Impresa moderna

La semplicità è alla base della bellezza.

Balla



LOGO

Negli ultimi anni il sistema produttivo mondiale sta affrontando i marosi di un vero e proprio rivolgimento che va sotto il nome di new-economy.
Assistiamo, come afferma Luttwak, a un'accelerazione degli avvenimenti, mai vista prima, tutto è fluido, i cambiamenti avvengono in modo così repentino da imporre l'assioma che le imprese, per sopravvivere, altroché essere veloci e flessibili, devono interpretare il cambiamento (Drucker, 2000) come un fatto fisiologico, incorporato nel proprio dna (1).

Il mercato non risponde più ai principi cartesiani di causa-effetto, ma pone in essere comportamenti, spesso imprevedibili, sempre più creativi e slegati da modelli, a volte, paradossali. L'esercizio della previsione è sempre più complesso, poiché cerca ordine e continuità in sistemi che diventano sempre più caotici e non lineari.

Un fatto è certo: tutto il sistema produttivo sta subendo trasformazioni che impongono all'economia nuovi paradigmi. Chi insiste nel decantare la old-economy, intendendo quelle imprese gestite sulla base dei paradigmi degli anni novanta non ha compreso che quell'economia, quel modo di gestire, valido fino a ieri, non esiste più e che, ancora una volta, le leggi del mercato hanno avuto il sopravvento.

Per capire cosa realmente sia questo mondo della nuova economia, forse, più che porre l'attenzione sui grandi gruppi, giova osservare come le piccole e medie imprese più avanzate siano protagoniste di una rivoluzione che vede, sia l'introduzione dell'information technology nella progettazione, nei processi produttivi, nella gestione, sia una marcata attenzione all'innovazione tecnologica.

L'innovazione tecnologica e gestionale, l'information and communication technology e la creatività hanno dato ai nostri imprenditori quel plus che consente ad una miriade di piccole, medie e grandi (poche) imprese di battere la concorrenza.
Un altro elemento che mostra quanto questa nuova economia sia lontana da quella di qualche anno fa è l'analisi del mondo del lavoro nel quale è cresciuta enormemente la dimensione individuale. In Italia vi sono cinque milioni di piccole imprese, circa cinque milioni e mezzo di lavoratori indipendenti, quasi quattro milioni di professionisti, contro meno di dieci milioni di lavoratori dipendenti dalle grandi organizzazioni.

Il rapporto individuale con il lavoro ha portato alla valorizzazione delle doti personali, dello spirito d'impresa e della sfida, dell'orgoglio della propria utilità sociale, della responsabilizzazione, elementi che hanno, coerentemente, creato anche una maggiore soggettività nella vita extra-lavorativa degli individui; non è stato rivoluzionato solo il mondo del lavoro, ma anche il contesto sociale con il quale il lavoratore interagisce.

La rivoluzione succitata è caratterizzata da una serie di elementi distintivi, che non possono non rientrare in un concetto di nuova economia. Ieri l'azienda era focalizzata su aspetti tangibili o misurabili (strutture, impianti, materie prime, lavoro, capitale, bilanci), oggi sono gli aspetti intangibili che dettano le regole della competitività (leadership, immagine, informazione, conoscenza, vision, sfida). I manager devono fronteggiare situazioni contraddittorie e dilemmi (semplice-complesso, stabile-instabile, centralizzato-decentrato, competizione-cooperazione, ordine-disordine, velocità decisionale-condivisione, comando-leadership), ma, spesso, sono impreparati a fondere gli opposti, ad affrontare il paradosso, a misurare l'immisurabile e per loro si preannunciano difficoltà e crisi da demansionamento (2).
Ciò non significa che le imprese non vogliano cambiare, esse, infatti, hanno sperimentato vari modelli organizzativi, come l'activity based management (gestione basata sul management by processes), il total quality management (gestine incentrata sulla qualità totale), con le sue varie modalità operative, il business process reengineering (la riprogettazione radicale dei processi, allo scopo di ottenere drastici miglioramenti di prestazioni, costi, qualità, servizio, velocità), l'outsourcing (esternalizzazione di parte delle attività esterne al core business), il downsizing (da grande farsi piccola), la lean organization (struttura organizzativa caratterizzata da 4 criteri fondamentali: la riduzione dei livelli gerarchici, la semplificazione delle procedure, la riduzione del frazionamento orizzontale, l’ampliamento dei ruoli), il pdca (elaborato dal prof. Deming, il ciclo pdca è uno strumento per il miglioramento dei processi e delle performance aziendali. Il pdca si realizza attraverso un circolo virtuoso costituito da 4 fasi: plan, do, check, act).
Si potrebbe affermare che le aziende, specie la grandi, sono state investite da ondate di proposte d'innovazione delle loro strutture organizzative; spesso i risultati sono stati modesti e si sono tradotti, sostanzialmente, in drastici tagli nel costo del personale, nell'applicazione del buon senso e nel superamento delle logiche burocratiche e gerarchico-funzionali.
 
Ma ora, la nuova economia richiede alle imprese, sia un salto rispetto alla tradizione deterministica, sia l'abbandono di regole e paradigmi che sono ancora alla base della vecchia cultura.

Paradossalmente, alla complessità, alla fluidità e alla non linearità della nuova economia non è possibile rispondere con modelli complessi, con ristrutturazioni onerose e con una continua perdita di risorse, ma, viceversa, con una semplificazione dei modelli di gestione e con la focalizzazione su alcuni principi guida.
E' essenziale rammentare che la piccola e media impresa, nerbo e cerniera del sistema produttivo non ha, quasi mai, seguito le mode delle riorganizzazioni, eppure i risultati parlano di un loro discreto, ma continuo successo. Allora, forse, anche la grande impresa deve entrare nell'ottica della Pmi e adottare i semplici principi guida illustrati in questo articolo.
   
Giova sottolineare che alla complessità non si può rispondere con i grandi piani strategici, con le continue ristrutturazioni, ma seguendo i principi di gestione della piccola e media impresa:

  • scegliere le priorità,
  • concentrarsi su di esse, delegando il resto,
  • decidere le modalità operative,
  • mobilitare le persone che servono,
  • cercare i risultati nel breve.

 
Questa nuova economia, caratterizzata dalla transizione da modelli fondati su dati e informazioni a modelli basati sulla conoscenza ha imposto, conseguentemente, una revisione di alcuni processi organizzativi, primo tra tutti, la comunicazione, condizione irrinunciabile per tradurre in pratica le strategie di business.
Il processo di comunicazione deve articolarsi in due fasi: il concepimento del dettato strategico (vision, mission, sistema dei valori, definizione del business) e la condivisione di tale dettato tra tutti gli stakeholders, in modo che, in un circolo virtuoso, si ottenga la convergenza tra il progetto d'impresa e il progetto di vita dei singoli individui.

Un altro carattere distintivo della nuova economia è il cambiamento, non le piccole modifiche incrementali alle quali eravamo abituati, ma veri e propri salti di qualità; per gestire questi salti occorre la leadership, che alcuni ancora confondono con il management (3). Più marcato è il cambiamento, più forte è la domanda di leadership della quale questa nuova economia è in forte debito per uno sviluppo più organico ed efficiente.
Purtroppo, in generale, le imprese invece di aiutare i dipendenti a sviluppare il loro talento, a prendere iniziative, a responsabilizzarsi, a imparare da errori e successi, spesso, ignorano il potenziale dei collaboratori cosicché il deficit di leadership resta una carenza grave del nuovo sistema economico e l'ostacolo maggiore per l'evoluzione delle imprese. Le aziende che hanno metabolizzato, più delle altre, la dote della pro-attività hanno compreso che per acquisire la capacità di valorizzare il potenziale delle risorse umane, per ridurre il deficit di leadership, per gestire il cambiamento come opportunità e non come accidente, è necessario imboccare la strada dell'eccellenza.

Peraltro si può affermare che il modello di impresa eccellente lo si incontra, quotidianamente, quando si analizzano imprese, specie piccole e medie, che hanno acquisito una posizione di leadership nel loro segmento di mercato.
Ciò significa che l'eccellenza è la condizione per acquisire una leadership di mercato, ma acquisire una leadership sta diventando una condizione di sopravvivenza, cosicché, in un circolo virtuoso l'eccellenza produce la leadership, che, a sua volta, è alla base della "vitalità" dell'impresa.

Tra le varie tappe del processo evolutivo dell'impresa, non vanno trascurati, infine,  l'ampliarsi dei confini e l'abbattimento di barriere.

  • Negli anni '50 l'impresa operava fondamentalmente con produzioni nazionali sul mercato nazionale.
  • Gli anni '60 sono stati caratterizzati da produzioni nazionali e mercati internazionali.
  • Gli anni '70 hanno visto l'imporsi delle multinazionali che operavano, prevalentemente, con produzioni nazionali per i mercati nazionali.
  • Gli anni '80 e '90 sono stati caratterizzati da produzioni internazionali per mercati internazionali.
  • Il 2000, con l'abbattimento delle barriere temporali e spaziali realizzato nella società dell'information technology, impone al mercato l'instaurarsi di nuovi paradigmi e cioè diventare più globali e nello stesso tempo più locali, applicando cioè la "glocalizzazione".

Va sottolineato, inoltre, che nei tempi passati i cambiamenti erano lenti; il futuro si collegava al passato e gli spostamenti dei paradigmi economici erano impercettibili. Con il passare del tempo i "cicli economici" si sono contratti e il passaggio da un ciclo all'altro è avvenuto sempre più rapidamente. L'agricoltura (1) ha avuto la durata di millenni, l'industria di secoli (2) l'economia dei servizi del mezzo secolo (3), l'economia dell'informazione dei venti anni (4), l'economia della conoscenza (5) è l'oggi. L'allocazione del capitale a uso produttivo e il lavoro, che sono stati gli assi portanti delle teorie economiche dei secoli XIX e XX, siano esse la teoria classica, quella marxista, quella keynesiana o quella neo-classica, non sono più le principali attività creatrici di ricchezza. La ricchezza viene prodotta con gli asset immateriali.

1. Come nasce la Pmi

La piccola e media impresa, generalmente, nasce come impresa satellite della grande impresa, ha due obiettivi inderogabili: rispettare in modo rigoroso le specifiche della industria committente e mantenere bassi i costi di produzione. Gli obiettivi sono realizzati con l'assunzione di personale di basso livello, con condizioni di lavoro che, spesso, non tengono conto della salute e della sicurezza del lavoratore, con un sindacato latitante. Gli operai della grande industria, garantiti dal sindacato, inconsapevolmente, scaricano i costi delle proprie "conquiste" sugli operai dell'indotto. L'imprenditore è spesso un ex-operaio che ha iniziato a lavorare a cottimo in un box o in una cantina.

Questa condizione imprenditoriale inizia ad essere messa in discussione, dai primi anni ottanta, da una serie di condizioni.

  • La grande impresa pretende che i fornitori si adeguino ai propri standard operativi, innanzitutto attraverso le certificazioni ISO.
  • L'impresa committente si rende conto che è più economico far crescere culturalmente i propri fornitori. In tal modo diventa possibile commissionare non la realizzazione di un componente su specifiche tecniche studiate al proprio interno, ma la progettazione e la realizzazione di una "funzione". Non si cerca più un semplice sub-fornitore ma si cerca di costruire una partnership.
  • La Pmi si accorge che la conoscenza ripaga molto di più della semplice esecuzione.
  • Tutte le aziende sono costrette ad adeguarsi alle direttive dell'Ue, che gradatamente, diventano leggi nazionali.

Nel loro insieme, quindi, la grande come la piccola e media impresa tendono a ispirarsi a sistemi organizzativi sempre meno rigidi, più organici, più vitali e in continua evoluzione.
Le imprese, che fondavano i rapporti aziendali sull'autorità e l'operatività sull'affidamento di compiti operativi ben precisi, non favorivano la piena valorizzazione delle risorse umane. Infatti la focalizzazione sul compito di ciascun lavoratore o di ciascun fornitore inibiva la presa di coscienza di essere attori di un sistema alla cui crescita ciascuno poteva dare un contributo e riduceva il senso di appartenenza.
Peraltro l'adozione della gestione per processi fa sì che tutti gli stakeholder si muovano in modo coerente verso un obiettivo comune, l'organizzazione viene vista come un insieme di risorse che agiscono e interagiscono al fine di creare valore.
Sembra giusto ricordare che questa trasformazione nel rapporto tra grande industria e fornitore viene applicata, per la prima volta, estensivamente, dalla Toyota che, per realizzare il modello organizzativo del just in time (4), ha bisogno di trasformare in partner imprenditoriali super specializzati la galassia dei subfornitori che circondano la sua fabbrica automobilistica.

Questa nuova condizione della piccola e media impresa, in Italia, innesca un meccanismo virtuoso; mette in gioco la creatività dei nostri imprenditori che, operando nel segmento o nella nicchia di mercato, attribuitagli, inizialmente, dalla grande impresa fornitrice,  ne diventano i protagonisti. La possibilità di operare in un ambito nel quale sono diventati specialisti innesca una reazione a catena positiva che li porta a superare, in quell'ambito, lo stesso committente e a proporsi sul mercato mondiale.

D'altra parte, come si è già detto, alla fine degli anni '90, gli scenari economici e sociali sono caratterizzati da un elevato grado di complessità derivante dai cambiamenti in atto, che il sistema imprenditoriale, spesso, non è in grado di metabolizzare con la velocità con la quale i cambiamenti si verificano.
Il sistema delle imprese deve affrontare, pertanto, uno scenario articolato, come quello indicato nel riquadro, che le costringe ad una continua reinvenzione della propria mission e quindi della propria operatività.

 

Complessità economica

  • Multi-polarismo
  • Ridondanza dell'offerta rispetto alla domanda
  • Aumento del costo delle materie prime.
  • Aumento del costo dei trasporti
  • Bassa crescita economica
  • Avvio della produzione di massa nei Nic*
  • Globalizzazione
  • Introduzione del commercio elettronico
  • Sviluppi di settori con traiettorie imprevedibili
  • Brevità del ciclo di vita dei prodotti

* Nic - Newly industrialized country

Complessità tecnologica

  • Intersettorialità delle tecnologie
  • Velocità di inserimento di nuove tecnologie
  • Formazione di grappoli di tecnologie

Complessità psico-sociali

  • Nascita del prosumer
  • Elevata segmentazione del mercato
  • Volatilità dei bisogni
  • Incidenza dei media

L'impresa, specie la piccola e media, deve adattarsi alle mutate condizioni dell'ambiente esterno e orientarsi, più o meno consapevolmente, verso modelli che consentano di affrontare, più efficacemente, le complessità succitate dello scenario economico.
Queste premesse ci conducono a definire un "modello di impresa moderna" che si adatti particolarmente alla Pmi; in letteratura, questo modello viene chiamato in modi diversi.

  • Impresa virtuale.
  • Impresa aperta.
  • Sistema olonico.
  • Hollow enterprise (5).
  • Impresa a rete.
  • Impresa snella.

Modi diversi per definire, sostanzialmente, un'impresa caratterizzata da un'organizzazione reticolare di soggetti (gli stakeholders) che hanno l'obiettivo comune della creazione del valore.
L'impresa, che ha raggiunto l'eccellenza nel proprio settore, ha bisogno di stabilire vincoli stabili con una serie di interlocutori che siano in grado di condividere la finalità dell'eccellenza al fine di sollevare barriere all'ingresso di potenziali concorrenti, grazie al vantaggio competitivo della leadership.


LOGO

2 Gli stakeholders

Uno dei compiti fondamentali dell'impresa moderna è, quindi, l'individuazione dei soggetti che costituiscano l'organizzazione reticolare vista precedentemente.
Gli stakeholders sono tutti coloro, che, in modo più o meno rilevante, o in modo attivo o passivo, possono influenzare o contribuire alla crescita del valore dell'impresa. Diversi autori dànno definizioni diverse degli stakeholders, alcuni vi inglobano gli azionisti, altri non vi inseriscono i dipendenti, in questo testo ci atterremo alla definizione più comune e che a me sembra più razionale. Gli stakeholders possono essere quindi:

  • gli imprenditori delle Pmi,
  • i dipendenti,
  • i clienti,
  • i fornitori,
  • i sindacati,
  • i collaboratori esterni,
  • le società collegate,
  • le banche,
  • le autorità pubbliche locali,
  • i partner di progetti comuni,
  • le associazioni di categoria,
  • le associazioni camerali.

La scelta degli stakeholder è un compito che può influenzare la vitalità di un'impresa, è quindi di pertinenza dell'imprenditore o del leader.

2.1 Gestione delle carriere: una nuova sfida per le aziende 

Tra gli stakeholder una posizione di rilievo hanno, ovviamente, i dipendenti per i quali giova fare alcune considerazioni.
I continui processi di cambiamento che coinvolgono le imprese impongono, infatti, a queste ultime di riformulare la gestione dei percorsi di carriera. La necessità principale è quella di individuare percorsi di carriera che valorizzino, premino e favoriscano lo sviluppo continuo di nuove competenze da parte delle risorse umane aziendali. L'obiettivo non è facile, poiché individui diversi hanno bisogni di competenze differenziate e, di conseguenza, esprimono aspettative diverse riguardo alle carriere.
Le imprese, da parte loro, dovrebbero, quindi, adottare un approccio pluralistico alla gestione delle carriere, che comprenda modalità diverse e personalizzate, in modo da venire incontro alle specifiche esigenze dei dipendenti ed essere in grado di favorire e premiare lo sviluppo di un insieme più vario di competenze al proprio interno. Ciò è possibile solo se si sposa una nuova accezione del concetto di carriera: "crescere in azienda" non vuol più dire solo fare carriera scalando la gerarchia aziendale, ma anche avere la possibilità di essere assegnati a incarichi nuovi e più sfidanti, che favoriscano l'acquisizione di nuove competenze utili per il futuro.


LOGO

3. Gli strumenti dell'impresa moderna

Come per la definizione dell'impresa moderna anche sugli strumenti di gestione esistono varie teorie e modelli, ognuno valido secondo l'angolazione dalla quale viene focalizzata l'impresa.
Fermo restando il principio che lo "strumento" base per il successo di un'impresa è il suo know-how, anche in questo caso, farò riferimento ai "comportamenti" di centinaia di aziende a me note e porrò l'attenzione su sette strumenti di gestione riscontrati nella maggior parte delle imprese più vitali.

3.1 La pianificazione strategica

Giova ricordare che negli anni sessanta-settanta la pianificazione strategica era considerata lo strumento base di un'azienda, specie le grandi, essendo utilizzata per formulare e realizzare le strategie aziendali nell'ottica di acquisire competitività in una fase di forte espansione economica. I sistemi di pianificazione erano visti come lo strumento, sia per produrre le migliori strategie, sia per elaborare le fasi operative necessarie per mettere in pratica le stesse.
Oggi, sebbene non morta, la pianificazione strategica non ha più l'importanza che le si dava una volta poiché ci si è resi conto che:

  • la pianificazione imbrigliava il pensiero strategico, portando a definire la vision aziendale dall'analisi dei numeri;
  • la pianificazione era più un elemento di elaborazione di strategie esistenti, che un mezzo per individuarne di nuove;
  • era stato commesso l'errore di credere che una metodologia potesse surrogare il pensiero imprenditoriale;
  • la pianificazione non era stata in grado, né di valorizzare i fattori operativi (qualità, tempo, cultura manageriale, lavoro di gruppo), né di promuovere i cambiamenti.

D'altra parte, si è detto, che la pianificazione non è morta, anzi può riconquistare un ruolo primario se viene programmata rispettando alcuni principi.

  • La generazione di idee strategiche va vista e vissuta come un atto creativo.
  • Le idee strategiche vanno rapidamente tradotte in obiettivi operativi.
  • La pianificazione deve essere orientata verso la vision aziendale.
  • La pianificazione deve essere condivisa dal sistema degli stakeholder.

Il requisito della pianificazione imprenditoriale dovrà consistere nella capacità di individuare gli obiettivi prioritari che possano garantire il successo dell’impresa, nel breve, nel medio e nel lungo periodo, pianificando le azioni e le modalità necessarie e sufficienti per perseguirli con efficacia.

Nell'ambito della pianificazione, le Pmi rivelano, spesso, limiti operativi; l'imprenditore, fortemente coinvolto nella operatività quotidiana, dedica poco tempo alla definizione della vision aziendale, alla percezione di opportunità o minacce incombenti oltre l'orizzonte e questo atteggiamento è, a volte, la causa del declino dell'impresa.

3.2 L'innovazione tecnologica

L'economista Robert Solow fu uno dei primi a considerare il cambiamento tecnologico come funzione primaria della produzione; nel 1957, teorizzava che lo sviluppo era determinato da tre fattori: il capitale, il lavoro, la tecnologia e che, dal 1909 al 1949, il progresso tecnologico poteva spiegare l'87% della crescita industriale.
Anche Schumpeter (Fiocca, 1994), ha trattato a lungo il rapporto tecnologia-economia; secondo l'economista «compito dell'imprenditore è quello di selezionare, tra i vari sistemi tecnologici offerti dalla rete scientifica, quelli più adatti alla sua impresa». L'imprenditore svolgerebbe il ruolo di mediatore tra tecnologia ed economia; questo tipo di comportamento è riconosciuto con il termine di filosofia del technology push.
Secondo Kenneth Arrow, il produttore continua a migliorare il proprio prodotto durante tutto il periodo della sua diffusione; l'attività di innovazione è interna alla produzione e non si ferma mai, anzi permette di lanciare generazioni successive di prodotto. Secondo l'economista americano il reiterarsi di nuovi oggetti genera un processo continuo di apprendimento.
Questo tipo di comportamento è conosciuto come il modello dell'innovazione incrementale. Seguendo Arrow, molti ricercatori hanno mostrato che la gran parte delle innovazioni in agricoltura, nell'industria e nel terziario sono il risultato dell'accumularsi di piccoli cambiamenti e che il periodo di tempo necessario per apprezzare in pieno gli effetti cumulativi di questi cambiamenti è lungo. Accanto alle innovazioni spettacolari ma poco numerose, vi sarebbe un numero enorme di piccole o addirittura marginali innovazioni che, prese collettivamente, producono un grande impatto in termini di produttività, qualità e competitività.
Un'altra corrente di pensiero afferma che è solo il mercato ad avere un'influenza determinante sull'innovazione tecnologica; afferma J.M. Utterback che dal 60 all'80%  delle più importanti innovazioni sono state sviluppate in risposta ai bisogni del mercato. La filosofia del "pilotaggio attraverso la domanda (o market pull)" si fa risalire all'opera di Jacob Schmookler, quando afferma che l'attività ideativa di un settore economico dipende solo dall'esistenza di una domanda.
   
D'altra parte, giova sottolineare che le tecnologie stanno rivoluzionando il modo di gestire le imprese (Gaillard, 1997 - Chierchia, 1998 - Caruso, 1999), per una serie di motivi.

  • I tempi di diffusione delle innovazioni sono brevissimi.
  • Le nuove tecnologie trovano applicazione in settori industriali diversi.
  • Settori merceologicamente diversi possono entrare in concorrenza grazie a nuove tecnologie.
  • Nuove tecnologie possono accorciare, improvvisamente, il ciclo di vita di un prodotto, rendendolo obsoleto.
  • L'innovazione è una delle principali fonti di vantaggio competitivo.
  • Internet sta introducendo nuovi paradigmi che costringeranno le aziende a rivedere molti dei propri schemi operativi.

3.3 La gestione d'impresa orientata al marketing

Giova ricordare che la funzione marketing, nel corso della sua evoluzione, è diventata la gestione di processi di scambio tra soggetti tra i quali si instaura una transazione, senza alcun rapporto di sudditanza (Levitt, 1962, 1986 - Di Stefano, 1997 - Fiocca, 1994 - Kotler, 1993 - Caruso, 1999).
Un altro aspetto importante da sottolineare è la necessità che anche una Pmi si doti di uno strumento fondamentale per la gestione delle relazioni: il data base relazionale.
In generale un'azienda dispone di una serie d'informazioni che vengono raccolte e gestite secondo il vecchio modello del management by objectives.
L'ufficio acquisti gestisce il proprio database fornitori, l'ufficio contratti quello delle offerte, il reparto amministrativo quello dei contratti, i responsabili commerciali hanno la propria mailing list cui inviare cataloghi e materiale pubblicitario e attivare le iniziative di vendita, l'imprenditore ha un proprio elenco di "personalità" da coinvolgere in occasione d'avvenimenti topici per l'azienda, la direzione del personale dispone di curricula di potenziali collaboratori e consulenti e ovviamente il nominativo e le funzioni di tutti i dipendenti.
D'altra parte, nel modello dell'impresa a rete si è visto che l'insieme dei dipendenti, dei fornitori, dei clienti, dei collaboratori esterni costituisce la struttura degli stakeholder, sulla quale si basa la gestione dell'impresa moderna; sembra pertanto paradossale che le informazioni riguardanti tutti questi soggetti, che pure fanno parte di un'unica realtà, vivano all'interno di archivi indipendenti non integrati tra loro e spesso realizzati solo sotto forma cartacea.

Per superare questi inconvenienti, le aziende più avanzate nell'adozione di strumenti di marketing innovativi hanno introdotto la funzione del database marketing (Linton, 1996), cioè un approccio spiccatamente informatico (ovvero l'introduzione delle tecniche dell'information technology nel marketing management) che consente di tenere sotto controllo almeno i seguenti elementi:

  • i client, prospect (il cliente potenziale) e suspect (il contatto che può diventare un prospect), i contatti avvenuti, le offerte emesse e la loro conclusione, i motivi della non trasformazione di un'offerta in ordine, gli ordini ricevuti;
  • l'identificazione dei clienti a maggiore potenzialità con cui sviluppare relazioni finalizzate a generare repeat business;
  • la classificazione delle abitudini d'acquisto dei clienti e delle loro risposte alle varie iniziative di marketing;
  • l'identificazione dei decision-maker e del loro atteggiamento nei confronti dell'azienda;
  • l'identificazione dei principali concorrenti per settore;
  • l'identificazione dei clienti passati alla concorrenza o strappati alla concorrenza e le possibili spiegazioni;
  • lo sviluppo di modelli previsionali che consentano di comunicare da parte della persona giusta, nella forma giusta, al momento giusto, alla persona giusta;
  • una mailing list per l'invio di comunicazioni periodiche;
  • elenchi per lo sviluppo di offerte promozionali mirate;
  • dati sul mercato, ricavati da: questionari, contatti da fiere, reclami, ricerche ad-hoc, informazioni provenienti dai canali della distribuzione;
  • dati sull'efficacia dei diversi tipi di promozione commerciale condotti dall'azienda;
  • dati sui fornitori e sul legame di partnership instaurato con l'azienda;
  • dati sui collaboratori esterni e sui risultati ottenuti grazie alla loro collaborazione.

Va sottolineato che i dati archiviati devono avere il massimo grado di attendibilità; il databasemarketing funziona efficacemente solo se le basi di partenza sono certe. Chi ha gestito, ad esempio, database di aziende sa che la percentuale di modifiche, ogni anno, può superare il 30%. Il database ha un senso solo se viene aggiornato con frequenza almeno annuale. Ciò comporta un costo non indifferente pertanto l'azienda che decide di servirsi della funzione del database marketing deve mettere in preventivo oltre ai costi di realizzazione dell'archivio informatico centralizzato anche i relativi costi di manutenzione.
La realizzazione del database centralizzato e dei relativi programmi di gestione non è un'operazione semplice. È opportuno partire dalla mailing listdella direzione marketing che normalmente contiene l'elenco di client, prospect e suspect, attorno alla quale costruire il database completo, con i tempi fisiologici necessari perché tutte le persone da coinvolgere vengano coinvolte e addestrate e tutti gli elementi citati nell'elenco di cui sopra vengano progressivamente inseriti.
Di norma, responsabile della funzione database marketing è un dirigente o un quadro di alto livello al quale è affidato il compito della corretta gestione del database centralizzato. È suo compito stabilire le autorizzazioni e individuare i diversi livelli di accesso (abilitato a inserire o a modificare i programmi, abilitato a inserire o a modificare i dati e le informazioni di propria competenza, abilitato alla sola lettura di tutti i dati e le informazioni, abilitato solo alla lettura di alcuni dati e di alcune informazioni). Il responsabile dovrà fare controlli per verificare che chi inserisce i dati e le informazioni non lo faccia con atteggiamenti troppo ottimistico (la filosofia delle buone notizie) o troppo pessimistico (ispirato da atteggiamento lassista), tali da compromettere la certezza dei dati e la solidità delle informazioni ricavabili.
Il data base marketing deve essere organizzato in modo che l'impresa, in tempo reale, possa ottenere risposte certe ad un certo numero di domande, quali:

  • chi sono e quanti sono i nostri clienti e i nostri key-client;
  • quali sono le loro caratteristiche;
  • abbiamo individuato le loro aspettative;
  • siamo in grado di comunicare con i loro decision-maker;
  • quali prospect hanno le stesse caratteristiche dei clienti;
  • che azioni dobbiamo compiere per trasformare un prospect in un cliente;
  • sappiamo realizzare il massimo business con i clienti fidelizzati;
  • quali altri prodotti potrebbero essere offerti a quel segmento di mercato;
  • quali segmenti offrono le maggiori probabilità di crescita;
  • quali sono i segmenti più remunerativi;
  • quali sono i clienti più importanti di ciascun segmento;
  • i clienti sono soddisfatti dei nostri servizi after-sale;
  • quanto ci costa la promozione verso ogni key-client;
  • abbiamo una visione chiara del perché alcune nostre offerte non si sono trasformate in ordini;
  • abbiamo un'idea dei problemi che l'offerta dell'azienda incontra sul mercato;
  • sappiamo quale è l'attività promozionale della concorrenza nei confronti dei nostri key-client;
  • abbiamo un'esatta visione dei reali bisogni dei nostri clienti;
  • siamo certi che le nostre attività di marketing siano le più adatte, in relazione ai bisogni e alle caratteristiche dei clienti;
  • quali sono le iniziative di marketing che riescono meglio a influenzare la loro decisione d'acquisto;
  • a fronte dei bisogni manifestati dai clienti, abbiamo individuato cosa dobbiamo fare per soddisfare quei bisogni;
  • siamo certi che le informazioni possedute dall'azienda raggiungano tutti coloro che ne potrebbero avere bisogno;
  • quali sono stati i risultati di una campagna di direct marketing;
  • che tasso di redemption (percentuale di risposte a una lettera, a un questionario, a un’offerta a una telefonata)hanno le nostre attività di direct marketing;
  • abbiamo un sistema di controllo della nostra comunicazione;
  • siamo in grado di valutare l'efficacia dei nostri canali di distribuzione;
  • siamo in grado di compilare un questionario per un direct mail, una ricerca di marketing o un'attività di telemarketing;
  • siamo in grado di dare al mercato le informazioni esatte sulla nostra azienda;
  • la comunicazione verso l'esterno è omogenea e chiara;
  • siamo in grado di segmentare il mercato per le nostre attività promozionali;
  • siamo in grado di segmentare l'offerta;
  • cosa potrebbe accadere se decidessimo di cambiare la nostra strategia di marketing;
  • conosciamo la nostra concorrenza e la sua strategia di marketing.

Il database marketing è una funzione fondamentale del marketing. Quando il valore economico di un'azienda nasce dal tessuto delle sue relazioni, il database delle relazioni, è, in un certo senso, la cassaforte dei valori aziendali. Nel database non solo vengono classificate le relazioni, ma vengono archiviate anche le decisioni riguardanti il loro sviluppo, mantenimento o abbandono.

3.4 La comunicazione

Con il termine comunicazione intendiamo, sia quella che deve o dovrebbe circolare all'interno dell'azienda, sia quella che l'azienda trasmette verso l'esterno nell'ambito delle proprie attività di marketing (Brochand, 1987 - Di Stefano, 1997 - Schuler, 1998).

La comunicazione all'interno dell'azienda è uno degli strumenti base di successo; facile a dirsi, ma non a realizzarsi. Ostacoli alla comunicazione in azienda sono: le differenti esperienze del personale, i diversi gradi di cultura, preparazione, addestramento e mentalità, le diverse abitudini, una sottostima dell'importanza della funzione, una volontà di non diffondere le informazioni, la gelosia. Esistono anche ostacoli alla veridicità dell'informazione in base alla filosofia delle buone notizie o della bella figura nei confronti dei capi; nella comunicazione si tende, spesso, a dar rilievo ai fatti positivi e a trascurare quelli negativi.

Come già detto, oltre alla comunicazione interna all'azienda, esiste anche quella che l'azienda rivolge verso l'esterno. La conoscenza, da parte del potenziale acquirente, dell'esistenza sul mercato di un bene o di un servizio e delle sue caratteristiche è alla base di qualsiasi attività di vendita. È questo un argomento particolarmente importante e complesso, ma se ne farà solo un breve cenno. Va, comunque, detto che la comunicazione sul prodotto è essa stessa un prodotto. Esistono vari mezzi che consentono di effettuare la comunicazione verso l'esterno: la stampa (in particolare le riviste specializzate), la radio, la televisione, Internet, il direct marketing, il contatto personale; ognuno di questi ha un costo e una specificità rispetto al prodotto o all'azienda.
In generale l'ideazione, lo sviluppo e l'attuazione di una strategia di comunicazione dovrebbero rispettare gli otto principi introdotti da Brochand e Lendrevie (Brochand 1987)..

  • Principio di esistenza.  La strategia di comunicazione deve essere scritta, conosciuta e accettata da tutti coloro che sono direttamente coinvolti.
  • Principio di continuità. Una strategia di comunicazione deve essere concepita per durare.
  • Principio di differenziazione. Va creato un codice di comunicazione che sia in grado di dare al "prodotto" un'identità precisa e di assegnare, agli occhi del cliente, un valore esclusivo a quel "prodotto".
  • Principio di chiarezza. Una buona comunicazione deve basarsi su idee forti e semplici.
  • Principio di realismo. Non fissare obiettivi sproporzionati alla capacità di offerta.
  • Principio di adattamento. La comunicazione deve adattarsi ai diversi strumenti usati: Pr, stampa, etere, riviste specializzate.
  • Principio di coerenza. In nessun caso vanno create situazioni in cui le informazioni trasmesse sul "prodotto" possano essere percepite dal cliente come incoerenti.
  • Principio di accettabilità interna. È necessario che la comunicazione e i suoi messaggi siano compresi non solo dai clienti ma anche dalle risorse umane interne all'azienda.

La capacità di trasmettere, sia all'esterno, che all'interno un'immagine chiara e condivisa dall'azienda è una delle principali chiavi del successo. Oggi le imprese possono utilizzare Internet, il più moderno strumento di comunicazione che offre opportunità mai sperimentate prima (Siegel, 2000).

Per un approfondimento del tema Comunicazione d'impresa si rimanda al seguente successo editoriale. Comunico quindi esisto.

3.5 La gestione per processi

In molti articoli di questa sezione abbiamo parlato del declino della gestione per obiettivi e del progressivo consolidarsi del modello di gestione per processi, evoluzione del cross-functional management della qualità totale giapponese.

Non è possibile parlare di vantaggio competitivo se si considera l'azienda come un blocco unico. Il vantaggio competitivo si ottiene, infatti, ottimizzando, prima, le singole attività strategicamente rilevanti, disaggregate secondo i principi della catena del valore, e ottimizzando, successivamente, una serie di processi strategicamente rilevanti, ottenuti dalla riaggregazione delle stesse attività, in una visione interfunzionale e olistica dell'impresa.

Le attività interfunzionali dovranno prevalere sulle funzioni, indipendentemente dalla struttura organizzativa esistente, e costituire il presidio delle attività dell'impresa. E' interessante notare che le nuove norme sulla qualità (le Iso 9001:2000) stimolano, ancor più delle revisione del 1994, l'adozione dell'approccio per processi, come mezzo di facile identificazione e gestione delle opportunità di miglioramento delle imprese di produzione e di servizio (Porter, 1987 - Conti, 1998 - Holberton, 1991).

3.6 La partnership

Si è visto come l'impresa moderna sia il complesso dei processi di scambio all'interno del sistema costituito dai soci, i dipendenti, i clienti, i potenziali clienti, i fornitori, gli assemblatori, i distributori, i consulenti, le società di R&S alleate, i finanziatori, le amministrazioni locali, tutti coloro che hanno un rapporto, anche debole, con l'azienda. L'impresa diventa così una struttura collettiva di sviluppo del valore: compito fondamentale per l'imprenditore è quello di costruire relazioni, in vista della realizzazione di una partnership nella quale venga perseguito l'obiettivo della co-evoluzione dei soggetti che vi partecipano (Moglia, 1998 - Caruso, 1999).
Ad esempio, molte imprese manifatturiere stanno orientandosi verso la riduzione del numero di fornitori e la selezione dei migliori, al fine di orientarsi verso un rapporto di partnership. Imprese come Ford, Motorola, Whirlpool, Chrysler hanno ridotto i propri fornitori fra il 20 e l80%; esse hanno scelto e certificato, con criteri propri, un cero numero di fornitori considerati come partner nella ricerca congiunta di miglioramenti nel sistema produttivo e logistico.

3.7 La Qualità

Come si può avere successo attraverso la qualità? La risposta a questa domanda sembrerebbe ovvia se sulla strada della qualità non si frapponessero quattro problemi che rendono impervio il cammino.
Il primo problema riguarda il fatto che il termine "qualità" ha molti significati. I clienti sono interessati ad una molteplicità di elementi, per cui una generica affermazione di qualità non significa granché se non è accompagnata da specificazioni chiare e precise.
Un secondo problema è costituito dalla difficoltà che i clienti incontrano nel valutare la qualità di un prodotto sulla base delle caratteristiche esteriori. 
Il terzo problema nasce quando i livelli di qualità tendono all'omogeneità per cui la qualità non è più un fattore determinante.
Un quarto problema sorge quando un’impresa raggiunge un elevato grado di qualità, ma il cliente non è disposto a pagare un livello di qualità così elevato.
È ovvio che non basta un articolo per trattare i principi della qualità; è opportuno, comunque, ricordare che la Qualità, dalla fine della  seconda guerra mondiale ha subìto un'evoluzione impressionante; evoluzione che è stata la conseguenza del restringersi fino all'annullamento del gap tra domanda e offerta.
Le aziende, negli anni '50, introducono il controllo della qualità, che consiste nel non immettere in produzione prodotti non conformi.
Negli anni '60 e '70 il controllo della qualità, inizia ad utilizzare le tecniche di controllo statistico, e la sua funzione è individuare lungo la linea del processo produttivo le cause che conducono ad avere scarti di produzione. Alcune imprese, come la Motorola, si impongono di raggiungere una indice della qualità della produzione pari a 6 sigma; sigma, in statistica, è la deviazione standard e 6 s definisce la cosiddetta "tolleranza naturale" cioè una probabilità che i pezzi difettosi non superino il tre per mille.
La qualità diventa, quindi, uno strumento di promozione del prodotto fino ad arrivare alla Qualità totale.

Eugenio Caruso
11/12/2007

Tratto da Eugenio Caruso, L'impresa in un mercato che cambia, Tecniche Nuove


NOTE

(1) Qualcuno afferma «Le imprese si dividono in due categorie, quelle che cambiano e quelle che scompaiono» (Kotler, 99).

(2) Neologismo che riguarda una situazione di sotto occupazione di un lavoratore (dirigenti inclusi), che può andare da un mutamento in pejus delle mansioni, fino alla completa inattività.

(3)Non si vuol dire che la leadership sia il bene e il management il male, ma che essi rispondono ad obiettivi diversi. Il management assicura il funzionamento del sistema corrente e le necessarie modifiche incrementali, la leadership fa fare salti qualitativi al sistema aziendale.

(4)Il just-in-time è l'approccio organizzativo-gestionale che persegue i seguenti scopi: zero scorte, zero scarti, zero set-up-time, zero fermate, zero trasporti, zero attese.

(5) Hollow enterprise è una tipica definizione statunitense dell'impresa a rete. Ho avuto l'opportunità di conoscere una Pmi italiana che esemplifica il significato della definizione. Si tratta di un'impresa che opera nel settore della strumentazione medicale, che fattura 5 milioni di euro e che è formata dall'imprenditore, due ingegneri e due tecnici, tutti operanti nel settore della R&S. L'imprenditore sostiene «Noi siamo bravi nella R&S; siamo in grado di recepire i bisogni che provengono dall'ambiente medico e trasformare questi bisogni in progetti concettuali. Tutto il resto lo commissioniamo a società esterne con le quali abbiamo stabilito solidi rapporti di partnership».


Bibliografia

Brochand B., J. Lendrevie, Le regole del gioco, Lupetti editore, 1987.
Caruso E., Gestire l'impresa del 2000, FrancoAngeli, 1999.
Chierchia V., L'innovazione traina l'industria di marca, Il Sole-24Ore, n. 354, 1998.
Conti T., Autodiagnosi organizzativa, Sperling & Kupfer, 1998.
teoria alla pratica, FrancoAngeli, 1999.
Drucker F., Le sfide di management del XXI secolo, FrancoAngeli, 2000.
Fiocca R., The best of marketing, Ed. Bridge, 1994.
Gaillard J.M., Marketing et gestion de la recherche et development, Economica, 1997.
Holberton S., Financial Times, articoli apparsi tra marzo e maggio, 1991.
Ivancic C., J. Bado, Open book management, FrancoAngeli, 1998.
Kotler P., Scott W. G., Marketing management, Isedi, 1993.
Kotler P., Il marketing secondo Kotler, Il Sole 24 Ore, 1999.
Levitt T. Innovation in marketing, McGraw Hill Book, New York, 1962.
Levitt T., Marketing imagination, Sperling & Kupfer, 1986.
Linton I., Il database marketing, FrancoAngeli, 1997.
Moglia T., Partner nella performance, FrancoAngeli, 1998.
Porter M. E., Il vantaggio competitivo, Ed. Comunità, 1987.
Schuler E., Le tecniche assertive, FrancoAngeli, 1998
Siegel D., Futurizza la tua impresa, Tecniche nuove, 2000.



LOGO

www.impresaoggi.com