, è necessario che lo ascoltiate, anche se fosse un po'troppo lungo: io e Melesia mangiamo insieme e con noi mangiano anche i ragazzi. Come ho detto al principio deldiscorso, con voi parleremo con sincerità. Ciascuno di noi due ha da raccontare ai giovani molte nobili imprese dei rispettivi padri, imprese compiute in tempo di guerra e pace, quando amministravano gli affari degli alleati e di questa città. Nessuno di noi due, però, ha qualcosa da dire circa le proprie imprese. Perciò ci vergognamo di fronte a loro e accusiamo i nostri genitori perché, quando diventammo ragazzi, ci lasciavano vivere mollemente e si occupavano, invece, dei fatti degli altri. E a questi ragazzi mostriamo proprio ciò, dicendo loro che se si disinteresseranno di se stessi e non obbediranno a noi, diverranno privi di gloria, se, invece, avranno cura di sé, potrebbero essere degni dei nomi che portano. E loro dicono di obbedirci, ma noi facciamo attenzione a che cosa debbano imparare o di che cosa aver cura per diventare ottimi. Un tale ci insegnò che sarebbe bene che un giovane imparasse a combattere in armi ed elogiava colui che avete visto esibirsi poco fa e ci invitava a guardarlo. Pareva necessario che anche i ragazzi venissero ad assistere allo spettacolo di quell'uomo e prendessero voi sia come spettatori sia come consiglieri ed assistenti, se volete, della cura dei figli. Questo è l'argomento intorno al quale volevamo consigliarci con voi. Ora è vostro compito darci un consiglio su questa disciplina, se, cioè, vi sembri opportuno impararla o no, e quanto al resto, se conoscete qualche disciplina o attività da insegnare ad un giovane ed è altresì vostro compito dirci come vi comporterete nel nostro lavoro comune. NICIAApprovo la vostra intenzione e sono pronto ad aiutarvi, Lismiaco e Melesia, e così credo per Lachete. LACHETECredi bene, Nicia. Ciò che Lisimaco ha appena detto su suo padre e sul padre di Melesia, mi sembra sia stato detto bene per loro, per noi e per tutti coloro che si occupano delle vicende della città, perché a costoro capita proprio ciò che dice lui sia riguardo ai figli sia riguardo al resto, cioè che le proprie cose vengono trascurate e rimangono neglette. Hai ragione a questo proposito, Lisimaco; mi meraviglio, però, che tu chiami noi per consigliarti sull'educazione dei figli e non chiami Socrate piuttosto, innanzitutto perché è del tuo stesso demo (5) e poi per il fatto che trascorre sempre il tempo laddove si esercita una delle belle discipline o attività che tu prendi in esame. LISIMACOCosa dici, Lachete? Socrate si è occupato di una di queste discipline? LACHETECerto, Lisimaco. NICIAQuesto potrei dirtelo anch'io non meno di Lachete; poco tempo fa, infatti, mi ha procurato un maestro di musica per mio figlio, Damone, (6) allievo di Agatocle, uomo piacevolissimo non soltanto per la musica, ma anche nel resto è quanto di meglio tu possa desiderare per trascorrere il tempo con giovani di questa età. LISIMACOIn verità, Socrate, Nicia e Lachete, io e i miei coetanei non conosciamo più i giovani, perché, per via dell'età, trascorriamo la maggior parte del nostro tempo in casa; ma se anche tu, figlio di Sofronisco, hai un buon consiglio da dare a questo tuo compagno di demo, è giusto che glielo dia. è giusto anche perché sei mio amico grazie a tuo padre: tuo padre ed io siamo sempre stati amici e compagni ed egli è morto prima di litigare con me per un qualche motivo. Poco fa mi è venuta in mente una cosa che dicono questi ragazzi: essi, infatti, che a casa dialogano gli uni con gli altri, menzionano frequentemente Socrate e lo elogiano molto; ma in verità non ho mai domandato loro se parlassero del figlio di Sofronisco; ragazzi, ditemi, è questo il Socrate che menzionate spesso? FIGLICerto, padre, è lui. LISIMACOPer Era, Socrate, è bello che tu faccia onore a tuo padre, che era il migliore degli uomini, soprattutto perché quanto è tuo appartiene a noi e quanto è nostro appartiene a te. LACHETEE allora, Lisimaco, non lasciarlo andare, perché anche in altri casi l'ho visto fare onore non soltanto a suo padre, ma anche alla patria; durante la fuga da Delio (7) si è ritirato con me e ti dico che se gli altri avessero volutoagire come lui, la nostra città si sarebbe salvata e non avrebbe subito quella disfatta. LISIMACOÈ bella, Socrate, la lode che ora ti è stata rivolta da uomini degni di fede e per fatti come quelli in cui ti elogiano. Sappi che sono lieto di sentire che godi di buona fama e considerami pure come uno tra i più benevoli nei tuoi confronti. Anche prima avresti dovuto frequentarci e considerarci amici, com'era giusto; a partire da oggi, però, poiché ci siamo riconosciuti, non comportarti diversamente, ma stai con noi e conosci noi e questi ragazzi, affinché anche voi conserviate la vostra amicizia. Ti comporterai così, dunque, e noi te lo ricorderemo di nuovo; che ne pensate dell'argomento iniziale? Che ve ne pare? La disciplina dell'imparare a combattere in armi è adatta o no a dei ragazzi? SOCRATEAnche riguardo a questo problema, Lisimaco, tenterò di darti un consiglio, se ne sono in grado, e tenterò di fare tutto ciò che mi chiedi. Tuttavia mi sembra giustissimo, in quanto più giovane e più inesperto di costoro, ascoltare prima ciò che dicono e imparare da loro; se, poi, ho qualcos'altro da aggiungere oltre a ciò che è già stato detto da loro, allora potrò insegnarvelo e convincervi. Perché, Nicia, non parla uno di voi due? NICIANulla lo impedisce, Socrate. Credo, infatti, anch'io che questa disciplina sia molto utile da imparare per i giovani, per molti motivi. è positivo il fatto che i giovani non trascorrano il tempo in altro modo, ad esempio, in quei divertimenti di cui amano occuparsi quando hanno tempo libero, ma in questa attività, grazie alla quale è inevitabile che il corpo si rafforzi - infatti non è più spregevole di alcuna attività ginnica né provoca meno fatica - e allo stesso tempo essa, insieme all'ippica, giova particolarmente ad un uomo libero; la gara di cui noi siamo atleti e le attività relative alla gara le esercitano soltanto coloro che si allenano con questi strumenti di guerra. In seguito questa disciplina gioverà anche in una battaglia vera e propria, quando si debba combattere contro numerosi nemici. Ma il suo vantaggio più grande si vedrà quando lo schieramento sia sciolto e si debba, ormai corpo a corpo, o attaccare chi fugge inseguendolo o difendersi da chi attacca fuggendo. Chi conosce questa disciplina non potrebbe subire alcunché né da uno solo nè forse da molti, ma avrebbe la meglio in ogni caso. Inoltre tale apprendimento spinge al desiderio di un'altra bella disciplina: chiunque abbia imparato a combattere in armi desidererà anche la disciplina successiva, quella dello schieramento, e dopo averla appresa e aver acquistato gloria in essa, si lancerà nella strategia ed è chiaro che tutte le discipline ed attività che seguono a queste sono belle e particolarmente degne di essere imparate ed esercitate da un uomo e ad esse presiede il combattere in armi. A questo faremo un'aggiunta non indifferente, cioè che questa conoscenza, in guerra, potrebbe rendere ogni uomo più ardito e più coraggioso di quanto sarebbe senza di essa. E non disdegneremo di dire, anche se a qualcuno sembra cosa da poco, che laddove un uomo deve apparire più dignitoso, apparirà tale, e, contemporaneamente, grazie al suo comportamento dignitoso apparirà più temibile ai nemici. LACHETEÈ difficile, Nicia, sostenere di una qualsiasi disciplina che non bisogna impararla, infatti sembra tutto buono da imparare. LISIMACOTi prego, Socrate; per di più mi sembra che la nostra discussione abbia bisogno come di un arbitro. Se, infatti, questi due fossero stati d'accordo, non ce ne sarebbe stato bisogno; ma ora, come vedi, Lachete ha dato voto contrario a quello di Nicia, perciò è bene sentire con quale dei due tu concordi. SOCRATEChe cosa, Lisimaco? Intendi prendere per buona quella tra le due opinioni che approva la maggior parte di noi? LISIMACOChe altro si dovrebbe fare, Socrate. SOCRATEE anche tu, Melesia, vorresti fare lo stesso? Se dovessi decidere quale attività ginnica debba praticare tuo figlio, ti faresti convincere dalla maggioranza di noi, o piuttosto da uno che sia stato istruito da un buon maestro e che si sia esercitato? MELESIAÈ logico che lo affiderei a quest'ultimo, Socrate. SOCRATEObbediresti a lui piuttosto che a noi quattro? MELESIAForse sì. SOCRATECredo che si debba giudicare in base alla scienza, e non al numero, ciò che deve essere ben giudicato. MELESIACome no? SOCRATEEbbene anche ora dobbiamo innanzitutto considerare se tra di noi c'è un esperto di ciò che dobbiamo giudicare oppure no. E, nel caso in cui ci sia, bisogna obbedire a lui, anche se fosse uno solo, e lasciare perdere tutti gli altri, se no, cercarne un altro. Oppure tu e Lisimaco credete che ora si corra un rischio da poco e non si tratti, invece, del nostro bene più grande? Ogni bene del padre sarà governato in base a come siano diventati i figli, a seconda, cioè, che diventino buoni o cattivi. MELESIAHai ragione. SOCRATEBisogna essere molto prudenti. MELESIACerto. SOCRATECome dobbiamo procedere nell'esame, come dicevo poco fa, se vogliamo sapere chi di noi è il più esperto nell'attività agonistica? MELESIAA me pare così. SOCRATEEbbene, ancora prima, qual è l'arte di cui noi cerchiamo i maestri? MELESIACosa intendi dire? SOCRATECosì forse sarà più chiaro. Non mi pare che noi all'inizio ci siamo messi d'accordo su ciò che dobbiamo decidere, su chi di noi, cìo e, sia esperto e abbia avuto per questa disciplina dei maestri e chi no. NICIAMa non dobbiamo esaminare, Socrate, se i giovani debbano imparare o meno a combattere in armi? SOCRATECerto, Nicia. Ma quando per esempio si esamina un farmaco per gli occhi, se lo si debba applicare oppure no, credi forse che la decisione riguardi la medicina o gli occhi? NICIAChe riguardi gli occhi. SOCRATEDunque, quando si decide se e quando si debba inserire il morso al cavallo, allora si prende una decisione sul cavallo e non sulla briglia? NICIACerto. SOCRATEEbbene, in una parola, quando si esamina qualcosa per un qualche scopo, la decisione riguarda ciò che si esamina e non ciò che si cercava per altro scopo. NICIAÈ inevitabile. SOCRATEBisogna anche considerare se chi dà il consiglio sia esperto nel curare cio per il cui scopo svolgiamo la nostra ricerca. NICIACerto. SOCRATEOra, dunque, affermiamo di indagare su questa disciplina a vantaggio dell'anima dei giovani? NICIASì. SOCRATEBisogna considerare se uno di noi sia esperto nella cura dell'anima e sia capace di occuparsi convenientemente di ciò e abbia avuto dei buoni maestri. LACHETECome Socrate? Non hai mai visto che taluni, pur senza avere maestri, sono divenuti in talune attività più esperti dei maestri? SOCRATESì, è vero, Lachete a costoro tu, però, non vorresti credere, se ti sembrassero buoni artigiani, ma se, poi, non avessero da mostrarti alcuna opera della loro arte, la quale sia ben fatta, una o più opere. LACHETEHai ragione. SOCRATENoi, invece, Nicia e Lachete, poiché Lisimaco e Melesia ci hanno invitato a dar loro un consiglio sui figli, desiderando che le loro anime diventino le migliori, se diciamo di possedere questa tecnica, dobbiamo mostrare loro dei maestri che siano di per se stessi buoni e che sembrino aver curato le anime di molti giovani e che abbiano insegnato anche a noi. Oppure nel caso in cui qualcuno di noi afferma di non avere avuto un maestro per sé, allora deve raccontare le proprie azioni e deve mostrare quali ateniesi o stranieri, schiavi o liberi, siano divenuti buoni grazie a quell'uomo, secondo l'opinione generale. Se, invece, a noi non è accaduto nulla del genere, dobbiamo esortarli a cercarne altri e non dobbiamo correre il pericolo, trattandosi di figli di amici, di ricevere dai loro parenti la grave accusa che si sono corrotti. Io parlo innanzitutto di me, Lisimaco e Melesia, perché in questa disciplina non ho avuto alcun maestro. Eppure l'ho desiderato sin da quando ero giovane. Non ho la possibilità di pagare i sofisti, che, soli, mi promettono di rendermi buono e virtuoso. (8) Io stesso ancora adesso sono incapace di trovare quest'arte. Ma se Nicia e Lachete l'avessero trovata ed imparata, non mi stupirei, sia perché sono più agiati di me, così da poter appr endere da altri, sia perché sono più vecchi, così da aver già potuto trovarla. Mi sembrano in grado di educare un uomo; infatti non avrebbero mai espresso in modo sfrontato alcuna opinione riguardo all'attività di un giovane, buono o cattivo che sia, se non avessero ritenuto di conoscerla bene. Del resto io ho fiducia in loro; anzi mi sono stupito che fossero in disaccordo. LISIMACOMi sembra che Socrate parli bene, amici; se volete fare domande e rispondere su tali argomenti, bisogna che lo decidiate voi, Nicia e Lachete. è evidente, infatti, che a me e Melesia farebbe piacere se voi voleste esporre con un discorso tutto ciò che chiede Socrate. Al principio ho cominciato con il dire che noi vi avevamo invitato a dare un consiglio perché credevamo che vi foste esercitati, com'è logico, su questi argomenti, soprattutto dato che i vostri figli, come i nostri, sono in età da essere educati. Se, dunque, per voi non c'è alcuna differenza, ditelo ed esaminate con Socrate, interrogandovi ed rispondendovi reciprocamente. NICIAIn verità, Lisimaco, mi sembra che tu conosca Socrate soltanto dal padre, e che non lo abbia frequentato, se non quando era ragazzo, se per caso ti si è avvicinato tra i compagni di demo, insieme con suo padre, o nel tempio, o in qualche altra assemblea del demo; ma è chiaro che non ti è più capitato di incontrarti con lui, quando è diventato più vecchio. LISIMACOPerché, Nicia? NICIAPerché mi sembra che tu non sappia che chi è molto vicino a Socrate e gli si accosta per parlargli, inevitabilmente, anche qualora prima cominci a parlare d'altro, non cessa di essere trascinato dal suo discorso, prima di poter giungere a parlare di sé, vale a dire in qual modo viva ora e in qual modo abbia vissuto l'esistenza precedente. E quando vi sia giunto Socrate non lo lascerà prima di averlo messo alla prova per bene. (10) Io sono abituato a ciò e so bene che è inevitabile subire tale trattamento da lui e inoltre so che lo subirò anch'io; sono contento, Lisimaco, di stargli vicino e non credo affatto che sia un male ricordarsi delle nostre cattive azioni, presenti e passate, anzi, per il futuro deve diventare più prudente chi non rifugge da questo atteggiamento, ma lo persegue, secondo il detto di Solone,(11) e pretende di imparare finché viva e non crede che la vecchiaia giunga insieme all'intelletto. Per me, dunque, non è affatto insolito né spiacevole essere messo alla prova da Socrate e gia prima sapevo che, in sua presenza, non di ragazzi avrebbe trattato il nostro discorso, ma di noi stessi. Come dico, per quanto sta in me, nulla impedisce di trascorrere il tempo con Socrate, come egli desidera; ma considera cosa ne pensa Lachete. LACHETEÈ semplice, Nicia, ciò che penso dei discorsi, anzi, non semplice, ma duplice. A qualcuno potrei sembrare uno che da un lato ama i discorsi e dall'altro li odia. Ogniqualvolta sento qualcuno parlare della virtù o di qualche conoscenza, intendo un uomo che sia veramente degno dei discorsi che fa, sono molto contento, contemplando insieme colui che parla e le cose che dice, per il fatto che sono in armonia l'uno con le altre. E un uo- mo del genere mi pare proprio un musico, il quale accorda, secondo un'armonia bellissima, non la lira o uno strumento da gioco, ma la sua vita, in armonia tra parole ed azioni, nel modo dorico, non ionico, né, credo, frigio o lidio, secondo l'armonia che è solo greca. (12) Un uomo siffatto mi rende felice quando parla e mi fa apparire agli occhi altrui uno che ama i discorsi - tanta è l'intensità con cui accolgo le sue parole -; chi, invece, agisce nel modo contrario, e tanto più quanto meglio sembra parlare, mi fa apparire all'opposto uno che odia i discorsi. Dei discorsi di Socrate, poi, sono inesperto, ma prima ho messo alla prova le sue azioni e l'ho trovato degno di bei discorsi e di grande libertà nel parlare. Se è disposto a questo, sono d'accordo con lui e con molto piacere vorrei che mi esaminasse e non soffrirei a imparare, anzi convengo con Solone, (13) aggiungendo una sola cosa: invecchiando, desidero, sì, imparare molte cose, ma solo dai buoni. Mi si conceda che il maestro sia buono, perché non sembri tardo a imparare, se imparo senza piacere; se il maestro sarà piuttosto giovane o non ancora famoso o con qualche altra caratteristica del genere, non mi importa. Dunque, Socrate, ti sollecito a istruirmi e a confutarmi come preferisci e a imparare da me ciò che so; tale è il mio atteggiamento verso di te da quel giorno in cui hai corso pericolo insieme a me e hai dato prova della tua virtù, quale deve dare chi voglia darla nel modo giusto. SOCRATENon vi accuseremo, com'è evidente, di non essere pronti a dare un consiglio e ad esaminare con noi. LISIMACOMa è nostro compito, Socrate; anzi, io ti considero come uno di noi - esamina, dunque, al mio posto, in favore dei ragazzi, che cosa dobbiamo domandare a costoro e, discutendo con loro, dai dei consigli. Io, infatti, a causa dell'età, dimentico molte delle cose che mi sono proposto di dire e molte di quelle che ascolto. SOCRATEDobbiamo obbedire, Nicia e Lachete, a Lisimaco e Melesia. LACHETEHai ragione, Socrate. SOCRATEEbbene, Lachete, questi due, ora, non ci hanno forse chiesto un consiglio su come una virtù, già presente nei figli, potrebbe rendere migliori le loro anime? LACHETECerto. SOCRATEForse non bisogna che in noi vi sia la consapevolezza di che cosa sia la virtù? Se noi non sappiamo che cos'è la virtù, in qual modo potremmo consigliare a qualcuno come acquistarla nel modo migliore? LACHETENon potremmo dare alcun consiglio, mi pare, Socrate. SOCRATEQuindi, Lachete, affermiamo di sapere che cos'è. LACHETECerto, lo affermiamo. SOCRATEEbbene, di ciò che conosciamo, possiamo anche dire cosa sia. LACHETECome no? SOCRATENon indaghiamo subito sulla virtù nella sua interezza, ottimo amico - forse è opera troppo ardua - ma prima relativamente ad una parte vediamo se siamo in grado di conoscerla e la nostra indagine sarà evidentemente più facile. LACHETEFacciamo come vuoi tu, Socrate. SOCRATEQuale parte della virtù scegliamo per prima? O è già chiaro che è quella a cui sembra che tenda l'apprendimento dell'uso delle armi? Ai più sembra che tenda al coraggio, vero? LACHETESembra davvero così: Tenteremo di dire per prima cosa, Lachete, che cosa sia il coraggio; dopo considereremo anche in qual modo possa esistere nei giovani, quanto e come possa esistere grazie a discipline ed insegnamenti. Prova a definire ciò che intendo, che cosa sia, cioè, il coraggio. LACHETEMa, per Zeus, Socrate, non è difficile definirlo; sappi che sarebbe un uomo coraggioso colui che rimanendo nello schieramento, volesse lottare contro i nemici e non fuggire. SOCRATEHai ragione, Lachete; forse, però, sono colpevole, per non aver parlato in modo chiaro, del fatto che tu non hai risposto a ciò che io pensavo di domandarti, ma ad un'altra cosa. LACHETEChe cosa intendi dire, Socrate? SOCRATETe lo dirò, se ne sono capace. è coraggioso, come dici tu, quell'uomo che, rimanendo nello schieramento, combatte contro i nemici. LACHETEÈ quello che dico. SOCRATEAnch'io. Ma che dire allora di chi, pur fuggendo e non rimanendo nello schieramento, combatte contro i nemici? LACHETECome fuggendo? SOCRATESì, come si dice che combattano gli Sciti, fuggendo non meno che inseguendo, e Omero, elogiando i cavalli di Enea, dice che essi «impetuosamente, dì qua e di là» sapevano «inseguire e fuggire», ed elogia Enea per questo motivo, per la sua scienza della fuga, e disse che Enea era «maestro della fuga». (14) LACHETEA ragione,Socrate, perché parlava di carri. Tu parli anche dei cavalieri sciti: la cavalleria combatte così, la fanteria, invece, come sostengo io. SOCRATEEccetto, forse, Lachete, quella degli Spartani. Si dice che gli Spartani, a Platea, quando furono vicini ai gerrofori, non vollero combattere contro di loro restando nello schieramento, ma fuggirono e quando le schiere dei Persiani si ruppero, voltisi indietro, combatterono come cavalieri e vinsero quella battaglia. (15) LACHETEÈ vero. SOCRATEDicevo poco fa di essere colpevole del fatto che non hai risposto in modo chiaro perché non ti ho rivolto la domanda in modo appropriato - dato che volevo sapere da te non solo dei coraggiosi che combattono nella fanteria, ma anche di quelli della cavalleria e di ogni altra forma di combattimento, e non solo di quelli che sono coraggiosi in guerra, ma anche nei pericoli del mare e verso le malattie, la povertà, le vicende politiche, il dolore e la paure e di quelli che sono in grado di lottare contro desideri e passioni, sia resistendo sia fuggendo -; infatti vi sono uomini coraggiosi anche in queste situazioni, Lachete. LACHETECerto, Socrate. SOCRATEEbbene, tutti costoro sono coraggiosi, ma alcuni conquistano la virtù nei piaceri, altri nei dolori, altri ancora nei desideri, altri, infine, nelle paure; altri, invece, così credo, sono vili in tutte queste situazioni. LACHETECerto. SOCRATEChe cosa sono queste due cose? Chiedevo questo. Tenterò di dire di nuovo in primo luogo che cosa sia il coraggio, che in tutte queste circostanze rimane sempre la stessa cosa; o non intendi ancora quello che dico? LACHETENon del tutto. SOCRATEIntendo questo: è come se facessi domande su che cos'è la velocità, che si verifica in noi nel correre, nel suonare la cetra, nel parlare, nell'apprendere e in molte altre attività, velocità che noi possediamo più o meno e della quale sì deve parlare o per le azioni delle mani o delle gambe o della voce o de ll'intelletto; o forse tu non ti esprimi così? LACHETECerto. SOCRATESe qualcuno mi dicesse: «Socrate, che cosa dici che sia ciò che in ogni situazione chiami velocità?», gli risponderei che io chiamo velocità la capacità di compiere molte azioni in breve tempo riguardo alla voce, alla corsa e a molte altre cose. LACHETEE avresti ragione. SOCRATEProva anche tu, Lachete, a definire in modo analogo il coraggio, cioè quale capacità sia quella che si trova nel piacere, nel dolore e in tutte le altre situazioni, in cui abbiamo affermato essere presente e che è chiamata coraggio. LACHETEA me sembra che si tratti di una forma di perseveranza dell'anima, se bisogna definire la sua natura in ogni caso. SOCRATEBisogna definirla, se vogliamo veramente rispondere alla nostra domanda. Io la penso così: non ogni perseveranza - credo - ti sembra coraggio. E lo congetturo da ciò: so che tu, Lachete, consideri il coraggio tra le qualità molto belle. LACHETESì, sappi che è tra le più belle. SOCRATENon è forse virtuosa e buona la perseveranza accompagnata da intelligenza? LACHETECerto. SOCRATEE cosa pensi della perseveranza accompagnata da stoltezza? Non è essa, al contrario dell'altra, nociva e dannosa? LACHETECerto. SOCRATEDunque, dirai che è buono ciò che è dannoso e nocivo? LACHETENon sarebbe corretto, Socrate. SOCRATEAllora non concorderai che questa perseveranza coincide con il coraggio, dato che non è bella, mentre il coraggio è bello. LACHETEHai ragione. SOCRATELa perseveranza intelligente, secondo quanto sostieni potrebbe essere coraggio. LACHETEÈ verosimile. SOCRATEConsideriamo, allora, in che cosa è intelligente. In tutte le cose, grandi e piccole? Per esempio, se uno è perseverante nello spendere denaro con intelligenza, poiché sa che, dopo averlo speso, guadagnerà di più, chiameresti costui coraggioso? LACHETENo, per Zeus. SOCRATEE nel caso in cui un medico, se suo figlio o un altro avesse avuto la polmonite e lo avesse pregato di dargli da bere e da mangiare, non si piegasse, ma perseverasse? LACHETENeppure questo sarebbe coraggio. SOCRATEE dirai di un uomo che abbia perseveranza in guerra e che desideri combattere con calcolo ed intelligenza, sapendo che altri correranno in suo aiuto e che combatterà contro meno nemici e di minor valore rispetto ai suoi compagni e che inoltre occupa postazioni migliori, di costui che ha resistito con tale intelligenza e preparazione, dirai che è più coraggioso di chi desidera resistere e perseverare in campo avversario? LACHETEMi sembra che sia più coraggioso chi resiste nel campo avversario, Socrate. SOCRATEMa di certo la sua perseveranza sarebbe più sconsiderata di quella dell'altro. LACHETEÈ vero. SOCRATEE affermerai che chi, dotato di conoscenze ippiche, resiste in una battaglia equestre, è meno coraggioso di chi non ha tali conoscenze. LACHETEA me pare di sì. SOCRATECosì pure chi resiste grazie alle conoscenze relative alla tecnica della fionda o dell'arco o di qualche altra tecnica. LACHETECerto. SOCRATEE quanti desiderano, scesi in un pozzo e immersisi, perseverare in questa impresa, pur senza esserne capaci, o in un'altra azione del genere, li dirai più coraggiosi di chi è esperto in ciò? LACHETEChe cos'altro si potrebbe dire, Socrate? SOCRATENulla, se si crede così. LACHETEEd io credo così. SOCRATEE inoltre costoro corrono pericolo e perseverano più stoltamente di chi lo fa padroneggiando la tecnica. LACHETECosì sembra. SOCRATEForse prima quello stolto ardire e quella perseveranza non ci sono sembrati turpi e dannosi? LACHETEIn verità sì. SOCRATEIl coraggio è stato considerato come cosa bella. LACHETEÈ stato riconosciuto tale. SOCRATEOra di nuovo affermiamo che quella cosa turpe, cioè la perseveranza dissennata, è coraggio. LACHETESembra di sì. SOCRATEE a te sembra che facciano bene? LACHETENo, per Zeus, Socrate. SOCRATESecondo il tuo discorso, Lachete, tu ed io non ci siamo armonizzati al modo dorico, poiché i fatti non concordano con le parole. Nei fatti uno direbbe, sembra, che siamo partecipi del coraggio, ma a parole, credo, no, se ora ci sentisse parlare. LACHETEÈ verissimo. SOCRATEDunque? Ti sembra bello che ci troviamo in questa condizione? LACHETEAssolutamente no. SOCRATEVuoi che noi obbediamo a ciò che diciamo, in questo almeno? LACHETEDi che si tratta e a che cosa dobbiamo obbedire? SOCRATEAl discorso che invita a perseverare. Se vuoi, perseveriamo e persistiamo nella ricerca anche noi, affinché il coraggio stesso non si prenda gioco di noi, dato che lo ricerchiamo in modo non coraggioso, se è vero che spesso la perseveranza medesima è coraggio. LACHETEIo sono disposto, Socrate, a non desistere. Eppure non sono abituato a tale genere di discorsi, ma mi ha catturato un certo desiderio di competizione nei confronti delle cose dette e, in verità, mi irrito, se non riesco a dire ciò che penso. A me pare di riflettere su che cosa sia il coraggio, ma, non so come, poco fa mi è sfuggito il pensiero, così da non poter più racchiuderlo in un discorso e dire che cosa sia. SOCRATEEbbene, amico, il buon cacciatore deve inseguire la preda e non allentare la corsa. LACHETESenza dubbio. SOCRATEVuoi che invitiamo a questa caccia anche Nicia, se ha maggiori risorse di noi? LACHETESì, come no? SOCRATEVieni, Nicia, aiuta i tuoi amici che sono sconvolti dal turbine delle difficoltà del discorso, se sei in grado. Considera, infatti, come priva di via d'uscita sia la nostra situazione; definendo ciò che tu ritieni sia il coraggio, liberaci dalla difficoltà e conferma tu stesso con un discorso ciò che pensi. NICIAMi sembra che da tempo, Socrate, non definiate bene il coraggio, poiché non fate un uso corretto del discorso che già più volte ti ho sentito esprimere. SOCRATEQuale discorso, Nicia? NICIAPiù volte ti ho sentito dire che ciascuno di noi è buono in ciò che conosce e cattivo, invece, in ciò in cui è ignorante. SOCRATEHai ragione, Nicia, per Zeus. NICIAÈ chiaro che, se chi è coraggioso è buono, è anche sapiente. SOCRATEHai sentito, Lachete? LACHETESì, certo, ma non capisco cosa intenda dire. SOCRATEIo, invece, credo di capire e mi par che egli intenda il coraggio come una forma di sapienza. LACHETEE quale forma di sapienza, Socrate? SOCRATEPerché non lo domandi a lui? LACHETESì, certo. SOCRATEVieni, Nicia, e di' a Lachete quale forma di sapienza potrebbe essere il coraggio, secondo il tuo discorso. Di certo non l'arte di suonare il flauto. NICIAAssolutamente no. SOCRATENé l'arte di suonare la cetra. NICIANeppure. SOCRATEMa allora che sapienza è e di che cosa? LACHETELo interroghi davvero bene, Socrate, e ci dica di quale scienza egli ritiene si tratti. NICIASi tratta, Lachete, della scienza delle cose temibili e non temibili sia in guerra sia in altre circostanze. LACHETEQuali cose strane dice, Socrate. SOCRATECon quale intenzione dici ciò, Lachete? LACHETEChe cosa? La sapienza è indipendente dal coraggio. SOCRATENicia sostiene il contrario. LACHETENo, per Zeus, parla a vanvera. SOCRATEEbbene, istruiamolo e non ingiuriamolo. NICIASì, ma mi pa re, Socrate, che Lachete desideri che anch'io figuri non dire nulla, poiché a lui poco fa è capitato così. LACHETEVa bene, Nicia, tenterò di dimostrarlo, dato che tu non dici nulla. Nelle malattie, forse che i medici non conoscono le cose temibili? O ti sembra che le conoscano i coraggiosi? O tu chiami i medici coraggiosi? NICIANo di certo. LACHETEE neppure, credo, i contadini. Eppure costoro conoscono le cose temibili nell'agricoltura e tutti gli altri artigiani conoscono ciò che è temibile e non temibile nelle loro arti, costoro, però, non sono per nulla coraggiosi. SOCRATEChe cosa ti sembra che dica Lachete, Nicia? Sembra che dica qualcosa. NICIASì, dice qualcosa, ma non la verità. SOCRATECosa allora? NICIADice di credere che i medici, riguardo ai malati, sappiano definire meglio ciò che è sano e ciò che è malato. LACHETESì, lo credo. NICIAE credi temibili le stesse cose per coloro che traggono un vantaggio dal vivere e per coloro che lo traggono dal morire? LACHETENo. NICIAMa tu concedi di conoscere ciò ai medici o a qualche altro artigiano, ma non ad un esperto delle cose temibili e non temibili, che io chiamo coraggioso? SOCRATECapisci ciò che dice, Lachete? LACHETESì, chiama coraggiosi gli indovini; chi altro potrà sapere per chi è meglio vivere o morire? Eppure, Nicia, concordi di essere un indovino o né un indovino né un uomo coraggioso? NICIAChe cosa? Credi d'altra parte che ad un indovino giovi conoscere ciò che è temibile e ciò che non lo è? LACHETECerto, a chi altro se no? NICIAMolto di più a chi dico io, carissimo; poiché un indovino deve conoscere soltanto i segni del futuro, se ad uno capiterà la morte, se una malattia, se la perdita delle ricchezze, se una vittoria, se una sconfitta in guerra o in qualche altra gara; ma per quale motivo si addice più ad un indovino che a chiunque altro giudicare se per qualcuno sia meglio soffrire o non soffrire? LACHETEIo, però, Socrate, non capisco che cosa intenda dire. E chiaro che né un indovino, né un medico, né alcun altro è colui che egli chiama coraggioso, tranne che egli non lo consideri un dio. A me pare che Nicia non voglia confessare di non dire nulla, ma si rigira su e giù nascondendo la propria difficoltà; eppure anche noi, tu ed io, poco fa saremmo stati in grado di rigirarci, se avessimo voluto dare l'impressione di non essere in contraddizione con noi stessi. SOCRATENeppure a me sembra il caso, Lachete; ma consideriamo che Nicia creda di dire qualcosa e dica ciò non solo per parlare. Domandiamogli, dunque, che cosa pensa, e se ci pare che dica qualcosa, conveniamo con lui, altrimenti istruiamolo. LACHETESocrate, fai tu, se vuoi, una domanda; io forse ne ho già fatte abbastanza. SOCRATENulla me lo impedisce; sarà comune per te e per me il fare domande. LACHETECerto. SOCRATEDimmi, Nicia - o meglio, dicci; io e Lachete condividiamo il discorso - tu sostieni che il coraggio sia la scienza delle cose temibili e non temibili? NICIASì. SOCRATENon è proprio di ogni uomo conoscere ciò, dato che né un medico né un indovino lo conosceranno né saranno coraggiosi, se non aggiungono anche questa scienza; non è forse questo quello che dici? NICIAQuesto, certo. SOCRATECome dice il proverbio, in verità, non ogni scrofa potrebbe conoscere ciò né diventare coraggiosa. NICIAA me pare di no. SOCRATEÈ chiaro, Nicia, che tu non credi che la scrofa crommionia (16) sia stata coraggiosa. E non lo dico per scherzo, ma ritengo che chi fa discorsi di questo genere non possa accettare il coraggio da alcun animale o acconsentire che possa essere così sapiente che quelle cose che pochi uomini sanno, a causa delle difficoltà ad impararle, queste le conoscano un leone o una pantera o un cinghiale; ma è inevitabile che chi sostiene che il coraggio sia ciò che dici tu, dica che un leone, un cerbiatto, un toro, una scimmia siano per natura uguali in rapporto di coraggio. LACHETEPer gli dèi, parli proprio bene, Socrate. Rispondici su questo punto, Nicia, in tutta sincerità, se ritieni che le belve siano più sapienti di noi, esse che tutti noi consideriamo coraggiose, oppure, opponendoti a tutti, hai l'ardire di non chiamarle coraggiose? NICIAIn verità, Lachete, io non chiamo coraggiosi né gli animali né alcun altro essere che, per ignoranza, non tema ciò che è temibile, ma intrepido e stolto; o forse credi che io chiami coraggiosi tutti i bambini che, per ignoranza, non hanno paura di nulla? Credo che il non aver paura e l'essere coraggiosi non siano la stessa cosa. E credo, inoltre, che in ben pochi risiedano coraggio e prudenza e che anzi nella maggior parte di uomini, donne, bambini ed animali risiedano tracotanza, audacia, intrepidezza accompagnata da sconsideratezza. LACHETEGuarda, Socrate, come si fa bello - così crede - col suo discorso; coloro che tutti concordemente ritengono coraggiosi, egli cerca di privarli di tale onore. NICIANon te davvero, Lachete, non temere; dico, infatti, che tu sei sapiente ed anche Lamaco, (17) dato che siete coraggiosi, e così molti altri ateniesi. LACHETEPur avendo da parlare, non obietterò nulla, affinché tu non dica che davvero sono del demo di Essone. (18) SOCRATENon parlare, Lachete mi pare, infatti, che non ti sia accorto che egli ha appreso questa scienza da Damone, nostro amico, e che Damone sia molto amico di Prodico, (19) LACHETEAd un sofista si addice, Socrate, inventare con arguzia molte cose più che ad un uomo che la città ritiene sia degno di essere eletto come capo. SOCRATEAd uno che presiede a grandi attività conviene, beato amico, essere partecipe di grandissima intelligenza; e mi sembra che Nicia sia degno di essere preso in considerazione, per sapere in quale direzione guardando ponga questo nome, il coraggio. LACHETEEsaminalo tu, Socrate. SOCRATESto per farlo, ottimo amico; non credere che ti congederò dalla partecipazione al nostro discorso, ma presta attenzione ed esamina con noi ciò che è stato detto. LACHETESe lo credi necessario, sia così. SOCRATECerto che lo credo. Tu, invece, Nicia, dicci di nuovo dal principio: sai che all'inizio del discorso consideravamo il coraggio come parte della virtù? NICIACerto. SOCRATEEbbene, anche tu rispondi come se si trattasse di una parte, dato che ci sono anche altre parti, le quali si chiamano tutte quante virtù? NICIACome no? SOCRATEAffermi anche tu ciò che affermo io? Io chiamo virtù, oltre al coraggio, la temperanza, la giustizia e altre qualita del genere. Tu no? NICIASì, certo. SOCRATESu questo punto siamo d'accordo; consideriamo, invece, le cose temibili e non temibili, facendo attenzione che tu non le ritenga una cosa e noi un'altra. Ti diremo che cosa pensiamo noi; se tu non sei d'accordo ce lo spiegherai. Noi crediamo che sia temibile ciò che procura paura, non temibile, al contrario, ciò che non la procura - procurano paura non i mali presenti o passati, ma quelli futuri; la paura è, infatti, l'attesa di un male futuro - non sembra giusto anche a te, Lachete? LACHETECerto, Socrate. SOCRATETu Nicia, stai sentendo quello che diciamo, che sono temibili i mali futuri, non temibili quelli che non saranno mali o che saranno beni; parli così o in un altro modo di ciò? NICIACosì. SOCRATEE tu chiami coraggio la scienza di queste cose? NICIACertamente. SOCRATEEsaminiamo anche il terzo punto, per vedere se siamo d'accordo. NICIADi che cosa si tratta? SOCRATETe lo dirò. A me e a costui pare che in ciò in cui v'è scienza, non ci sia una scienza del passato, così da sapere come una cosa è avvenuta, una scienza del presente, così da sapere come avviene e un'altra su come potrebbe accadere nel modo migliore e su come accadrà ciò che non è ancora, ma una medesima scienza. Ad esempio, riguardo alla buona salute, in tutti i tempi, nessun'altra scienza, se non la medicina, la quale è una sola, osserva ciò che è accaduto, ciò che accade e ciò che accadrà, nel modo in cui accadrà; e quanto ai prodotti della terra, l'agricoltura ha lo stesso ruolo; quanto alle vicende militari, voi stessi potreste testimoniare che la strategia si occupa al meglio di tutto il resto e di ciò che accadrà, né crede di doversi servire della mantica, ma di doverla comandare, in quanto conosce meglio le vicende militari, quelle che accadono e che accadranno; e la legge comanda non che l'indovino dia ordini al comandante, ma il comandante all'indovino. Diremo ciò, Lachete? LACHETELo diremo. SOCRATEE poi? Tu, Nicia, confermi con noi che la medesima scienza riguarda le cose future, presenti e passate? NICIACerto, Socrate, a me pare così. SOCRATEEbbene, ottimo amico, il coraggio è scienza delle cose temibili e non temibili, come dici tu; non è così? NICIACerto. SOCRATESiamo d'accordo sul fatto che le cose temibili e quelle non temibili siano le une i beni futuri, le altre i mali futuri. NICIAÈ vero. SOCRATELa medesima scienza riguarda le stesse cose, quelle future e quelle che possono accadere in ogni tempo. NICIAÈ così. SOCRATEIn verità il coraggio non è soltanto scienza di quelle temibili e non temibili: non è soltanto conoscenza dei beni e dei mali futuri, ma di quelli presenti, passati e di ogni tempo, come le altre scienze. NICIAPare logico. SOCRATEDel coraggio ci hai detto pressappoco la terza parte, eppure noi domandiamo che cos'è il coraggio nella sua totalità. Ed ora, come mi pare, secondo il tuo discorso, il coraggio non è soltanto scienza delle cose temibili e non temibili, ma quasi potrebbe essere scienza di tutti i beni e mali di ogni tempo, come ha mostrato ora il tuo discorso. Dici di cambiare idea, oppure che cosa, Nicia? NICIACredo di sì, Socrate. SOCRATETi sembra, divino, che un tale uomo potrebbe mancare della virtù, se conoscesse di tutti i beni di ogni tempo come avvengono, avverranno e sono avvenuti, e dei mali ugualmente? E credi che un tale uomo potrebbe essere bisognoso di temperanza o giustizia o santità, essendo il solo cui si addice guardarsi attentamente dalle cose temibili e non temibili riguardo a dèi ed uomini e che sa procurarsi i beni e comportarsi rettamente? NICIAMi sembra che tu dica bene, Socrate. SOCRATECiò che hai detto, Nicia, non potrebbe essere una parte della virtù, ma virtù tutta intera. NICIAÈ evidente. SOCRATETuttavia dicevamo che il coraggio è una delle parti della virtù. NICIALo dicevamo. SOCRATEMa da ciò che si è detto ora, non pare vero. NICIANon pare. SOCRATENon abbiamo ancora trovato, però, Nicia, che cos'è il coraggio. NICIASembra di no. LACHETEIn verità, caro Nicia, io credevo che l'avresti trovato, dato che mi disprezzavi quando rispondevo a Socrate; nutrivo davvero grande speranza che l'avresti trovato grazie alla sapienza di Damone. NICIAÈ bene, Lachete, che tu creda che non ha importanza se prima hai dato l'impressione di non sapere nulla del coraggio ed è bene, invece, che consideri se anch'io darò la stessa impressione; inoltre, come pare, sia a te sia a me non importa di non sapere nulla di ciò che ad un uomo che creda di essere qualcosa convenga conoscere. Mi sembra che tu ti occupi di una questione puramente umana e non guardi in te stesso ma negli altri; io, invece, credo di aver parlato in modo appropriato degli argomenti di cui ora discorrevamo, e se qualcosa non è stato esposto esaurientemente, sarà corretto dopo anche grazie a Damone - che tu credi di deridere, senza averlo neppure visto - e ad altri; e quando ti avrò confermato queste teorie, te le spiegherò e non te ne priverò; mi pare che tu debba imparare molto. LACHETESei davvero sapiente, Nicia. Tuttavia consiglio a Lisimaco e Melesia di lasciar andare via me e te dal dibattito sulla educazione dei figli, ma non Socrate, come dicevo fin dal principio; se anch'io avessi dei figli della medesima età, mi comporterei allo stesso modo. NICIAAnch'io sono d'accordo; se Socrate vuole occuparsi dei ragazzi, non si deve cercare nessun altro. Sì, perché anch'io con molto piacere gli affiderei Nicerato, se volesse, ma tutte le volte che glielo ricordo, mi presenta altri, perché lui non vuole. LISIMACOÈ giusto, Nicia, dato che anch'io per lui vorrei fare molte cose che non per molti altri vorrei fare. Cosa dici, Socrate? SOCRATESarebbe davvero terribile, Lisimaco, non voler prendersi cura di uno, affinché diventi quanto migliore possibile. Se, dunque, nei discorsi fatti poco fa, io ho dato l'impressione di sapere, mentre voi due non sapevate, sarebbe giusto spingermi particolarmente a questo compito, ma ora, nonostante ciò, ci troviamo in difficoltà; per quale motivo dovrebbe essere scelto uno di noi? LISIMACOMi piace, Socrate, ciò che dici; desidero proprio imparare insieme ai ragazzi, con tanto più ardore quanto più sono vecchio. SOCRATEFarò così, Lisimaco, e verrò da te domani, se dio vuole.NOTE 1) Lisimaco era figlio di Aristide, il quale ricoprì importanti ruoli politici e militari durante la guerra Contro i Persiani. Al contrario del padre, non si segnalò per attività politica o militare.
Eugenio Caruso - 12-07-2019 |
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