La ragione è condannata a porsi degli interrogativi ai quali sa di non poter rispondere.
Immanuel Kant
Il nesso tra
cambiamenti
climatici
e salute è
consolidato e
le prospettive,
anche per
l’Italia,
non sono
incoraggianti. Più volte abbiamo insistito perché si
smetta di considerare le drammatiche conseguenze
dell’instabilità climatica come un’emergenza, visto che accompagneranno
per le prossime decadi tutte le dinamiche sociali, economiche e produttive mondiali.
Ci siamo anche spinti a osservare come in tanta attenzione dedicata dalla Ue ai problemi dell’educazione non emergesse un progetto tipo Horizon 2020, che fosse dedicato proprio alla ricerca per una generale educazione “antiemergenziale”, non solo
scolastica ma di tutti i cittadini. E vediamo che i santuari dell’educazione formale e
non formale osservano con sospetto ogni proposta nella quale i contenuti, assai forti
in questo caso, rischiano di separarsi e avere la meglio sulle questioni di metodo, di
rapporto interpersonale, sulle più corrette forme di approccio educativo. Nel mondo
della ricerca sull’educazione alla sostenibilità si guarda, per esempio, all’attuazione
degli obiettivil dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite come a un cambiamento profondo, a
un’impegnativa rivoluzione – cosa senz’altro vera – e agli educatori ambientali come a
“agenti del cambiamento”.
Peccato che in nome di una ricerca orientata al “problem solving”, forse nello slancio di essere tra coloro che quel cambiamento lo suscitano e partecipano
alla sua realizzazione, viene dimenticato qual è lo “stato iniziale”, o, se si vuole, “lo stato presente delle cose”.
La consapevolezza della duplice crisi, ambientale ed economica, che minaccia sempre più le condizioni globali di vita per tutti, non sembra che sia predicata come un
articolo indispensabile per lo zaino dell’educatore alla sostenibilità, tanto che talvolta
ci siamo divertiti a immaginare, un po’ malignamente, questi colleghi che continuano
a confrontarsi con passione sul come si educa meglio, appollaiati su improvvisate
zattere galleggianti rese necessarie dalle conseguenze del global warming.
Obbligati quindi a tentare, noi, di fornire un qualche contributo che affronti
quel che ci aspetta individuando, se possibile, delle direttrici se non operative almeno
robustamente indicative. E scegliamo un tema non nostro ma di primaria importanza, quello del rapporto tra cambiamenti climatici e salute. Non siamo certo i primi.
Già sul portale di QualEnergia, il tema è stato affrontato in occasione del Rapporto
presentato dalla Fondazione Cmcc il 6 marzo scorso. A dir il vero, la nostra sensazione
è che nel Rapporto prevalesse l’interesse ai modelli climatologici sulle conseguenze
sanitarie. Del resto «perché Menico amava giocare alle parpagliole? », domandava
Alessandro Manzoni al lettore e per toglierlo subito dall’imbarazzo, si rispondeva che
Menico era bravo in quel gioco.
Guardando le cose invece più dalla parte dei medici, ci soccorre “The Lancet”,
uno dei periodici sulla salute più prestigioso e diffuso, che già nel 2015 aveva istituito
la “Lancet Commission on Health and Climate Change”.
La Commissione concludeva
i suoi lavori denunciando che il cambiamento antropogenico del clima minacciava
di minare i passati 50 anni di progressi nella salute pubblica, ma rilevando, per converso, che una risposta complessiva al cambiamento climatico potrebbe essere “la
più grande opportunità del XXI secolo per la salute mondiale”. E lanciava il “Lancet
Countdown”, una collaborazione indipendente e largamente interdisciplinare – climatologi, ecologisti, economisti, ingegneri, geografi, matematici, sociologi, esperti in
energia, agricoltura, sistemi di trasporto, oltre che professionisti in campo sanitario e
medici – tra 24 istituzioni accademiche e intergovernative con basi su tutti i continenti, che ha individuato 40 indicatori, in riferimento ai quali ha proposto dei “messaggi
chiave” nel suo rapporto “The Lancet Countdown on health and climate change” del 30
ottobre 2017.
Ne riportiamo alcuni.
«I sintomi umani del cambiamento climatico sono inequivoci e potenzialmente
irreversibili, e colpiscono la salute delle popolazioni di tutto il mondo, maggiormente
le popolazioni più vulnerabili e le persone dei Paesi a basso e a medio reddito (Lmics).
Poiché mina i determinanti sociali e economici che sostengono una buona salute, il cambiamento climatico esacerba le disuguaglianze sociali, economiche e demografiche con
conseguenze che alla fine sono risentite da tutta la popolazione». Nel rapporto vengono
rilevati, su scala Mondo: l’aumento degli adulti che hanno sfferto per intense ondate
di calore, 125 milioni in più tra il 2000 e il 2016; la riduzione del 5% della produttività
del lavoro manuale all’aperto; perdite economiche per eventi climalteranti ammontanti
nel 2016 a 129 miliardi di dollari, e quelle riguardanti i Paesi poveri non erano coperte
da assicurazioni per il 99%.
Il sostanziale disaccoppiamento registrato tra l’incremento
della frequenza dei disastri climatologici, più 46% dal 2000 al 2016, e la mortalità collegata suggerisce, secondo il rapporto, l’inizio di una risposta adattativa al cambiamento
climatico; ma poiché sono previsti suoi peggioramenti «gli attuali livelli di adattamento
diverranno insufficienti nel futuro».
«Il ritardo nella risposta al cambiamento climatico negli ultimi 25 anni ha messo
a repentaglio la vita umana e i mezzi di sostentamento», ammonisce il Rapporto, sottolineando che da quando “UN Framework Convention on Climate Change” (UNfccc) ha
cominciato a “tallonare” gli effetti del cambiamento climatico, nel 1992, la maggior parte
dei 40 indicatori individuati dal “Lancet Countdown” o hanno registrato limitati progressi, in particolare riguardo all’adattamento, o si sono evoluti in direzione opposta, come
le emissioni carboniose e le temperature globali che sono continuate a crescere.
E la
crescita della trasmissione della febbre dengue, correlata all’alterazione delle condizioni
climatiche, deve far riflettere che se i Governi e l’intera comunità sanitaria mondiale non
hanno imparato dalle esperienze del passato, Hiv/Aids, o da quelle più recenti, i virus
Ebola e Zika: «un’altra risposta lenta produrrà un irreversibile e inaccettabile costo per
la salute umana».
Una valutazione solo in parte mitigata dal riscontro, che il rapporto riassume, tra
le Recommendation avanzate nel 2015 dalla “Lancet Commission” e i progressi conseguiti in quelle direzioni:
1) ricerca scientifica, dal 2007 le pubblicazioni su salute e cambiamenti climatici sono triplicate;
2) spesa per la salute nell’adattamento, anche se in assoluto
rimane inadeguata, ha raggiunto nel 2017 il suo record pari 16,5 miliardi di dollari;
3) eliminazione graduale della potenza alimentata a
carbone, la capacità annuale complessiva delle rinnovabili, circa 2.000 GW, supera quella
del carbone, con l’ 80% della nuova capacità aggiuntiva realizzata in Cina. Molti Paesi si
stanno disimpegnando dal carbone;
4) low-carbon nelle città per ridurre l’inquinamento
urbano, è previsto entro il 2018, anziché il 2030, il raggiungimento di una nuova soglia: la
parità di costo tra veicoli elettrici e no;
5) espansione delle energie rinnovabili, sin dal 2015
si è aggiunta al mix globale più energia rinnovabile che da ogni altra fonte con 9,8 milioni
di occupati nel settore, cioè 1 milione in più che nel settore di estrazione dei combustibili
fossili. «La transizione è divenuta inevitabile», anche se 1.200 milioni di persone non
ha ancora accesso all’energia elettrica e 2.700 milioni si affidano alla combustione dei
fossili solidi, dannosi per la salute e insostenibili;
6) realizzare un trattato internazionale
per la transizione a un’economia low-carbon, nel dicembre 2015 1’Accordo di Parigi tra 185
Paesi ha sancito l’impegno a contenere l’aumento della temperatura media globale ben
al di sotto dei 2 °C. Un programma di lavoro dedicato alla salute all’interno dell’UNfccc
fornirà un punto d’ingresso per i professionisti sanitari a livello nazionale, assicurando
che la realizzazione dell’Accordo di Parigi massimizzi le opportunità per la salute delle
popolazioni in tutto il mondo;
7) sviluppare i compiti, quelli che poi si è assunto il “Lancet
Countdown”, il quale, come da raccomandazione, continuerà fino al 2030 anche la sua
attività di monitoraggio dei progressi ottenuti.
Non poteva certo rimanere esterna alla questione il World Health Organization -
Who, che, a onor del vero, il rapporto tra cambiamenti climatici e salute ha cominciato
a seguirlo da tempo; a nostra memoria, da un rapporto, ancora cauto, prodotto dal suo
ufficio europeo nel 1998. L’attivismo di “The Lancet” deve essere risuonato come una
salutare frustata; e in collaborazione con l’UNfccc la Who ha lanciato un
mega progetto, sempre a ridosso di Cop 22, che si spiega direttamente col titolo: “Climate
and Health Country Profile”: i profili “Climate and Health” di tutti i Paesi aderenti alle
Nazioni Unite.
A marzo 2018 sono uscite le 16 pagine del profilo che riguarda l’Italia, dotato di
una ricca bibliografia, dove non mancano autori italiani e corredato dei piani dell’Amministrazione italiana e di indicazioni attuative. Dal profilo apprendiamo che il nostro Paese ha la più elevata mortalità giornaliera – insufficienze respiratorie e/o cardio-vascolari
– al mondo per colpi di calore, sia in rapporto ai massimi di temperatura sia per il complesso delle temperature estive. I più esposti sono anziani, persone sole, soggetti affetti
da malattie croniche (diabete, bronchite, enfsema, malattie neurologiche o mentali).
Le modifiche alla diversità biologica con la maggior diffusione di specie aliene
allergeniche aumenterà l’impatto delle allergopatie.
La diffusione del virus “West Nile” – portato da diverse specie di zanzara, privo
di un vaccino e responsabile di encefalite o meningite seppure in meno dell’1% delle
persone colpite – si accentuerà e, in questa previsione, è già operativa nell’Italia del Nord
una doppia rete di sorveglianza entomologica, costituita da siti locali e interregionali.
Di
grande importanza, sia per la rilevazione precoce degli agenti patogeni, prima della loro
azione su animali e uomini, sia per censire le diverse specie di portatori e individuare gli
insetticidi più efficaci.
La scarsità d’acqua è stata già all’ordine del giorno nell’estate del 2017, con sei
Regioni che hanno chiesto lo stato d’emergenza; la diminuzione delle precipitazioni,
l’innalzarsi delle temperature, la perdita di massa dei ghiacciai alpini, raddoppiata negli
ultimi 35 anni, accrescerà il rischio di malattie dovute alla crescente scarsità di acqua
potabile e per usi sanitari.
L’aumento di eventi meteo estremi, soprattutto le inondazioni interne, comporterà una più estesa contaminazione del suolo agricolo e pastorale ad esse associabile, in
particolare da Pcb e diossine, tramite il dilavamento di terreni contaminati – siti industriali, discariche, impianti di ritrattamento – come pure dalla rimozione di sedimenti
dei fiumi. Se si guarda alle micotossine, prodotte da muffe che colpiscono le colture, il
panorama che pone già ai vertici del rischio l’Italia meridionale, insieme ad altre regioni
mediterranee, peggiora drasticamente nello scenario +2 °C.
L’Italia ha anche il record negativo in Europa di morti premature dovute all’inquinamento atmosferico: 91.050 su 550.000 nel 2013. Di queste 66.320, 21.040 e 3380 sono
stimate nel rapporto come esser dovute, rispettivamente, a PM2,5 - NO2 - ozono. Tutte le
più grandi città italiane o sfiorano o superano abbondantemente il limite dei 10 µg/m3
che il Who ha fissato per il PM2 ,5 ; ci sono anche altre aree di crisi, da tempo note: i porti a
causa delle emissioni delle navi, la Val Padana per le intense attività agricole, industriali
e la combustione di biomasse e le aree del Sud più soggette all’intrusione delle polveri
del Sahara e agli incendi boschivi.
Certo, per l’inquinamento atmosferico il rapporto non avanza previsioni sull’aumento dei casi e delle patologie in conseguenza dei cambiamenti climatici, però il buon
senso della teoria della Stabilità suggerisce che quando si sovrappone una perturbazione
caotica a un qualunque quadro esso ne uscirà senz’altro “scosso”. E nel nostro caso il
quadro di partenza è già “scosso” di suo.
Non poteva mancare, poi, l’Accademia delle Scienze USA, che a maggio scorso ha
licenziato tramite la National Academic Press: “Protecting the Health and the Well-Being
of Communities in a Changing Climate”, un workshop al quale hanno partecipato, nella
forma di tavole rotonde, moltissimi medici, esperti e anche ricercatori del settore
“Environment and Health”. Con questo Rapporto, l’Accademia ha anticipato il lavoro di
Who-UNfccc perché ha prodotto uno dei profili che le due agenzie delle Nazioni Unite si
non impegnati a realizzare. Le 155 pagine del Rapporto disegnano un quadro accurato,
con attenzione alle diverse aree geoclimatiche degli Stati Uniti, che presentano tra loro
le differenze tipiche di un continente, e in particolare a alcune aree metropolitane.
Da buoni provinciali rimandiamo a chi fosse interessato alla lettura del workshop,
però prendiamo volentieri a prestito alcune delle frasi pronunciate da George Benjamin,
direttore esecutivo dell’Associazione Americana per la Salute Pubblica (Apha): «Il cambiamento climatico è il problema più urgente che abbiamo per la salute pubblica»; e la prima
ragione per cui il settore sanitario dovrebbe impegnarsi risiede nella natura globale della
minaccia: “From a global perspective, it’s huge”, che incombe su tutti gli aspetti della nostra vita. Certo, è anche un’eccellente opportunità per risolvere un problema partendo
dal punto di vista della salute pubblica, ma a questa considerazione Benjamin aveva già
anteposto una citazione di Martin Luther King sulla “feroce” urgenza dell’adesso: «Procrastination is still the thief of time […] We must move past indecision to action».
Ci sembra così di aver anche individuato elementi che dovranno trovare posto
nello “zaino” dell’educatore che si voglia dedicare alla “materia” Cambiamenti climatici
e Salute. Non un apprendimento enorme ma partendo, se si vuol essere utili, da dati
essenziali e precisi.
Gianni Mattioli- https//www.researchgate.net - 21-07-2019